EHILA’
stranieri!
Come va? Spero bene!
Io ovviamente no: mi si è rotto il telefono; quindi, ho
vissuto nei meravigliosi
anni ’90, poi sono stata male (ma no, niente covid) e per due
settimane sono
stata trincerata in casa. Inoltre, ho avuto un'altra serie di problemi
personali, che mi hanno stressato parecchio ...
Morale della favola, i capitoli che ho scritto in questo tempo sono
stati tutti
influenzati dalla febbre (e dalla rabbia). Help.
Un grazie di cuore a Farkas per le recensioni, davvero, grazie
<3 e a tutti
colore che seguono/preferisco o anche solo leggono questa epopea
delirante che
è questa storia.
Spero che questo capitolo non vi deluda. Davvero.
Nel frattempo vi allego due disegnini fatti:
- La nostra
bellissima signora di
Alfheim: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Gerd-905591821
- Lady Laufey: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Laufey-mother-of-Loki-905591472
Buona Lettura,
baci RLandH
Jason Grace
spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente)
La cena era
andata relativamente bene, qualcuno aveva cercato di ucciderli
lanciando dei
coltelli, con la scusa di passarli a qualcun’altro vicino
loro, ma era finita
abbastanza bene. Erano ancora tutti vivi, anche grazie al
provvidenziale
intervento di Bee e Grid, che si era mostrata ben disposta alla loro
presenza –
Jason aveva visto anche Madina scambiarci un paio di parole, quando la
sua
amica era tornata le aveva detto che la madre di Vidar avrebbe fatto
sapere a
Bragi che erano vivi e salvi e che sarebbero tornati
l’indomani – o almeno così
sperava.
Madina si era raccomandata con la gigantessa di non essere molto
specifica sul
luogo in cui erano, ma non godevano di molte speranze.
“Adesso
ci
metteremo a dormire in una casa piena di giganti. Tu ci
credi?” aveva esclamato
Madina, piena di vita, quasi elettrizzata all’idea.
“Che ne dici se facciamo dei turni, per ogni
evenienza?” aveva chiesto Jason.
Mentre Bee si palesava da loro con una bella tazza di latte-e-miele,
indossando
un guardaroba notturno. “Non sono molto entusiasta, inoltre,
ecco, per la legge
dell’ospitalità nessuno cercherà di
farci del male attivamente, ma comprendo il
tuo scetticismo” aveva considerato Madina,
“Comunque, ecco, spero, di riuscirmi
a riposare adeguatamente per competere domani” nel dirlo
aveva passato le mani
per lisciare la superficie dei suoi splendidi scii.
Erano di legno lucidissimo, ma erano stati dipinti con rune e figure
dragonesche.
“Complottate come volete, io ho bisogno di dieci ore di
sonno, probabilmente
non sentirò la chiamata dell’alba” aveva
dichiarato Bee, recuperando una
mascherina da mettersi sugli occhi, prima di scostare le coperte del
suo letto.
Aveva fatto capire, neanche troppo sottilmente, che non aveva
intenzione di
dividere il suo giaciglio con loro, affidando a loro il suo divano.
“Comincio io, con i turni di guardia, così
sarò più riposata per questa
mattina” aveva detto Madina, dando a Jason una pacca gentile
sulla spalla.
Jason
lo aveva saputo, dal primo momento,
quando si era steso sul divano, che i suoi sogni non sarebbero state
nubi nere.
Ne era stato certo quando i suoi occhi si erano aperti davanti un
piccolo
acquario pieno di pesciolini insospettabilmente colorati, si era
guardato
intorno cercando di indovinare in quale parte dei nove mondi fosse
finito,
quale divinità avrebbe visto quell’oggi, senza
averne una minima idea. Ma
l’ambiente aveva restituito a lui solo l’immagine
di una piccola casa caotica,
piena di libri, fogli e vestiti sparsi. Aveva scavalcato biancheria
sospetta,
fino a raggiungere la finestra, unica fonte di luce, tramite le fioche
luminarie di una città addormentata. Aveva dovuto abituare
gli occhi al buio,
ma forse anche grazie alla sua condizione di Einherjar era stato
più facile.
Aveva riconosciuto nella notte il profilo monumentale di un ponte, il
Golden
Gate Bridge … era a San Francisco, non lontano da Nuova Roma
e il Campo di
Giove.
Perché era lì?
Un rumore alle sue spalle, lo costrinse a voltarsi, allarmato. Nico Di
Angelo
era scivolato via dalle ombre senza fare una piega, “Spero di
essere nel posto
giusto” aveva commentato a mezza bocca, osservando
l’ambiente circostante con
spirito critico. Aveva un dito di fuliggine sulla guancia magra e
bianca.
