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Autore: FreddyOllow    16/02/2022    1 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Joey e Nick tornarono indietro senza parlarsi. Quando salirono la scala, trovarono Zoey seduta in giardino. Era scossa e impaurita.
"Tutto bene?" chiese Joey.
"Sì..." rispose la sorella, guardando la porta sul retro del condominio.
Nick comprese che qualcosa non andava, ma non disse nulla.
Il fratello le posò una mano sulla spalla. "Ehi, cos'hai?"
Zoey si divincolò dalla mano del fratello e si alzò. "Niente. Non preoccuparti."
"Va bene... Comunque ho trovato la mappa."
La donna raggiunse il tombino. "Che aspettate? Andiamo."
"Sei sicuro che va tutto bene?" domandò il fratello.
Lei sospirò. "Sì, va tutto bene. Ora andiamo."
Quando Joey e Nick la raggiunsero, la porta alle loro spalle si aprì. L'uomo del secondo piano si avvicinò loro. Scheletrico, sulla sessantina, le guance infossate, il viso corrucciato e minaccioso, solcato da innumerevoli rughe. La barba lunga, sporca, i capelli grigi scompigliati e annodati. Indossava un cappotto marrone scuro, sotto una maglia nera e un pantalone grigio strappato in più punti. Era scalzo, i piedi scheletrici e anneriti. Il tanfo di sudore ammorbò subito l'aria. Gli occhi scavati e cerchiati scrutavano diffidenti i loro visi dietro la canna di un fucile da caccia puntato su di loro.
"Albert" disse Zoey quasi in sussurro.
"Siete stati morsi, vero?" chiese l'uomo con fare nervoso. "Sì, sì, morsi. Voi siete stati morsi." Si diede uno schiaffo in testa. "Lo sapevo, lo sapevo!"
Nick strinse la Glock. Aveva avuto a che fare con gente simile. Non finiva mai bene.
"Ehi" disse Joey con tono pacato. "Non abbiamo un graffio. Guarda." Si alzò la manica del giubbotto e mostrò l'avambraccio. "Visto?"
Albert lo fissò per un attimo, gli occhi sbarrati che si spostavano da un punto all'altro nel giardino. Puntò il fucile verso Nick. "Tu! Fammi vedere. Fammi vedere!"
L'uomo scambiò uno sguardo con i fratelli, che gli accennarono con gli occhi di ubbidire. Mostrò l'avambraccio.
"Sì, ok, va bene... Sì, sì." Albert abbassò l'arma con fare sofferente, si diede uno schiaffo in testa e puntò l'arma verso Zoey. "Il braccio!" Schizzi di saliva finirono sul calcio del fucile. "Il braccio!"
Joey si mise davanti alla sorella. "Abbassa quella cazzo di arma, o..."
Albert si diede uno schiaffo in faccia e scosse la testa. "Il braccio! Il braccio!" disse in lacrime, ma mutò subito espressione col viso arrossato. "Il braccio!"
Zoey superò il fratello e mostrò il braccio.
Albert abbassò il fucile con gli occhi lucidi e arrossati. "Sono ovunque Là fuori. Ovunque. I morti! Loro sono morti. Sono ovunque." Ripeteva ossessivamente. Si diede un altro schiaffo in faccia, seguito da altri tre più forti.
Joey spinse la sorella dietro di lui e guardò Nick. "Porta mia sorella giù, io tento di..."
Un sparò echeggiò nel giardino.
"NO!" urlò Zoey.
Joey cadde a terra. La sorella gli si chinò accanto in lacrime.
Albert stava per sparare di nuovo, quando Nick fece fuoco e lo colpì all'addome. Quello indietreggiò, una mano sulla ferita, l'altra sull'arma. Poi sorrise e crollò a terra. "Sono tutti morti... Morti... Morti... Tutti... Morti..." ripeteva con lo sguardo sereno rivolto al cielo limpido, il sangue sgorgava a fiotti dalla ferita "Sono... tutti... morti... Io..." Con le ultime forze si posizionò la canna del fucile sotto la bocca. "Non diventerò... un morto!" Premette il grilletto. Il cranio esplose, schizzando pezzi di ossa e cervella sulla parete, sugli arbusti e sulla porta.
Zoey fissava terrorizzata la ferita insanguinata di suo fratello.
"Sto bene" sorrise Joey. "Mi ha solo preso a una spalla."
