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Autore: moira78    21/01/2022    4 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Every now and then I get a little bit lonely
And you're never coming 'round
(Turn around) every now and then I get a little bit tired
Of listening to the sound of my tears
(Turn around) every now and then I get a little bit nervous
That the best of all the years have gone by
(Turn around) every now and then I get a little bit terrified
And then I see the look in your eyes
(Turn around, bright eyes) every now and then I fall apart
(Turn around, bright eyes) every now and then I fall apart

And I need you now tonight
And I need you more than ever
And if you only hold me tight
We'll be holding on forever
And we'll only be making it right
'Cause we'll never be wrong
Together we can take it to the end of the line
Your love is like a shadow on me all of the time (all of the time)
I don't know what to do and I'm always in the dark
We're living in a powder keg and giving off sparks
I really need you tonight
Forever's gonna start tonight
Forever's gonna start tonight

Once upon a time I was falling in love
But now I'm only falling apart
There's nothing I can do
A total eclipse of the heart
Once upon a time there was light in my life
But now there's only love in the dark
Nothing I can say
A total eclipse of the heart


***
Ogni tanto mi sento un po' sola
E tu non vieni mai a trovarmi
(Girati) ogni tanto sono un po' stanca
Di ascoltare il suono delle mie lacrime
(Girati) ogni tanto sono un po' nervosa
Che il meglio di tutti gli anni sia passato
(Girati) ogni tanto sono un po' terrorizzata
E poi vedo lo sguardo nei tuoi occhi
(Girati, occhi luminosi) ogni tanto crollo
E ho bisogno di te ora stasera
E ho bisogno di te più che mai
E se solo mi stringi forte
Ci aggrapperemo per sempre
E faremo solo la cosa giusta
Perché non sbaglieremo mai
Insieme possiamo arrivare al capolinea
Il tuo amore è come un'ombra su di me tutto il tempo
Non so cosa fare e sono sempre al buio
Viviamo in una polveriera e facciamo scintille
Ho davvero bisogno di te stasera
Stanotte comincerà l'eternità
Stanotte comincerà l'eternità
Una volta mi stavo innamorando
Ma ora sto solo cadendo a pezzi
Non c'è niente che io possa fare
Un'eclissi totale del cuore
Una volta c'era luce nella mia vita
Ma ora c'è solo amore nel buio
Niente che io possa dire
Un'eclissi totale del cuore
 
 (Total eclipse of the heart - Bonnie Tyler)
 
 
Fuori dall'eclissi

"Albert, mi hai mai odiata per come mi comportavo?", mormorò Candy nella penombra della stanza, la mano pigramente posata sul suo torace dove c'era solo una leggera peluria chiara e quasi invisibile.

Le dita, che le stavano sfiorando il braccio nudo dall'alto in basso, con una lentezza che le faceva venire la pelle d'oca, smise il suo movimento di colpo e suo marito volse il capo verso di lei. L'altro braccio la strinse ancora di più: "Come ti viene in mente una cosa simile?", chiese aggrottando le sopracciglia.

"Sono stata odiosa. Ogni tanto mi vengono in mente delle scene, dei momenti... e, anche se so che ne abbiamo parlato tante volte, continuo a sentirmi così in colpa", ammise respirando intensamente il profumo della sua pelle, sulla quale un leggero strato di sudore inebriava i suoi sensi con un sentore di muschio e legno affatto sgradevole.

Albert riprese il movimento sul suo braccio con l'intera mano, ma non rispose. Candy, che stava ormai scivolando nel sonno, pensò che non avrebbe più risposto. Invece, nel silenzio della stanza interrotto solo da qualche grillo fuori dalla finestra, udì la sua voce bassa e un po' roca.