Jason avrebbe voluto correre in contro ed abbracciarlo, ma sapeva di
non
poterlo fare, però si era avvicinato, non era stato
minimamente preparato a ciò
che era accaduto dopo. Nico si era lanciato in avanti, una figura
oscura si era
fatta spazio. Jason aveva assistito alla colluttazione, aveva sentito
il suono
del ferro fendere l’aria, ma tutto era cessato con uno
strozzato urlo di Nico.
“Fermati cretino! Sono io!”
“Dii Imortales, Nico! Ma suonare il
campanello, no?” aveva risposto
esausto Percy.
Qualche attimo dopo la casa era stata illuminata dalla luce calda di
una
lampadina. Nico, non più avvolto dalle ombre, pareva
più emaciato che mai, era
bianco, coperto di fuliggine. Indossava una maglietta rosso sgargiante
su cui
era scritto a caratteri cubitali: El Perro Caliente;
che per qualche inspiegabile
ragione Jason vedeva bene nell’armadio di Leo.
Percy era affannato, ma in pigiama di pile azzurro
su cui erano
stilizzati sopra mitili e pesciolini – come la camicia di Kym.
“Scusa Percy, ma non posso più fare le cose da
persona civile” aveva detto
Nico, a disagio, guardandosi intorno. Aveva puntato gli occhi
sull’acquario nel
soggiorno. “Ti fidi di loro?” aveva chiesto.
“Di chi?” aveva detto Percy,
guardando, casualmente, nella direzione di Jason – che era
frapposto tra lui e
l’acquario.
“Dei Pesci!” aveva detto Nico, come se fosse ovvio.
Percy lo aveva guardato,
poi l’indignazione si era dipinta sul suo viso,
“Certo! Sono i miei
pesci!” aveva esclamato protettivo.
I pesciolini, sentendosi presi in causa, avevano nuotato furiosamente a
destra
e manca.
Nico non era sembrato convinto.
“Ma, mi vuoi dire che succede?” aveva chiesto Percy.
Nico si era fatto ancora più bianco in viso, “Io
… non volevo coinvolgerti, so
quanto ci tieni alla tua vita normale
…” aveva detto Nico, “Strano, sei
piombato nel mio soggiorno come un ladro” aveva replicato
Percy. Nico aveva
assottigliato lo sguardo, “Sì, io non volevo
coinvolgerti prima, ma ora,
be, una divinità marina, credo, stia cercando di uccidermi.
Ad Indianapolis
sono quasi morto affogato in una doccia. In una doccia! Percy! La gente
non si
affoga in una doccia!” aveva raccontato Nico, sedendosi sul
divano del loro
amico, dopo aver calciato via, la scatola di una pizza.
Percy lo aveva seguito, “Immagino non sia successo solo
lì” aveva valutato,
“Ah, no. Ho quasi pensato di emigrare in Nevada, nel deserto.
Ho quasi fatto
fuori anche Leo e Lyt. Per questo, be, sì, potrei averli
lasciati … altrove”
l’ultima parola Nico, l’aveva detta guardando a
disagio l’acquario di Percy.
“Sono venuto da te, perché magari puoi aiutarmi a
capire” aveva detto Nico,
“Insomma; è il tuo campo” aveva aggiunto
il figlio di Ade, un filo di rosso
aveva imporporato le guance, quando aveva realizzato quanto Percy si
fosse
avvicinato a lui. Forse, il loro amico non era più il suo
tipo, forse aveva una
felice relazione, ma come sapeva bene Jason, certe cose non passavano
mai
velocemente.
“Fantastico, chiamo Annabeth” aveva detto Percy.
Nico lo aveva fermato, “No, io, ecco, ho la strana sensazione
che non dovrei
dirlo a nessuno” aveva detto il figlio di Ade.
Percy aveva sollevato un sopracciglio, “Chirone, non sa che
sei in giro, vero?”
aveva chiesto.
“Immagino che ora sia lui sia il Signor D. avranno notato che
non sono al
campo, ma nessuno sa perché” aveva risposto Nico,
nel farlo aveva guardato
ancora i pesci.
Stava mentendo, lo sapeva Will e lo sapeva la sorridente Silena, nei
Campi
Elisi.
Lo sapeva anche Jason, perché ne era la causa e …
sospettava lo sapesse
anche Kym.
Doveva essere Kym.
“Be. Nico, qualche anno ed una decina di missioni mortali fa,
ho imparato una
cosa: senza Annabeth sono perso, spesso letteralmente” aveva
replicato Percy.
Inopinabile.
Madina lo
aveva svegliato con tocchi gentili ed amichevoli.