"Fammi vedere" aggiunse Nick, osservando la ferita per un po'. "Il proiettile è uscito."
"È una buona notizia?" domandò Zoey.
Annuì. "Devo medicarlo. Andiamo di sopra."
Nick e Zoey lo aiutarono ad alzarsi.
"Ehi, fate piano, ok?" Joey digrignò i denti per il dolore. "Fate piano, cazzo! Piano!"
Mentre si dirigevano verso la porta, una sagoma si mosse lungo la facciata del condominio.
"Ma..." disse Joey, incredulo.
Zoey sbarrò gli occhi.
"È un fottuto mostro!" Concluse Nick.
L'essere si muoveva a quattro zampe, lasciando una scia di sangue al suo passaggio. La muscolatura esposta, lucida, il cervello visibile e una lunga lingua bavosa simile a una frusta. Si fermò, alzò la testa e annusò l'aria. Poi lanciò un inquietante ruggito. Quattro suoi simili sbucarono ai lati della palazzina e lo raggiunsero con rapidi movimenti.
Joey, Nick e Zoey erano scioccati. Non riuscivano a credere ai loro occhi.
I mostri ruggirono e scesero dall'edificio con ampie falcate.
"Merda!" disse Joey.
"Andiamo dentro!" urlò Zoey, in preda al panico.
"No, non ce la faremo" rispose Nick. "Scendiamo nelle fogne. Forza! Fate in fretta!"
"Ma la sua ferita si infetterà" aggiunse la donna.
I quattro Licker balzarono sul terreno e scattarono la testa in ogni direzione per captare i suoni. Uno di loro si avvicinò al cadavere di Albert e lo annusò.
Nick trascinò Joey al tombino, seguito alle spalle dalla sorella. "Scendete. Vi copro io."
Il loro movimento allertò i Licker e la creatura a ridosso di Albert si ritrasse.
Joey allungò a Nick il fucile che aveva tenuto stretto fino a quel momento. "Tieni!"
I cinque Licker ruggirono eccitati e si mossero lentamente verso di loro. Non avevano ancora individuato il punto esatto in cui si trovavano i tre, finché Nick aprì il fuoco.
Il cervello di un Licker saltò in aria.
Le quattro creature ruggirono infuriati e si divisero, muovendosi rapidamente sulla recinzione per accerchiarlo. Il primo Licker venne colpito da una fucilata alla schiena e cadde a terra, stordito. Il piede sinistro del secondo fu ridotto a brandelli. Il terzo balzò sopra di Nick e gli schioccò la lunga lingua bavosa verso la testa, ma colpì il terreno, sollevando zolle di erba e terra.
Il poliziotto gli pressò il fucile sul petto, tenendola a distanza.
Tre Licker si fermarono alle spalle dell'aggressore. Ruggivano, sbavavano e scattavano la testa ad ogni piccolo rumore.
Il Licker sopra a Nick schioccò nuovamente la lingua, ma l'uomo scansò la testa dalla sua traiettoria. Altre zolle di erba e terra si sollevarono dal terreno.
"Nick" gridò Zoey in lacrime dal fondo del tombino. "Nick!"
Mentre la creatura lo schiacciava sotto il suo peso, il poliziotto cercò a fatica di posizionargli la canna del fucile contro il petto. Il Licker si agitava, ruggiva e dalla bocca colavano filamenti di bava che finivano sul volto di Nick, che sentiva l'alito acre del mostro bruciargli la gola e pervadergli i polmoni. Le braccia lo stavano mollando. Non le sentiva quasi più.
"Devo aiutarlo!" urlò Zoey. "Lo uccideranno!"
Nick udì la sua voce lontana e distorta.
"No!" rispose Joey. "Non possiamo fare nulla. Sono troppi! Cazzo, li sento muoversi! Andiamo!"
I tre Licker alle spalle del poliziotto si avvicinarono al loro simile. Uno cercò di addentare la gamba dell'uomo per strapparne un pezzo, ma la creatura che lo teneva a terra gli artigliò la faccia. Nick colse l'opportunità e gli posizionò la canna contro il petto.
Sparò.
Uno squarcio si aprì nel petto della creatura e sangue e pezzi di carne schizzarono in aria.
I tre Licker indietreggiarono un poco storditi dal colpo di fucile, poi si lanciarono verso Nick, che li vide arrivare attraverso l'apertura scavata nel petto della creatura morta.
