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Autore: FreddyOllow    17/02/2022    1 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pete si alzò, diede un'ultima occhiata a Megan e uscì dall'ufficio. Posò i gomiti sul parapetto di ferro della passerella e spaziò lo sguardo sugli scaffali polverosi del magazzino. Sapeva di aver perso il controllo. Lo aveva persino confessato, ma una parte di lui lo giustificava. Quell'uomo li aveva quasi uccisi. Era giusto che lo picchiasse. Ma quando ripensava al pestaggio, quella voce spariva, perdeva di valore. Non sapeva più cosa pensare.
"Maledizione" borbottò tra sé. "Sono un poliziotto... Ho giurato di proteggere e servire. Ho..." Si ammutolì, sentendo la porta aprirsi alle sue spalle.
Megan gli si fermò accanto. "Pete" disse in un sussurro.
Lui non riusciva a guardarla.
"So cosa stai pensando in questo momento" continuò lei. "Ti senti in colpa. So che non volevi farlo, ma..."
"Non riuscivo a fermarmi, Meg" rispose Pete. "Non ci riuscivo."
"Lo so."
"Non lo sai, invece. Ero come..." Si zittì e si staccò dal parapetto. "Non è da me. Io non sono così."
Megan si limitò a guardarlo con aria affranta.
La porta si aprì nuovamente. L'uomo grassoccio guardò i due. Aveva il viso tumefatto, il colletto della camicia e della giacca sporca di sangue.
Pete lo fissò per un momento.
Megan li osservò entrambi.
L'uomo grassoccio abbassò lo sguardo. "Scusate se... se vi ho lasciati in strada. Avevo paura. Io... non volevo che..." Incespicava con le parole. "Mi dispiace. Volevo... volevo farvelo sapere."
Pete era a disagio. Una parte di lui voleva prenderlo a pugni e buttarlo di sotto. Lo voleva così tanto che chiuse gli occhi e sospirò. Lanciò un'occhiata alla sua fidanzata, poi guardò l'uomo. "Ho perso la testa. Scusa per..." Gli indicò la faccia con la mano. "Per quello che ti ho fatto."
L'uomo dalla pancia prominente sollevò le spalle. "Beh, dopotutto me la sono cercata."
Megan accennò un sorriso. Era contenta di vedere che i due uomini si erano subito chiariti a modo loro. Un po' strano, pensò. Ma ne era felice.
"Sono Dario Rosso" disse l'uomo grassoccio.
"Pete Anderson."
"Io sono Megan Stuart" aggiunse la donna. "Dovresti mettere del ghiaccio sulla faccia."
Dario si guardò intorno. "Beh, non credo che troveremo del ghiaccio, qui."
Più Pete lo guardava, più una parte di lui si sentiva in colpa. Ma c'era sempre quella sinistra vocina che gli tornava in mente, che gli diceva di spaccargli la faccia a martellate. Se lo immaginava, martellata dopo martellata. Sangue, pezzi di cranio, l'occhio fuori dalle orbite. Scosse la testa e deviò lo sguardo verso il basso.
"Cosa facevi là fuori?" domandò Megan.
Dario abbassò lo sguardo imbarazzato. "Volevo lasciare la città, ma... ma non ci sono riuscito. Voglio dire, sono rimasto qui dentro per molto tempo. Ero chiuso in quel container laggiù, lo vedete? Quello lì. Con me c'era una donna. Mi aveva detto di seguirla, ma non ho voluto. Io... io ero terrorizzato. Non volevo uscire. Non con quei mostri là fuori."
"Quale donna?" chiese Pete, interessato.
"Non so il suo nome, ma sembrava, come dire, piuttosto decisa." Dario guardò il container. "È lì che l'ho vista l'ultima volta. Aveva una pistola e non sembrava per niente spaventata da quello che c'è là fuori."
Pete pensò subito a Jill. Forse parlava di lei.
Poi Dario ripartì di nuovo a scusarsi per averli abbandonati. Erano scuse sincere e si sentiva tremendamente in colpa.
Megan guardò la porta da cui erano entrati. "Quella è l'unica uscita?"
