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Autore: robyzn7d    25/02/2022    3 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXVII
Il passato del futuro 
– parte prima 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ritornata sul ponte della nave, Nami dovette ripararsi gli occhi dal riverbero dei raggi solari per mezzo di una mano, nonostante stesse ormai calando la sera. Si guardò subito intorno, alla ricerca di qualcosa o qualcuno, ma tutto ciò che vide furono Usop e Franky che litigavano a prua riguardo un pezzo di metallo che il carpentiere girava tra le mani, mentre Brook, in lontananza, ogni tanto osservava nella loro direzione quando si distraeva dal comporre una nuova melodia. 
“Dov’è Rin?” domandò ai due più vicini, che si volsero nella sua direzione solo in quel momento, segno che non si erano accorti prima della sua presenza.
“É con Robin da qualche parte, forse sono andate a poppa…” la informò il cecchino alzandosi in piedi e raggiungendola svelto mentre la scrutava perplesso. “É successo qualcosa?” 
Inizialmente la sua domanda era curiosa e il tono ammiccante poteva essere frainteso, fintanto che qualcosa di diverso nello sguardo di Nami lo aveva fatto ritornare serio.
“É successo qualcosa!” puntualizzò allora, mettendo le braccia sui fianchi e fissandola con una curiosità ormai appassita. 
“Non é successo niente, invece!” rispose lei, disinteressata, incamminandosi per raggiungere la parte opposta dell’imbarcazione. 
Usop, indispettito, lasciò Franky ad armeggiare con quel pezzo di metallo, seguendo la compagna verso poppa.
“Guarda che lo so che Rufy ha spiatellato quella cosa a Zoro…e lui che ha fatto? Come ha usato l’informazione?”
Nami continuava a non dargli peso, anche se al nome di Rufy scosse la testa, facendo tremare il cecchino per un solo secondo, quando la vide biascicare un “quello quando lo trovo me la pagherà cara…
“Allora?” 
Nami si voltò solo un attimo verso l’amico, allontanandolo da lei con la mano coi suoi soliti modi poco gentili e con quel suo carattere un tantino irascibile, specie quando si sentiva toccata emotivamente da vicino. 
“Ti dico che non é successo niente con quel cretino.”
In altre occasioni Usop non le avrebbe creduto, nemmeno se lo avesse pregato, ma stavolta non era così dubbioso delle sue parole, dal momento che, in effetti, la preoccupazione dell’amica sembrava essere assai più lontana dallo spadaccino. 
“Bene!” incrociò le braccia al petto fermandosi improvvisamente quando ormai erano quasi arrivati a poppa. “Allora potresti distrarlo un po’, mentre io mi occupo di riparare una cosuccia in palestra?” 
Nami si voltò stranita verso di lui, con un punto di domanda dietro alla nuca e una strana sensazione, seppur non del tutto incuriosita dagli ‘affari’ di Usop. “Che hai combinato?” Scosse però la testa contrariata ma soprattutto indifferente alle sue malefatte segrete “…e poi lo sai che appena potrà muoversi correrà ad allenarsi, ed io non posso proprio farci niente!” gli rispose mentre tendeva l’orecchio in aria, catturata da una voce femminile non troppo lontana da loro. 
Il cecchino, furbo, decise di giocare allora una vecchia carta strategica, dando vita ad una esclamazione fintamente stupita. 
“Ah. Vuoi dire che Nami, la famosa gatta ladra, non é capace di obbligare un solo uomo a fare quello che vuole? Che c’è, hai perso il tuo tocco?” 
Disturbata dal suo chiacchiericcio, la rossa scoprì subito la tattica del pirata, che, stupidamente, tirava fuori le stesse strategie che lei aveva usato già in abbondanza.
“Eh piantala Usop! Se vuoi che prenda un po’ di tempo ti costerà caro. Ma non posso prometterti niente. Ora lasciami ascoltare!” 
“Andiamo…non sei capace di tenerlo occupato in camera da letto? Dovrebbe essere una passeggiata…per una come te!” 
Il cecchino vide solo un pugno affacciarsi sulla sua testa, e lasciarci sopra un bel bernoccolo doloroso che prendeva una forma strana e che gli fece vedere le stelle per almeno un minuto buono. 
“Aia, Nami!” 
“Ma per chi mi hai presa!” 
Con i ciuffi issati verso l’alto dall’energia statica che l’avvolgeva, Nami, traducendo i pensieri di Usop, iniziò a perdere il senno.
“Ma poi, secondo te, cosa diavolo facciamo in quella stanza?”
L’amico, che inizialmente l’aveva solo guardata male, ora, quella che aveva in volto, era più un’espressione stranita, quasi sbalordita. “Beh…ma come, voi due non avete ancora…?” 
Quella continuava a guardarlo con il volto leggermente irritato, ma questo non fu comunque abbastanza per spaventare il cecchino che non riusciva a trattenere lo stupore. In procinto di parlare, venne anticipato da lei, che, arresa, ma più che altro incuriosita da qualcos’altro, lo zittì. 
“Non finché Rin non sarà tornata a casa.”
La vide però distratta, avvicinandosi furtiva alla parete della Sunny, tendendo sempre l’orecchio ma, stavolta, con la mano ad accompagnarlo. “Lo sai com’é fatto. La sua volontà é inscalfibile.” 
Il pirata, rimasto sorpreso, si toccava il mento con le dita, quasi fino ad arrossarlo, chiedendosi se fosse più giusto reputare Zoro un mito o un totale idiota. Conosceva abbastanza il suo amico per sapere che era capacissimo di prendere una simile decisione, ma ciò che più lo stupiva era, quella che sembrava essere la resa di Nami. “Persino con te?” azzardò, dunque. 
“A quanto pare” rispose lei, senza pensarci troppo, distratta e poco incline a voler approfondire la cosa. Anzi, pareva quasi aver accettato serenamente la decisione del compagno. 
Usop però voleva saperne di più, non era certo facile tenerlo lontano da pettegolezzi come quelli, rimanendo a bocca asciutta. In effetti, Nami non si confidava da un po’ con lui sulla questione, e i suoi due compagni di viaggio erano diventati troppi taciturni sulle loro faccende, nonostante vivessero insieme su quella nave ogni giorno. 
“Ma io mi chi…” 
“Vuoi stare un po’ zitto?” 
Era ormai chiaro che l’attenzione di lei non era rivolta a quella chiacchierata scomoda, e che non aveva nessuna intenzione di dar retta alle sue chiacchiere e confidenze anche su qualunque altra questione.
“Sto solo dicendo che…” 
“Ma insomma! Fa’ silenzio!” 
Si voltò, nuovamente irritata, lanciandogli un'occhiata delle sue. 
Il nasuto si avvicinò di più alla compagna, una volta ritornata in posizione furtiva, cercando di capire che cosa stesse ascoltando o che informazioni stesse rubando. 
 