“Sogno agitato?” aveva chiesto lei.
“I miei amici, loro non stanno passando un bel
momento” aveva raccontato,
parzialmente, Jason. Un’espressione di dolcezza aveva
inondato il viso di
Madina, “Un giorno passerà. Un giorno, loro
saranno altrove e lontano. Da un certo
punto di vista è bello, perché, ecco, non ti
senti più così frustrato dalla
loro lontananza, da un altro … i ricordi cambiano ogni volta
che li
ripercorriamo” aveva detto, accarezzandoli, la fronte gentile.
Era stanca.
“Facciamo cambio” le aveva detto Jason, tirandosi
su dal divano, per
permetterle di stendersi. Madina aveva ubbidito senza lamenti.
Jason si era alzato dal divano, raggiungendo la piccola cucina della
suite,
stanco, con il sogno ancora pesante sul cuore.
Da che la sua anima era stata strappata dalle isole aveva avuto diversi
sogni
su Nico …
Nico che realizzava lui non fosse più nel regno di sua
competenza, che lo
raccontava al suo ragazzo, aveva avuto contatti con Leo ed era ovvio,
si disse
stupidamente, che Kym avrebbe tenuto d’occhio la situazione.
Una figlia di Poseidone aveva fatto rapire l’anima del figlio
di Giove
dall’Orco, per consegnarlo ad Odino, ponendo un fiammifero
vicino al barile di
fuoco greco che avrebbe potuto incendiare una guerra sociale tra gli
Olimpi ed
una tra due pantheon diversi.
Kym doveva aver ignorato l’abitudine di Nico del sorvegliare
i suoi cari,
affidandosi solo al loro zio, e l’abitudine di controllare
solo i regni
immortali dove risiedevano le anime di chi aveva avuto sfortuna.
Chi scapperebbe mai dai campi elisi, infondo?
Ma doveva aver saputo di Nico e doveva aver valutato che provocare la
morte di
Nico, fosse un prezzo accettabile …
E, dei immortali, Jason si sentiva responsabile anche di quello.
Non aveva
svegliato Madina per il resto della notte, decidendo che il suo riposo
era più
importante di quello di Jason. Si era tirato su, tutta la mattina,
grazie a
caffè e miele di Bee.
Nonostante ciò che aveva detto lo Jotun prima di
addormentarsi, si era
svegliato anche lui, poco prima che sorgesse l’alba.
“Pensavo avessi bisogno di
dieci ore di sonno” aveva detto Jason.
Quello aveva sorriso esausto, “Sì, ma prova ad
avere per famiglia un gruppo di
mentalisti con poteri ingannevoli. Dieci ore di sonno sono pura
utopia” aveva
dichiarato quello, mentre raggiungeva il suo minibar per recuperare il
suo
grande corno.
“Allora, avete bisogno di uno stregone, per fare qualche
malia?” aveva
domandato quello, “Cosa ci guadagni?” aveva chiesto
Jason.
“La vita di un apicoltore è insospettabilmente
noiosa” aveva replicato Bee,
senza colpo ferire; Madina li aveva raggiunti, con il sonno ancora
impastato
sul viso, “Ho sognato gli altri” aveva dichiarato
senza particolare cupezza. “O
meglio, ho sognato Mel e Stellan. Stanno bene, hanno recuperato le
braghe; a
quanto pare è una storia divertente” aveva
dichiarato lei, calma. Fino al
giorno prima, a Jason era parsa rilassata e tranquilla, ma in quel
momento
pareva quasi leggera.
“Vinciamo la sfida, filiamo dritti nel Valhalla e
continuiamo” aveva dichiarato
ristorata Madina; Jason aveva annuito – “Oh
potremmo filarcela ora, visto che è
andata” aveva soppesato Jason.
Avevano deciso di andare ad Jotunheim per guadagnare tempo, caso mai
non
avessero saputo della profezia. “Negativo, amico mio, abbiamo
giurato” aveva
ricordato lei.
“Giusto!” aveva concordato
Jason, passandole una tazza di tè caldo con
il miele.
“Allora” aveva esordito Madina, “Io
competerò alla prova, mentre Jason, caro,
tu dovrai occuparti del resto” aveva spiegato subito lei.
“Nelle competizioni di Utgard-Loki ogni atto è
permesso, purché non sia
rilevabile” li aveva avvertiti Bee, con un sorriso tranquillo.
“Ecco,
tesoro, tu sarai Eihwaz” aveva detto Grid dando a Madina una
pettorina su cui era
presente una runa, sembrava un uncino acuto, che lei aveva indossato
sopra la
maglietta verde bottiglia ed i pantaloni elastici. La runa Eihwaz era
visibile sia
dal petto che dalla schiena.
