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Autore: EleWar    29/01/2022    6 recensioni
Nel paese del Sol levante i tifoni sono quasi all'ordine del giorno, una cosa tutto sommato normale, ma potrebbero avere dei risvolti inaspettati. E ai nostri eroi, presi dentro la tempesta, cosa accadrà?
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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E siamo già, si fa per dire, al capitolo 2.
Come proseguirà la serata, rintanati in casa, mentre fuori imperversa un tifone?
Grazie per le belle recensioni, vi adoro *__*
Eleonora





Cap. 2 Una lunga serata insieme
 
L’erogazione dell’energia elettrica resse ancora po’, nonostante il vento si fosse rinforzato di molto, e sollecitasse notevolmente i fili della luce in tensione.
Si sentiva chiaramente anche sibilare fra gli spifferi delle tapparelle, che i due sweeper avevano calato in tutte le finestre, unico riparo all’avanzare del tifone.
Da dentro la casa, ad intervalli irregolari, si udiva la pioggia scrosciare sui tetti e sulle strade deserte, o sferzare con forza le pareti dell’intero palazzo, investito su più fronti dalle raffiche di vento intrise di acqua.
 
Non era la prima volta che i City Hunter affrontavano questo fenomeno, peraltro affatto insolito in terra nipponica, e sapevano già come comportarsi.
Però soprattutto Kaori, ogni tanto, sentendo una sventata più forte, o un rombo particolarmente più marcato, quando aveva l’impressione che tutto lo stabile vibrasse e oscillasse peggio che con una scossa di terremoto, rabbrividiva.
Il tutto aveva un non so che di inquietante, ma si guardava bene dal confidarlo al socio, col rischio di essere presa come una mammoletta, una smidollata che non era degna di essere la compagna del grande Ryo Saeba.
 
In ogni caso, avendo cenato prima del solito, i due soci si ritrovarono con tanto tempo a disposizione ed era troppo presto per andare a dormire.
E se era scontato che Ryo non uscisse per locali, restava sempre il problema di come avrebbero passato la serata… insieme.
 
Ryo aveva riguadagnato il suo posto sul divano, che quasi recava ancora traccia della sua precedente seduta, e appoggiando i piedi sul tavolino basso davanti alla tv, si accomodò per sorbirsi la sua solita dose di idiozie televisive.
 
Kaori, raggiungendolo da dietro lo schienale, gli chiese, a mo’ di conferma:
 
“Tanto stasera non uscirai per i tuoi soliti giri, vero?”
 
“Con un tempo del genere anche i peggiori criminali se ne resteranno chiusi nelle loro tane puzzolenti.” rispose ghignando “Non ho nessuna intenzione di andarmene in giro per la città a badare a loro.”
 
E nemmeno a farlo apposta in quel momento, giù in strada, passò una macchina della polizia che, con l’altoparlante, intimava di restare chiusi in casa in vista dell’arrivo del tifone.
S’interruppero un attimo per prestare attenzione al ben noto ammonimento, poi ripresero la loro conversazione.
Fu Kaori a parlare:
 
“O forse hai deciso di restare a casa perché tanto anche i tuoi amati localini, stanotte, resteranno chiusi?” gli domandò Kaori guardandolo con sarcasmo.
 
A Ryo non restò che ammettere un “… Anche” colpevole, nonostante andare a donnine, per quella sera, fosse l’ultimo pensiero che gli passasse per la testa.
Aveva la scusa della tempesta in arrivo per rimanere in casa con Kaori, anche se non aveva programmi di sorta e né avrebbe fatto chissà cosa, con lei.
Gli bastava una tranquilla serata in famiglia – sì, perché loro due erano una famiglia! – e gli era sufficiente stare con lei, stuzzicarla, farla arrabbiare, bisticciare per il piacere di farlo, o anche parlare del più e del meno: non chiedeva nulla di più.
Doveva, però, mantenere la sua solita parvenza di scellerato gaudente, di donnaiolo incallito, e non le avrebbe mai confessato che, quella che si prospettava, per lui sarebbe stata di gran lunga, e a prescindere, la serata più bella da trascorrere in pace, accanto alla donna che amava.
Infatti, quando la sentì bofonchiare un “Mi pareva…”, gli si disegnò un mega sorriso divertito sul viso, che purtroppo Kaori non notò.
Ma tanto, anche se lei lo avesse visto, non avrebbe saputo dire perché lui sogghignasse in quel modo: Ryo era sempre così sarcastico, non c’era mai da stare tranquilli.
La ragazza non aveva capito che quella era una provocazione bella e buona, il solito pungolo per stuzzicarla, e lui si disse che la sua dolce e cara socia era una favola, ed era uno spasso prenderla in giro, perché cadeva sempre nei suoi tranelli.
 