"No, c'è un'altra uscita sotto la passerella. Basta seguirla. Conduce in un vicolo, ma credo sia pieno di mostri."
"Zombie?"
"Sì, qualunque cosa siano quelle cose. Loro..." Fissò un punto nel vuoto. "Loro hanno ucciso mia moglie e la mia bambina... La mia bellissima bambina... Le ho viste morire e non..." Trattene le lacrime, finché cominciarono a rigargli il viso. "È colpa mia. Non ho fatto niente. Niente! Mi chiamavano. Gridavano il mio nome... Le ho lasciate morire..." Si coprì il viso bagnato con le mani, le spalle che sussultavano per i singhiozzi. "Sono un codardo... un codardo."
Pete sentì improvvisamente svanire tutto l'odio che aveva per quell'uomo e un fortissimo senso di colpa gli attanagliò lo stomaco.
Megan non sapeva cosa dire.
"Sono sbucati dal nulla" continuò Dario con gli occhi arrossati. "Hanno invaso l'hotel dove alloggiavamo. Hanno ucciso tutti. Li hanno divorati... e chi moriva, si alzava. L'ho visto. Si alzava. Mia moglie e la mia bambina. Loro... si sono alzate. Erano... erano diventate come loro..."
"Mi dispiace tanto..." disse Megan.
"Come sei fuggito?" domandò Pete.
L'uomo si asciugò il viso con la manica della giacca. "Dalla porta di servizio. Stavamo uscendo dall'ingresso dell'hotel, quando mi sono ricordato di aver dimenticato gli appunti del mio romanzo su in camera. Ho detto a mia moglie di aspettarmi lì. Quando sono sceso..." Si ammutolì per un momento, girando il volto arrossato. "Quei mostri avevano invaso l'hotel... Erano dappertutto. Uno di loro ha cercato di mordermi e sono fuggito dal retro." Scoppiò nuovamente a piangere.
Megan gli posò una mano sulla spalla per confortarlo.
"E come sei arrivato qui?" chiese Pete. "Per puro caso?"
L'uomo grassoccio annuì e si coprì il viso con una mano.
"Pete" disse Megan, fulminandolo con lo sguardo. "Non fargli altre domande!"



 

Nick correva sulla piccola pedana più veloce che poteva. Sentiva il pestoso alito dell'enorme alligatore dietro la nuca e il suo fremito gutturale vibrare sulle pareti. Raggiunse la porta, l'aprì e s'infilò rapidamente nella stanza buia, senza nemmeno controllare chi ci fosse all'interno. Temeva di più l'orrenda creatura.
Restò a fissare la flebile luce che entrava dalla fessura sotto la porta.
L'alligatore emise un strano tremulo, più forte e più intenso di quello precedente.
L'uomo se ne stava immobile, temendo di rivelare la sua posizione. Ma la spaventosa creatura sapeva dove l'uomo si era rintanato. Infilò una zampa nell'alcova, ma l'arto era troppo corto per raggiungere la porta. Tentò più volte di arrivarci, finché udì uno sparo.
Nick non ci fece caso e rimase immobile, il sudore che gli colava dalla fronte, le gambe che sembravano volersi piegare. Mentre l'orrendo alligatore si allontanava con ampie falcate, la recluta rimase a fissare lo spiraglio di luce.
Forse era passata mezz'ora o un'ora, non lo sapeva, ma finalmente si era deciso a muoversi e realizzò solo in quel momento di essere circondato dall'oscurità. Allungò le mani a tentoni, cercando un appoggio. Alle orecchie gli giungevano rumori lontani, confusi. Grida, gemiti e ringhi che si affievolivano quando cercava di capire da dove arrivassero. Poi toccò qualcosa. Un muro. Ci fece scivolare sopra la mano e lo seguì alla cieca.
Proseguiva lento, cauto, sforzandosi di vedere oltre l'oscurità totale.
Poi udì un urlo straziante dietro l'orecchio e trasalì, irrigidendosi per lo spavento. Era una voce da donna. Il terrore gli stava giocando brutti scherzi.
Quando fece per muoversi, altre voci e grida si aggiunsero al solitario urlo, riverberando tutt'attorno.