Portava gli scii su una spalla, arco e frecce infilate nella faretra,
legata
alla schiena da una cintola che le tagliava il ventre in obliquo.
“Grazie” le aveva detto gentile Madina,
congedandosi, aveva strizzato uno
sguardo a Jason, prima di mettersi in fila con gli altri partecipanti.
Non lontano da Jarnsaxa, in tuta da scii ed occhialini protettivi.
Erano sulla cima di una montagna, ma non vi erano saliti, era arrivata
lì, si
era scavata intorno a loro, con Utgard sul suo cucuzzolo.
“È un illusione?” aveva domandato subito
Jason a Bee, “No, sì. Forse qualcuno
ha solo modellato il mondo” aveva risposto l’uomo
con calma, “Bene, sei pronto
a fare la tua magia” aveva dichiarato Bee.
Utgard-Loki stava spiegando a gran voce le regole, il percorso era di
una certa
vastità, terminava in un luogo riconoscibile da una lunga e
luminosa banda
rossa, passava due diverse alture – e Jason non aveva idea
come fosse previsto
per i partecipanti risalire con gli scii – uno slalom in una
foresta, venti
bersagli in movimento. Ognuno dei partecipanti avrebbe avuto frecce su
cui
inciso la propria runa di riconoscimento.
“Il
primo
che taglierà la linea segnerà la fine della
competizione. Nessun bersaglio
toccato dopo sarà conteggiato” aveva dichiarato
Utgard-Loki, “Inoltre: non si
vola e non sono ammesse magie” aveva riso
nell’ultima frase da lui
affermata.
Aveva sollevato le braccia verso il cielo, “Adesso miei
Giganti e Gigantesse …
ed ovviamente Einherjar di fortuna, potete cominciare” aveva
gridato
Utgard-Loki e dalle sue mani erano eruttate scintille.
L’attimo dopo era cominciata la folle discesa.
“Andiamo su-su” aveva detto subito Bee, cominciando
a correre e Jason aveva
osservato come anche altri jotun, che non avevano partecipato alla gara
di scii
stavano cominciando a scendere.
“Ragazze mi raccomando seguite la figlia di Ullr”
aveva detto Bee, ad una
piccola ape che aveva presto deciso di scomparire nella neve.
Il gigante,
come lui, affondava ad ogni passo, ma sembrava decisamente
più a suo aggio di
quanto avesse mai fatto Jason. Un fruscio alle loro spalle li aveva
disturbati.
Era un gigante, quello del giorno prima, grosso, che era stato poco
felice
della loro presenza lì. Fornjotr. “Oh, Bee, qui
fuori la tua protezione non ha
valore” aveva ringhiato, tirando fuori un’ascia.
“Io non sono un combattente” aveva dichiarato Bee,
“Cioè lo sono ma faccio
schifo” aveva precisato. Jason aveva infilato una mano nella
tasca ed aveva
lanciato Giunone in aria, quando l’aveva ripresa, lei si era
trasformata in un
gladio scintillante.
“Fai la magia illusoria, io mi occupo di lui” aveva
detto Jason, calmo.
Calmissimo.
Stava affidando a Bee, di cui non si fidava affatto, l’aiuto
che Madina aveva
chiesto, cosa che Jason non poteva permettere.
Kym stava progettando l’omicidio di Nico.
Nico aveva trascinato Percy.
Jason non avrebbe lasciato da sola anche Madina.
“Tu non sei uomo da cicatrici sulla schiena, vero,
Einherjar?” aveva domandato
il gigante, sollevando la sua ascia, “Io so che è
un modo di dire sul fatto che
sono coraggioso, ma in realtà sono morto pugnalato alla
schiena, due volte”
aveva risposto Jason.
“Be, sicuramente sei divertente” aveva dichiarato
lo jotun.
O i nordici avevano un senso dell’umorismo raccapricciante,
perché Jason non
era mai stato divertente.
Fornjotr aveva
sollevato l’ascia e si era lanciato verso di lui, Jason lo
aveva
evitato per un miracolo, i suoi riflessi pronti erano stati gravemente
inficiati dalla coltre di neve su cui erano.
Aveva approfittato del fianco libero del Gigante, per colpirlo
sull’anca.
La lama d’oro era scintillata alla luce tiepida del mattino,
ma la punta aveva
avuto uno scontro netto con l’armatura di cuoio.
Fornjotr aveva riso, di lui. Jason aveva fatto scattare
l’altra mano, a palmo
aperto, con violenza ed una fonte d’aria bruciante lo aveva
attraversato
irrompendo contro il petto del gigante che era stato sbalzato via.