 
“E come avresti potuto saperlo?”
La voce di Robin replicò a qualcosa che sembrava essere importante. 
“Non lo so"
Sentirono un’altra voce femminile rispondere, in un tono diverso dal solito, da sembrare tanto più indurito. 
 
 
“É Rin…”
Quell’affermazione uscì dalla voce di Nami, accompagnata da una nota quasi nostalgica, mentre stava improvvisamente immobile ad ascoltare la conversazione che aveva catturato tutta la sua attenzione. 
“Non la stavi cercando?” 
Usop, aveva capito da un po’ che era quella la sua maggiore preoccupazione in quel momento, e rimase in attesa di capire meglio la dinamica. 
“Mi sta evitando…” 
Nami sembrava ad Usop così pensierosa in quel momento, e così lontana da lui, che più che altro pareva parlare tra sé. La vide cercare di avvicinarsi alle due il più possibile, senza staccarsi dalla parete per non correre il rischio di essere vista. 
“Ma perché é così distante da me?”
Il cecchino sapeva che non era una domanda rivolta a lui. E, preoccupato, ma soprattutto incuriosito, rimase con lei ad ascoltare, osservando la compagna attentamente, in attesa di scorgere ogni tipo di segreto o emozione sul suo viso. 
 
 
“Voi non avreste dovuto incontrare Akainu, lo avete fatto perché con voi ci sono io che, tornando nel passato, ho interferito nella vostra rotta, poiché IO” la bambina si spintonò il pollice sul petto, indicandosi “sono voluta rimanere un’altra notte sull’isola; io sono voluta andare alla festa! Avete cambiato i vostri piani perché io ho deciso qualcosa che non avrei dovuto decidere.” 
La bambina, seduta sul pavimento in legno, e con lo sguardo concentrato sul mare, si torturava allora le mani. 
Robin la ascoltava, non troppo distante da lei, appoggiata al parapetto della nave di schiena. Il libro ormai chiuso, la tazza di caffè vuota sul pavimento: era chiaro che la lezione fosse finita ormai da un pezzo.
“Hai creato un’anomalia nella linea del tempo, quindi?” 
“Si.” 
“Posso chiederti…” la mora fece un respiro silenzioso, ascoltando con serietà come suo solito ma cercando di mantenere lo stesso un’aurea amichevole, cercando di trasmetterle conforto “Ho bisogno di sapere questo…Rin” trattenne un nuovo sospiro per sé, ma optando per una via diretta, come solo lei sapeva fare “…perché hai mangiato un frutto del diavolo?” 
 
 
Nami tremò. 
Quel mistero era qualcosa che lei stessa si domandava da così tanto tempo, almeno fin da quando lo aveva scoperto. Il che però la portava ad interrogare sé stessa e chiedersi come mai non aveva chiesto niente prima. Un presentimento, forse. Un bruttissimo presentimento sulla questione le aveva impedito di indagare oltre, come suo solito. D’altronde, quale madre permette una cosa del genere? 
 
 
La rossa più piccola continuava a torturarsi le mani con insistenza, fino a lasciarci dei segni sopra. Il suo sguardo era diventato improvvisamente duro, e quei lineamenti così delicati da bambina ora sembravano quasi scomparsi agli occhi di Nico Robin, sostituiti da qualcosa che aveva già visto, e che le aveva fatto credere, per un solo attimo, di avere davanti Zoro nel suo peggiore impeto. 
“Io sono diventata un’arma…” la sua voce era seria, non dava spazio a nessun tentennamento o indugio. Lo sguardo su Robin era fisso, che non lasciava spazio, che non faceva respirare “E come tale, ho un compito ben preciso, ed é quello di proteggere.” 
L’archeologa non avrebbe mai dubitato di quelle parole, ma era sicura che quella era una certezza che aveva bisogno di essere indagata, sviscerata, compresa. 
“Nella mia epoca, il nostro incontro con Akainu é andato un po’ diversamente…” la sentì aprirsi un poco, nonostante tutta quella durezza e rigidità che le impediva di lasciarsi andare veramente. 
“Ti va di raccontarmelo?” 
Rin guardò l’archeologa in dubbio ancora per svariati secondi, non sapendo se fosse il caso farlo, se fosse davvero il caso rivelarlo. 
“Lo terrò per me.” Aveva allora rimarcato con sincerità la pirata adulta. La sua sete di conoscenza, di sapere, non aveva limiti, e Robin, seppur mai l’avrebbe costretta a parlare, non poteva rinunciare ad una tale opportunità, a quello spiraglio di insicurezza che aveva spinto Rin a confidarsi. 
Ma la bambina non sembrava ancora del tutto convinta, fin quando improvvisamente un dolore forte la colpì al petto; e, in quel momento, mantenere lo sguardo con la mora, e tutta la sua volontà di non raccontare niente a nessuno, iniziava a diventare complicato. 
“Fa male…mi fa ancora così male” le venne fuori dalle labbra, mentre un segno rosso si rivelava sul dito della sua mano, tracciato dall’unghia dell’altra. 
Robin non le fu di conforto in quel momento, mentre continuava a guardarla. Voleva sapere, doveva sapere tutto. Ed era consapevole che coccolarla sarebbe stata l’ultima cosa di cui avrebbe avuto bisogno. 
 