Qualcosa di freddo gli sfiorò l'avambraccio e si allontanò terrorizzato dalla parete. Si guardò intorno. Solo un'oscurità impenetrabile.
"Cosa cazzo sta accadendo?" si chiese. "Che cazzo succede?"
Le grida cominciarono a stordirlo e si tappò le orecchie per un lungo momento. Poi cercò di nuovo il muro con la mano, ma non trovò nulla. Niente.
Una fitta lo colpì allo stomaco. Un leggero fastidio, che divenne un lancinante dolore. Si piegò in avanti e percepì qualcosa muoversi nel suo addome. Strinse i denti e crollò sulle ginocchia, per poi accasciarsi in posizione fetale.
Qualunque cosa ci fosse al suo interno, la sentiva strisciare verso il suo petto.
Lanciò un urlo e si contorse sul pavimento.
La cosa arrivò alla gola.
Nick si portò le mani sul collo e si toccò la pelle rigonfia. Soffocava, il viso paonazzo, gli occhi fuori dalle orbite, le vene della fronte dilatate.
Quando stava per perdere i sensi, quella cosa strisciò fuori dalla sua bocca e sentì sulle labbra la viscida e squamosa pelle dell'essere. Poi tossì così forte, che gli fece male la base del collo.
Mentre riprendeva fiato, quella cosa cadde sul pavimento con un tonfo. Sussultò. Credeva che quella cosa fosse già strisciata via, invece le era rimasta un poco sui vestiti. Si trascinò con i gomiti fino alla parte, ci appoggiò la schiena e spaziò lo sguardo nell'oscurità. Sapeva che non avrebbe visto niente, ma cercava una luce, qualcosa che gli indicasse come uscire da lì.
Poi percepì un liquido oleoso sulla bocca. Quando fece per pulirsela, toccò solo le labbra screpolate.
Si accigliò. "Sto... sto impazzendo..?"
Le urla ritornarono più intense tutt'attorno. Scattò in piedi e avvertì un principio di vertigini. Restò fermo per un momento, poi seguì il muro. Lento, cauto, una mano poggiata sulla parete. Gli sembrava di camminare all'infinito.
Cercava di non dare troppa importanza alle grida, finché qualcosa di freddo gli accarezzò la mano e un alito di vento gelido gli sfiorò la nuca. Trasalì e si spiaccicò contro il muro, gli occhi sbarrati dal terrore.
Si guardò intorno. Solo tenebre e urla. Chi o cosa l'aveva toccato? E dov'era?
Rimase immobile per un lungo momento. Non sapeva cosa fare. Gli sembrava di essersi catapultato in un incubo da cui non riusciva a svegliarsi.
Posò la mano sul muro e proseguì. Doveva pur esserci una fine, un angolo, una porta, qualsiasi cosa. Il muro non poteva continuare all'infinito.
Poi scorse una luce. Una linea orizzontale. Una fessura fra il pavimento e la porta. Era di un bianco intenso, accecante, eppure i suoi occhi non ne erano infastiditi, ma attratti. Sentiva l'esigenza di toccarla, di entrarci dentro. Non desiderava altro.
Staccò le dita dalla parete e inciampò sui gradini, cadendo bocconi. Non si alzò, ma ci strisciò sopra a fatica. Fissava la luce, il raggio nell'oscurità. Doveva arrivarci, toccarlo. Tutto il resto non aveva più importanza. Quella luce lo svuotava, cancellava tutti i pensieri, i dolori e le angosce con cui aveva convissuto fino a quel momento.
Arrivò sull'ultimo gradino e allungò una mano per toccare quella luce sfavillante.
Venne inghiottito dall'oscurità.
Si sentì mancare il fiato.
"Era... era lì davanti" si disse in un sussurro. "Era lì..." Si portò le mani nei capelli e si cullò la testa avanti e indietro. "Sto... sto impazzendo. Sto impazzendo. Non è impossibile. Non è impossibile. Era lì, l'ho visto. Era lì..."