Quello era
finito con forza contro un tronco, finendo per spezzare
l’albero.
“Questo è stato inaspettato” aveva
dichiarato lo jotun con un colpo di tosse,
tirandosi su con fatica, “Sei un figlio di Njord?”
aveva chiesto poi, con una
risata.
“No” aveva risposto Jason, mentre l’uomo
aveva fatto passi pesanti per
recuperare la sua ascia, Jason aveva sentito l’aria farsi
più fredda, quasi
elettrica.
“Meglio per te, perché il suo vento non
è nulla rispetto la mia tempesta” aveva
ringhiato, impregnando l’aria di una risata piena; aveva
alzato nuovamente la
lama verso il semidio, lanciandola. Jason non aveva usato il vento per
deviarla, lo aveva sfruttato per sollevarsi dalla neve,
“Esattamente: quanti
dei della tempesta esistono in questa mitologia?” aveva
domandato lui,
stringendo la presa su Giunone.
“Non importa. Io sono il più vecchio!”
aveva specificato Fornjotr con vigore,
“E non mi interessa da chi tu sia schizzato fuori”
aveva ruggito.
Jason aveva sentito i venti su di lui, nemici, non era come Dylan, che
era suo
opponente, ma che a Jason era comunque possibile domare, no, questi
venti
queste energie erano per lui estranee.
Aveva visto creature come Tempesta, solo che invece di essere maestosi
cavalli
di vento, erano lupi. Enormi, aggressivi.
Jason era schizzato nel vento evitandoli. Fornjotr aveva raggiunto
invece il
tronco dove si era ficcato l’ascia per recuperarla. Il figlio
di Giove aveva
fenduto l’aria con un taglio d’oro di Giunone,
aveva decapitato un lupo, che si
era dissolto in una folata d’aria. Jason aveva evitato gli
altri, a balzi, fino
a tornare sulla neve, tenendosi sollevato però dalla terra,
di meno di un
centimetro, abbastanza per non affondare.
Fornjotr lo aveva caricato ancora, Jason aveva usato Giunone per
intercettare
la lama, avevano cozzato l’un l’altra un paio di
volte.
Prima che Jason con uno slancio, posasse una mano sul pettorale dello
Jotun,
stringendo le dita sulla clavicola, l’attimo prima che un
lupo di vento
addentasse con denti glaciali come schegge di ghiaccio sul braccio
armato.
Nonostante la pelliccia di Astrid, aveva sentito il dolore del morso.
Jason aveva stretto le labbra e i denti, resistendo al dolore e
all’urlo.
“Io.sono.la.tempesta” aveva
stabilito, fissando gli occhi dritti nello
sguardo verso lo jotun, prima che sentisse un’energia potente
fluire dentro di
lui, fulmini brucianti erano scintillati nelle sue vene, prima di
riversarsi
sullo jotun, folgorandolo in pieno.
Fornjotr era caduto per terra, decisamente scosso, tanto era bastato
perché
perdesse il controllo sulle sue bestie di vento, la morsa sul braccio
di Jason
si era allentata del tutto, lasciando solo il dolore, aveva guardato il
suo
braccio, la pelliccia era sbrindellata e Jason poteva vedere la maglia
di ferro
d’oro scintillante sotto. Astrid si sarebbe infuriata.
Lo Jotun si
era tirato su, c’era stanchezza nel suo viso, nel suo corpo,
“Sei bravo
ragazzino! Questo non è Thor – roba da Signore.
Forse Odino? Un tempo
anche lui sapeva giostrarsi nelle tempeste, ma no: Perkunnas? Perun?
Zeus?”
aveva chiesto retorico. “Giove. Io sono un figlio di Giove
Ottimo Massimo”
lo aveva corretto Jason, sentendo l’elettricità
correre sotto la sua pelle.
Se lo jotun avesse avuto intenzione di tirarsi su ancora, era stato
fermato da
una grossa zampa lupesca che aveva spinto Fornjotr a terra.
Il Lupo esiliato era apparso dal nulla, davanti a lui, ed aveva messo a
terra Fornjotr.
“Ah, che strani amici, che ti sei fatto, Drefabróker[1]”
aveva sospirato quello. Il Lupo aveva ringhiato senza arretrare di un
solo
passo. Aveva girato il muso verso Jason, ed aveva sollevato il collo,
come ad
accennare un proseguimento.
Jason aveva annuito, recuperando la sua spada, le ferite avevano
cominciato a
rimarginarsi.
Drefabróker, non sapeva
perché, ma non li pareva fosse un nome. Non
veramente.
Jason si era
rimesso a correre, cercando di identificare Madina, ma dopo tutto quel
tempo
non sapeva come trovarla, intorno a lui era sceso il silenzio, tutti i
competitori della sfida erano scomparsi.
