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Autore: Autumn Wind    24/02/2022    2 recensioni
La guerra è finita: Voldemort è stato sconfitto, con l’inaspettata sopravvivenza di Piton e Lupin. Hogwarts rinasce dalle sue ceneri come un’eburnea fenice, mentre Harry, Ron ed Hermione percorrono le strade che hanno sempre pensato appartenere loro, anche se si sono rivelate molto diverse da quanto sperato. Agli occhi di Harry c’è, tuttavia, qualcosa di profondamente sbagliato nell’andare avanti pur avendo perso tutto, pur avendo permesso che così tante persone morissero per lui.
E proprio sulla scia di questi pensieri, alla commemorazione della Battaglia di Hogwarts, il bambino che è sopravvissuto e la strega più brillante della sua età si troveranno, grazie ad un misterioso libro sepolto nella biblioteca della scuola, a riportare inconsapevolmente indietro i perduti ed i dimenticati, sconvolgendo completamente il sentiero sinora già perfettamente tracciato dal destino, separando e congiungendo anime indissolubilmente legate, come quelle della tenace Hermione e dello sfuggente Severus Piton. Perché l’amore spinge tutti noi a compiere azioni a volte folli, a volte irrazionali, ma, nonostante tutto, è la cosa più preziosa che abbiamo …
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Capitolo Due
Il Libro del Destino

And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am
(Iris, Goo Goo Dolls)
Severus Piton non si era mai considerato un uomo fortunato. Straordinariamente bravo ad attirare su di sé vere e proprie calamità naturali dai contorni dei Potter, forse, ma l’aggettivo ‘fortunato’ decisamente non si addiceva alla sua persona.
Seduto nel suo ufficio negli umidi sotterranei di Hogwarts, circondato da una tranquilla luce smeraldina proveniente dalle finestre affacciate sulle profondità del Lago Nero, dalle centinaia di libri abbarbicati sugli scaffali tra bizzarri oggetti e dalle ampolle di mille forme, piene di ingredienti d’ogni sorta, rifletteva pensosamente su questo, torturando il bracciolo della poltrona con il suo insistente picchiettare. Accavallò le gambe e, dopo essersi versato una generosa dose di whisky incendiario, lo tracannò in un sol sorso, senza curarsi di quanto simile a suo padre apparisse in quel momento. Oramai non gli importava più nemmeno di quello che un tempo era la sua unica ragione di vita …
Ghignò, beffardo, osservando il torbido liquido ambrato vorticare lentamente nel bicchiere ed esplodere in mille riflessi aranciati prima di sbuffare, passandosi una mano sul viso, ora più che mai stanco: aveva solo quarant’anni, per Merlino! Quand’era diventato così patetico? Non era mai stato incline all’autocommiserazione …
“Questa è una bugia, lo sai anche tu, Severus …” sottolineò la sua coscienza, che, improvvisamente, aveva la voce ed i brillanti occhi azzurri stemperati da un riflesso a mezzaluna di Albus. A quel pensiero, strinse la presa delle dita attorno al bicchiere: quanto tempo era passato dalla battaglia di Hogwarts? Due anni non erano poi così tanti, eppure a lui sembravano un’eternità, un’intera vita da passare in attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato.
Il suo cuore, troppo piccolo, scuro ed inacidito dal tempo e dall’odio che gli era stato riversato gratuitamente addosso, aveva smesso d’illudersi che le cose migliorassero, che avrebbe potuto riscattarsi dalle colpe passate e che qualcuno avrebbe voluto vedere oltre la corazza che si era costruito addosso, quella muraglia di sarcasmo ed austerità che impediva a chiunque di scrutare più in là della muraglia di insulti e silenzi.
Ci aveva sperato, però e, probabilmente, una parte di sé, la più autolesionista, continuava a farlo, ma aveva vissuto una vita troppo piena di fantasmi per credere ancora nelle favole e quegli spettri che ancora lo tormentavano ogni notte. Erano ombre di marchi neri, occhi color rubino che in un grido disperato ed uno spruzzo di sangue diventavano iridi verdi e capelli rossi, barbe argentee ed occhiali a mezzaluna.