Le urla diventarono insopportabili e diversi ringhi si aggiunsero all'inquietante coro. Qualcosa gli afferrò un piede, poi l'altro e venne trascinato nel buio, lanciato contro le pareti.
Sputò sangue.
Poi qualcosa di pesante si sedette sul suo petto e lo schiacciò. Non riusciva a vederlo. Tentò di afferrarlo, ma non c'era niente. Nessuno. Cacciò un grido in preda al panico e scorse qualcosa davanti agli occhi.
Un Licker.
Il corpo dalla muscolatura esposta, il cervello visibile, la lunga lingua bavosa che frustava l'aria. Una fioca luce illuminava il volto mostruoso della creatura. Nick non riusciva a distaccarne lo sguardo. Non poteva essere vero. Non potevano averlo trovato di nuovo.
Il Licker gli leccò il viso, lasciandolo sporco di bava. Quando spalancò le fauci per attaccarlo, svanì insieme alla fonte di luce.
Nick indietreggiò con i gomiti. "Dove cazzo sono finito?" si chiese con il cuore che gli martellava nel petto. "Sono morto? Sono all'inferno? Dove cazzo sono?"
Si alzò in piedi e allungò una mano. Cercava il muro. Lo cercava con tutta la disperazione che aveva in corpo. Era l'unica cosa che lo faceva restare sano di mente. Se avesse continuato a seguirlo, prima o poi avrebbe trovato l'uscita.
Le dita si posarono sul muro. Sorrise.
"Devo seguirlo" iniziò a mormorare. "Devo seguirlo. Devo solo seguirlo. Solo seguirlo. Seguirlo." Parole biascicate che si perdevano nella sua mente, nella sua bocca.
Camminava imperterrito nelle tenebre, un passo dopo l'altro. Aveva totalmente perso la cognizione del tempo.
Qualcosa gli afferrò la caviglia. Una mano. Sentiva le dita ossute serrate sui pantaloni pregni di melma. Altre mani sbucarono dal pavimento, lo afferrarono, provarono a tirarlo giù. Le grida si trasformarono in lamenti angoscianti.
Nick cercava di rimanere calmo, ripetendosi che era tutto frutto della sua immaginazione.
Altre mani sbucarono dalle pareti e gli cinsero l'avambraccio. Lo trascinarono verso di loro e lo bloccarono contro il muro. Ne era sommerso. Le sue grida disperate si persero nelle loro. Gli strapparono giubbotto e maglietta facendoli a brandelli. Poi gli conficcarono le unghie nella carne e gli lacerarono la pelle. Una mano cercò di inserirsi nella bocca, ma lui scosse la testa, terrorizzato.
Mentre gli riducevano a pezzi i pantaloni, le mani scomparvero come fumo al vento. Le urla cessarono.
Cadde in ginocchio, gli occhi atterriti che guizzavano nell'oscurità. Sentiva il cuore implodergli nel petto, lo stomaco contorcersi, la bocca asciutta.
Un tetro silenzio era sceso tutt'attorno. Quando si voltò, scorse nuovamente la sottile luce filtrare tra il pavimento e la porta. Urlò.



 

Dario si era calmato e aveva raggiunto la saletta comune insieme a Pete e Megan. La donna si lavò le mani sporche di sangue nel lavello, utilizzando un detersivo per i piatti. Poi presero un caffè e delle patatine dal distributore e si sedettero a un tavolo rotondo. Fuori dal magazzino, i gemiti si erano fatti più intensi, interrotti da grida disperate o da uno o più spari in lontananza. Mangiarono e bevettero in silenzio.
Pete posò il bicchierino di plastica sul tavolo. "Pensavo al tragitto per arrivare alla centrale di polizia. Credo che..."
"Hai ancora intenzioni di andarci?" chiese Megan.
"È l'unico posto sicuro, lo sai."
"Non è sicuro" aggiunse Dario, aprendo il pacchetto di patatine. "Gli zombie l'hanno circondata. L'ho visto prima di venire qui."
Pete lo guardò. "Quando?"
"Non lo so. Forse tre ore fa."
"Magari i sopravvissuti si sono barricati dentro. Forse..."