Tuttavia la beatitudine durò poco perché Kaori, con uno scatto felino, scavalcò lo schienale del divano e si gettò sul televisore, per spegnerlo urlando un: “Arrrggggghh!” che fece saltare il compagno sul posto.
 
“Che-che ti prende? Sei impazzita?” gli gridò il socio allibito.
 
“È che stava passando l’ennesimo telegiornale, con l’ennesima edizione straordinaria, in cui non si parla d’altro del tifone in arrivo! Non li sopporto più, mi mettono più ansia loro che tutta la tempesta in arrivo!”
 
“E c’era bisogno di fare tutto ‘sto casino?”
 
“Certo, perché se ti avessi chiesto di cambiare canale, prima che tu lo avessi fatto, con la tua solita flemma e soprattutto con i tuoi mille lamenti, mi sarei già vista tutto il reportage, che mi avrebbe agitato enormemente!”
 
“Tu non sei normale!” sentenziò il partner fissandola, dopo che si era buttata a sedere scompostamente accanto a lui.
 
“Lo so!” gli rispose lei, guardandolo con aria maliziosa “Altrimenti come avrei potuto sopportati tutto questo tempo?”
 
“Puah!” sbuffò l’altro, sconfitto, per il momento; poi aggiunse subito dopo: “E sentiamo, cosa vorresti guardare stasera? Sarò magnanimo, lascio decidere a te!” disse socchiudendo gli occhi, con aria fintamente benevola.
 
“Veramente?” si animò la ragazza “Allora potremmo vedere…”
 
“Ah!” l’interruppe subito lui, alzando una mano stoppandola “Non se ne parla nemmeno!”
 
“Ma come? Non ho fatto neanche in tempo a dirlo e tu…”
 
“Perché già so che vuoi farmi vedere una di quelle commediole tutto miele e bacetti.”
 
“E cosa ne sai che volevo vedere proprio quello?” spalancò gli occhi incredula la ragazza.
 
“Lo so e basta!” pontificò l’uomo, con fare altezzoso.
 
“E comunque avevi detto che avrei potuto scegliere io! Così non vale. Dammi il telecomando!” e glielo strappò con violenza dalle mani.
 
“Tutto tranne quello. Ridammelo!” e fece l’atto di buttarsi su di lei per riprenderlo, ma nell’attimo stesso in cui lo afferrò, di colpo si spense tutto, televisore e luce elettrica.
 
“Uffff, questa non ci voleva!” sbottò Kaori.
 
“Toh, è andata via di nuovo la luce!” disse Ryo confermando l’ovvio “È tutta colpa tua!” aggiunse per farla ulteriormente arrabbiare.
 
“Idiota! Se non te ne fossi accorto, c’è un tifone in arrivo!” gli disse sferrandogli un lieve cazzotto “… e addio tv.”
 
“Meglio il buio totale, che un pericoloso aumento della glicemia.” ironizzò l’altro, riferendosi al tono melenso dei filmetti che tanto piacevano a Kaori.
 
Terminati anche gli ultimi lazzi, i due restarono in silenzio per un po’, in attesa che, come la volta scorsa, l’energia si decidesse a tornare; ma in risposta ebbero ulteriori violente raffiche di vento, seguite da roboanti rimbombi di tuoni.
Kaori rabbrividì, ma fu grata all’oscurità che la celava agli occhi del socio, perché non voleva apparirgli come una pappamolla impressionabile.
Eppure avrebbe tanto voluto rifugiarsi fra le sue braccia per sentirsi al sicuro, e non solo.
 