Aveva sperato che non avrebbe mai più rivisto quelle immagini, che non avrebbe più sentito un bel niente: quando Nagini aveva affondato i denti nel suo collo, non si era sentito spaventato, anzi, era sollevato, quasi felice, a modo suo, di non dover più sopportare tutto quell’odio ed il peso di ciò che aveva fatto. Avrebbe solo dovuto donare le sue memorie a Potter, guardare per l’ultima volta gli occhi di Lily e fine della storia. E, invece, no … quel suo stupido, testardo, illuso ed amaro cuore batteva ancora, per qualche strana ed assurda magia che solo lui sapeva essere opera di Fanny. Se solo quel maledetto piccione troppo cresciuto si fosse fatto gli affaracci propri (su ovvia richiesta ante mortem di Albus stesso), si sarebbe risparmiato l’umiliazione di essere ancora vivo, con la gola squarciata e la voce gracchiante, di essersi dovuto sorbire scuse lacrimose, ringraziamenti colmi di falsa gratitudine ed occhiate di compassione da parte di colleghi, impiegati del ministero, studenti e conoscenti. E, cosa più importante, avrebbe evitato lo sgradevole sorriso di Potter che, puntuale come un orologio, si presentava ogni santo giorno al suo capezzale al San Mugo per ringraziarlo e chiedergli di sua madre, domande a cui, peraltro, non aveva mai risposto. Aveva già dovuto subire la mortificazione di vedere le sue memorie spiattellate al mondo magico, doveva anche sorbirsi la pietà di quel ragazzino pigro ed arrogante? Non se ne parlava.
Certo, in quei due anni, aveva tentato di fuggire dalla sua vecchia vita … ci aveva provato seriamente, rifugiandosi a Spinner’s End con un mappamondo comprato in una ridicola cartoleria babbana sotto gli occhi di due ragazzetti intimoriti, pronto a scegliere il luogo dove passare quel che restava della sua vita in totale e perfetta solitudine, ma, a quanto pareva, il suo destino era fare da babysitter al bambino-sopravvissuto-per-tormentargli-l’esistenza. Potter e Minerva si erano letteralmente accampati fuori da casa sua ogni giorno per mesi, implorandolo quasi in ginocchio di tornare ad insegnare ad Hogwarts e di accettare l’Ordine di Merlino di Prima classe conferitogli dal ministero. Avevano straziato tanto la sua già agitata vita da farlo riflettere sul fatto che, effettivamente, non avrebbe potuto arrivare molto lontano senza alcun sostentamento. Si era, così, seppur malvolentieri, visto costretto ad accettare di tornare al suo vecchio posto di insegnante di pozioni, a fare da babysitter a decine e decine di teste di legno e capocasa a dei Serpeverde oramai privi di guida, nonché, su insistenza dell’impossibile Minerva, (per forza, era una Grifondoro, anche se non completamente idiota, per Merlino!) da vicepreside, per poi rintanarsi ogni sera nelle sue cupe stanze, avvolto nell’ombra e nella solitudine che tanto gli erano familiari, a passare notti insonni in cui non faceva che vedere sangue sulle sue mani, lo stesso che avevano versato lui e sua madre a causa di suo padre, quello degli innocenti che aveva guardato morire ridendo con gli altri Mangiamorte e quello delle persone la cui morte aveva causato con le sue riprovevoli ed imperdonabili azioni.
E, così, i mesi si erano trascinati, anche quel giorno era arrivato e di nuovo Severus Piton si ritrovava a fare da spettatore ad una vita che detestava, in una stupida ed inutile seconda possibilità che non aveva mai chiesto né, tantomeno, desiderato o meritato.