"Pete" disse Megan. "Faremo meglio a lasciare la città. Non sappiamo se troveremo altri sopravvissuti. Meglio non rischiare."
"Non possiamo andarcene in giro senza sapere dove andare" rispose Pete. "Tutte le strade sono invase o lo saranno comunque. La centrale è l'unico luogo sicuro." Fece un pausa. "Possiamo chiedere aiuto con la radiotrasmittente della polizia."
Dario si cacciò in bocca delle patatine e parlò con la bocca piena. "Ho visto un elicottero schiantarsi sul tetto, ma..."
"E con questo?" domandò Pete.
L'uomo abbassò lo sguardo e si portò altre patatine in bocca.
"Meglio rimanere qui" rispose Megan, bevendo l'ultimo sorso di caffè. "Non sappiamo se la centrale sia sicura. Non mi va di tentare e poi ritrovarmi circondata dagli zombie. Non di nuovo."
"Siamo in un fottuto magazzino!" disse Pete in tono grave. "Per ora siamo al sicuro, ma prima o poi quei fottuti zombie entreranno e ci faranno a pezzi! La porta e le saracinesche non reggeranno a lungo." La guardò dritta negli occhi. "Vuoi rinchiuderti nell'ufficio? Quanto ci metteranno quei cadaveri a sfondare le pareti di gesso?"
Megan abbassò lo sguardo.
"Ci sono i container" aggiunse piano Dario, temendo l'ira Pete. "Possiamo nasconderci lì dentro."
Quello si accigliò e scosse la testa. "Stai scherzando, vero?"
L'uomo grassoccio non rispose.
"Vuoi seriamente chiuderti là dentro?" continuò Pete con fare aggressivo.
"Calmati, Pete" disse Megan. "Voleva solo essere d'aiuto."
Pete sospirò e guardò i residui di caffè nel fondo del bicchierino di plastica. "Voglio solo che tu sia al sicuro. Solo questo. E la centrale mi sembra l'unica soluzione."
"Sembra" sottolineò Megan.
Pete alzò le mani in aria. "Al diavolo, Meg!" Scattò in piedi e lasciò la stanza.
"Che vuole fare?" domandò Dario, preoccupato.
"Nulla di buono" rispose la donna.
Entrambi uscirono dalla saletta comune e lo seguirono. Pete raggiunse l'entrata dove Dario era entrato per la prima volta. Si fermò davanti alla porta e posò una mano sulla maniglia.
"Aspetta!" disse Megan. "Che vuoi fare?"
"Controllo il vicolo" rispose Pete. "E poi andrò alla centrale." Si girò a guardarla. "Sei con me o no?"
Megan era sconcertata. Come poteva piantarla su due piedi se avesse detto di no. "Sei impazzito?"
Pete sbuffò. "Come pensavo." Girò la maniglia e uscì.
Megan gli andò dietro, seguito da un Dario intimorito.
Lo stretto vicolo era vuoto. Pete s'incamminò verso la strada, finché due mani sbucarono da una piccola finestra e cercarono di afferrarlo.
Dario si spaventò e raggiunse la porta.
"Cazzo!" disse Pete, puntando la pistola. L'interno della piccola finestra era avvolta dall'oscurità. Altre mani sbucarono dalle altre piccole finestre laterali. L'uomo indietreggiò.
"Pete" disse Megan. "Torna dentro."
"No. O vieni con me, o resti lì dentro."
"Non dirai sul serio?"
"Ti sembra che stia scherzando?"
Megan lo fissò indecisa per un attimo. Aveva soppesato l'idea di restarne chiusa nel magazzino, ma non senza Pete. Si voltò verso Dario. "Vieni con noi."
"No, io resto qui" disse l'uomo grassoccio, guardando le mani putride agitarsi fuori dalla finestra.
"Ma non puoi restare da solo. Insieme saremo più al sicuro."
Dario si limitò a lanciarle un'occhiata distratta.
"Andiamo, Meg" disse Pete. Si abbassò per non farsi acchiappare dagli zombie e s'incamminò carponi verso la fine del vicolo. Si alzò. "Che aspetti, Meg?"
