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Autore: RLandH    03/02/2022    1 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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EHILA’ stranieri!
Come va? Spero bene!
Io ovviamente no: mi si è rotto il telefono; quindi, ho vissuto nei meravigliosi anni ’90, poi sono stata male (ma no, niente covid) e per due settimane sono stata trincerata in casa. Inoltre, ho avuto un'altra serie di problemi personali, che mi hanno stressato parecchio ...
Morale della favola, i capitoli che ho scritto in questo tempo sono stati tutti influenzati dalla febbre (e dalla rabbia). Help.
Un grazie di cuore a Farkas per le recensioni, davvero, grazie <3 e a tutti colore che seguono/preferisco o anche solo leggono questa epopea delirante che è questa storia.
Spero che questo capitolo non vi deluda. Davvero.
Nel frattempo vi allego due disegnini fatti:
 - La nostra bellissima signora di Alfheim: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Gerd-905591821
- Lady Laufey:  https://www.deviantart.com/rlandh/art/Laufey-mother-of-Loki-905591472

Buona Lettura,
baci RLandH

 

Jason Grace spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente)

 

La cena era andata relativamente bene, qualcuno aveva cercato di ucciderli lanciando dei coltelli, con la scusa di passarli a qualcun’altro vicino loro, ma era finita abbastanza bene. Erano ancora tutti vivi, anche grazie al provvidenziale intervento di Bee e Grid, che si era mostrata ben disposta alla loro presenza – Jason aveva visto anche Madina scambiarci un paio di parole, quando la sua amica era tornata le aveva detto che la madre di Vidar avrebbe fatto sapere a Bragi che erano vivi e salvi e che sarebbero tornati l’indomani – o almeno così sperava.
Madina si era raccomandata con la gigantessa di non essere molto specifica sul luogo in cui erano, ma non godevano di molte speranze.

“Adesso ci metteremo a dormire in una casa piena di giganti. Tu ci credi?” aveva esclamato Madina, piena di vita, quasi elettrizzata all’idea.
“Che ne dici se facciamo dei turni, per ogni evenienza?” aveva chiesto Jason.
Mentre Bee si palesava da loro con una bella tazza di latte-e-miele, indossando un guardaroba notturno. “Non sono molto entusiasta, inoltre, ecco, per la legge dell’ospitalità nessuno cercherà di farci del male attivamente, ma comprendo il tuo scetticismo” aveva considerato Madina, “Comunque, ecco, spero, di riuscirmi a riposare adeguatamente per competere domani” nel dirlo aveva passato le mani per lisciare la superficie dei suoi splendidi scii.
Erano di legno lucidissimo, ma erano stati dipinti con rune e figure dragonesche.
“Complottate come volete, io ho bisogno di dieci ore di sonno, probabilmente non sentirò la chiamata dell’alba” aveva dichiarato Bee, recuperando una mascherina da mettersi sugli occhi, prima di scostare le coperte del suo letto.
Aveva fatto capire, neanche troppo sottilmente, che non aveva intenzione di dividere il suo giaciglio con loro, affidando a loro il suo divano.
“Comincio io, con i turni di guardia, così sarò più riposata per questa mattina” aveva detto Madina, dando a Jason una pacca gentile sulla spalla.

 