"Ci sono stati dei momenti in cui ho odiato me stesso, piuttosto. Non mi ero mai sentito così vulnerabile come quando ho pensato di averti perso: ho vissuto per tanto tempo in un limbo che nemmeno alla morte di mio padre, di mia sorella e quando ho perso la memoria ho mai conosciuto. Anzi, quell'ultimo periodo forse è stato uno dei più felici della mia vita. Sentirti così distante, così fredda, comprendere quanto tu mi detestassi mi rendeva... debole, come se avessi perso uno dei capisaldi della mia vita. E non potevo accettarlo, perché ho sempre contato su me stesso e su nessun altro, neanche sul mio nome, tanto più che per la maggior parte del tempo ho vissuto come un vagabondo. Amarti mi ha aperto il cuore. In ogni senso", ridacchiò, come se fosse a disagio, "e ho scoperto parti di me che pensavo fossero nuove, ma in realtà erano rimaste sepolte da anni di limitazioni. Ho dovuto cercare di rialzarmi laddove volevo solo lasciarmi travolgere dalla vita e non accettavo che proprio io, William Albert, mi fossi ridotto così".

"Oh, Albert... mi dispiace tanto...", gli disse baciandolo sulla cicatrice che aveva sul torace. Non poteva credere che lo stesso uomo che aveva affrontato un leone stesse rischiando di soccombere a causa sua.

"Non è colpa tua, Candy. La colpa è mia, che credevo di essere un uomo forte e quasi invincibile: in realtà tu lo sei stata molto più di me", continuò voltandosi verso di lei per sorriderle, sciogliendole le viscere solo con quel gesto, come tutte le volte.

"Io? Ma se ero sempre a piangere fra le tue braccia e nelle tue lettere mi firmavo 'Candy la piagnucolona'!", protestò.

Lui rise piano: "Ma piangere non è sintomo di debolezza. L'ho capito a mie spese. Ti aiuta a mandare via il dolore e a ricostruirti, se possibile. In realtà il mio problema è che non avevo la forza, né la volontà di farlo. E, anche se andavo avanti, mi sentivo una specie di automa. Entrambi abbiamo dovuto fare i conti con la perdita di persone care ed entrambi le abbiamo piante, a modo nostro. Fino a un certo punto io sono stato più forte perché tu eri una ragazzina che aveva subìto solo angherie e io un adulto, è vero, ma già quando ho perso la memoria sei stata tu a guidarmi e a ridarmi fiducia. Non te l'ho mai detto ma... prima che mi costringessi a venire a vivere con te ho persino pensato che avrei preferito morire".

"Oh, no, Albert!". Lo strinse nascondendo il viso nell'incavo tra il suo collo e la spalla perché non vedesse i suoi occhi lucidi.

"È stato solo un momento, Candy, volevo solo vagabondare e ritrovare me stesso. Ma tu già allora mi hai salvato. Forse è stato proprio a quel tempo che, pur avendo ritrovato la memoria, ho cominciato ad appoggiarmi a te. Eri sempre nei miei pensieri, eri il motivo per cui mi imponevo di andare avanti con i miei affari anche se odiavo stare rinchiuso in ufficio e per il quale invece cercavo ogni momento libero per venirti a trovare. Eri il motivo stesso per cui volevo essere un bravo capofamiglia e sentirmi... degno di te".

Tacque per un istante, sospirando come se si stesse rendendo conto del senso delle sue parole mentre le diceva. Candy non poté fare a meno di tornare a guardare il profilo di quell'uomo straordinario che era cambiato così profondamente sotto ai suoi occhi. E rimanerne, ancora una volta, abbagliata.

"Perderti e avere a che fare con la nuova te mi ha messo di fronte ai miei limiti, ed erano limiti che comprendevo e giustificavo, visto quanto ti amo, ma che non potevo accettare. Quel giorno, quando sulla Collina di Pony mi sono messo il kilt ed è andato tutto storto, ero arrabbiato, non lo nego. Ora capisco che non lo ero con te, ma con me stesso: ho usato il nostro ricordo più bello, quello del primo incontro, per indurti a fare qualcosa che in realtà non volevi. E anche se tu sei convinta che sia stata proprio quella la scintilla che ti ha fatto tornare la memoria quella notte, io penso che alla fine sarebbe accaduto comunque".