Il suo volto si contorse in una smorfia disgustata e subito riprese il whisky incendiario: due anni. Aveva passato i due anni più tranquilli della sua vita, senza più colpe da espiare, vecchi pazzi da assecondare e seguire, maghi oscuri da ingannare e missioni segrete da portare avanti: ora, nella sua cupa esistenza, c’era posto solo per i compiti da correggere e le punizioni che infliggeva con soddisfazione a quella marea di ragazzetti che si permettevano anche solo di insinuare che ci fosse del tenero in lui. Potter era cresciuto, era sano e salvo, come non mancava mai di scrivergli ogni mese tramite le sue sdolcinate lettere di resoconto della sua seccante vita a cui non rispondeva mai e lui non aveva semplicemente più niente per cui valesse la pena andare avanti. Sopravviveva, trascinandosi nella routine, guardando la vita svegliarsi e gli altri andare avanti e prendere le loro strade, trovare la pace … era la sua condanna, dopotutto: vedere la felicità negli altri, senza poterla mai neanche solo sfiorare. C’era stato un tempo in cui l’aveva avuta vicino a sé, ma era stato così stupido da lasciarsela scappare … anzi, da farla scappare.
Si passò una mano sul marchio nero, ancora impresso nella sua carne, seppur scolorito: avrebbe dovuto essere là fuori, ben vestito e pettinato, ad assistere alla commemorazione e, perché no, applaudire ed intervenire con un brillante discorso, come Minerva lo aveva pregato di fare. Non c’era andato, ovviamente: era solo colpa sua, del resto. Se avesse compiuto le scelte giuste, quanti di quelli che oggi stavano piangendo sarebbero stati vivi? Quante madri sarebbero state ancora lì, assieme ai figli? E Lily? E Silente? No: non poteva presentarsi lì a ricevere complimenti che non meritava da gente che non lo pensava veramente. Se c’era una cosa che non gli era mai appartenuta era la presunzione di essere perfetto. Sapeva fin troppo bene di essere sbagliato, di aver commesso solamente errori ed avrebbe continuato a crogiolarsi nel suo personale rimpianto fino alla morte.
Tracannò altro whisky quando una voce ruppe il silenzio assordante della stanza. “Non dovresti essere qui, Severus …”
Il mago alzò gli occhi al cielo e si volse, visibilmente infastidito: alle sue spalle, nella cornice del suo quadro, Albus Silente lo fissava con un sorriso snervante ed accomodante. “E dove diamine dovrei essere, sentiamo? Alla fiera degli gnomi di Diagon Alley?” ribatté, acido. “Là fuori, alla commemorazione ad accettare quell’Ordine di Merlino di Prima classe, ad esempio … te lo meriteresti.”
“No.”
“Perché non …”
“Perché di no.”
“E perché?”
Piton alzò gli occhi al cielo e lo ignorò prima che il quadro riprendesse a parlare. “Severus …”
“Dannazione, Albus: se non fossi mai nato, quella cerimonia oggi non avrebbe luogo.”
“No, certo: avrebbe luogo la commemorazione del funerale di Harry Potter, infatti.”   
“Sciocchezze!”
“Severus, ragazzo mio, ti prego … smetti di incolparti per tutto, di vivere nel passato: sei vivo, devi andare avanti e vivere una vita felice, quella che ti meriti e che non hai mai avuto … te ne è stata data l’opportunità, vuoi davvero sprecarla così?”
“Sì e, soprattutto, non voglio passarla ad ascoltare i consigli di un vecchio pazzo che più di tutti dovrebbe avercela con me ...”
“E perché mai?”
“Sono io che ho ucciso te, non il contrario, ricordi?”
“Mi sono sempre chiesto se riuscirai mai a perdonarmi per quello che ti ho chiesto …”
“Tsè … io dovrei perdonarti …”
“Avresti bisogno …”
“Avrei bisogno …” eruppe Piton, balzando in piedi e raggiungendo il quadro con il whisky ancora tra le mani. “Di essere lasciato in pace a passare il resto di questa stupida vita facendo quello che mi pare. Almeno questo … mi ritrovo già con una seconda possibilità che non ho chiesto …”
“E cos’avresti voluto?”
“Lo sai benissimo, l’avevate previsto, tu e quel tuo uccellaccio del malaugurio ...”
“Credi davvero che avresti trovato la pace morendo? Se desideri la felicità, quella vera, quella che meriti più di tutti, la devi cercare qui, adesso, non in un mondo dove non c’è posto per le anime irrisolte e tormentate, Severus. Pensaci.”