Si liberò dal peso, gettò Glock e fucile nel tombino e scese rapidamente la scala a pioli. Una creatura calò un braccio all'interno, ma lo mancò per poco. Così schioccò la lunga lingua verso l'uomo, che si lasciò cadere nella melma per non farsi prendere.
I Licker ruggirono infuriati e si allontanarono.
Il poliziotto si alzò, tremante, gli abiti impregnati di fogna e lo stomaco in subbuglio per l'acre odore. Sentiva un forte ronzio alle orecchie, un suono acuto, persistente. Poi il rumore cominciò a scemare, sovrastato dai gemiti di centinaia di zombie bloccati dietro la recinzione del giardino sopra di lui.
Pensò di salire a chiudere il tombino per non fare entrare nessuno, ma non lo fece. Là fuori, in agguato, potevano esserci i Licker pronti a farlo a pezzi. Scacciò quel pensiero e affondò le mani nella melma in cerca della Glock e del fucile. Fu colto da un conato di vomito, ma resistette e dopo un po' trovò le armi.
Cominciò a muoversi lungo il canale che aveva seguito in precedenza con Joey e si fermò a un incrociò a T, proseguendo dritto verso la stanza manutenzione.
La porta era socchiusa.
La spinse lentamente con la canna del fucile e vide i due fratelli. Joey era seduto a un tavolo e la sorella gli fasciava la ferita con un lembo strappato del giubbotto adagiato sul tavolo. Lo stesso giubbotto che il poliziotto aveva visto attaccato all'attaccapanni.
"Nick!" disse Joey, sorpreso e schifato da com'era ridotto.
Zoey si voltò e sbarrò gli occhi, contenta. "Sei vivo!"
Nick non rispose.
"Ti sei fatto una nuotata nelle fogne?" domandò Joey, divertito. "Credevo fossi morto."
Zoey gli si avvicinò con una mano sul naso. "Io... io mi sento in colpa. Ti abbiamo lasciato da solo con quei... con quei mostri." Abbassò lo sguardo, affranta.
Nick non rispose. Sapeva che non lo avrebbero potuto aiutare. Sarebbero morti ancor prima di provarci. Avevano fatto la scelta giusta.
La donna alzò lo sguardo. "Come hai fatto a... a sopravvivere? E... e sei ferito?"
"No, sto bene" rispose Nick, allontanandosi da lei.
La donna tornò dal fratello. "Ma come hai fatto a sopravvivere?"
Nick raccontò loro cos'era successo.
Joey arricciò le labbra, colpito dalla storia. "Woah! Sei un tipo tosto, eh? Non muori tanto facilmente."
"Sono stato fortunato. Come va la ferita?"
"È solo un graffio."
"Un graffio?" disse Zoey in tono accusatorio. "Hai bisogno di medicinali. La ferita è stata esposta a... a quest'aria malsana."
Joey le sorrise. "Ti preoccupi troppo, sorellina."
"Non chiamarmi sorellina. Rischi un'infezione o..."
"Va bene, va bene. Mi arrendo. Faremo come dici tu. Troveremo i medicinali." Poi si rivolse a Nick. "Per fortuna quel pazzo aveva una mira di merda."
"Non prendi nulla seriamente, eh?" chiese Nick.
Joey sollevò le spalle. "Guarda dove ci troviamo." Indicò le pareti. "Siamo in una dannata sala manutenzione, in un dannato condotto fognario e sopra le nostre teste ci sono dei dannati mostri e zombie che vogliono ammazzarci. Non credo sia una buona idea prendere le cose troppo sul serio, non credi?"
"La tua ferita rischia davvero di infettarsi."
"Non succederà."
Nick lo squadrò per un momento. "Come fai a esserne sicuro? Hai visto dove ti trovi? Sei uno scienziato, no? Sai meglio di me come funzionano certe cose."
"Lo so e basta."
"Tu sei solo un idiota" disse Zoey. "Di questo ne sono sicura. Non credere di essere indistruttibile. Anche tu puoi ammalarti."
Il fratello si limitò a sorriderle.
Nick gli si avvicinò. "Sei sicuro di molte cose. Come la mappa nell'armadietto."
"Di nuovo questa storia?" disse Joey un poco irritato. "Si vede che sei uno sbirro."
"Che succede?" domandò Zoey, confusa. "Di cosa parlate?"