Albert chiuse gli occhi, come se riflettesse.

"Io continuo a essere convinta che sia stata proprio questa tua determinazione a farmi ricordare. Sì, è vero, anche se restavi all'apparenza indifferente e distaccato nei miei confronti stavo comunque sviluppando la consapevolezza dei miei sentimenti, ma sono certa che vederti sulla Collina di Pony come la prima volta sia stato decisivo".

Lui si sollevò un po' per baciarla: "Bene, signora Ardlay, diciamo che abbiamo ragione entrambi. Ricordati solo che ti amo e mai, neanche per un momento, ti ho odiato, piuttosto ci sono state volte in cui avrei voluto catturarti fra le mie braccia, così, e baciarti... così...".

Candy si cullò nelle sensazioni sublimi che la bocca e le carezze di Albert le suscitavano. Era certa che, se non fossero stati così assonnati, avrebbero finito per fare l'amore un'altra volta.

Invece fu con voce dolce che lui le sussurrò in un orecchio: "Buonanotte, Candy", posando la testa sul cuscino senza smettere di abbracciarla contro di sé.

"Buonanotte, Albert", mormorò di rimando. Il giorno dopo sarebbero partiti per la Casa della Magnolia, ma prima c'era un'ultima cosa che voleva fare lì a Lakewood. Sperava solo che lui fosse d'accordo.
 
- § -
 
Aveva le allucinazioni, ne era certo. Guidare di notte, senza autista, fino al confine di Stato e alla prima tappa del suo viaggio non era stata una buona idea.
Glielo avevano ben detto persino i suoi genitori che era una follia andarsene da solo fino in Massachussets con un mezzo privato, quando poteva prendere un treno o due.

Ma Archie non li aveva ascoltati.

Voleva essere indipendente, provare il brivido di avere la libertà di muoversi con la sua auto nei fine settimana, persino di fuggire, se era necessario, senza doversi affidare a orari o locomotive. Se non poteva avere Annie, tanto valeva fare come Albert e vivere senza regole ferree.

Non sapeva se si sarebbe davvero recato all'università, né se avrebbe voluto continuare a curare gli affari del clan. Suo zio era il patriarca, lui no.

Spinse il freno con tale foga, quando sentì per la terza volta la voce di Annie, che il motore si spense e lui fu sbalzato sul volante, non finendo contro il parabrezza per puro miracolo. Si voltò senza scendere dalla macchina e capì che neanche lo scalpiccio dei cavalli era un sogno a occhi aperti.

Lei si sporgeva dal finestrino della carrozza e, per un attimo, si ricordò della vettura di Albert che aveva quasi travolto la sua mentre stava tornando a Chicago con Candy.

"Annie!", esclamò a bassa voce, gli occhi fuori dalle orbite.

Per fortuna, la carrozza rallentò la sua corsa e Annie sparì dentro solo per aprire la portiera e volare giù senza aiuto, cominciando a correre nella sua direzione.

D'istinto, le corse incontro come aveva visto fare ai due protagonisti dell'ultimo film di Eleanor Baker e, proprio come loro, s'incontrarono a metà strada, lungo la via quasi deserta illuminata dai lampioni. Lì accolse il corpo di lei e, per non cadere nel suo slancio folle, la sollevò da terra stringendola in un abbraccio appassionato e girando su se stesso.

Sentiva il suo respiro affannoso sul collo, le braccia di lei allacciate intorno.

A fiato corto a sua volta, Archie la mise giù lentamente per guardarla in viso ed era bellissima come sempre. La pelle di porcellana era arrossata sulle guance per la corsa e l'emozione, facendola apparire come una bambina, e le labbra socchiuse gli fecero venire una voglia ardente di baciarla.