Jason lo aveva saputo, dal primo momento, quando si era steso sul divano, che i suoi sogni non sarebbero state nubi nere.
Ne era stato certo quando i suoi occhi si erano aperti davanti un piccolo acquario pieno di pesciolini insospettabilmente colorati, si era guardato intorno cercando di indovinare in quale parte dei nove mondi fosse finito, quale divinità avrebbe visto quell’oggi, senza averne una minima idea. Ma l’ambiente aveva restituito a lui solo l’immagine di una piccola casa caotica, piena di libri, fogli e vestiti sparsi. Aveva scavalcato biancheria sospetta, fino a raggiungere la finestra, unica fonte di luce, tramite le fioche luminarie di una città addormentata. Aveva dovuto abituare gli occhi al buio, ma forse anche grazie alla sua condizione di Einherjar era stato più facile.
Aveva riconosciuto nella notte il profilo monumentale di un ponte, il Golden Gate Bridge … era a San Francisco, non lontano da Nuova Roma e il Campo di Giove.
Perché era lì?
Un rumore alle sue spalle, lo costrinse a voltarsi, allarmato. Nico Di Angelo era scivolato via dalle ombre senza fare una piega, “Spero di essere nel posto giusto” aveva commentato a mezza bocca, osservando l’ambiente circostante con spirito critico. Aveva un dito di fuliggine sulla guancia magra e bianca.
Jason avrebbe voluto correre in contro ed abbracciarlo, ma sapeva di non poterlo fare, però si era avvicinato, non era stato minimamente preparato a ciò che era accaduto dopo. Nico si era lanciato in avanti, una figura oscura si era fatta spazio. Jason aveva assistito alla colluttazione, aveva sentito il suono del ferro fendere l’aria, ma tutto era cessato con uno strozzato urlo di Nico.
“Fermati cretino! Sono io!”
Dii Imortales, Nico! Ma suonare il campanello, no?” aveva risposto esausto Percy.
Qualche attimo dopo la casa era stata illuminata dalla luce calda di una lampadina. Nico, non più avvolto dalle ombre, pareva più emaciato che mai, era bianco, coperto di fuliggine. Indossava una maglietta rosso sgargiante su cui era scritto a caratteri cubitali:
El Perro Caliente; che per qualche inspiegabile ragione Jason vedeva bene nell’armadio di Leo.
Percy era affannato, ma in pigiama di
pile azzurro su cui erano stilizzati sopra mitili e pesciolini – come la camicia di Kym.
“Scusa Percy, ma non posso più fare le cose da persona civile” aveva detto Nico, a disagio, guardandosi intorno. Aveva puntato gli occhi sull’acquario nel soggiorno. “Ti fidi di loro?” aveva chiesto. “Di chi?” aveva detto Percy, guardando, casualmente, nella direzione di Jason – che era frapposto tra lui e l’acquario.
“Dei Pesci!” aveva detto Nico, come se fosse ovvio. Percy lo aveva guardato, poi l’indignazione si era dipinta sul suo viso, “Certo! Sono i
miei pesci!” aveva esclamato protettivo.
I pesciolini, sentendosi presi in causa, avevano nuotato furiosamente a destra e manca.
Nico non era sembrato convinto.
“Ma, mi vuoi dire che succede?” aveva chiesto Percy.
Nico si era fatto ancora più bianco in viso, “Io … non volevo coinvolgerti, so quanto ci tieni alla tua vita
normale …” aveva detto Nico, “Strano, sei piombato nel mio soggiorno come un ladro” aveva replicato Percy. Nico aveva assottigliato lo sguardo, “Sì, io non volevo coinvolgerti prima, ma ora, be, una divinità marina, credo, stia cercando di uccidermi. Ad Indianapolis sono quasi morto affogato in una doccia. In una doccia! Percy! La gente non si affoga in una doccia!” aveva raccontato Nico, sedendosi sul divano del loro amico, dopo aver calciato via, la scatola di una pizza.
Percy lo aveva seguito, “Immagino non sia successo solo lì” aveva valutato, “Ah, no. Ho quasi pensato di emigrare in Nevada, nel deserto. Ho quasi fatto fuori anche Leo e Lyt. Per questo, be, sì, potrei averli lasciati … altrove” l’ultima parola Nico, l’aveva detta guardando a disagio l’acquario di Percy.
“Sono venuto da te, perché magari puoi aiutarmi a capire” aveva detto Nico, “Insomma; è il tuo campo” aveva aggiunto il figlio di Ade, un filo di rosso aveva imporporato le guance, quando aveva realizzato quanto Percy si fosse avvicinato a lui. Forse, il loro amico non era più il suo tipo, forse aveva una felice relazione, ma come sapeva bene Jason, certe cose non passavano mai velocemente.
“Fantastico, chiamo Annabeth” aveva detto Percy.
Nico lo aveva fermato, “No, io, ecco, ho la strana sensazione che non dovrei dirlo a nessuno” aveva detto il figlio di Ade.
Percy aveva sollevato un sopracciglio, “Chirone, non sa che sei in giro, vero?” aveva chiesto.
“Immagino che ora sia lui sia il Signor D. avranno notato che non sono al campo, ma nessuno sa perché” aveva risposto Nico, nel farlo aveva guardato ancora i pesci.
Stava mentendo, lo sapeva Will e lo sapeva la sorridente Silena, nei Campi Elisi.
Lo sapeva anche Jason, perché ne era la causa e …
sospettava lo sapesse anche Kym.
Doveva essere Kym.
“Be. Nico, qualche anno ed una decina di missioni mortali fa, ho imparato una cosa: senza Annabeth sono perso, spesso letteralmente” aveva replicato Percy. Inopinabile.