Piton lo fissò, imperscrutabile, per qualche istante prima di finire il whisky e gettare il bicchiere sul tavolo. “Vecchio pazzo!” sibilò, dirigendosi a passo sicuro verso la camera, dove, almeno, avrebbe potuto essere lasciato in pace.
Aveva già stretto le lunghe dita affusolate alla maniglia, quando una voce dietro la porta lo fece sobbalzare. “Professor Piton! Professore! Sono Harry …”
Piton alzò gli occhi al cielo, aprendo la porta con un gesto secco, quando la voce riprese: “So che è qui, è inutile che faccia finta di non sentirmi: Peeves mi ha detto dove trovarLa. Ed anche Gazza.”
Albus, dal quadro, ridacchiò. “Perspicace il ragazzo!”
“Dannato fantasma impiccione e dannato guardiano filobabbano!” sibilò Piton, percorrendo il salotto ad ampie falcate e spalancando la porta del suo ufficio: dinanzi a lui, Harry Potter, in jeans, camicia e giacca, lo fissava con i grandi occhi verdi spaesati e colmi di incertezza. Severus deglutì: dopo tutti quegli anni, quelle iridi avevano ancora il potere di riaprire la voragine che aveva al posto del petto.
“Che cosa vuoi, Potter?” tuonò, spostando lo sguardo sul suo vestiario. “Non sapevo che il regolamento della scuola fosse diventato improvvisamente più lasco circa l’abbigliamento richiesto per le cerimonie … o devo forse pensare che sia l’ennesimo favoritismo per il favoloso bambino sopravvissuto?”
“No.” sospirò Harry, senza scomporsi: dopo tanti anni, si era abituato al sarcasmo di Piton. A tratti ed in piccole dosi, era quasi divertente …
“Perché sei qui?” riprese il professore. “Per chiederLe se Le andrebbe di venire alla commemorazione.”
“No. Ora sparisci ...”
“Perché no? Perché non vuole venire, intendo … dovrebbe accettare quell’onorificenza … se lo merita! E tanti vorrebbero ringraziarLa …”
“Altrettanti vorrebbero vedermi sottoterra …”
“Ma non io!”
“E tu perché diamine sei qui, invece di startene là a godere della gloria che sicuramente il mondo magico ti starà riversando addosso?”
Harry fece una pausa e sospirò. “Non ce la facevo: continuavo a pensare … alle persone morte, capisce? E non ne potevo più … ed allora, ecco … beh, ho pensato …”
“Di tormentarmi l’esistenza, come se non l’avessi già fatto abbastanza, certo!” bofonchiò, fissando il volto emaciato del ragazzo: non sembrava stare un granché bene. Non che fossero affari suoi, beninteso … che si tormentasse pure con i rimpianti: era uno scorcio sul mondo in cui lui barcollava da anni …
“Te l’ho già detto anni fa, Potter: la vita non è giusta. Persone che non dovrebbero muoiono ed altre che lo meriterebbero sopravvivono … prima ci fai l’abitudine, meglio sarà. Perciò, ora levati quell’espressione ebete dalla faccia, datti una sistemata a quel dannato aspetto e torna là a svolgere il tuo dovere di eroe del mondo magico. E, soprattutto, levati dalla testa l’astrusa idea che possiamo essere amici, perché è assolutamente fuori discussione!” concluse Piton, richiudendogli la porta in faccia senza troppe cerimonie.
Rimasto solo, Harry sospirò: non c’era rimasto male. Se l’aspettava, in fondo: gli rispondeva così ogni volta da due anni. Ma almeno quel giorno non gli aveva chiuso subito la porta in faccia, era un passo avanti.
In silenzio, si volse e percorse a ritroso la buia ed umida strada che, dai sotterranei, conduceva ai piani superiori, deserti più che mai. Per un po’, vagò su e giù per le scale, beandosi della fresca penombra rosata ed aranciata della sera che filtrava dalle vetrate, illuminando le vecchie pietre e gettandovi lunghe ombre. Giocherellò per i gradini, fino a quando non si decise ad avviarsi in biblioteca: era l’ultimo posto al mondo dove l’avrebbero cercato e, al momento, aveva un gran bisogno di restare solo.
Facendo scricchiolare la vecchia porta, sgusciò nella stanza.