Jason fatto un balzo, sollevandosi nell’aria per riuscire a
non affondare nella
neve, cercando di destreggiarsi per la foresta, in cerca di un indizio.
Poi
l’aveva vista ronzante davanti a lui, una grossa ape gli era
volata davanti per
allontanarsi.
Jason l’aveva seguita, certo fosse una delle ragazze
di Bee.
La sua fede era stata ricompensata, perché, luminoso ed
arancione aveva trovato
l’apicoltore. “Su, Ilda, pungi
quell’energumeno lì” aveva sussurrato lo
jotun
ad un’ape che era schizzata subito verso un gigante,
l’attimo dopo quello era
caduto per terra.
“I pungiglioni delle ragazze sono piuttosto
potenti” aveva scherzato Bee,
strizzando verso di lui l’occhio; “Sai che ogni
volta che un’ape punge
qualcuno, muore?” aveva chiesto retorico Jason. “Le
altre api sì, le mie no”
aveva risposto Bee, indignato, con una mano sul petto.
Aveva pensato a Percy difensivo verso i suoi pesci.
“Sono tipo caricate al sonnifero?” aveva chiesto
Jason, “Nì – Io sono
un
dio calma-tempeste, le mie ragazze portano la quiete e
…” aveva risposto lui.
“Sarebbe stata utile contro Fornjotr” lo aveva
interrotto Jason seccato,
“Probabile, ma tu andrai via. Io domani sarò
ancora qui, con Mr Gigante
Ancestrale… e tu stai lievitando” era
stata la risposta onesta e sconvolta
di Bee. Jason era atterrato sulle piante dei piedi e poi era affondato
successivamente nella neve. “Madina?” aveva chiesto.
“Oh, la tua amica sta andando una furia, evita alberi e
frecce, modella la neve
sotto di lei ed ha preso tutti i bersagli fino a ora, neanche mezza
illusione
la ha ingannata” aveva dichiarato subito Bee, ammirato,
“Utgard-Loki aveva
preparato certe sottigliezze impossibili da vedere, perfino per uno
attento
come me” aveva raccontato, prima di ammettere che
l’aveva persa di vista.
Un frusciare
veloce aveva annunciato l’arrivo di Drefabróker,
che li aveva guardati
interessato, chinando la testa di là. “Riusciamo a
cavalcarti in due?” aveva
chiesto lo Jotun, “Non importa, io volo” aveva
dichiarato Jason, prima di
sollevarsi di nuovo in cielo.
“Piccola peste in che casino mi hai messo?” aveva
sentito, lontano, Bee
lamentarsi, aveva ricevuto in risposta un ululato.
Jason si era sollevato appena oltre le fronde, cercando dal cielo la
sua amica.
Aveva osservato gli ultimi jotun che affrontavano la discesa boschiva,
una era
appena caduta colpita in pieno da una lancia.
Aveva osservato invece i giganti rimasti ancora in piedi che avevano
smontato
dagli scii e li avevano issati sulle spalle per poter arrampicarsi
sulla salita
prevista nel discorso.
Aveva individuato, subito, Jarnsaxa, slanciata e decisa, con passo
spedito
verso la vetta – a guardarla da quella distanza pareva
più alta e grande –
affondava nella neve, ma teneva il ritmo battente, più
avanti degli altri.
Jason non aveva la minima idea di dove fossero finiti gli scii, ma
aveva l’arco
teso ed una freccia incoccata, pronta a colpire.
Lui non si era perso d'animo; Jason aveva cercato Madina tra le persone
rimaste
indietro. Aveva impiegato del tempo per trovarla, ma aveva
riconosciuto, alla
fine, la chioma disordinata di riccioli scuri della sua amica.
L’ordinata treccia pareva un pallido ricordo. Madina aveva
sistemato gli scii
sulla schiena, nella custodia, aveva però l’arco
alla mano. Aveva notato che
alcuni jotun, come la sua amica, non affondavano nella neve –
nell’Edda, aveva
letto, oltre i giganti di fuoco, che vivevano in tutt’altro
modo, c’era una
differenza: quelli di ghiaccio e quelli di roccia – ma
nessuno sembrava così
svelto come lei.
Jason l’aveva vista arrestarsi improvvisamente, poi senza
esitazione aveva teso
l’arco alla sua destra e lesta aveva scoccato una freccia.
Aveva osservato il
dardo fendere l’aria verso il niente, l’azione
aveva attirato l’attenzione di
alcuni Jotun. La confusione di Jason, però, si era dissipata
un momento dopo,
quando aveva visto che Madina non aveva mirato verso il nulla; la
freccia si
era conficcata nell’aria, l’attimo dopo al posto
del nulla era apparsa una
cerva di legno, immobile, su cui il dardo era piantato.