 

Madina lo aveva svegliato con tocchi gentili ed amichevoli.
“Sogno agitato?” aveva chiesto lei.
“I miei amici, loro non stanno passando un bel momento” aveva raccontato, parzialmente, Jason. Un’espressione di dolcezza aveva inondato il viso di Madina, “Un giorno passerà. Un giorno, loro saranno altrove e lontano. Da un certo punto di vista è bello, perché, ecco, non ti senti più così frustrato dalla loro lontananza, da un altro … i ricordi cambiano ogni volta che li ripercorriamo” aveva detto, accarezzandoli, la fronte gentile.
Era stanca.
“Facciamo cambio” le aveva detto Jason, tirandosi su dal divano, per permetterle di stendersi. Madina aveva ubbidito senza lamenti.
Jason si era alzato dal divano, raggiungendo la piccola cucina della suite, stanco, con il sogno ancora pesante sul cuore.
Da che la sua anima era stata strappata dalle isole aveva avuto diversi sogni su Nico …
Nico che realizzava lui non fosse più nel regno di sua competenza, che lo raccontava al suo ragazzo, aveva avuto contatti con Leo ed era ovvio, si disse stupidamente, che Kym avrebbe tenuto d’occhio la situazione.
Una figlia di Poseidone aveva fatto rapire l’anima del figlio di Giove dall’Orco, per consegnarlo ad Odino, ponendo un fiammifero vicino al barile di fuoco greco che avrebbe potuto incendiare una guerra sociale tra gli Olimpi ed una tra due pantheon diversi.
Kym doveva aver ignorato l’abitudine di Nico del sorvegliare i suoi cari, affidandosi solo al loro zio, e l’abitudine di controllare solo i regni immortali dove risiedevano le anime di chi aveva avuto sfortuna.
Chi scapperebbe mai dai campi elisi, infondo?
Ma doveva aver saputo di Nico e doveva aver valutato che provocare la morte di Nico, fosse un prezzo accettabile …
E, dei immortali, Jason si sentiva responsabile anche di quello.

Non aveva svegliato Madina per il resto della notte, decidendo che il suo riposo era più importante di quello di Jason. Si era tirato su, tutta la mattina, grazie a caffè e miele di Bee.
Nonostante ciò che aveva detto lo Jotun prima di addormentarsi, si era svegliato anche lui, poco prima che sorgesse l’alba. “Pensavo avessi bisogno di dieci ore di sonno” aveva detto Jason.
Quello aveva sorriso esausto, “Sì, ma prova ad avere per famiglia un gruppo di mentalisti con poteri ingannevoli. Dieci ore di sonno sono pura utopia” aveva dichiarato quello, mentre raggiungeva il suo minibar per recuperare il suo grande corno.
“Allora, avete bisogno di uno stregone, per fare qualche malia?” aveva domandato quello, “Cosa ci guadagni?” aveva chiesto Jason.
“La vita di un apicoltore è insospettabilmente noiosa” aveva replicato Bee, senza colpo ferire; Madina li aveva raggiunti, con il sonno ancora impastato sul viso, “Ho sognato gli altri” aveva dichiarato senza particolare cupezza. “O meglio, ho sognato Mel e Stellan. Stanno bene, hanno recuperato le braghe; a quanto pare è una storia divertente” aveva dichiarato lei, calma. Fino al giorno prima, a Jason era parsa rilassata e tranquilla, ma in quel momento pareva quasi leggera.
“Vinciamo la sfida, filiamo dritti nel Valhalla e continuiamo” aveva dichiarato ristorata Madina; Jason aveva annuito – “Oh potremmo filarcela ora, visto che è andata” aveva soppesato Jason.
Avevano deciso di andare ad Jotunheim per guadagnare tempo, caso mai non avessero saputo della profezia. “Negativo, amico mio, abbiamo giurato” aveva ricordato lei.
Giusto!” aveva concordato Jason, passandole una tazza di tè caldo con il miele.
“Allora” aveva esordito Madina, “Io competerò alla prova, mentre Jason, caro, tu dovrai occuparti del resto” aveva spiegato subito lei.
“Nelle competizioni di Utgard-Loki ogni atto è permesso, purché non sia rilevabile” li aveva avvertiti Bee, con un sorriso tranquillo.