Piuttosto, con un sospiro, si rivolse a lui dicendogli:
 
“Prestami l’accendino, che vado a prendere le candele nel ripostiglio…”
 
“Tieni. Io ti aspetto qui.” le rispose Ryo.
 
“Già, mi aspetti qui, giusto perché i night sono chiusi…” non mancò di lanciargli un’ultima sottilissima frecciatina, a cui lui fece eco con una risata sincera.
 
In breve tempo Kaori disseminò la cucina e il soggiorno – il cuore della loro casa e, per il momento, gli unici ambienti che avrebbero usato – di candele e candeline, e Ryo si gustò la sua danza solitaria, in cui fiorivano luci e lucine, accese dalla creatura più magica e leggiadra che avesse mai avuto la fortuna d’incontrare.
Kaori infatti si destreggiava con le fiammelle e gli stoppini, e dove arrivava lei, arrivava la luce; l’uomo la osservava affascinato.
Quello che stava facendo per casa era un po’ il riflesso di ciò che aveva compiuto anche nella sua vita da balordo: portava la luce in mezzo al buio.
E con che grazia e attenzione proteggeva la fiamma appena accesa, riparandola con le sue manine delicate!
Se ne prendeva cura, finché non divampava vivida e sicura, e solo allora la lasciava andare.
Per uno strano gioco di sensazioni, era come se Ryo percepisse dentro di sé tutto il calore di ogni singola luce che Kaori accendeva, e ne traeva beneficio, una gioia senza nome che lo colmava di felicità.
 
Quando ritornò da lui reggeva con entrambe le mani una grossa candela, bassa e tozza, di quelle profumate per ambienti e, posandola delicatamente sul tavolinetto di vetro davanti al divano, osservò ridacchiando che certe candele sono una vera e propria fregatura, perché profumano solo da spente.
Risiedendosi sul divano e ripiegando le gambe sotto di sé, la ragazza si avvide dello sguardo dolce e sognante del socio, e per un attimo credette che fosse in qualche modo rivolto a lei, con quella stupida speranza che non l’abbandonava mai; ma poi si convinse che era solo un ingannevole gioco di luci e ombre, e che Ryo non la stava guardando in quel modo.
 
Si accoccolò meglio, e a quel punto si ricordò di avere ancora l’accendino di Ryo nella tasca davanti dei jeans, perché in quella posizione le stava facendo quasi male, premendole quasi sull’inguine; frugandovi dentro gli disse:
 
“Ah, ecco, il tuo accendino.” ed estrattolo, glielo porse.
 
Ryo l’afferrò e lo strinse brevemente nel palmo della mano: recava ancora il calore corporeo della giovane, era stato quasi a contatto con la sua pancia…
Fantasticò su come sarebbe stato bello se quella sua stessa mano fosse finita dentro la tasca a riprendersi l’accendino, o avesse vagato al di sotto della stoffa dei jeans e della fodera, a bearsi direttamente di quel calore, a saggiare la sua pelle liscia e perfetta, proprio lì ad un passo da…
 
“Allora?” l’interruppe nelle sue fantasticherie Kaori, facendolo quasi sobbalzare “Cosa facciamo?”
 
Avrebbe tanto voluto risponderle che, giusto un secondo prima che lei lo interrompesse, aveva già in mente delle belle cosine da fare insieme…
Ma non era il caso, pertanto si strinse nelle spalle e non disse nulla.
 
Kaori, muovendosi a disagio, segno che ciò che stava per chiedergli era per lei un argomento spinoso, gli domandò:
 
“Ehmmm, Ryo… visto che non puoi uscire…  e sei rimasto qui, con me… pensavo che potremmo fare quello che… cioè… Cosa fai quando vai nei tuoi locali?” finì per dire tutto d’un fiato, per poi aggiungere subito dopo: “Ovviamente togliendo sbavare per le donnine e magari spupazzartele…” e lo disse con una smorfia “… o ubriacarti… o entrambe le cose!” concluse con una leggera nota di scherno e rabbia repressa.
 