"Niente. Cose da uomini" rispose Joey con tono superficiale.
Zoey guardò Nick. "Mio fratello ti ha fatto arrabbiare? Fa sempre questo effetto alla gente."
Nick restò in silenzio.
"Cosa ci faceva quel pazzo fuori dal suo appartamento?" chiese Joey.
La sorella abbassò lo sguardo.
"Allora?"
Nick lanciò uno sguardo alla donna.
"Zoey?" Insistette il fratello.
"Gli ho detto se voleva venire con noi!" sbottò la sorella. "Non potevamo lasciarlo lì. Io..."
"Tu e il tuo fottuto altruismo ci ha fatto quasi ammazzare."
"Mi dispiace, io... io non volevo..."
"Te l'avevo detto di stargli alla larga, ma..."
"Joey" aggiunse Nick. "Smettila."
Il volto del fratello diventò paonazzo. "Non..."
"Smettila di fare lo stronzo."
Joey fissò il volto afflitto della sorella e non disse altro.


 

Pete e Megan si aggirarono cauti tra gli scaffali nel magazzino, soppesando ogni passo. Superarono una serie di pedane e salirono su una piccola piattaforma, dove si trovavano alcuni scatoloni con su scritto fragile.
"Guarda" disse Megan, indicando la scala che conduceva al prefabbricato sul soppalco. "Un ufficio."
"Lo stronzo dev'essersi nascosto lì dentro!" rispose Pete con tono minaccioso.
Megan gli afferrò un braccio. "La smetti?"
Pete si limitò a fissarla.
"Devi calmarti."
"Sono calmo."
"Non lo sei. Vuoi solo prenderlo a pugni. Ti conosco, Pete. Non è la prima volta che vedo quello sguardo."
"Quale sguardo?" chiese Pete, fingendo di non sapere.
"Ti si arrossano gli occhi quando sei arrabbiato. Ti ricordi cosa hai fatto a quell'uomo che mi aveva importunata? Ti ricordi?"
"I miei occhi sono normali."
Megan gli lasciò il braccio. "Promettimi che non farai niente?"
Pete la guardò negli occhi per un attimo. "Va bene."
"Promettilo?"
"Ok, lo prometto. Sei contenta, ora? E poi non hai fatto altro che dirmi che non facevo mai niente, che non aiutavo nessuno." Puntò il dito verso il prefabbricato. "Ecco perché non facevo un cazzo! Perché ci sono delle teste di cazzo come lui che lasciano morire gli altri! Che non fanno un cazzo!"
"Anche tu non hai fatto niente, se non ti costringevo io."
Pete restò in silenzio.
S'incamminarono sulla piattaforma e scesero la scala, aggirando due container. C'era una piccola stanzetta sotto il prefabbricato. Ci entrarono. Era una saletta comune con un piccolo cucinino all'angolo. Sul pavimento, una pozza di sangue rappreso.
"Aspetta" disse Pete. "Vado a controllare dall'altra parte."
"Vengo con te."
"Resta qui."
"No."
Pete sbuffò. "Ok, ma restami alle spalle."
Si diressero verso l'uscita dall'altra parte della saletta. Quando varcarono la soglia, un cadavere era seduto di schiena contro il muro. Avevo lo stomaco squarciato, le viscere di fuori, una gamba mozzata e molteplici morsi sul corpo. Sul viso lacerato s'intravedeva l'ossatura dello zigomo. I due si tapparono il naso per il tanfo di putrefazione.
Pete si guardò intorno. Solo scatoloni, casse e scaffali mezzi vuoti.
"Si è suicidato" disse Pete.
"Come lo sai?" rispose Megan nauseata da quella scena.
"La pistola." L'uomo la indicò con la testa del martello. "La vedi? È sotto le interiora."
"Sì, la vedo. Si è sparato in testa?"
"Beh, la faccia è ridotta male. Quindi è probabile, ma..."
D'un tratto si udì un suono metallico e sussultarono. Qualcuno correva sulla grata sopra le loro teste.
Pete uscì velocemente sulla piattaforma e guardò in alto. La porta del fabbricato si chiuse di colpo.
Megan lo raggiunse poco dopo. "Chi era?"
"Non lo so. Forse lo stronzo che ci ha lasciati morire."
"Ehi!" sbuffò la donna irritata. "Non ricominciare."