“Ecco, tesoro, tu sarai Eihwaz” aveva detto Grid dando a Madina una pettorina su cui era presente una runa, sembrava un uncino acuto, che lei aveva indossato sopra la maglietta verde bottiglia ed i pantaloni elastici. La runa Eihwaz era visibile sia dal petto che dalla schiena.
Portava gli scii su una spalla, arco e frecce infilate nella faretra, legata alla schiena da una cintola che le tagliava il ventre in obliquo.
“Grazie” le aveva detto gentile Madina, congedandosi, aveva strizzato uno sguardo a Jason, prima di mettersi in fila con gli altri partecipanti.
Non lontano da Jarnsaxa, in tuta da scii ed occhialini protettivi.
Erano sulla cima di una montagna, ma non vi erano saliti, era arrivata lì, si era scavata intorno a loro, con Utgard sul suo cucuzzolo.
“È un illusione?” aveva domandato subito Jason a Bee, “No, sì. Forse qualcuno ha solo modellato il mondo” aveva risposto l’uomo con calma, “Bene, sei pronto a fare la tua magia” aveva dichiarato Bee.
Utgard-Loki stava spiegando a gran voce le regole, il percorso era di una certa vastità, terminava in un luogo riconoscibile da una lunga e luminosa banda rossa, passava due diverse alture – e Jason non aveva idea come fosse previsto per i partecipanti risalire con gli scii – uno slalom in una foresta, venti bersagli in movimento. Ognuno dei partecipanti avrebbe avuto frecce su cui inciso la propria runa di riconoscimento.

“Il primo che taglierà la linea segnerà la fine della competizione. Nessun bersaglio toccato dopo sarà conteggiato” aveva dichiarato Utgard-Loki, “Inoltre: non si vola e non sono ammesse magie” aveva riso nell’ultima frase da lui affermata.
Aveva sollevato le braccia verso il cielo, “Adesso miei Giganti e Gigantesse … ed ovviamente Einherjar di fortuna, potete cominciare” aveva gridato Utgard-Loki e dalle sue mani erano eruttate scintille.
L’attimo dopo era cominciata la folle discesa.
“Andiamo su-su” aveva detto subito Bee, cominciando a correre e Jason aveva osservato come anche altri jotun, che non avevano partecipato alla gara di scii stavano cominciando a scendere.
“Ragazze mi raccomando seguite la figlia di Ullr” aveva detto Bee, ad una piccola ape che aveva presto deciso di scomparire nella neve.

Il gigante, come lui, affondava ad ogni passo, ma sembrava decisamente più a suo aggio di quanto avesse mai fatto Jason. Un fruscio alle loro spalle li aveva disturbati.
Era un gigante, quello del giorno prima, grosso, che era stato poco felice della loro presenza lì. Fornjotr. “Oh, Bee, qui fuori la tua protezione non ha valore” aveva ringhiato, tirando fuori un’ascia.
“Io non sono un combattente” aveva dichiarato Bee, “Cioè lo sono ma faccio schifo” aveva precisato. Jason aveva infilato una mano nella tasca ed aveva lanciato Giunone in aria, quando l’aveva ripresa, lei si era trasformata in un gladio scintillante.
“Fai la magia illusoria, io mi occupo di lui” aveva detto Jason, calmo. Calmissimo.
Stava affidando a Bee, di cui non si fidava affatto, l’aiuto che Madina aveva chiesto, cosa che Jason non poteva permettere.
Kym stava progettando l’omicidio di Nico.
Nico aveva trascinato Percy.
Jason non avrebbe lasciato da sola anche Madina.
“Tu non sei uomo da cicatrici sulla schiena, vero, Einherjar?” aveva domandato il gigante, sollevando la sua ascia, “Io so che è un modo di dire sul fatto che sono coraggioso, ma in realtà sono morto pugnalato alla schiena, due volte” aveva risposto Jason.
“Be, sicuramente sei divertente” aveva dichiarato lo jotun.
O i nordici avevano un senso dell’umorismo raccapricciante, perché Jason non era mai stato divertente.