Madina lo aveva veduto nonostante l’illusione.
Jason aveva sorriso, rincuorato, la sua amica aveva rivelato, in
precedenza,
che aveva ancora dei segreti su se stessa.
Il pensiero l’aveva distratto, abbastanza da non vedere un
grosso jotun
infuriato lanciare una lancia verso la sua amica, neanche Madina lo
aveva notato,
Jason si era concentrato ed aveva chiamato il vento, forte e potente
per cui un
destriero fatto d’aria aveva deviato di molto la mira,
evitando la ragazza.
Madina non se n’era neanche accorta.
Jason fece un respiro profondo; Madina era spedita nella sua salita, a
superarla, oltre Jarnsaxa vi erano solo pochi altri giganti, la maggior
parte
era alle sue spalle; lui doveva darle un vantaggio.
Il figlio di
Giove aveva chiuso gli occhi ed aveva fatto un lungo e profondo
respiro, Sapeva
di poter far qualcosa, lo sapeva, perché aveva ricordi
– sbiaditi – degli anni
di Roma di averlo letto negli annali, dei poteri strabilianti che erano
stati
mostrati da alcuni figli di Giove. Non lui, non fino a quel momento.
Però, in cuor suo, stranamente, sapeva di potere.
Forse prima, in vita, no, ma in quel momento non era più un
semplice
mezzosangue, era un einherjar.
“Lo
sai che nel 1888 un figlio
di Giove ha scatenato un Temporale di Neve[2]
di proporzioni apocalittiche sulla east-cost?” aveva chiesto
retorica Reyna.
“Cosa faceva lì?” aveva domandato Jason,
genuinamente confuso. “Non so. Era
finita la guerra di secessione da un ventennio, magari c’era
ancora qualcosa in
pasto” aveva valutato quella, tranquilla, “Tu pensi
di poterlo fare?” aveva
domandato lei interessata.
“Sembra … Forse” aveva risposto,
insicuro, Jason.
Prima
però
di tentare alcuna cosa, aveva ricordato le regole del gioco. Non era
questione
di barare ma di non farsi notare. Così, Jason aveva cercato
con lo sguardo Bee
e Drefabróker, lì aveva trovati, stavano
risalendo l’altura spediti, lo Jotun
sulla groppa del lupo. Lui era arrivato al loro fianco, ma volando non
era in
grado di reggere l’andatura veloce della bestia.
“Jason!” aveva esclamato Bee, vedendolo.
“Devo fare una cosa: pericolosa per
me, per tutti” aveva dichiarato Jason, mentre Drefabróker
si era arrestato, per permettere a Jason di issarsi sul suo dorso,
proprio
dietro Bee – per un secondo aveva ricordato Festos con Piper
e Leo.
“Fantastico. Ti odio, perché mi metti sempre in
queste situazioni” aveva
ringhiato Bee, nel dirlo aveva tirato un buffetto con il tallone sul
fianco del
lupo, che ne era stato piuttosto infastidito.
“Bee, tu sei un’illusionista, vero?”
aveva chiesto poi Jason, “Sì. Be, mi
diletto. Mio fratello Loki dice che sono a malapena un mago
prestigiatore
impiegabile per una festa di bambini, ma lui ora è legato
tra due rocce con
degli intestini e un serpente che gli cola veleno in faccia ed io sono
libero.
Così penso sia ovvio chi sia l’incantatore
più bravo” aveva raccontato
trionfante Bee, ricevendo in risposta un ringhio da parte di
Drefabróker.
Jason lo aveva ignorato a pie pari, “La gara funziona per Swa-Incantesimi
Illusori, che però non devono essere scoperti. Devi
nasconderci” aveva
esclamato Jason, perentorio.
Bee aveva annuito, aveva slacciato un poco il colletto, per prendere
aria.
“Secondo te, cosa è meglio: seid o magia
runica?” aveva domandato Bee poi. Il
figlio di Giove si era fatto rigido, “Non ne ho-”
aveva provato Jason, ma
presto era stato chiaro che la domanda fosse stata posta al lupo,
quello aveva
emesso un ululo, preciso, come se avesse espresso un’opinione
chiara. “E Rune
sia! Allora... Odio la magia runica, sono un dannato jotun!”
si era lamentato
Bee, prima di infilare una mano nella fessura sul davanti della tuta
per
estrarre un sacchetto, “Spero di non perderle” si
era lamentato, mettendosi a
frugare. Per Jason era eccezionale che riuscisse a farlo mentre
cavalcavano il
lupo, Jason era letteralmente arpionato al pelo, con il viso
schiacciato sulla
schiena di Bee.