Dario spaziò lo sguardo sulle mani cadaveriche, poi sui due fidanzati. "Non ce la faccio" disse con il volto sudaticcio. "Non... non ci riesco."
"Avanti" rispose Megan. "Puoi farcela."
L'uomo grassoccio corrugò la fronte e cacciò l'aria dai polmoni. Quando fece per mettersi carponi, un ululato sovrastò i gemiti per un istante. Sbarrò gli occhi e corse goffamente verso la porta, chiudendosi all'interno.
Pete si voltò. Gli ululati si facevano vicini. "Datti una mossa, Meg!"
"Torniamo indietro!"
"No!"
"Ma li senti?"
"Vuoi venire con me o no?"
Megan lo guardò indecisa. Non sapeva cosa fare. Gettò un'occhiata alla porta di ferro, poi verso Pete, fermo in fondo al vicolo. Si chinò a carponi e lo raggiunse, le mani putride che si muovevano sopra la sua testa.
Gli ululati si erano fatti ancora più vicini e giungevano da oltre il vicolo, bloccato da un furgone grigio con la porteria scorrevole aperta. La carrozzeria era puntellata da fori di proiettili. Un cadavere sedeva al posto di guida. Quando ci entrarono, scorsero un branco di cani zombie correre verso la loro direzione. Il tanfo di carne marcia costrinse i due a tapparsi il naso.
Megan strinse terrorizzata il polso di Pete, che le cinse le spalle con un braccio.
Il branco si fermò a cinque metri dal veicolo e fiutarono l'aria. Il cane Alpha drizzò le orecchie mangiucchiate e si guardò intorno.
Megan e Pete restarono fermi e respirarono molto lentamente.
Mentre il branco si voltava a destra, confusi dai molteplici odori nell'aria, il cane Alpha si allontanò e annusò l'asfalto per un lungo momento.
Un violento boato proruppe in lontananza.
Megan strillò per la paura.
I cani zombie voltarono i musi scarnificati verso di lei, poi dalla parte opposta. Si guardarono intorno, spaesati, impauriti, e iniziarono a guaire e indietreggiare. Il cane Alpha alzò il muso verso il cielo e cacciò un lungo ululato.
Il branco si voltò verso la nube di polvere che invase la strada. Una donna correva tra le auto, guardandosi ogni tanto le spalle. Si fermò a pochi passi dal branco, ringhiante. Poi quelli guairono e fuggirono via tra i veicoli imbottigliati.
Jill si girò appena in tempo per scansarsi dalla traiettoria di un grosso pugno. Il Nemesis ne sferrò un altro, ma la donna lo deviò nuovamente.
"STAAAARS!" Mormorò l'essere.
Megan fece per gridare, ma Pete le tappò la bocca con una mano. "Zitta!"
Jill scavalcò una transenna della polizia e sparì tra i veicoli abbandonati, seguita dal Nemesis nella sua andatura rigida e decisa.
"STAAAARS!" "Era Jill" disse Megan.
"Lo so" rispose Pete. "L'ho vista anch'io."
"Quella cosa la sta ancora inseguendo."
"Già."
"Ma perché?"
Pete aggrottò la fronte, perplesso.
"Sembra che ce l'abbia con lei" aggiunse Megan.
"Non puoi esserne sicura."
"A me sembra così." Guardò Pete. "Perché mi hai tappato la bocca? Poteva venire con noi!"
Lui aggrottò la fronte. "Certo, con il suo amico alle calcagna."
"Ma che ti succede? Perché sei così scontroso?"
"Non lo sono."
"Lo sei!"
"Come ti pare." Pete aprì la portiera del conducente, spinse il cadavere a terra e scese dal furgone.
Megan lo seguì poco dopo.
S'incamminarono lungo il marciapiede, tenendosi lontani dai vicoli e dai cadaveri. Il tanfo di putrefazione ammorbava l'aria e pile di cadaveri erano disseminati lungo le pareti degli edifici forate dalle pallottole.
"Fucilati" si disse Pete. "Forse dalle squadre SWAT. Figli di puttana..."
La maggior parte di loro aveva fori in testa. C'erano anche diversi non-morti tra loro, i corpi ridotti a brandelli dai proiettili.