 

Fornjotr aveva sollevato l’ascia e si era lanciato verso di lui, Jason lo aveva evitato per un miracolo, i suoi riflessi pronti erano stati gravemente inficiati dalla coltre di neve su cui erano.
Aveva approfittato del fianco libero del Gigante, per colpirlo sull’anca.
La lama d’oro era scintillata alla luce tiepida del mattino, ma la punta aveva avuto uno scontro netto con l’armatura di cuoio.
Fornjotr aveva riso, di lui. Jason aveva fatto scattare l’altra mano, a palmo aperto, con violenza ed una fonte d’aria bruciante lo aveva attraversato irrompendo contro il petto del gigante che era stato sbalzato via. Quello era finito con forza contro un tronco, finendo per spezzare l’albero.
“Questo è stato inaspettato” aveva dichiarato lo jotun con un colpo di tosse, tirandosi su con fatica, “Sei un figlio di Njord?” aveva chiesto poi, con una risata.
“No” aveva risposto Jason, mentre l’uomo aveva fatto passi pesanti per recuperare la sua ascia, Jason aveva sentito l’aria farsi più fredda, quasi elettrica.
“Meglio per te, perché il suo vento non è nulla rispetto la mia tempesta” aveva ringhiato, impregnando l’aria di una risata piena; aveva alzato nuovamente la lama verso il semidio, lanciandola. Jason non aveva usato il vento per deviarla, lo aveva sfruttato per sollevarsi dalla neve, “Esattamente: quanti dei della tempesta esistono in questa mitologia?” aveva domandato lui, stringendo la presa su Giunone.
“Non importa. Io sono il più vecchio!” aveva specificato Fornjotr con vigore, “E non mi interessa da chi tu sia schizzato fuori” aveva ruggito.
Jason aveva sentito i venti su di lui, nemici, non era come Dylan, che era suo opponente, ma che a Jason era comunque possibile domare, no, questi venti queste energie erano per lui estranee.
Aveva visto creature come Tempesta, solo che invece di essere maestosi cavalli di vento, erano lupi. Enormi, aggressivi.
Jason era schizzato nel vento evitandoli. Fornjotr aveva raggiunto invece il tronco dove si era ficcato l’ascia per recuperarla. Il figlio di Giove aveva fenduto l’aria con un taglio d’oro di Giunone, aveva decapitato un lupo, che si era dissolto in una folata d’aria. Jason aveva evitato gli altri, a balzi, fino a tornare sulla neve, tenendosi sollevato però dalla terra, di meno di un centimetro, abbastanza per non affondare.
Fornjotr lo aveva caricato ancora, Jason aveva usato Giunone per intercettare la lama, avevano cozzato l’un l’altra un paio di volte.
Prima che Jason con uno slancio, posasse una mano sul pettorale dello Jotun, stringendo le dita sulla clavicola, l’attimo prima che un lupo di vento addentasse con denti glaciali come schegge di ghiaccio sul braccio armato. Nonostante la pelliccia di Astrid, aveva sentito il dolore del morso.
Jason aveva stretto le labbra e i denti, resistendo al dolore e all’urlo.
Io.sono.la.tempesta” aveva stabilito, fissando gli occhi dritti nello sguardo verso lo jotun, prima che sentisse un’energia potente fluire dentro di lui, fulmini brucianti erano scintillati nelle sue vene, prima di riversarsi sullo jotun, folgorandolo in pieno.
Fornjotr era caduto per terra, decisamente scosso, tanto era bastato perché perdesse il controllo sulle sue bestie di vento, la morsa sul braccio di Jason si era allentata del tutto, lasciando solo il dolore, aveva guardato il suo braccio, la pelliccia era sbrindellata e Jason poteva vedere la maglia di ferro d’oro scintillante sotto. Astrid si sarebbe infuriata.

Lo Jotun si era tirato su, c’era stanchezza nel suo viso, nel suo corpo, “Sei bravo ragazzino! Questo non è Thor – roba da Signore. Forse Odino? Un tempo anche lui sapeva giostrarsi nelle tempeste, ma no: Perkunnas? Perun? Zeus?” aveva chiesto retorico. “Giove. Io sono un figlio di Giove Ottimo Massimo” lo aveva corretto Jason, sentendo l’elettricità correre sotto la sua pelle.
Se lo jotun avesse avuto intenzione di tirarsi su ancora, era stato fermato da una grossa zampa lupesca che aveva spinto Fornjotr a terra.
Il Lupo esiliato era apparso dal nulla, davanti a lui, ed aveva messo a terra Fornjotr. “Ah, che strani amici, che ti sei fatto, Drefabróker[1]” aveva sospirato quello. Il Lupo aveva ringhiato senza arretrare di un solo passo. Aveva girato il muso verso Jason, ed aveva sollevato il collo, come ad accennare un proseguimento.
Jason aveva annuito, recuperando la sua spada, le ferite avevano cominciato a rimarginarsi.
Drefabróker, non sapeva perché, ma non li pareva fosse un nome. Non veramente.