 
 
“Nami, pensi sia giusto origliare?” 
La navigatrice, presissima dalla conversazione, impiegò un po’ di tempo ad uscirne per rivolgersi ad Usop. 
“Certamente!” 
“Sei sempre la solita!” 
 
 
 
“Devo riportarti indietro ai miei quattro anni…” disse poi, accennando un sorriso.  
“Perché, cosa é successo quando avevi quattro anni?” 
Robin si avvicinò, sedendosi a terra anche lei, ma sempre poggiando la schiena alla ringhiera, e piegando le gambe in avanti. 
 
“É stata l’ultima volta che sono stata una bambina.” 
 
 
 
 
 
 
 
Coco village. 
 
 
“NAMI” 
La voce di un uomo adulto che strimpellava come se fosse caduto il cielo in terra l’aveva disturbata mentre prendeva il sole tra i suoi amati mandarini, immersa nella pace di casa sua, sulla sdraio nuova di zecca, fatta piazzare appositamente fuori dal marito. 
“Indovina un po’ chi ho pescato a rubare!”
La rossa roteò gli occhi al cielo, ignorandolo velatamente, mentre il poliziotto comparso davanti alla casa di Bellemere, continuava a blaterare. 
“Questa bambina é il diavolo!… é persino peggiore di te alla sua età.” 
“Quanto sei esagerato”
con un gesto scocciato la rossa si tolse gli occhiali da sole, trovandosi davanti l’immagine provata del poliziotto che teneva Rin per la collottola, proprio come faceva con lei tanto tempo prima. Sorrise, rimettendosi però comoda sulla sdraio. 
“Ti sbagli, Rin non é come me. Non nuocerebbe intenzionalmente a nessuno.” 
“É vero!” 
Si compiacque la bambina, che, con i capelli rossi arruffati e le guance rosa, lo scrutava attentamente come se lo stesse studiando attraverso il suo sguardo profondo. 
“Tu non fiatare!” la rimbeccò.
 “Avevi detto che era timida! Be’, non mi pare proprio!” Si rivolse nuovamente a Nami. “Non fa altro che guardarmi in modo strano, come se fossi una preda e lei il leone che sta dietro ai cespugli in attesa di divorarmi. É il diavolo! Il diavolo!” 
Ridendo sotto i baffi, Nami si mise in piedi avvicinandosi ai due.
 “Guarda che lei é timida! Come il suo papà.” 
Allungò le braccia verso di loro, con fare affettuoso, incitando la bambina a spostarsi su di lei. Rin lo fece subito, aggrappandosi al collo della madre con una mano, ma nascondendo un oggetto piuttosto ingombrante con l’altra. 
“Chi sarebbe timido?” 
Zoro arrivò alle spalle del poliziotto con le immancabili spade attaccate alla vita e un onigiri in mano e uno in bocca. 
“Tu?” Lo indicò con un movimento del viso, la rossa, spupazzandosi la figlia sotto gli occhi increduli di Gen. “Zoro, ma stai ancora mangiando?” 
“Ho fame!”
“La vita casalinga non ti fa bene!” 
Rin si faceva coccolare volentieri dalla mamma, seppur il suo modo di ricambiare affetto era un po’ particolare.
“Stai pensando al tuo bottino, non é vero?” le sussurrò Nami all’orecchio senza farsi sentire dal poliziotto. La bambina annuì felice come una pasqua, evidentemente contenta di ciò che aveva preso…emh, rubato. 
“Cosa ha combinato stavolta?”
Chiese Zoro al poliziotto osservando le due davanti a lui mentre inghiottiva l’ultimo boccone. 
“Cosa ha combinato? E lo chiedi con questa leggerezza?” 
Genzo si avvicinò allo spadaccino puntandogli il dito verso il petto. “A Nami non ho dato la minima fiducia nell’educare una figlia, io puntavo tutto su di te! Dov’é la lungimiranza del miglior spadaccino del mondo?” 
“Guarda nella pancia…” iniziò a ridere la rossa, mentre metteva a terra la figlia che a sua volta non vedeva l’ora di liberarsi dell’oggetto che teneva per metà nascosto sotto al vestito, appeso a tracolla sulla sua spalla, per metterci le mani sopra. 
“Hei! Guarda che mi rimetto in forma in un baleno!” 
“Ah sì?” Nami, superando la bambina, si era avvicinata scaltra a lui, poggiandogli una mano sul bicipite e stringendolo con forza “non é così male!” gli sussurrò, provocandogli un ghigno divertito sulla bocca.
“Ma cosa state facendo!” 
Ma mentre Genzo, rosso in viso, saltellava nervoso e imbarazzato per quei due, il gruppetto venne interrotto dal rumore di una lama che sbatteva sul terreno. 
“Papà, guarda!” 
La bambina aveva rivelato l’oggetto rubato estraendolo dalla fondina, ma essendo troppo pesante da tenere in una mano era caduto a terra, fortunatamente, con la lama che puntava verso il basso. “Possiamo combattere adesso?”
Gli occhi di Nami sgranarono, mentre Zoro si fiondava su di lei per sequestrarle immediatamente l’oggetto. 
“Rin! Ma che diavolo fai!” 
“É una spada quella che hai rubato?” lo sguardo preoccupato di Nami si tramutò immediatamente in espressione delusa. “Vedi? Col cavolo che é uguale a me!”, ammise sconsolata guardando Genzo per un attimo, per poi riconcentrarsi sull’oggetto. “Fai vedere se ha un qualche valore, almeno!” la strappò svelta dalle mani del marito per poi rigettargliela addosso annoiata. “Ah! É solo ferraglia!” 
Zoro, che aveva nuovamente la spada in mano, l’ammonì subito con un’occhiataccia inequivocabile. “Devi trattarla bene!” 
Anche lui si mise ad analizzare la spada, naturalmente basandosi su altri tipi di valutazioni rispetto alla compagna, puntandola prima alla luce del sole e muovendola poi verticalmente, ma, constatando la troppa leggerezza della lama e il mancato legame con essa, la restituì al suo proprietario, che ancora sbraitava dietro di lui. 
“Lo vedete che non la state educando affatto?” Genzo s’intromise ancora, riprendendosi la sua proprietà e legandosela alla vita. “Siete così presi da voi stessi…questa bambina osserva tutto ciò che fate e lo fa tale e quale a voi!” 
“Se mi avesse copiato per bene avrebbe preso dell’oro! O una pietra preziosa…” 
Nami alzò il tono di voce, affatto ironico, irritata dal subire tali accuse del tutto infondate. Si dedicò nuovamente alla figlia, intenta nel frattempo nel cercare di ri acciuffare la spada di Genzo, mentre il padre la prendeva per il colletto del vestito, fintanto di tenerla lontana dal poliziotto. 
“Rin pensa con la sua testa, Gen…
Tesoro, anziché prendere questa ferraglia, perché non hai rubato, emh, preso in prestito, il libro di navigazione che Gen tiene nel cassetto del comò in camera da letto?” 
“Hei! Ma tu come lo sai ch…”
La bambina lasciò perdere per un attimo la missione della spada guardando la mamma schifata. “Navigazione? Che noia. Io voglio combattere con la spada!” 
“No” rispose Zoro, scuro in viso. 
“Sì invece!” 
“Ho detto no!” 
“E io ho detto sì!” 
“Cocciuta come tua madre!” 
“E tu insegnami!” 
“No!”
“Ma perché dici sempre no?” 
“É l’unica risposta che avrai su questo argomento!”
“É perché sono una femmina?” 
“Non dire queste fesserie!” 
“E che ho detto?”
“Sei una poppante!”
Nami scosse la testa, esausta ma felice.
“Hai visto Gen? Non preoccuparti per qualche furtarello innocente. É tutta suo padre. Perciò, prenditela con lui.” 
“Vuoi dire che Zoro le ha insegnato a rubare?”
La gatta ladra rise di gusto mentre osservava padre e figlia litigare animatamente e si dirigeva dentro casa.
“Zoro non ruberebbe mai.”
 