Ryo fu preso da un’ondata di tenerezza per la sua testolina rossa.
Evidentemente voleva in qualche modo replicare uno dei suoi divertimenti mondani, epurato delle sconcezze a cui, ovvio, non si sarebbe mai sottoposta.
Fare la parte della donnina allegra, manco a pensarci, e non solo perché lei stessa non avrebbe voluto, temendo oltretutto di essere pesantemente umiliata da lui, ma tanto nemmeno lui ce l’avrebbe vista.
Era come se, visto che Ryo era costretto a stare chiuso in casa con lei, e per giunta senza tv, lei volesse che si divertisse ugualmente, nemmeno fosse colpa sua.
 
Ma quanto amore sei capace di riversare su questo dannato bastardo che ti è capitato come socio, coinquilino e compagno di avventure?” si chiese lui.
 
Come poteva non amarla a sua volta?
Gli spuntò un sorriso strano all’angolo della bocca, e subito Kaori iniziò a sudare freddo, pentendosi della proposta che gli aveva appena fatto, immaginando in chissà quali turpi passatempi l’avrebbe trascinata; si affrettò a dire la prima cosa che le passò per la testa:
 
“Oh, io ho detto così, eh? Ed era solo per renderti il favore, visto che mi avevi accordato la scelta dei programmi tv. Ma se non vuoi, insomma non sei obbligato, cioè…”
 
“Sì può fare!” proruppe infine il socio, mozzandole sulla bocca le ultime parole senza senso che stava gettando fuori più o meno alla rinfusa.
 
“Sì può fare cosa?” chiese preoccupata la ragazza.
 
“Quando esco non vado solo a donnine, come dici tu, o mi ubriaco” e le fece l’occhiolino, che anziché rassicurarla la mise in uno stato di leggera agitazione “A volte vado anche nelle bische, più o meno clandestine, e gioco a carte; poker, preferibilmente.”
 
Kaori tirò un sospiro di sollievo.
Giocare a carte poteva andare, e quand’anche avessero giocato a soldi, che non avevano, erano pur sempre quelli della società e non ci sarebbero stati né vincitori né vinti.
Già stava pensando a dove avesse visto i mazzi di carte con tanto di fiches, l’ultima volta, quando lui la fece trasalire dicendo:
 
“Potremmo giocare a strip poker!” e di nuovo quel suo occhiolino malandrino le fece venire il batticuore.
 
Dalla padella nella brace.
 
Kaori avvampò, e del leggero fumo le uscì dalle orecchie: sembrava una caldaia a vapore.
Ryo se ne compiacque: era così divertente metterla in difficoltà, era quasi sicuro che non avrebbe accettato.
Pertanto rincarò con:
 
“Che c’è? Non ti va di giocare?”
 
“Ce-certo… è un passatempo come un altro.” rispose lei, cercando di darsi un contegno.
 
“Ma, hai capito, almeno, come si gioca?” la stuzzicò Ryo.
 
Kaori, punta sul vivo e infastidita dalla sua illazione, non ci stette a passare per la solita sprovveduta; inoltre non voleva dargli la soddisfazione di fargli capire che al solo pensiero di spogliarsi davanti a lui, qualora avesse perso la partita, se la faceva addosso.
 
“Che domande! E chi non lo sa?” gli rispose, piuttosto, sfoggiando una sicurezza così falsa che nemmeno un cieco ci sarebbe caduto.
 
Ryo pensò che sarebbe stato davvero un gioco da ragazzi batterla, visto che non sapeva mai bluffare, e ne stava dando magnificamente prova in quello stesso momento.
Sarebbe stato divertentissimo farle fare lo spogliarello, e già pregustava lo spettacolo che gli avrebbe offerto la sua fantastica e bellissima socia.
 
“Quindi? Cosa hai deciso?” la pungolò “Accetti?”
 
“Vado a prendere le carte!” gli rispose prontamente, e si alzò in fretta in piedi e corse a cercare l’occorrente.
 
A quel punto Ryo si fregò le mani soddisfatto con un sorriso da satiro: ci mancava che scodinzolasse con la sua codina da capretta e saltellasse su un paio di zoccoletti fessi.
 