"Annie, cosa ci fai qui? Sai che ore sono?! I tuoi genitori ci uccideranno!", disse trafelato, prendendola per le spalle.

"Non mi importa!", quasi lo interruppe, alzando le mani per stringergli le braccia in una morsa. "Non mi importa perché io resterò con te. Rinuncio a tutto, Archie. Al nome, alla posizione, anche alla mia dignità! Non voglio separarmi da te!".

"Annie!", ripeté il suo nome incredulo, colmo di una speranza deliziosa ma sentendosi spezzato in due dalle implicazioni.

"Ti prego, Archie, tienimi con te. Se mi ami non mi respingere. Non sono nulla se non posso decidere della mia vita. E tu sei l'unico futuro possibile", aggiunse portandogli le mani al viso.

Lui chiuse gli occhi, pervaso da un'emozione così profonda che voleva solo lasciarsi andare e dirle mille volte sì. Invece si impose di riflettere, di rimanere lucido, nonostante non gli fosse affatto facile. Deglutì e disse: "Tesoro, proprio perché ti amo così tanto non posso permetterti di fare una sciocchezza simile. Anche se diventassi mia moglie potresti pentirtene, avere nostalgia della tua famiglia e persino sensi di colpa nei loro confronti, senza contare che saresti sempre la ragazza  che è scappata di casa agli occhi degli altri".

Annie lo fissò con una serietà e una determinazione che lo destabilizzarono: pensava davvero di aver visto tutto della metamorfosi di Annie, in quegli ultimi mesi? Illuso!
"Ci ho pensato a lungo e ho parlato tanto con i miei genitori, ma non è servito a nulla", disse senza lasciare la presa appassionata sulle sue braccia. "Non posso garantirti che non mi mancheranno o che non mi sentirò mai in colpa nei loro confronti, perché forse sarà inevitabile. Ma sai una cosa? Mi sentirei una derelitta se fossi costretta a sposare un uomo che non amo e passerei la vita a odiarli, che sarebbe peggio. O forse sei tu che non vuoi sposare una ragazza scappata di casa?", concluse con un leggero sorriso triste.

Archie rimase senza parole, a bocca aperta, la gioia che esplodeva come una supernova facendogli persino salire le lacrime agli occhi: "Diavolo, sì, certo che la voglio sposare!". E mentre lo diceva la stringeva forte e le baciava le guance, Annie che faceva altrettanto, e ridevano e piangevano e le loro bocche finalmente si cercarono.
Si fusero in un abbraccio che era solo labbra, lingue, mani che andavano su e giù per la schiena, sospiri e 'amore mio' sussurrati nella notte.

Pensava di aver cominciato un'avventura ardita prendendo la sua auto e andandosene da solo. Invece, la più grande e meravigliosa avventura della sua vita gli era appena volata fra le braccia.
 
- § -
 
"Adesso guarda bene, Patty: vedi l'Orsa Minore?", disse Duncan indicando con il dito un punto lontano nel cielo.

Lei gli si accostò e strizzò gli occhi per guardare meglio: "Sì, la vedo", mormorò con un sorriso.

"Ecco, quella stella così luminosa indica il nord ed è...".

"...la Stella Polare", terminò per lui. "Dimmi qualcosa che non so", lo incitò con una leggera gomitata sul fianco.

Duncan si voltò piantando su di lei gli occhi verdi dietro alle lenti dei grandi occhiali, i capelli rossi che ondeggiavano al vento.

No, non somigliava a Stair. Persino gli occhiali erano diversi. Ma c'era quella scintilla che gli illuminava gli occhi quando parlava del cielo e delle sue costellazioni che era la medesima di lui quando aveva una nuova invenzione in testa.

Si volse di nuovo, scrutando nella volta scura mentre nel suo cuore si accalcavano una miriade di emozioni diverse, numerose almeno come quelle stelle. Nostalgia, dolore, desiderio di rinascita, timidezza, devozione...