 
 
 
Passandosi l’asciugamano dietro il collo per tamponare il sudore, il verde, sul portico della casa di Bellemere, osservava esterrefatto almeno una decina di uomini che trasportavano cesti di mandarini dall’agrumeto alla casa, chiedendosi quando e perché fossero sbucati, ma convinto che la risposta non gli sarebbe sicuramente piaciuta. 
Lasciò che i colori del tramonto illuminassero quel momento, godendosi gli odori della campagna mischiati ai primi profumi della cena che iniziavano a diffondersi in tutto il perimetro. La vita di mare era la sua normalità, ma si ritrovava ad ammettere che lì, in quella campagna, in quella vita, ci stava comodo. 
Vide Nami uscire dalla casa con addosso un nuovo vestito bianco che le cadeva leggero sulla pelle, simile a quello che a lui piaceva tanto, di quella notte in spiaggia di tanti anni prima, e guardarlo con un sorriso. Passandogli accanto, si chinò leggermente per prendere un paio di frutti dalla cesta più vicina.
“Questi per la salsa…” aveva detto orgogliosa e felice, come lo era sempre stata, dei suoi mandarini. 
“Stai cucinando tu?” 
La rossa si avvicinò a lui con fare furbetto, tanto da sentire i reciproci respiri.
“Oggi vi regalo una cena.” 
“E quanto la farai pagare agli altri?” 
“Per Nojiko é gratis. Ma tu vedi di non escluderti ‘dagli altri’.”
Grugnì, guardandola male per un attimo, mentre lei era invece divertita ed eccitata di quella situazione e di quella serata in cui avrebbero festeggiato il compleanno di Rin.
“Mi spieghi chi sono questi?” 
Zoro indicò gli uomini con le ceste, che da quando lei era uscita fuori dalla casa, la guardavano con gli occhi a forma di cuore smettendo di lavorare. 
“Serviva aiuto per portare i mandarini, tu eri impegnato con i pesi…perciò…”
“Hai pensato bene di sfruttare qualcun altro…”
“Macché. Si sono offerti!” 
“Despota!” 
Zoro le mise un dito sul mento avvicinandola a sé. 
“Eddai. Per così poco?” 
Dei passi e delle voci femminili sul terriccio li distrassero entrambi facendoli voltare, sempre un po’ troppo imbarazzati di venire scoperti in rari attimi di dolcezza.  
“Sei sempre la solita, Nami.” 
Nojiko, mentre teneva Rin per mano, era apparsa davanti a loro con sulla faccia un’espressione divertita, interrompendo quel giochino ‘pericoloso’ tra i due, che chissà dove gli avrebbe condotti sennò, costringendo così il verde a separarsi immediatamente dalla rossa e, con fare indifferente, continuare a tamponarsi la fronte con l’asciugamano.
“Però voglio lo stesso complimentarmi con te…” indicò le ceste piene e gli uomini stravolti che stavano andando via dopo il lavoro, minacciati dalla presenza dello spadaccino che aveva inconsapevolmente segnato il territorio. 
“Scommetto che non hai sborsato nemmeno un centesimo! Nami! Usare il tuo bell’aspetto per una cosa simile? Brava mia sorella!” 
“Non incitarla!” Zoro ammonì la cognata, lanciandole un’occhiata di dissenso.  Ma Nojiko rise di gusto, soprattutto per il modo in cui ancora il verde sapeva stupirsi per quel tipo azioni immorali. E, lasciando la mano di Rin, occupata nel frattempo nel divorare una bustina di caramelle, aveva inscenato una risposta con fare teatrale 
“Io che c’entro! É lei la pecora nera della famiglia…hai scelto una poco di buono, caro spadaccino, e devi prenderne le conseguenze. Io invece sono una ragazza per bene che fa tutto da sola!” si lamentò, prima di entrare in casa seguita dalla bambina. 
“Come no!” ribatterono Yosaku e Johnny, apparsi dietro di lei ricoperti di buste e pacchi dalla testa ai piedi, seguendola in casa dopo aver lanciato un’occhiata sconfitta allo spadaccino. 
Nami sorrise felice, guardando come sua sorella aveva bene imparato dagli insegnamenti di Bellemere, con gli occhi che le brillavano per quella pace, per quella vita che tanto avevano sognato. 
Sentì una leggera carezza sul braccio che la riportò coi piedi per terra, e che, come al solito, quel tocco, non solo sapeva farla rabbrividire, ma aveva la capacità di riscuoterla dai pensieri.
Sorrise. 
“Hei, vado a fare una doccia.” 
Annunciò lui, superandola per entrare in casa. 
“Zoro”
Si voltò a guardarla, preoccupato da quel tono. 
Nami però si prese un momento per respirare prima di continuare a parlare. 
“Ho un pensiero fisso in questi giorni.”
“Soldi?”
Scosse la testa contrariata. Anche se, non che quello non fosse poi un suo pensiero costante.  
“Neghi a Rin l’allenamento solo perché é ancora troppo piccola?”
Lo vide pensarci su, mentre toglieva l’asciugamano madido di sudore da sulla pelle.  
“Non é per l’età.” 
“Allora? Perché é femmina?!” Il suo tono adesso aveva un che di alterato. 
“Non dire sciocchezze!” Rispose acido. “Se vuole intraprendere questa strada dovrà farlo da sola.” 
“Ma Zoro, lo sai, lei…”
La zittì con lo sguardo.
“É una vita dura. E il suo corpo dovrà sottostare a tanta fatica e lavoro. Non voglio questo per lei se non é davvero motivata.” 
“Non posso che esserne felice, allora.” 
 