La ragazza tornò poco dopo con il kit per giocare, con tanto di panno verde su cui adagiare le carte e le fiches, ma appoggiandole sul tavolo del soggiorno, gli disse:
 
“Prepara tu, che io devo prima fare una cosa.”
 
Afferrata una candela, scomparve al piano di sopra; ma Ryo era troppo eccitato dal gioco dentro il gioco che stavano per fare,e non ci fece troppo caso.
 
Dopo un po’, non vedendola tornare, e raffreddatisi gli ardori nell’attesa, preoccupato le gridò:
 
“Kaori? Tutto bene?”
 
Dal piano di sopra si udì un mezzo soffocato:
 
“Tutto benissimo, adesso arrivo!”
 
Un secondo dopo si vide scendere pesantemente e pericolosamente una Kaori infagottata con tutti i vestiti che aveva potuto infilarsi, uno sopra all’altro.
Sbuffava ad ogni scalino e sembrava un multicolore omino della Michelin.
 
“Ma-ma… come ti sei conciata?” chiese Ryo, sull’orlo di una fragorosa risata che gli stava premendo sulla bocca e che gli faceva vibrare la cassa toracica.
 
“Perché? Cosa c’è che non va? Ho detto che avrei giocato a strip poker, ma mica c’è scritto da nessuna parte quanti vestiti bisogna indossare?” affermò la sweeper, strizzandogli l’occhio, convinta di essere la più furba ragazza del Giappone.
 
E visto che il suo discorso non faceva una piega, la famosa risata non venne mai a galla, e morì nei recessi del ventre del socio deluso.
Così, se Ryo si era aspettato un eccitantissimo spogliarello della ragazza – perché tanto, per quanto lo riguardava, restare vestito o nudo non faceva nessuna differenza – dovette ammettere che, in questo modo, non c’era più gusto a giocare con lei.
Come minimo aveva indossato l’intero contenuto del suo armadio, e anzi, l’ultima t-shirt sospettava gli appartenesse, e per sperare di vederla se non nuda almeno in mutandine, avrebbero dovuto giocare tutta la notte e sperare di vincere… o ricorrere ad un mazzo di carte truccate che, maledizione, non aveva.
 
“Allora? Non ti va più di giocare?” lo dileggiò lei, e lo guardò sogghignando, nonostante avesse già la fronte lucida di sudore: era pur sempre la fine dell’estate ed era ancora caldo.
 
“Non vedo l’ora!”le rispose lui, cercando di mascherare il disappunto e la delusione “Te l’ho proposto io!”
 
“Bene, allora dai tu le carte” gli disse Kaori, sedendosi con difficoltà al tavolo apparecchiato per il poker e illuminato da una bassa candela al sandalo.
 
E i due soci cominciarono a giocare.
 
La prima partita la vinse Kaori, e Ryo dovette togliersi le pattine; poco male, anzi era di per sé strano che non fosse già scalzo.
E Kaori sogghignava e sudava.
La seconda partita la vinse di nuovo Kaori, e Ryo dovette togliersi la maglietta rossa; ma non era divertente spogliarsi, perché stava perdendo e ancora la socia sembrava un kebab di vestiti.
E Kaori sogghignava e sudava.
La terza partita fu più sofferta, e verso la fine sembrava che la vittoria sorridesse allo sweeper quando, inaspettatamente, Kaori mise giù una scala reale che sconfisse miseramente il full del socio, il quale fu costretto a sfilarsi anche i pantaloni della tuta.
E Kaori sogghignava e sudava.
E ora aveva un motivo in più per sudare, in quanto vedersi davanti il partner a torso nudo, con i muscoli che guizzavano ad ogni movimento, illuminati morbidamente da quella luce calda e invitante, le stava facendo perdere la concentrazione, e faceva una gran fatica a non pensare che, se avesse vinto anche la prossima manche, lui si sarebbe tolto i boxer.
La quarta partita gliela lasciò vincere e lui, esultante, batté le mani, rianimato: per Kaori il pericolo mutande era stato scongiurato, e lei si tolse con nonchalance una leggera sciarpetta che si era avvolta intorno al collo ormai fradicio di sudore.
Ma alla quinta partita Kaori non riuscì ad imbrogliare e vinse platealmente…
Ryo allora, in un impeto di disappunto, e deciso, senza troppo pensarci, a pagar pegno, scostò violentemente la seggiola esclamando:
 
“Eh, ma allora dillo!!! La prossima volta ti porto al casinò!”
 