La vecchia biblioteca non era affatto cambiata rispetto a quando vi passava le ore, facendo ricerche e studiando: gli alti scaffali divoravano le pareti, stracolmi di volumi d’ogni sorta ed i tavoli in legno scuro intervallavano appena quel labirinto di carta. Con un sospiro, Harry sedette alla prima postazione disponibile, prendendosi la testa tra le mani: davvero non sapeva cosa gli fosse preso. L’anno precedente era riuscito a gestire bene la tensione, aveva fatto il suo discorso e si era seduto senza mostrarsi troppo scosso … eppure, più tempo passava, più il senso di colpa sembrava peggiorare. Frugò in tasca ed estrasse la fotografia che, anni prima, gli aveva dato Sirius: ritraeva l’Ordine della Fenice ai tempi della Prima Guerra Magica. Sorrise alle immagini sorridenti dei suoi genitori e di Sirius e sfiorò con un sospiro il volto di Silente. Gli mancavano, tutti … avrebbe voluto avere accanto a sé i saggi consigli del vecchio preside, i malandrini commenti del suo padrino che lo esortavano a rischiare ed a buttarsi e, soprattutto, avrebbe voluto essere un bambino normale, con due genitori che lo aspettavano a casa ogni Natale … avrebbe rivoluto Edvige, per accarezzarla, Dobby, per ridere e Malocchio per farsi rimproverare.
Sentì le lacrime premergli prepotentemente contro le palpebre, ma le ricacciò indietro: non avrebbe pianto. Doveva essere coraggioso, lo era stato per tanto … forse, si era solo stufato di essere forte.
Uno scricchiolio alle sue spalle lo fece sobbalzare, ma si rilassò notando che era solo Hermione. Vedendogli gli occhi arrossati, gli sorrise, raggiungendolo e si sedette accanto a lui con un sospiro. “Come sapevi dov’ero?” chiese Harry. Lei fece spallucce. “Semplice: qui nessuno sarebbe mai venuto a cercarti.”
Il ragazzo rise. “A volte dimentico che sei la strega più brillante della sua età, Herm …”
“Faccio quello che so fare meglio.” annuì lei. Solo allora sembrò notare la foto tra le mani del suo amico. “Ti mancano, vero?”
Harry annuì. “Tantissimo e più passa il tempo, peggio è. E so che è sbagliato, ma ..”
“Nessuno può dirti cos’è sbagliato provare e cosa no, non credi?”
“Forse, ma … beh, in realtà lo fanno. Tutti.”
“Lo so, lo fanno anche con me: mi dicevano che era giusto amare Ron, punto e basta. Ed anche che è giusto scordare i miei genitori …”
A quelle parole, Harry rialzò gli occhi, incontrando quelli nocciola di Hermione colmi di lacrime. “Non sei ancora riuscita a restituire loro i ricordi?” mormorò. La strega scosse il capo e si asciugò gli occhi con una mano. “No … però sono al sicuro, mando regolarmente un gufo a controllare che stiano bene … ed in effetti stanno benissimo: vivono in un luogo da sogno, hanno un lavoro ben retribuito … solo che un pezzo della loro vita è assente. E che quel pezzo sono io … sono stata una stupida a cancellare i loro ricordi!”
“L’hai fatto per proteggerli, Hermione …”
“Ma ho sbagliato. Così come ho sbagliato a rifiutare ogni carriera al ministero e l’aiuto dei signori Weasley, forse …”
“Pensavi fosse giusto …”
“E lo è, ma … beh, a volte vorrei che le cose fossero andate diversamente, ecco: vorrei avere una seconda chance, per tutto. E, invece, sembra che non riesca a liberarmi da questa specie di limbo in cui mi trovo da dopo i M.A.G.O. … e chi l’avrebbe mai detto: Hermione Jean Granger, la strega più brillante della sua età, che non sa che diamine fare della sua vita …”
Oramai, Hermione piangeva silenziosamente ed Harry, istintivamente, le strinse la mano. “Siamo sulla stessa barca!” sospirò prima di alzarsi ed iniziare a vagare tra gli scaffali, osservando i dorsi dei libri con aria assorta. “Un modo gentile per dire che siamo due pessimi eroi di guerra … a Ron, invece, la parte riesce benissimo!” sospirò Hermione. “Pensa che ha avuto il coraggio di dire che era colpa mia se te n’eri andato … ma, dico …”
“Ecco, vedi, questo ti fa capire che almeno sulla vostra relazione non hai sbagliato …” rise Harry, prendendo un vecchio volume che aveva atterrato la sua attenzione: si trattava di un vecchio tomo color smeraldo ingrigita dalla polvere, sigillato da un vecchio lucchetto arrugginito. La copertina era finemente intagliata e ritraeva un albero i cui rami e le cui radici sembravano sostenere il cielo e la terra, ospitando decine di animali diversi e talmente vividi da sembrare reali …
“Si tratta di Ygdrasill.”