Pete le fece un finto mezzo sorriso. "Sono calmo. Molto calmo."
"Prendiamo la pistola. Magari è solo uno zombie."
"Uno zombie che corre?" Sorrise, senza essere ricambiato. "Comunque non intendo mettere le mani in quella merda. Magari è infetta. Forse si diventa zombie in quella maniera."
Megan gli lanciò un'occhiataccia torva e si avvicinò al cadavere.
"Ehi! Che stai facendo?" chiese Pete.
Megan si tappò il naso, allungò una mano sotto le interiore esposte sul ventre e afferrò la 9mm.
A Pete gli venne un conato di vomito. "Perché l'hai fatto? Perché?"
La donna tornò da lui. "Questa la uso io."
"Ora puoi essere infetta. Potresti diventare come loro."
"Sto bene" rispose Megan.
Restarono a fissarsi per un lungo momento.
Pete era infastidito da ciò che aveva fatto Megan. Le voleva dire quanto fosse stata stupida a fare una cosa del genere, ma non lo fece. Sapeva che non l'avrebbe presa bene.
"Comunque non hai mai usato una pistola" disse Pete. "Dalla a me.
"Chi te lo dice?"
"È così."
"L'ho presa io, quindi la tengo io."
"Ok, ma non usarla. Sprecheresti solo proiettili. Quante ce ne sono nel caricatore?"
"Cosa?"
"Di munizioni. Quante ce ne sono nel caricatore?"
"Non lo so."
"Controlla."
Megan osservò la pistola, perplessa.
Pete le sorrise. "Sto aspettando."
"Non prendermi in giro" rispose la donna, infastidita.
"Non lo faccio. Ti sto solo dicendo di controllare il caricatore."
"Lo farò."
"Fallo ora. Che ti costa."
Megan sbuffò. "Tieni. Controllalo tu."
Pete fece un sorriso trionfante e lasciò cadere il caricatore nella mano. "Diciassette pallottole su diciotto." Rimise il caricatore nella pistola. "Ora abbiamo la certezza che si è sparato un colpo in testa. E poi perché aveva la pistola? Era un operaio."
"Chi ti dice che fosse un operaio?"
"Gli indumenti."
Megan lanciò uno sguardo al cadavere. "Capisco."
"Lo so che non hai capito" aggiunse Pete con un sorriso.
"Ti piace sfottermi, eh?"
"Forse."
Megan gli diede un colpetto sul braccio.
"Ahi! Mi hai fatto male?"
"Ma smettila."
Si allontanarono dalla saletta comune e salirono la scala. Seguirono la passerella di metallo, che li condusse al prefabbricato. Le finestre erano oscurate dalle tende veneziane. Pete girò la maniglia e aprì la porta. Era un piccolo ufficio austero, quasi vuoto.
L'uomo grassoccio se ne stava nascosto dietro la spalliera di un divano.
Pete sentì uno strano formicolio in testa, seguita da una vampata di calore nel petto. Alzò la pistola.
Megan si frappose tra lui e l'uomo grassoccio.
"L'hai giurato?" disse la donna. "Me l'hai giurato."
Pete corrugò la fronte, gli occhi arrossati dalla rabbia.
"Ti prego, io..." aggiunse l'uomo grassoccio.
Pete perse il controllo. Sentire quella voce fu come gettare benzina sul fuoco. Spintonò la fidanzata e si diresse verso di lui, che si alzò rapidamente e girò intorno al divano per non farsi acchiappare.
"Pete!" urlò Megan correndogli dietro. "Fermati!"
Lui non la sentiva. Non sentiva niente. Era talmente accecato dalla rabbia, che non cercò nemmeno di sparare all'uomo. Voleva ucciderlo a martellate, fracassargli la testa, ridurla a brandelli.
"Per favore, Pete!" gridò Megan.
L'uomo grassoccio inciampò su un filo collegato a una presa di corrente e cadde a terra.
Pete lo raggiunse e lo prese a calci. Poi gli si mise sopra e lo riempì di pugni in faccia. Quando alzò il martello per spaccargli la testa, Megan gli saltò sulle spalle e gli serrò le gambe attorno al bacino.
Lui scattò in piedi e calò una mano dietro le spalle, afferrandola per i capelli. Stava per colpirla, quando vide il viso di Megan, le mani a protezione della testa.