Jason si era rimesso a correre, cercando di identificare Madina, ma dopo tutto quel tempo non sapeva come trovarla, intorno a lui era sceso il silenzio, tutti i competitori della sfida erano scomparsi.
Jason fatto un balzo, sollevandosi nell’aria per riuscire a non affondare nella neve, cercando di destreggiarsi per la foresta, in cerca di un indizio. Poi l’aveva vista ronzante davanti a lui, una grossa ape gli era volata davanti per allontanarsi.
Jason l’aveva seguita, certo fosse una delle ragazze di Bee.
La sua fede era stata ricompensata, perché, luminoso ed arancione aveva trovato l’apicoltore. “Su, Ilda, pungi quell’energumeno lì” aveva sussurrato lo jotun ad un’ape che era schizzata subito verso un gigante, l’attimo dopo quello era caduto per terra.
“I pungiglioni delle ragazze sono piuttosto potenti” aveva scherzato Bee, strizzando verso di lui l’occhio; “Sai che ogni volta che un’ape punge qualcuno, muore?” aveva chiesto retorico Jason. “Le altre api sì, le mie no” aveva risposto Bee, indignato, con una mano sul petto.
Aveva pensato a Percy difensivo verso i suoi pesci.
“Sono tipo caricate al sonnifero?” aveva chiesto Jason, “ – Io sono un dio calma-tempeste, le mie ragazze portano la quiete e …” aveva risposto lui.
“Sarebbe stata utile contro Fornjotr” lo aveva interrotto Jason seccato, “Probabile, ma tu andrai via. Io domani sarò ancora qui, con Mr Gigante Ancestrale… e tu stai lievitando” era stata la risposta onesta e sconvolta di Bee. Jason era atterrato sulle piante dei piedi e poi era affondato successivamente nella neve. “Madina?” aveva chiesto.
“Oh, la tua amica sta andando una furia, evita alberi e frecce, modella la neve sotto di lei ed ha preso tutti i bersagli fino a ora, neanche mezza illusione la ha ingannata” aveva dichiarato subito Bee, ammirato, “Utgard-Loki aveva preparato certe sottigliezze impossibili da vedere, perfino per uno attento come me” aveva raccontato, prima di ammettere che l’aveva persa di vista.

Un frusciare veloce aveva annunciato l’arrivo di Drefabróker, che li aveva guardati interessato, chinando la testa di là. “Riusciamo a cavalcarti in due?” aveva chiesto lo Jotun, “Non importa, io volo” aveva dichiarato Jason, prima di sollevarsi di nuovo in cielo.
“Piccola peste in che casino mi hai messo?” aveva sentito, lontano, Bee lamentarsi, aveva ricevuto in risposta un ululato.
Jason si era sollevato appena oltre le fronde, cercando dal cielo la sua amica. Aveva osservato gli ultimi jotun che affrontavano la discesa boschiva, una era appena caduta colpita in pieno da una lancia.
Aveva osservato invece i giganti rimasti ancora in piedi che avevano smontato dagli scii e li avevano issati sulle spalle per poter arrampicarsi sulla salita prevista nel discorso.
Aveva individuato, subito, Jarnsaxa, slanciata e decisa, con passo spedito verso la vetta – a guardarla da quella distanza pareva più alta e grande – affondava nella neve, ma teneva il ritmo battente, più avanti degli altri. Jason non aveva la minima idea di dove fossero finiti gli scii, ma aveva l’arco teso ed una freccia incoccata, pronta a colpire.
Lui non si era perso d'animo; Jason aveva cercato Madina tra le persone rimaste indietro. Aveva impiegato del tempo per trovarla, ma aveva riconosciuto, alla fine, la chioma disordinata di riccioli scuri della sua amica.
L’ordinata treccia pareva un pallido ricordo. Madina aveva sistemato gli scii sulla schiena, nella custodia, aveva però l’arco alla mano. Aveva notato che alcuni jotun, come la sua amica, non affondavano nella neve – nell’Edda, aveva letto, oltre i giganti di fuoco, che vivevano in tutt’altro modo, c’era una differenza: quelli di ghiaccio e quelli di roccia – ma nessuno sembrava così svelto come lei.
Jason l’aveva vista arrestarsi improvvisamente, poi senza esitazione aveva teso l’arco alla sua destra e lesta aveva scoccato una freccia. Aveva osservato il dardo fendere l’aria verso il niente, l’azione aveva attirato l’attenzione di alcuni Jotun. La confusione di Jason, però, si era dissipata un momento dopo, quando aveva visto che Madina non aveva mirato verso il nulla; la freccia si era conficcata nell’aria, l’attimo dopo al posto del nulla era apparsa una cerva di legno, immobile, su cui il dardo era piantato.
Madina lo aveva veduto nonostante l’illusione.
Jason aveva sorriso, rincuorato, la sua amica aveva rivelato, in precedenza, che aveva ancora dei segreti su se stessa.
Il pensiero l’aveva distratto, abbastanza da non vedere un grosso jotun infuriato lanciare una lancia verso la sua amica, neanche Madina lo aveva notato, Jason si era concentrato ed aveva chiamato il vento, forte e potente per cui un destriero fatto d’aria aveva deviato di molto la mira, evitando la ragazza. Madina non se n’era neanche accorta.
Jason fece un respiro profondo; Madina era spedita nella sua salita, a superarla, oltre Jarnsaxa vi erano solo pochi altri giganti, la maggior parte era alle sue spalle; lui doveva darle un vantaggio.