E stava già mettendo mano all’elastico dei boxer quando Kaori, allarmata, gli gridò:
 
“Fermo lì!” bloccandolo sul fatto.
 
“Va-va… bene così. Fine partita, ho vinto e amen, ti abbuono… ti abbuono… insomma tieniti le mutande… per favore” finì in un sussurro.
 
A quel punto Ryo, che fino a quel momento aveva sbuffato in preda alla disdetta e al nervosismo, vedendo la reazione della pudica socia, riesumò la risata dell’inizio e vi si lasciò andare, piegato in due dal ridere.
 
“Idiota.” borbottò l’altra.
 
Quando l’idiota in questione si fu calmato, si risedette, incrociando le gambe una sull’altra, con un braccio mollemente appoggiato sullo schienale della seggiola, il corpo rilassato; si mise a fissarla con aria birichina.
 
“Be’? Cosa hai da guardare?” gli chiese acidamente la socia.
 
“Niente.” rispose lui.
 
Una nuova consapevolezza si era fatta lentamente strada in lui: Kaori stava certamente morendo di caldo sotto quella tonnellata di abiti che si era messa addosso per paura di spogliarsi, ma visto che aveva sempre vinto e Ryo era rimasto letteralmente in mutande, ora, per ovviare all’inconveniente, o riprendevano a giocare, o Kaori doveva comunque svestirsi.
Certo non sarebbe stato eccitante come un vero spogliarello, ma divertente, quello sì.
Perché di sicuro non ci sarebbe riuscita da sola e avrebbe dovuto chiedere il suo aiuto, ne era certo, ed era anche troppo orgogliosa per farlo.
E quindi Ryo attendeva.
E sapeva anche che la compagna non avrebbe retto a lungo, perché già da quando era arrivata era madida di sudore.
Sogghignò fra sé e sé.
Nell’appartamento la temperatura si era notevolmente alzata, non appena avevano chiuso tutte le finestre, quando aveva iniziato a piovere, e per fortuna lui era mezzo nudo!
Così com’era stava da dio, quasi ebbe compassione della socia, ma… no, voleva fargliela pagare per aver stravinto e non avergli offerto lo spettacolo che sperava.
 
“Allora? Che facciamo?” chiese Kaori, con un filo di nervosismo nella voce.
 
“Ah, non saprei…” rimase sul vago il partner, sempre stravaccato e con quel suo sguardo predatore e irriverente.
 
Quando fa così, con quella sua faccia da schiaffi…” pensò Kaori sull’orlo di una crisi di nervi.
 
“Vogliamo giocare ancora?” buttò lì lei, visto che poteva perdere finché volevano e almeno, così, si sarebbe alleggerita, anche se…
 
“Mmm, meglio di no…” rispose svogliatamente il socio “Non mi rimangono che le mutande come posta, e poi tu ti imbarazzi” e le fece l’occhiolino “e comunque io… sto bene così, senza far niente, con questo caldo…”
 
Ecco, lo sta facendo apposta, il cretino…” rimuginò la ragazza, prendendosi a sventolare con le carte a ventaglio.
 
“Non trovi che qui dentro sia caldo?” rincarò la dose l’uomo “Peccato non poter aprire le finestre… con questo caldo… non ti sembra?” E sospirò drammaticamente.
 
“Dai, ti concedo di rivestirti, puoi mettere i vestiti che avevi prima” propose Kaori pur di giocare di nuovo, con la speranza di togliersi quei dannati panni che si era messa addosso con tanta fatica.
 
“Dici?” fece lui fingendo di starci a pensare “Sai che non lo so? Veramente… E poi è così caldo… ed io sto così bene in mutande con questo caldo…”
 
“Ohhhh, avanti smettila!” gli gridò infine Kaori, spazientita “Sì è caldo, è caldissimo, ed io sto morendoooooooo!!!”
 