Pete indietreggiò incredulo e lasciò cadere il martello dalle dita, portandosi le mani fra i capelli. Realizzò solo in quel momento di avere una pistola nell'altra mano. La guardò inorridito e la gettò sulla scrivania.
L'uomo grassoccio sputò un dente sul pavimento, la bocca insanguinata e il labbro superiore spaccato. Si trascinò sui gomiti dietro il divano, terrorizzato.
Megan restò a terra, lo sguardo fissò su Pete, che sbatté la schiena contro la parete e si lasciò scivolare a terra. "Scusami..." borbottò. "Non..." Si zittì, gli occhi fissi nel vuoto. "Avevano ragione... Non riesco a controllarmi... Io... io... non riesco a controllarla... la rabbia..."
Megan si limitò a fissarlo, spaventata. Era la prima volta che Pete si era spinto così oltre. Non aveva mai visto quella parte di lui. Le sembrava di guardare uno sconosciuto, non il suo ragazzo. Quello che la prendeva in giro, che amava viziarla, che a volte la trattava come una bambina per farla arrabbiare per gioco. Non era lui. Non era l'uomo che aveva conosciuto. Dov'era finito?
Pete si portò le mani sulla fronte, nascondendo il viso. "Ora sai perché non mi hanno preso... Marvin me l'aveva detto... La S.T.A.R.S non assume quelli come me... Quelli che non sanno gestire la propria rabbia... Me l'ha ripetuto tante volte... Tante..."
L'uomo grassoccio si asciugò il sangue con la manica della giacca. Ascoltava.
Megan restò sorpresa nel sentire le lacrime rigarle il viso. Lacrime di rabbia, di frustrazione.
"Dovevo arrivare a questo per..." continuò Pete. "Per capirlo... mi dispiace, Meg. Mi dispiace tanto..."
Nell'ufficio scese il silenzio.


 

Joey non aveva più parlato e Zoey si era limitata a fissare i due uomini.
"Credo sia ora di andare" disse Nick.
"Hai cambiato idea?" chiese Joey.
"Su cosa?"
"Sul perdersi nei condotti. Avevi detto che non ne saremmo usciti vivi."
"Infatti non intendo seguirti alla cieca."
"Di cosa state parlando?" domandò Zoey.
"Niente" disse Joey.
"Tuo fratello ha una mappa dei condotti" aggiunse Nick. "E la galleria che dovrebbe portaci al dipartimento di polizia è stata strappata."
"È vero?" chiese la donna al fratello.
"Sì, ma conosco bene questi condotti. Non ci perderemo."
"Hai detto che non entravi da quando eri un bambino, giusto?" disse Nick. "Come fai a..."
Joey sbuffò e si alzò dalla sedia. "Non fai che ripeterti."
Nick si accigliò. "E tu fai che mentire."
Zoey era confusa. "Mentire su cosa?"
"Non intrometterti!" rispose il fratello. "E poi non sa di cosa parla."
Nick fece un sorriso di circostanza. "Bugiardo fino al midollo, eh?"
"Ne ho abbastanza di te." Joey gli si avvicinò e lo fissò dritto negli occhi per un momento. Gli strappò il fucile di mano con un gemito di dolore. Poi si portò una mano sulla ferita dolorante e tornò al tavolo.
Nick restò immobile.
"Perché dice che sei un bugiardo?" domandò Zoey.
"Domandaglielo tu" rispose il fratello.
Zoey guardò Nick, che le spiegò tutto quello che era successo. Alla fine del racconto, lei rimase in silenzio. Joey le lanciò uno sguardo, perplesso, aspettandosi la solita sfuriata da parte sua, invece niente. Solo un pesante silenzio che durò a lungo.
"È mio fratello" disse Zoey. "Io... non so cosa dire."
"Gli credi?" chiese il fratello.
"N-non lo so."
Nick scelse di non dire nulla. Aveva capito quanto i due fossero legati. Zoey non gli sarebbe mai andato contro.
"Io non vi seguirò" aggiunse Nick.
"Bene. Non farlo" rispose Joey tra i denti.
"Ma potete seguirmi."
Joey corrugò la fronte, confuso. "Seguirti? Perché mai dovremmo seguirti? Per andare dove, poi? Non sai nemmeno dove ti trovi."
"Allora dimmelo tu. Dove mi trovo?"
"Sei sotto Uptown. A cinque isolati da Ennerdale Street."