 
 
La casa di coco negli anni si era ampliata. Nojiko aveva fatto dei cambiamenti che avevano sconvolto Nami in positivo, seppur l’iniziale sorpresa l’avesse destabilizzata. Aveva fatto in modo che dalla casa si ricavassero due stanze, una per lei, e una per sua sorella, con l’intento di tenerla lì, con lei, se fosse finalmente tornata a casa, e magari, con una famiglia a presso. Di sicuro si aspettava un fidanzato, non un marito e una figlia già così cresciuta. E la fortuna volle che la previdenza di Nojiko avesse potuto far rimanere in circolazione per svariati mesi i tre pirati, capitati lì un giorno qualunque, in un anno qualunque, sconvolgendo l’intero paese. 
Nojiko era contenta di vedere sua sorella felice, seppur non avrebbe mai immaginato che tra tutti quei pirati, a casa avrebbe portato proprio lo spadaccino dallo sguardo duro e penetrante, dalla tempra solida, un orgoglio inscalfibile e con un suo codice morale, che, a primo impatto, sembrava avere nulla a che fare con Nami, abituata a fregare il prossimo ad ogni occasione senza guardarsi indietro. Ma lei, la sorella, la conosceva bene, l’aveva vissuta nel momento peggiore della sua vita, nel suo momento più duro, e aveva toccato con mano il suo coraggio spropositato, la tempra solida, e il suo codice di sopravvivenza che la vedeva prodigarsi e sacrificarsi per gli innocenti. E allora, si, ciò che le veniva alla mente era proprio un pensiero sicuro: Zoro era all’altezza di sua sorella!
“E come sta capitano Usop? E il cuoco gentleman? E…il nostro caro cappello di paglia?” 
Aveva chiesto la prima sera al verde, mentre gli passava del liquore in bottiglia di vetro, sedendosi accanto a lui sul portico, mentre osservavano Nami insegnare a Rin come gestire le sue sensazioni quando sentiva l’arrivo della pioggia. 
“Stanno bene.” 
Aveva risposto Zoro, di poche parole come sempre, con un sorriso accennato sulle labbra. 
Nojiko lo aveva guardato fissare Nami e aveva sorriso anche lei. La sua sensazione, su di lui, come innamorato, e come compagno, era buona. 
“Yosaku, eh?” 
Aveva stuzzicato lui, stavolta, portandosi la bottiglia alle labbra.
Nojiko bevette il suo liquore, appoggiandosi al muro e accavallando le gambe. “Sai, qua c’è poca scelta.” 
“Che strega!” 
 
 
 
“Tra tutti i tuoi amici bizzarri, hai preso quello che mi mette più a disagio.” 
Nojiko lo rivelò a Nami una mattina.
“Però é tosto, mi piace per te. Mi piace con te.”
Nami si lasciò accarezzare dalla brezza marina, che iniziava a mancarle tanto, come i suoi amici pirati, alla pari di quando stava con loro e sentiva la lontananza da casa. 
La tomba di sua madre era sempre lì ad aspettare la sua visita, e lei era contenta di poterci passare finalmente del tempo e sentirla vicina. 
“A Bellemere sarebbe piaciuto?” 
Chiese alla sorella che stava insegnando a Rin ad annaffiare il terreno intorno. 
Nojiko alzò la testa per guardarla con un sorriso furbo, passandosi una mano tra i capelli. 
“Oh, si sarebbe presa gioco di lui fino alla morte.” Nami Rise col cuore, divertita.
 
“…ma poi, l’avrebbe sicuramente amato.”
 
 
 
 
 
La prima sera a Coco, dopo una serata movimentata, la rossa, finalmente nuovamente a suo agio, aveva aperto la finestra della sua camera in casa di Bellemerr - la loro casa - aspirando a pieni polmoni tutto il profumo di mandarini che l’aria sprigionava. 
Rinfilandosi la canottiera che la copriva fino alle cosce, si era concessa un momento per vivere una sensazione unica. 
“Casa” 
Aveva parlato a bassa voce per non svegliare il compagno già addormentato, guardando fuori verso l’agrumeto, in quel momento illuminato dalla luna. Fu un attimo, e tutti i suoi ricordi riaffiorarono nella sua mente, da quelli allegri a quelli sofferti. E non faceva altro che pensare che quelli più dolorosi le avevano portato la gioia più ineguagliabile, quella che l’accompagnava ogni giorno.
 