Il figlio di Giove aveva chiuso gli occhi ed aveva fatto un lungo e profondo respiro, Sapeva di poter far qualcosa, lo sapeva, perché aveva ricordi – sbiaditi – degli anni di Roma di averlo letto negli annali, dei poteri strabilianti che erano stati mostrati da alcuni figli di Giove. Non lui, non fino a quel momento.
Però, in cuor suo, stranamente, sapeva di potere.
Forse prima, in vita, no, ma in quel momento non era più un semplice mezzosangue, era un einherjar.

 

“Lo sai che nel 1888 un figlio di Giove ha scatenato un Temporale di Neve[2] di proporzioni apocalittiche sulla east-cost?” aveva chiesto retorica Reyna.
“Cosa faceva lì?” aveva domandato Jason, genuinamente confuso. “Non so. Era finita la guerra di secessione da un ventennio, magari c’era ancora qualcosa in pasto” aveva valutato quella, tranquilla, “Tu pensi di poterlo fare?” aveva domandato lei interessata.
“Sembra … Forse” aveva risposto, insicuro, Jason.

Prima però di tentare alcuna cosa, aveva ricordato le regole del gioco. Non era questione di barare ma di non farsi notare. Così, Jason aveva cercato con lo sguardo Bee e Drefabróker, lì aveva trovati, stavano risalendo l’altura spediti, lo Jotun sulla groppa del lupo. Lui era arrivato al loro fianco, ma volando non era in grado di reggere l’andatura veloce della bestia.
“Jason!” aveva esclamato Bee, vedendolo. “Devo fare una cosa: pericolosa per me, per tutti” aveva dichiarato Jason, mentre Drefabróker si era arrestato, per permettere a Jason di issarsi sul suo dorso, proprio dietro Bee – per un secondo aveva ricordato Festos con Piper e Leo.
“Fantastico. Ti odio, perché mi metti sempre in queste situazioni” aveva ringhiato Bee, nel dirlo aveva tirato un buffetto con il tallone sul fianco del lupo, che ne era stato piuttosto infastidito.
“Bee, tu sei un’illusionista, vero?” aveva chiesto poi Jason, “Sì. Be, mi diletto. Mio fratello Loki dice che sono a malapena un mago prestigiatore impiegabile per una festa di bambini, ma lui ora è legato tra due rocce con degli intestini e un serpente che gli cola veleno in faccia ed io sono libero. Così penso sia ovvio chi sia l’incantatore più bravo” aveva raccontato trionfante Bee, ricevendo in risposta un ringhio da parte di Drefabróker.
Jason lo aveva ignorato a pie pari, “La gara funziona per Swa-Incantesimi Illusori, che però non devono essere scoperti. Devi nasconderci” aveva esclamato Jason, perentorio.
Bee aveva annuito, aveva slacciato un poco il colletto, per prendere aria. “Secondo te, cosa è meglio: seid o magia runica?” aveva domandato Bee poi. Il figlio di Giove si era fatto rigido, “Non ne ho-” aveva provato Jason, ma presto era stato chiaro che la domanda fosse stata posta al lupo, quello aveva emesso un ululo, preciso, come se avesse espresso un’opinione chiara. “E Rune sia! Allora... Odio la magia runica, sono un dannato jotun!” si era lamentato Bee, prima di infilare una mano nella fessura sul davanti della tuta per estrarre un sacchetto, “Spero di non perderle” si era lamentato, mettendosi a frugare. Per Jason era eccezionale che riuscisse a farlo mentre cavalcavano il lupo, Jason era letteralmente arpionato al pelo, con il viso schiacciato sulla schiena di Bee.
“Perfetto! Algiz, la protezione” aveva dichiarato il gigante, recuperando una tessera. Aveva una forma esagonale ed era di un materiale di pietra levigata, liscia e luminosa, su cui era inciso qualcosa, in oro-bronzo. Bee aveva sussurrato qualcosa, con un tono basso e veloce, come una cantilena, poi una luce brillante li aveva avvolti, “Ecco, sì, ora siamo ben schermati” aveva dichiarato tronfio.