“Perfetto! Algiz, la
protezione” aveva dichiarato il gigante,
recuperando una tessera. Aveva una forma esagonale ed era di un
materiale di
pietra levigata, liscia e luminosa, su cui era inciso qualcosa, in
oro-bronzo.
Bee aveva sussurrato qualcosa, con un tono basso e veloce, come una
cantilena,
poi una luce brillante li aveva avvolti, “Ecco,
sì, ora siamo ben schermati”
aveva dichiarato tronfio.
Jason aveva annuito, forzandosi a lasciare la presa dalla pelliccia
grigia del
lupo, per sollevare le braccia al cielo, spaventato.
Aveva richiamato ogni vento su cui avesse percezione, anche se erano
ostili,
diversi, selvaggi, ma lui ci aveva provato, si era appellato ad ogni
del suo
corpo forza per tirarli giù, i più freddi ed
acuti, dalle altitudini più
lontane, fino alla terra. E lo aveva fatto, gli aveva domati tutti,
più feroci
di Tempesta, di Dylan, di chiunque.
Freddo.
Era venuto giù il freddo, così come le correnti,
forti, che si scontravano l’un
l’altro, i gelidi venti delle alture e quelli più
miti delle quote terrestri. E
quella lotta aveva fatto scivolare il mondo in un algido clima,
così freddo,
come neanche Jotunheim era mai stato, così forte che anche
tramite la pelliccia
di Astrid lo poteva sentire. Poi era cominciata la neve, neve, pesante
e dura
come proiettili, sferzata in ogni direzione, come una bufera. Era neve,
come
pioggia.
E i fulmini, prodotti dai venti termici differenti, alimentati da
Jason, dal
suo potere, dalla sua vitalità, qualsiasi tipo di
vitalità.
“MA …” si era lasciato sfuggire Bee,
mentre il figlio di Giove si era
impegnato, profondamente, per tenere il temporale di neve controllato,
nella
zona che a lui serviva.
E fulmini e tuoni erano crollati sulla neve, sull’altura,
bloccando ogni
avanzata, ogni possibilità.
Jason aveva tenuto su il Temporale di Neve fino a che aveva potuto,
fino a che
il suo corpo aveva retto, la sua energia lo aveva sostenuto. Aveva
sentito il
sangue gocciolare via dal naso, la testa rimbombare e la vista farsi
oscura.
Aveva sentito il lupo ululare, pieno di terrore. Bee si era voltato
verso di
lui, con un viso quasi granitico, gli occhi spalancati, ammirato, ma
anche
terrorizzato, “Cavoli, amico, sei un Ergi[3].
Un ergi maledettamente potente” aveva valutato. Jason lo
aveva ignorato, anche perché
volendo non sarebbe riuscito altrimenti, sentiva ogni muscolo del suo
corpo,
ogni centimetro della pelle, andare a fuoco. Bruciava. La testa pulsava
come
percorsa da un martello, ma non poteva cedere.
Il roborare del vento e il picchiare dei tuoni aveva offuscato ogni
altro
suono, perfino quello dei suoi stessi pensieri. Jason aveva sentito il
sapore
del ferro, del sangue, sulle labbra.
“Sai
Jason, tu sei
terribilmente potente, ma a volte, ho l’impressione che tu
non ti renda neanche
conto che hai dei limiti”
“Se tu che mi hai chiesto di farlo, Reyna”
“No ti ho solo chiesto se potevi”
Aveva tenuto su la tempesta fino a che aveva potuto, fino a che non era
collassato.
Fino a che i suoi arti non si erano fatti di gelatina ed aveva perso la
presa
con le gambe sul dorso del lupo.
E quando non era riuscito a reggere più i venti e i fulmini,
era crollato.
[1]
Drefabróker
non ho idea di quanto sia corretto, perché ho preso le
parole dal
dizionarietto, ma ho tentato di coniugarle io (Uhm, dovevo chiamare la
mia
amica germanista, ma poverina al momento è in piena crisi
esistenziale da vasi
germanici), ma non ho intenzione di tradurlo. Per ora. Comunque: Drefa
è il
termine all’infinito, mentre Brók/Brøker è il
nominativo (ho inserito l’er,
che mi pare sia accusativo).
[2]
Non è
quello che state pensando; pace e amore da IL METEO ( http://www.la-meteo.it/temporali-di-neve-e-nevicate-estreme-primaverili/);
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/62/Occludedfront.gif/350px-Occludedfront.gif
[3] Un altro modo per definire gli stregoni che praticano il seidr.