“Grazie Bellemere per l’opportunità di questa vita…”
 
Gli odori erano come sensazioni. 
E Nami ne era più che certa, in quel momento. 
 
“É stata una giornata impegnativa.” 
Zoro, sdraiato con la schiena sul materasso, con il lenzuolo che lo ricopriva a metà busto, aveva aperto l’occhio. 
Nami si avvicinò, serena, con gli occhi che brillavano. Seppur con sul viso una nota nostalgica.
“Intendi il fine serata?” 
“Anche quello.” 
La tirò per le braccia, portandosela accanto e avvinghiandola a lui solo per un attimo.
“Se per caso non stai bene puoi dirmelo.” 
La rossa alzò la testa, liberando solo quella dalla sua presa, guardandolo seria in volto.
“Sono a casa. Certo che sto bene!” 
“Non semplificare…”
L’ammonì, scrutandola attentamente, come se volesse scorgere in lei qualcosa che non diceva. 
Nami sorrise per convincerlo, ed era un sorriso sincero, che non voleva nascondere niente. 
Quando lui si preoccupava per lei in questo modo, e lo diceva apertamente, la metteva sempre un po’ in imbarazzo, ma allo stesso tempo era qualcosa che apprezzava. 
Zoro aveva fatto tanta strada, era rimasto sempre il solito, troppo orgoglioso e duro con gli altri e con sé stesso, ma non aveva più paura di ammettere certi sentimenti. 
La rossa poggiò la sua fronte su quella calda del compagno.
“I ricordi belli sono anche dolorosi. Ma te lo giuro, Zoro. Sto bene.” 
E Nami sapeva perché, sapeva cosa la faceva stare così bene, cosa le dava quella sicurezza, cosa sconfiggeva i brutti ricordi: averlo lì, averlo accanto a lei. E anche se non lo aveva detto a parole, lo aveva dimostrato, avvolgendosi con lui tra le lenzuola, e dandogli tutto il suo amore, senza freni, senza angoscia, senza alcun minino dubbio. 
 
 
 
Le borse con cui erano sbarcati non erano poi tante, ma Nami voleva portare con sé, in viaggio, più ricordi possibili di quei mesi bellissimi rivissuti a casa con tutta la sua famiglia per intero. E, seppur contenta di tornare dall’altra sua famiglia, le dispiaceva aver dovuto interrompere quel tempo molto prima del previsto. Così, indaffarata, continuava a mettere ogni cosa nella borsa, con dolore, rabbia e nervosismo, mentre una nube nera, in ogni senso, gli stava per investire in pieno. 
“Nami, non capisco! Perché così di fretta? Non é giusto! Non é stato abbastanza per me il tempo che abbiamo passato assieme!” 
La rossa era agitata, e Nojiko proprio non riusciva a capacitarsi del perché stessero lasciando l’isola così improvvisamente e senza alcun preavviso, spaventata dallo stesso spavento che leggeva nei loro occhi.
“Non puoi andartene! Non te lo permetto!” 
Johnny aveva fatto ingresso in casa, e nel farlo, aveva battuto la porta d’ingresso con forza contro la parete facendo cadere un quadro il cui vetro si era sgretolato sul pavimento. 
Con la voce strozzata e l’ansia di rivelare qualcosa di sbagliato, annunciò: “Una grossa nave in avvicinamento!” 
Nami alzò la testa in un gesto secco, allarmata, ignorando la sorella che continuava a lamentarsi accanto a lei. 
“Quale nave?” 
“C’è un grosso Sole dorato! O forse é un leone?” 
Il respiro le si quietò all’istante, e il suo cuore ritornò nel petto, concentrandosi nuovamente a prendere ogni cosa sua le capitasse tra le mani. 
“Perché prendi la foto che abbiamo fatto insieme?” Nojiko le fermò la mano “Lasciami almeno quella!” 
La rossa prese la foto con forza e la gettò in borsa, avvicinandosi alla sorella sconvolta, prendendole il viso tra le mani. 
“Mi dispiace! Ma devi essere forte adesso, ok? Non posso lasciare niente… niente che testimoni del nostro passaggio qui. La Marina ci sta cercando. Non metterò la tua vita in pericolo!” 
 
 
 
“Rin!” 
Urlava Zoro sotto le prime gocce d’acqua che iniziavano a cadere sopra le loro teste. “Ma dove diavolo si è cacciata!” 
“Zoro!” Yosaku, che lo stava aiutando a cercare la bambina tra l’agrumeto, s’impegnava a farlo ragionare. “Anche se la Marina vi trovasse qua, potresti sconfiggerla. Io ti aiuterò! E anche Johnny.”
“Rin! Maledizione! Se ti fai vedere adesso, prometto che non ti sculaccio!” 
“Guarda che lo sa già che non lo faresti mai, non ha nessun timore di te…” gli disse l’amico sottovoce, controllando a destra e sinistra anche lui. 
“RIN! Non é divertente! Dobbiamo salpare! Quando fai così sei uguale a tua madre!”
Lo spadaccino si guardò bene intorno, riconoscendo poi, in mezzo ai cespugli, una ciocca di capelli arancioni, che avrebbe anche potuto fregarlo, talmente si mimetizzava bene coi mandarini. 
Sorrise.
Avendo trovando la sua preda, si quietò un attimo, voltandosi verso Yosaku e mettendogli una mano sulla spalla. 
“Ascoltami. Questa é una questione più grande. Non si tratta solo della semplice Marina. É una caccia alle streghe. Non possiamo stare qua. Se accadesse qualcosa a qualcuno, Nami non se lo perdonerebbe mai. E nemmeno io.” 
L’amico lo ascoltò serio, non avrebbe mai replicato alle parole di Zoro, credeva in lui ciecamente, annuendo con la testa come sintomo di aver compreso bene la gravità dei fatti. 
“Yosaku, tu hai un compito adesso…semmai dovessero risalire alle origini di Nami, e trovare l’isola, noi non siamo mai stati qua. Hai capito? Devi negare.” 
L’ex cacciatore di taglie annuì, seppur iniziava a contorcere i suoi lineamenti quasi in preda alla vergogna.
“Dovete rinnegarci, mi hai capito? Voi siete civili…e…poi, sei un marito adesso, devi proteggerla, e devi farlo a tutti i costi.”
Era chiaro che si stesse riferendo a Nojiko, riaccendendo nell’amico una luce che lo aveva fatto rinsavire da quella brutta ferita. 
“Non ti deluderò!” 
Zoro sorrise ancora, guardandolo mentre indietreggiava silenzioso e, al momento giusto, infilava una mano nel cespuglio acciuffando svelto la bambina ‘scomparsa’. 
“Presa!” 
“Ehiiii” si lamentò quella, scalciando. “Voglio restare ancora qua!” 
“Non vuoi rivedere zio Rufy?” 
Ci scherzò su, lo spadaccino, cercando di smorzare la tensione. “Zio Usop? E zia Robin? Lo sai che ti aspettano tutti.” 
“Allora, se mi costringi ad andare via, scelgo zio Sanji!” 
“No, lui no!”  
 