"Sai che la luce degli astri non è quella che vediamo in questo momento? Persino il Sole ci rimanda la sua luce dopo otto minuti", disse con voce bassa e appassionata. Il suo profilo era perfetto, lineare, il naso dritto e un leggero incavo sul mento a renderlo ancora più affascinante.

Stair balla con me alla Festa di Maggio e i nostri occhiali si scontrano. Ha degli occhi bellissimi, non me n'ero mai accorta.

"Sì, avevo letto qualcosa di simile", rispose cercando di mantenere ferma la voce.

"Si chiamano anni luce proprio perché sono gli anni che impiega una stella a farci pervenire i suoi raggi. Molte di quelle che vediamo stasera potrebbero essere morte da tempo".

E tra quelle stelle, di certo, ce n'era una che continuava a mandarle la sua luce anche se era morta, benché lei facesse mille sforzi per non rimanerne abbagliata.

La stella è morta, ma continua a illuminarmi. È qui, davanti ai miei occhi ancora adesso.

La sua Stella Polare, l'unica che ancora le facesse battere il cuore ogni volta che la vedeva: la luce divenne un prisma, si sdoppiò, si triplicò e la sensazione calda e umida delle lacrime sulle guance le indicò che non era ancora pronta a lasciarla morire.

"Patty...", fu il sussurro stupefatto e dolce di Duncan, che le pose una mano sulla guancia con tenerezza struggente.

"Mi... mi dispiace, scusami", disse appoggiando la guancia a quella mano e lasciando che la consolasse. Si sentì come doveva essersi sentita Candy tante volte fra le braccia di Albert, quando ancora il suo cuore apparteneva a Terence. Sperava solo che l'epilogo, per lei, sarebbe stato il medesimo.

"Perdonami, non volevo farti piangere. Forse dovrei raccontarti piuttosto come nasce una stella", aggiunse muovendo il pollice per asciugarle le lacrime.

"Questo sì che sarebbe interessante", disse lei ridendo nel pianto, cercando di trattenerlo.

"Pensi ancora a lui, vero?", rispose invece, serio e addolorato.

Patty non poté fare altro che annuire. Duncan sapeva e capiva, ma Duncan era anche profondamente innamorato di lei e non l'avrebbe aspettata per tutta la vita.

"Sai", continuò senza smettere di carezzarle una guancia, "una stella per nascere ha bisogno che ci siano elementi in equilibrio quasi perfetto. Gli elementi gassosi, idrogeno ed elio, si agitano finché vengono irresistibilmente attratti in un unico nucleo. La forza gravitazionale è... altissima".

Il viso di lui era a pochi pollici dal suo. Anche lei era attratta da Duncan, proprio come l'idrogeno e l'elio, ma irrazionalmente le sembrava di tradire il proprio cuore. Di tradire Stair.

"E poi che succede?", chiese avvicinandosi ancora un po' e chiudendo gli occhi. Lo sentì deglutire.

"A causa di queste forze la pressione e la temperatura aumentano tanto che cominciano ad avvenire reazioni nucleari", la voce era roca e i loro nasi si toccavano, "ma la stella non collassa perché libera energie e luce e si controbilancia mostrandola a noi".

Patty dovette fare solo un altro leggerissimo movimento per sfiorare le labbra morbide e fresche di Duncan. Non voleva usarlo, non voleva illuderlo e non voleva che pensasse che lei lo vedesse come un ripiego: "Dovrai avere molta pazienza con me, Duncan. Ma se non vorrai aspettarmi lo capirò".

"Beh, direi che questo è già un buon inizio, no? Un minuto fa piangevi e ora mi stai baciando", sussurrò sporgendo le labbra per farlo di nuovo, in un contatto fugace che le diede i brividi.

"Mi piaci, Duncan, ti voglio bene. Ma devi lasciarmi il tempo di fare chiarezza nel mio cuore. Di imparare a emettere la mia luce senza più ricadere nell'ombra. Non ti meriti nulla di meno". Ed era vero. Era un ragazzo straordinario, sensibile e, soprattutto, così paziente da farla sentire in colpa.