"Non hai nemmeno controllato la mappa."
Joey si limitò a guardarlo con astio.
Zoey li fissava, turbata. "Resta con noi."
"Non sarebbe una buona idea" rispose Nick.
"Infatti" aggiunse Joey, infastidito. "Non lo sarebbe per niente."
Nick andò alla porta e si voltò. "Dov'è l'uscita da questo posto?"
"Torna all'incrocio" aggiunse Joey. "E quando ci arrivi, continua dritto. In uno dei passaggi ciechi troverai una porta. Ti condurrà in superficie." Fece una pausa. "E non andare oltre. Non te lo consiglio."
"Perché?" chiese Zoey, ma il fratello non le rispose.
Nick sapeva che fargli delle domande avrebbe portato solo a un'altra sterile discussione. Girò la maniglia.
"Aspetta!" disse Zoey, avvicinandosi. "Voglio chiederti scusa per come ho reagito quando mi hai detto che eri un poliziotto. Tu... tu non sei cattivo... ci hai aiutati con Albert, con... con i mostri. Ti dobbiamo la vita. Grazie per quello che hai fatto per me e mio fratello."
Nick annuì e lasciò la stanza.
Quando chiuse la porta, sentì i fratelli parlare vivamente. Era curioso di sentire cosa si stavano dicendo, ma s'incamminò indietro verso l'incrocio. Ormai si era fatto l'abitudine a sguazzare nella melma, a sentire le maleodoranti sostanze organiche attorno alle caviglie, il tanfo di fogna nei polmoni.
Giunto all'incrocio, proseguì come gli aveva detto Joey. Non sapeva se gli aveva detto il vero, o se lo stava mandando a zonzo nei canali. Ma qualcosa gli diceva di fidarsi.
Mentre proseguiva, grossi canali di scolo cominciarono a sbucare dalle pareti, con due piccole pedane in cemento che correvano ai lati. Nick ci camminò sopra, evitando di proseguire nella melma.
Ormai camminava da più di cinque minuti e cominciava a credere che forse aveva fatto male a fidarsi di Joey. Poi scorse delle piccole alcove vuote ai lati e si sentì rincuorato.
Trovò la porta di ferro nell'ultimo vicolo cieco.
Più avanti la galleria proseguiva per altri venti metri e si apriva in due condotti laterali.
Gli vennero in mente le parole di Joey. "Non andare oltre." Ma era troppo curioso. Voleva capire perché l'uomo gli aveva detto così. Cosa c'era in quelle gallerie? Il famoso alligatore delle fogne? Gli venne da ridere, ma smorzò subito la risata. Fissò la porta, poi il fondo del canale. Alla fine la curiosità prese il sopravvento.
Raggiunse l'incrocio e guardò da entrambe i lati. Alla sua sinistra c'era solo oscurità, alla sua destra il condotto curvava lentamente a sinistra.
Seguì quest'ultimo, ricordandosi il percorso per tornare indietro. Mentre camminava, cominciò a sentire dei suoni flebili e costanti. Un gocciolare continuo, il lontano stridere del metallo contro qualcosa. Erano rumori inquietanti.
Proseguì lungo il condotto per un momento, finché si fermò. Davanti a lui la galleria era inghiottita dall'oscurità. Le luci lungo le pedane laterali erano state distrutte. Nick fissò il buio per un lungo momento. Lo stridere del metallo diventava via via più vicino. Poi udì un raschiare alla parete. Un rumore insopportabile, che gli fece accapponare la pelle.
La superficie della melma s'increspò. Quando fece per tornare indietro, un grosso muso da rettile apparve lentamente dall'oscurità.
Nick sgranò gli occhi, scioccato. Scorse la faccia enorme di un alligatore, gli occhi gialli, le scaglie olivastre, sporche, sui cui i rifiuti organici si erano appiccicati e colavano. La creatura spalancò le fauci e un acre odore ammorbò l'aria.
Nick venne investito dalla folata putrida e tossì.
L'alligatore emise un lento tremulo gutturale e profondo. Poi si sollevò sulle zanne, mostrando il petto mastodontico.
L'uomo indietreggiò, spaventato. Non riusciva a credere che le storie sull'alligatore fossero vere. Era impossibile. Poi gli balenarono in mente i Licker e tutto divenne ancora più confuso. Si voltò.
La creatura scattò le fauci verso di lui.

   
 
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