 
Nami batteva un dito sul tavolo della cucina della Sunny, ancora nervosa per aver dovuto lasciare casa sua, alla quale non era riuscita a tornare per tantissimi anni, di più di quelli che aveva pianificato all’inizio, prima del previsto.
“Se Akainu non é arrivato ancora nel mare orientale, dobbiamo immediatamente andarcene da qua.” 
“L’ultima notizia del giornale lo vedeva stabilito in un’isola subito dopo la reverse mountain.” 
Fece luce Robin, coccolandosi Rin sulle gambe, che dopo aver frignato e pianto per venti minuti belli e buoni, probabilmente dovuti più alla tensione che si era creata attorno piuttosto che alla vera separazione dall’isola, ora sorrideva felice. 
“Si é avvicinato così tanto…maledetto!”
Usop si alzò in piedi sbattendo una mano alla parete. “Volevo passare più tempo con Kaya!” 
“Dovete lasciarlo a me!” Inveì Rufy, pestando i pugni sul tavolo. “Devo sconfiggerlo e farla finita una volta per tutte con la sua minaccia.” 
“Dati una calmata!” Intervenne Nami. “Tu stai dicendo di andargli incontro per non farlo arrivare fino al mare orientale?” 
Gli altri erano certi che l’idea del capitano non fosse quella, ma visto che salvava delle vite, cappello di paglia annuì lo stesso, sotto lo sguardo accigliato di Usop e Chopper che lo avevano ben inquadrato nella sua bugia. 
“Potrebbe essere un’idea.” 
Nami si toccò il mento mentre ragionava. Ma venne bloccata immediatamente da Zoro, che le afferrò il braccio. 
“Che ti prende?” 
Lui la guardò fissa in volto prima di parlare.
“Rin!” disse solo, con il suo fare serio e il tono fermo e deciso, quello che non avrebbe ammesso repliche. 
“Non possiamo certo lasciarla su un’isola da sola!” Fece spallucce la rossa, consapevole del pericolo di portarla a presso in una guerra aperta contro Akainu, ma non trovando altre alternative. Conversazione che catturò immediatamente l’attenzione della piccola, che, quando sentì le parole “lasciarla” e “da sola” si allarmò spalancando la bocca e poi gonfiando le guance indispettita. 
“Non da sola…”
La voce di Zoro risuonò come un bruttissimo eco nelle orecchie di Nami. 
“Scordatelo!” fu la sua immediata risposta, capendone l’antifona. “Pensi che saremo al sicuro, io e Rin, da sole? Scendere da questa nave é fuori discussione!” 
“Devi proteggere tua figlia!” 
“Si! Ma stando quassù! Perché é il posto più sicuro del mondo!” Ribatté violenta, non accettando di venire sminuita in nessun modo, seppur le intenzioni del verde non erano certamente quelle. 
“Hei ehi..” 
Franky cercò di placare gli animi di due sguardi truci che si guardavano uno contro l’altro, in un momento che racchiudeva già fin troppa tensione e che sembrava nascondere qualcosa di più. 
“Zoro, perché non scendi anche tu con loro? Noi siamo in sette. E poi é il nostro capitano che vuole battere Akainu. Saresti solo d’intralcio.” 
Tutti tranne Zoro erano consapevoli che il cyborg gli aveva detto di essere inutile solo per farlo sentire meno in colpa, infatti lo videro immediatamente grugnire infastidito, poco incline ad accettare una simile decisione, ma trovandosi davanti tante facce che concordavano con il carpentiere. 
“Non ti piace il tuo stesso gioco, eh?”
gli disse Nami, stuzzicandolo, ma non ricevendo da lui nessun accenno positivo. 
“Andate al diavolo!” 
 
 
 