"Non preoccuparti, Patricia", disse posando la fronte sulla sua, ponendole entrambe le mani sul viso, "posso aspettare ancora qualche anno terrestre prima di trasformarmi un una gigante rossa e poi in una nana bianca e collassare sotto ai miei stessi sentimenti. Tu, nel frattempo, continua a orbitare da queste parti".

Patty scoppiò a ridere di cuore, come solo lui riusciva a farle fare: "Seguirò l'orbita meno eccentrica possibile, te lo giuro. Ma tu continua ad... attrarmi, così non mi perderò negli abissi dell'universo".

"Ti terrò stretta ma non troppo, come La Terra con la Luna", le soffiò sulla fronte prima di posarvi un bacio.

"Ma giurami che se un giorno ti stancherai me lo farai sapere. Non voglio mai farti soffrire, Duncan", ribatté con fervore, scostandosi per guardarlo.

Lui aggrottò le sopracciglia, leggermente più scure del colore brillante dei capelli: "Ehi, hai dimenticato le metafore con l'universo!", protestò facendola di nuovo ridere.

"Non me ne sono venute, mi dispiace", disse scuotendo la testa.

Duncan la strinse in un abbraccio timido: "Va bene, diciamo che tu sei la mia stella e orbiterò intorno a te finché non rischierò di bruciarmi. Allora ti manderò un avvertimento... Al diavolo, anche io ho finito le idee!".

Risero insieme, abbracciati sotto alla volta celeste e Patty, per la prima volta da quando Stair era morto, si ritrovò a chiedergli di lasciar andare il suo cuore, di aiutarla a essere felice senza mai smettere di vegliare su di lei.

Era più che certa che era quello che avrebbe voluto.
 
- § -
 
Erano a cavallo, quasi fianco a fianco, e Albert poteva vedere i capelli di Candy volteggiare nell'aria ogni volta che lo superava.

Con un urlo d'incitamento, lui indusse il proprio destriero a raggiungerla per poterla di nuovo vedere in viso e scambiare con lei uno sguardo complice. Voleva solo che si fermasse per poterla baciare, ma Candy sembrava intenzionata a proseguire la cavalcata senza aspettarlo.

La sua risata cristallina fu portata via dal vento nel momento in cui lo superò di nuovo. E, di nuovo, lui fece ondeggiare le briglie e si chinò sull'animale per farlo correre più forte.

"Candy!", la chiamò con una nota d'allarme, quando si accorse che era davvero troppo lontana. Nonostante fosse ancora al galoppo, lei sembrava volare e divenire sempre più irraggiungibile.

Gridò il suo nome, col sapore acido del panico in gola e le mani che gli diventavano gelide. Al suo urlo disperato, lei finalmente si voltò e, con orrore, si rese conto che i suoi lineamenti erano identici a quelli di Rosemary e poi diventavano quelli di Anthony.

Albert sapeva cosa sarebbe accaduto, come sapeva che non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo. Spettatore impotente, con gli occhi e la bocca spalancati per l'orrore e le grida bloccate in gola, la vide cadere da cavallo, quando questo s'impennò, e impattare con violenza sul terreno.

"CANDYYYY!". Il corpo si protese in avanti, le braccia si mossero alla cieca, mentre le gambe rimanevano incollate ai fianchi del cavallo.

Albert si ritrovò sudato e ansimante, seduto sul letto, gesticolando come un cieco che cerchi disperatamente di afferrare qualcosa. O qualcuno.
Dalla gola gli uscivano solo versi gutturali.

"Albert! Che succede?!". Girò la testa di scatto e la vide, in piedi accanto al letto, con una coperta piegata tra le mani.

Senza riflettere, si alzò e la strinse così forte che lei si lamentò: "Tesoro, mi stai soffocando".