Harry si volse verso Hermione, che, ricompostasi, l’aveva raggiunto ed ora stava fissando il libro. “L’hai letto?” le domandò. “No, ma riconosco l’immagine … nella mitologia nordica, è l'albero cosmico, l'albero del mondo, nonché fonte della vita, del sapere e del destino di tutti gli uomini.”
“Però … la solita secchiona non si smentisce mai!”
“Dai, Harry!” rise Hermione, dandogli un buffetto. “Comunque, è un volume molto vecchio … forse è una raccolta di miti nordici …”
“Forse … che dici, potrei prenderlo per leggerlo?”
“No!” esclamò lei. “Devi chiedere a …”
“Lo so, Hermione, lo so … scherzavo!” sbuffò, tornando a sfiorare i rami e gli animali. “Sai, credo che, alla fin fine, il mio problema sia uno solo: vorrei che fossero qui. Sirius ed i miei, perlomeno, vorrei tanto che fossero qui …” mormorò, mentre una lacrima gli cadeva dagli occhi color smeraldo, finendo sulla serratura.
Quel che accadde dopo, fu un autentico mistero: dal libro, di colpo, si sprigionò una forte luce e, prima che Hermione o Harry potessero dire o fare qualunque cosa, un forte vento iniziò a spazzare la biblioteca, facendo tremare scaffali, pareti e libri sino a formare un vortice di carta e legno. Poi, così com’era iniziato, tutto svanì ed il mondo divenne improvvisamente buio.

“Lupin, sei sicuro di non aver bevuto anche oggi?” sbottò Piton, procedendo a grandi falcate verso la porta della biblioteca. “Te l’ho detto, Severus: sono entrambi spariti e la mappa del malandrino indica chiaramente che si trovano in biblioteca.” sospirò Remus, seguendolo più lentamente. “E, in ogni caso, non credo di essere io ad aver esagerato con l’alcool, o sbaglio?”
Piton si bloccò sul posto, voltandosi a fissarlo con sguardo furibondo. “Potresti anche evitare di fare l’amico premuroso ed il professore gentile, sai? La tua autocommiserazione è ben peggiore di quella di chiunque altro, figurarsi della mia!”
“O forse è uguale …”
“Ti ho trovato ubriaco alla stamberga strillante a piangere, Lupin!”
“Ma anche tu t stavi ubriacando, poco fa …”
Severus parve tacque per qualche istante, senza, tuttavia, levarsi il suo solito ghigno dalla faccia, prima di ribattere: “Non hai un marmocchio da cui tornare?”
“C’è Andromeda con lui e, poi, sarà questione di poco, se ci sbrighiamo … ma dipende anche da te, non solo da me …” ridacchiò Lupin, che si stava innegabilmente divertendo. “Accidenti a Minerva ed alle sue idee …” sbuffò Piton, spalancando la porta della biblioteca.
Ciò che si palesò dinanzi ai loro occhi, tuttavia, li lasciò talmente basiti da costringerli a fermarsi sull’uscio, muti ed immobili, per diversi secondi prima che Lupin potesse deglutire e mormorare: “Ma … quelli sono … sono … James … e … e … Sirius. E quella è …”
“Lily …” sussurrò la voce bassa, roca e strozzata di Severus, tradendo una segreta speranza custodita gelosamente per anni ed il rimpianto di un amore mai del tutto passato.

 
  
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