 
Lo spadaccino, dopo essersi rifocillato per bene al piano di sotto, era rientrato nella stanza che avevano prenotato per un paio di giorni in una taverna, su un’isola lungo la rotta maggiore. Era già la quarta taverna che avevano occupato in segreto.
La paura di essere visti e riconosciuti era reale, perciò che non uscivano quasi mai da lì. Ma la tensione era tanta fuori quanto era tanta dentro, perciò, non appena poteva, fuggiva da Nami. Richiuse la porta alle sue spalle, e in un rapido sguardo, notò Rin addormentata su uno dei due letti, e la sua compagna, che, seduta sulla sedia alla finestra con le ginocchia piegate al petto e la testa poggiata sopra, non sembrava aver ceduto nemmeno un po’. 
Poggiò una scatola con il cibo ancora caldo sulla scrivania dietro di lei e, sempre stando in silenzio, si sedette sulla sedia per togliersi gli stivali con calma. 
Nami si voltò, gettandogli un’occhiata velenosa, sapendo che aveva cenato da solo di sotto, ma notando che le aveva comunque portato la sua porzione tenuta in caldo, visto il fumo che usciva dal contenitore. Colpita, ma perennemente orgogliosa, la rossa ignorò il gesto, riprendendo a concentrarsi oltre la finestra. 
Lui, che aveva notato tutto, alzò gli occhi al cielo, sapendo di stare interagendo con la versione più capricciosa di lei. 
“Si raffredda.” 
Aveva pronunciato. 
“Non ho fame.”
Aveva risposto lei, toccandosi però la pancia, visto che non mangiava dalla mattina a colazione, e in realtà il suo stomaco non aveva più voglia di stare a digiuno. 
Lui si tolse delicatamente le spade dal fianco, appoggiandole alla parete, sentendosi improvvisamente più leggero e libero di sdraiarsi. “Devi mangiare!” 
insistette una volta ritornato in piedi. 
“Ti ho detto di no!” 
Insistette anche lei, rimanendo ferma nella sua posizione. 
Sbuffò scocciato, andando a sdraiarsi sul letto, portandosi le tre spade vicino al comodino.
“Fai come ti pare!” 
“Naturalmente!” 
Il tono di Nami era pungente, carico di rabbia repressa, mentre lei continuava a non distogliere gli occhi dal fuori. 
Zoro fremeva: voleva scuoterla, urlarle contro, ma poi sapeva che lei avrebbe preso il sopravvento, che così facendo le avrebbe dato modo di avere ragione, perciò cercò di resistere. 
Si mise su un fianco pronto a dormire, quando la sentì sbuffare poco velatamente, infastidendolo ulteriormente. Voleva costringerlo a farlo parlare, ma lui non doveva cascarci. Così si voltò dall’altro lato ignorandola ancora, fintanto che una ciabatta non gli arrivò dritta addosso; il che lo fece scattare, mettendosi seduto, agitando le braccia per aria.
“‘Ma insomma! Sono io che dovrei essere arrabbiato, non tu!” 
“Tu?” Scattò in piedi anche lei. “Come pensi che dovrei sentirmi, visto che preferisci andare a combattere che proteggere noi?” 
“Io non l’ho mai detto!” 
“Volevi lasciarci sole!”
“Per proteggervi!” 
“Da sole?”
“Maledizione Nami! Non capisci!” 
“Capisco eccome. La tua sete di sangue é più importante di noi.” 
Furioso, si alzò in piedi anche lui, guardandola come non l’aveva mai guardata prima.
“Niente è più importante di voi!” 
“Allora lo dimostri male!” 
“Sei testarda! Testarda e stupida! Se voglio combattere é per toglierlo di mezzo una volta per tutte. Non pensi a Rufy senza di me al suo fianco? Non pensi agli altri?” 
“Ogni minuto di ogni dannato giorno! Pensi che non sia preoccupata per loro? Pensi che non mi senta in colpa per avere “la scusa” per mollare lo scontro? Avrei portato Rin sul campo di battaglia piuttosto che farmi sentire come mi ha fatta sentire tu.” 
“E come ti avrei fatta sentire? ‘Amata’?” 
“Debole!” 
“No, sei solo irresponsabile adesso, non certo debole!” 
“E tu sei sempre un idiota! Essere madre non dovrebbe essere una colpa!” 
“Sei una madre, infatti. Dimostralo anche tu per una volta che vuoi esserlo!” 
Dopo averle urlato contro, Zoro aveva acchiappato svelto le spade e gli stivali, prima di uscire sbattendo la porta dietro di lui. 
Arrabbiata, e con le mani che tremavano, Nami si appoggiò esausta alla finestra, nervosa per via di una conversazione inutile che era fatta solo di rabbia, legata alla preoccupazione, o, forse, al troppo amore. 
Lo sapeva, ma non voleva cedere. 
 
 
“É colpa mia?” 
La voce della bambina però la fece sussultare e riemergere dal suo muro d’orgoglio. 
“Sei sveglia?”
La rossa più piccola annuì, mettendosi seduta nel letto mentre si ripuliva gli occhi con le mani a pugnetto. 
“Hai sentito tutto, non è così?”
Annuì ancora, facendo sprofondare la navigatrice nell’obbliò. 
Nami allora la raggiunse, sedendosi dietro di lei e prendendola tra le braccia. 
“Tu non centri niente in questa stupida lite, hai capito?”
Le lascio un lungo bacio sulla fronte.
"Siamo solo un po’ agitati, tutto qua.” 
“E Papà?”
Nami chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad un sospiro che aveva però portato anche ad un sorriso. “É solo preoccupato per gli altri. C’è un uomo tanto cattivo là fuori che vuole farci del male. “
La rossa sentì le manine della bimba stringersi sulla sua canotta, mentre la guardava spaventata. 
“Sta’ tranquilla. Non ti succederà nulla, io non lo permetterò mai. 
Vuoi che papà ritorni? Andiamo a cercarlo?” 
Rin annuì contenta. 
“Si perderà da solo senza di noi” 
Nami non poté fare a meno di continuare a sorridere nel sentire quelle parole, superando quella stupida rabbia che l’aveva manipolata.
Pur sapendo che era meglio non uscire, onde evitare di essere riconosciuti, Nami decise che era necessario infrangere qualche regola per la serenità di sua figlia e per soddisfare la voglia di tornare in pace col suo spadaccino burbero.
Con la convinzione che dal momento che era sera, sarebbe stato probabilmente un po’ meno rischioso uscire per prendere un po’ d’aria.
 
Ma, nel momento stesso in cui Nami chiuse la porta della stanza alle sue spalle,
il lumacofonino al suo interno iniziò a squillare ininterrottamente. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: ______________________________
“Il passato del futuro” è un capitolo lungo, perciò è dovuto diventare “Il passato del futuro – parte prima“, e “ Il passato del futuro - parte seconda”. 
Carico entrambi a distanza di uno o due giorni, poiché devo ancora finire di rileggere la seconda parte.
Speriamo sia una narrazione scorrevole.
;) 
 
 
   
 
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