"Quando questa storia sarà finita, voglio vedere proprio come il capo Irons si tirerà fuori da questo casino" borbottò fra sé. "Sempre se quel bastardo non sia già morto."
"Cosa hai detto?" domandò Megan.
"Niente."
La donna si accigliò.
Si fermarono davanti alla cancellata del posto di blocco. Oltre la rete di metallo, a settanta metri, una decina di zombie. Uno era della SWAT. Aveva il casco antisommossa imbrattato sangue e la schiena squarciata da cui s'intravedevano le vertebre. Sacchi di sabbia, un mitragliatore e due furgoni blindati con la parola SWAT in bianco sul fianco della carrozzeria erano disseminati lungo la strada macchiata di sangue rappreso e arti spolpati.
"Come facciamo a superarla?" chiese Megan.
"Ci tocca passare dai vicoli" rispose Pete.
"Ma ci faranno uscire su Mission Street. La stazione di polizia è dall'altra parte, a cinque isolati."
"Lo so, ma non abbiamo altra scelta." Pete scosse la rete metallica. "È solida, visto?"
"Potremo arrampicarci."
"E come supereremo il filo spinato? Rimarremo impigliati. Meglio non farlo."
"Ma..."
"Basta! Si fa come ho detto."
Si allontanarono dal posto di blocco e s'inoltrarono nell'ampio vicolo alla loro sinistra. Due zombie morti giacevano bocconi vicino a una porta di ferro. Cassonetti e bidoni erano ribaltati a terra e alcuni ostruivano loro il passaggio. Quando svoltarono l'angolo, due cani zombie divoravano le interiora di una giovane donna, il corpo ridotto a brandelli. Un braccio mangiucchiato era poco distante dal busto squarciato. Alcune ciocche di capelli sporche di sangue rappreso puntellavano la testa scarnificata.
Le due creature non li notarono, finché Megan indietreggiò e calpestò un barattolo vuoto di aranciata.
Quelli drizzarono le orecchie e puntarono i musi dalle fauci aperte e insanguinate verso di loro.
Pete puntò loro la pistola e Megan gli si nascose dietro le spalle.
I due cani zombie ringhiarono e si divisero per accerchiarli. Si muovevano lenti, guardinghi, le zanne lorde di sangue che gocciolava al suolo.
Appena Pete e Megan fecero per indietreggiare, un cane zombie si scagliò contro di loro. Uno sparo echeggiò nel vicolo. L'animale venne centrato a mezz'aria, nel collo, e crollò a terra. Fece per risollevarsi, ma un proiettile si conficcò nel cranio. Quando Pete puntò la pistola verso l'altro cane zombie, quello gli saltò addosso e la pistola gli scivolò di mano. Lo afferrò per il collo putrido e lo tenne distante dalla faccia che cercava di mordere. Della bava gli colò dalla bocca e finì nell'occhio del poliziotto.
"Vattene, Meg!" urlò Pete, faticando a tenere lontano il muso del cane zombie. "Vattene via! VAI!"
Megan afferrò la 9mm e si avvicinò piano e tremante alle spalle del cane zombie, tutto preso dalla sua preda. Quando gli fu a un passo, prese la mira e gli sparò in testa. La pallottola gli squarciò il cranio e crollò sul fianco.
Il rinculo della pistola le fece scivolare l'arma dalle mani e cadde a terra, facendo partire un colpo. La pallottola centrò un bidone. Pete la guardò sbalordito e si alzò velocemente in piedi. "Grazie, Meg." Raccolse la pistola.
La donna era scossa e tremante.
"Ehi." Le prese le mani. "Va tutto bene."
Megan lo abbracciò con gli occhi lucidi. "Potevi..." singhiozzò. "Potevi morire."
"Lo so." Pete le accarezzò i capelli dietro la nuca. "Ma non è successo."
Lei si staccò di poco dall'abbraccio e lo guardò dritto negli occhi. "Non voglio perderti, Pete. Non voglio."
"Nemmeno io, Meg. Nemmeno io."
Si strinsero forti.

   
 
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