Jason aveva annuito, forzandosi a lasciare la presa dalla pelliccia grigia del lupo, per sollevare le braccia al cielo, spaventato.
Aveva richiamato ogni vento su cui avesse percezione, anche se erano ostili, diversi, selvaggi, ma lui ci aveva provato, si era appellato ad ogni del suo corpo forza per tirarli giù, i più freddi ed acuti, dalle altitudini più lontane, fino alla terra. E lo aveva fatto, gli aveva domati tutti, più feroci di Tempesta, di Dylan, di chiunque.
Freddo.
Era venuto giù il freddo, così come le correnti, forti, che si scontravano l’un l’altro, i gelidi venti delle alture e quelli più miti delle quote terrestri. E quella lotta aveva fatto scivolare il mondo in un algido clima, così freddo, come neanche Jotunheim era mai stato, così forte che anche tramite la pelliccia di Astrid lo poteva sentire. Poi era cominciata la neve, neve, pesante e dura come proiettili, sferzata in ogni direzione, come una bufera. Era neve, come pioggia.
E i fulmini, prodotti dai venti termici differenti, alimentati da Jason, dal suo potere, dalla sua vitalità, qualsiasi tipo di vitalità.
“MA …” si era lasciato sfuggire Bee, mentre il figlio di Giove si era impegnato, profondamente, per tenere il temporale di neve controllato, nella zona che a lui serviva.
E fulmini e tuoni erano crollati sulla neve, sull’altura, bloccando ogni avanzata, ogni possibilità.
Jason aveva tenuto su il Temporale di Neve fino a che aveva potuto, fino a che il suo corpo aveva retto, la sua energia lo aveva sostenuto. Aveva sentito il sangue gocciolare via dal naso, la testa rimbombare e la vista farsi oscura.
Aveva sentito il lupo ululare, pieno di terrore. Bee si era voltato verso di lui, con un viso quasi granitico, gli occhi spalancati, ammirato, ma anche terrorizzato, “Cavoli, amico, sei un Ergi[3]. Un ergi maledettamente potente” aveva valutato. Jason lo aveva ignorato, anche perché volendo non sarebbe riuscito altrimenti, sentiva ogni muscolo del suo corpo, ogni centimetro della pelle, andare a fuoco. Bruciava. La testa pulsava come percorsa da un martello, ma non poteva cedere.
Il roborare del vento e il picchiare dei tuoni aveva offuscato ogni altro suono, perfino quello dei suoi stessi pensieri. Jason aveva sentito il sapore del ferro, del sangue, sulle labbra.

“Sai Jason, tu sei terribilmente potente, ma a volte, ho l’impressione che tu non ti renda neanche conto che hai dei limiti”
“Se tu che mi hai chiesto di farlo, Reyna”
“No ti ho solo chiesto se potevi”


Aveva tenuto su la tempesta fino a che aveva potuto, fino a che non era collassato.
Fino a che i suoi arti non si erano fatti di gelatina ed aveva perso la presa con le gambe sul dorso del lupo.
E quando non era riuscito a reggere più i venti e i fulmini, era crollato.



[1] Drefabróker non ho idea di quanto sia corretto, perché ho preso le parole dal dizionarietto, ma ho tentato di coniugarle io (Uhm, dovevo chiamare la mia amica germanista, ma poverina al momento è in piena crisi esistenziale da vasi germanici), ma non ho intenzione di tradurlo. Per ora. Comunque: Drefa è il termine all’infinito, mentre Brók/Brøker è il nominativo (ho inserito l’er, che mi pare sia accusativo).

[2] Non è quello che state pensando; pace e amore da IL METEO ( http://www.la-meteo.it/temporali-di-neve-e-nevicate-estreme-primaverili/);
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/62/Occludedfront.gif/350px-Occludedfront.gif

[3] Un altro modo per definire gli stregoni che praticano il seidr.

   
 
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