“E allora spogliati!” le rispose il socio senza scomporsi.
 
“Non ci riesco!” strepitò, sbuffando.
 
“In che senso?”
 
“Nel senso che non ci riesco da sola. Ti prego, aiutami!” si umiliò a chiedere la ragazza.
 
Per l’orgoglio ferito di Ryo questa resa era più che sufficiente, e ridacchiando si apprestò a lei.
 
“E brava la mia socia furbetta, che per paura di me e di farsi vedere nuda, ha preferito svaligiare il suo armadio, vero?” le disse, aiutandola a sfilare la prima maglietta che, sì, era proprio quella di Ryo.
 
“Stai zitto e fai presto, che non riesco nemmeno a respirare!”
 
“Uuuhhh, quanta fretta” le rispose un Ryo divertito, mentre le stava giusto facendo passare sopra la testa un’altra maglietta ormai sformata.
Poi, non appena il viso della giovane spuntò fuori dalla stoffa, lui le soffiò, ad un passo dalle labbra:
 
“Non era così che pensavo, un giorno, di spogliarti…”
 
Kaori, che fino a quel momento si era divincolata, impaziente di sbarazzarsi di quella corazza tessile che la stava quasi stritolando e la faceva sudare come se fosse all’inferno, si bloccò di colpo e lo fissò, occhi negli occhi, con ancora le braccia dritte sopra la testa.
Aveva veramente sentito ciò che aveva sentito?
 
D’un tratto non era più così urgente liberarsi da quella morsa informe, non contava più che fosse così tanto sudata che pure i capelli le si erano appiccicati sulla fronte… contava solo quello che le era parso di capire e lo sguardo con cui la stava fissando Ryo.
Fugacemente pensò che nemmeno lei si era mai immaginata di essere spogliata così da Ryo, un giorno.
Che buffo, avevano avuto la stessa idea!
E quasi le venne da sorridere…
Ma non era quello il momento, poiché continuavano a fissarsi, quasi i nasi a sfiorarsi, immobili sull’orlo dell’abisso, le bocche dischiuse, ansiose di baciare.
 
Il tempo parve fermarsi.
 
Poi un lampo, un tuono.
 
La luce fredda del soggiorno ritornò ad illuminare quella goffa parodia di un pagliaio che era diventata Kaori, e la magia si infranse.
E non ebbero neanche il tempo di abituarsi al forte chiarore, che gli aveva ferito la retina, che un secondo dopo l’oscurità era ripiombata su di loro, stordendoli leggermente.
Spaventati più da ciò che stavano per compiere, che da quegli improvvisi sbalzi di luce, si allontanarono di un passo, colpevoli; in breve si riadattarono alla penombra delle candele, ma tutto parve sfumare nel sogno.
Entrambi si ritrovarono a pensare che, forse, non era come si erano immaginati che stesse per succedere… che si erano sbagliati.
Ma poi il disagio pressante e reale che provava Kaori reclamò tutta la sua attenzione, e la ragazza riprese a sbuffare e a girarsi intorno impacciatamente, cercando di sfilarsi quei dannatissimi vestiti.
In generale si ripeteva sempre che non aveva nulla da mettersi e invece guarda lì, sembrava il mercatino ambulante dell’usato!
 
“Ryooo…” lo chiamò lamentosa.
 
“Sì, arrivo, eccomi.”
 
Solerte e cameratescamente il socio corse in suo aiuto, e faticosamente, maglia dopo maglia, riuscì a sfogliarla come un’infinita cipolla.
Stava quasi per toglierle l’ultimo top quando lei lo fermò appena in tempo; accortosi, ritrasse di scatto le mani e si allontanò ridacchiando a disagio:
 
“Scu-scusa, è che ormai avevo preso il via… e sai com’è” si giustificò
 
“No-non preoccuparti” rispose lei, lievemente in imbarazzo.
 
“Grazie…” mormorò alla fine, chiedendosi se fosse mai possibile che una cosa, nata per essere una specie di scherzo, una cretinata, potesse trasformarsi prima in una tortura, poi in un attimo di quasi follia e, infine, in una faccenda di complicata risoluzione.
 
   
 
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