La lasciò andare col respiro ancora un po' corto, la fronte viscida di sudore: "Scusami... mi dispiace, è... credo sia stato solo un sogno", disse infilando le dita tra i capelli e dandole le spalle, cercando di riprendere il controllo. Quel controllo che sperava di aver ritrovato, ma che a volte difettava.

Era certo che gli incubi fossero spariti, ma probabilmente ci sarebbe voluto del tempo.

Sentì Candy muoversi vicino a lui e posare la coperta ai piedi del letto, poi abbracciarlo da dietro. Afferrò le sue mani con urgenza, stringendole e portandosele alle labbra: "Non volevo spaventarti".

"Invece l'hai fatto. Credevo ti stessi sentendo male. Ti è già successo? Hai parlato di questi incubi con Carter?". Si voltò per fronteggiarla.

"Non è nulla, passeranno. Ma tu non fuggire più dalle mie braccia in piena notte, siamo intesi?", le chiese fin troppo seriamente.

Candy lo guardò con una certa accondiscendenza: "Ero solo andata a prendere un'altra coperta perché fa un po' fresco la notte. Ma tu sei in un bagno di sudore".

Albert si passò una mano sul viso, a disagio: "Hai ragione, vado a fare una doccia e torno a letto".

Lei sorrise in modo enigmatico e, sotto ai suoi occhi stupefatti, si sciolse la vestaglia che indossava per rivelare quella che sembrava una piccola camicia da notte di pizzo trasparente, di un nero velato che lasciava intravedere un corpetto del medesimo colore. Il reggicalze era coordinato ma su una delle gambe, all'altezza della coscia, spiccava una specie di nastro rosso.

Albert non pensava che il suo corpo avrebbe reagito solo guardandola, ma era esattamente quello che gli stava accadendo e ne fu alquanto imbarazzato.

Si poteva passare dall'orrore per un incubo terribile al desiderio con una tale velocità?

Fu lei ad avvicinarsi, ancheggiando in un modo che gli fece quasi perdere il controllo. Teneva il capo chino e non sembrava molto a suo agio.

"Io... non so se sia stata una buona idea, ma Annie e quella commessa hanno insistito così tanto che... insomma, mentre dormivi ho pensato di indossarla per mostratela domattina". Alzò lo sguardo su di lui, "Sono ridicola, vero?".

"Ridicola?", rispose lui con voce quasi spezzata. In un gesto repentino, la strinse al proprio corpo, gemendo di lussuria quando furono a contatto. Scese con le labbra al livello del suo orecchio, sussurrandole: "Ti sei resa conto di quello che mi hai fatto solo mostrandoti a me?".

Sentì muovere la sua testa mentre annuiva e prese un respiro profondo: "Sei la donna più bella che io abbia mai visto, Candy, perché il tuo splendore è nel tuo corpo così come nella tua anima", aggiunse cominciando a baciarle il collo, esplorando quel capo con le mani e approfondendo il contatto per toccare la sua pelle attraverso la stoffa.

"Non avevi avuto un incubo e dovevi fare una doccia?", chiese lei con voce profonda.

"La farai con me. Dopo che ti avrò spogliata ne avrai bisogno anche tu, credimi. L'incubo già non me lo ricordo più", mentì.

Certo, la sua mente era annebbiata e calamitata dal corpo di Candy, ma la paura che albergava nel suo cuore era qualcosa con cui, prima o poi, avrebbe dovuto scendere a patti. Non poteva essere preda dei timori e degli incubi per tutta la vita.

Candy era sua, fremeva sotto alle sue mani che ora le stavano liberando il seno per catturarlo con le labbra e non sarebbe accaduto nulla a turbare la loro felicità.

Entrò in lei sentendosi in un porto sicuro, mentre l'acqua della doccia scorreva tiepida sui loro corpi intrecciati e sorridevano amandosi appassionatamente, senza fretta, sospesi tra sospiri e vapore.
   
 
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