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Autore: vielvisev    01/03/2022    2 recensioni
Questa è la fine dell'era dei Malandrini: Lily e James sono morti. Sirius è accusato di tradimento e imprigionato. Peter Minus creduto morto. Sono rimasti solo due testimoni di quel passato ingombrante: Remus Lupin e Severus Piton.
Mini-Long sulla potenziale amicizia mai nata tra due personaggi simili, ma su due fronti opposti. Sul loro dolore, la loro solitudine e l'accettazione del lutto per loro più difficile da affrontare.
Missing Moments
*
*
DAL TESTO:
Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva perfettamente.
-
Era nato sotto la stella sbagliata Severus Piton, sua madre glielo diceva sempre.
-
“Lupin. Che sorpresa.” disse il mago, distendendosi un poco.
Era raro che venisse colto impreparato, gli faceva provare una strana sensazione, come di perdita di equilibrio.
“Non è particolarmente un piacere vederti, Severus, ma sì è una sorpresa” rispose il mannaro ed era forse la prima volta che lo chiamava per nome e l'altro aggrottò la fronte e fece un passo indietro.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus, Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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.Whiskey e Cioccolato.



La luce dell'alba entrava pallida e rosata dalla finestra socchiusa.
Remus Lupin rimase a osservare quella lama chiara, dentro cui granelli di polvere volteggiavano pigri da quelle che sembravano ore intere. Era già giorno e nonostante si sentisse stanchissimo non riusciva a dormire, consapevole di come lo aspettasse una giornata terribilmente complicata, oltre che una riunione infinita con tutti i membri dell'Ordine. 
 Era dolorosamente cosciente, Remus Lupin, del fatto che Silente avrebbe chiesto lui di tornare a collaborare con i lupi mannari, così come aveva già cominciato a fare quando era un ragazzo e sapeva anche, ovviamente, che questo lo avrebbe fatto assentare per lunghi periodi, motivo per cui si sentiva profondamente agitato. 
In quegli anni di pace aveva apprezzato la stabilità, Remus Lupin, persino la calma della solitudine. Si era abituato alla routine e all'organizzazione e il suo periodo ad Hogwarts lo aveva reso stranamente pacato e adattato a quella società che a lungo aveva ripudiato. Lo studio della strategia, il ragionamento, la stesura dei piani era un qualcosa che gli si addiceva e in cui si sentiva di essere bravo. Non voleva andarsene. Non poteva lasciare da solo lui. 
 Sirius sembrava un bambino stropicciato al suo fianco, ancora profondamente immerso nel sonno. I capelli scuri ricadevano disordinati intorno al viso troppo magro e affilato per essere considerato dolce, la mano destra appoggiata accanto a lui sul cuscino, con il palmo rivolto verso l'alto. Remus rimase incantato a osservarlo, inciampando sulle lievi rughe d'espressione che faticava ad accettare su quel volto che nella sua mente era ancora ragazzo, su quei tatuaggi incerti che gli dipingevano il petto e le mani di parole e simboli sconosciuti. 
Da qualche parte nella casa Kreacher sibilò tra sé e sé e i pavimenti cigolarono senza che nessuno ci camminasse sopra, come se quella vecchia dimora percepisse le ombre di quel che era stato il suo passato, mentre queste si aggiravano inquiete tra quelle pareti damascate. Riusciva a immaginarlo, Remus Lupin, il giovane rampollo Black, che camminava irrequieto tra quelle stanze in cerca di una scappatoia. Poteva quasi vedere la smorfia annoiata ed esasperata, la camminata tesa, il nervosismo palpabile e timoroso.
 Non era stato facile per Sirius tornare lì. Remus lo sapeva. Ne vedeva le crepe e i cocci nella sua postura contratta, nei sospiri spezzati che faceva prima di addormentasi, nel modo ansioso in cui si torceva appena sentiva un rumore, come se temesse di ritrovarsi di fronte un fantasma. E a poco servivano le sue carezze sulla punta delle dita, i silenzi che si ostinava a preservare perché fosse l'altro a strabordare parole, in uno sfogo senza capo né coda. 
Remus sapeva che Sirius, il suo cuore, il suo compagno, era in realtà spezzato e che l'ombra di quella dimora austera non lo aiutava a ricomporsi. Sapeva che sarebbe stato meglio tornare nel loro appartamento Babbano, pieno di piastrelle e respiri che avevano diviso fino a quel momento e lasciarsi una volta per tutte alle spalle quella guerra che sapeva di stantio, oltre quella vecchia dimora Purosangue così colma di polvere e passato che ora chiamavano “Quartier generale”. 
Remus Lupin era consapevole che ogni ora che Sirius Black si costringeva a vivere tra quelle pareti, lo sguardo grigio che instabile scivolava sui ritratti arcigni dei suoi famigliari, specie quello sbiadito di suo fratello Regulus, erano pari a un veleno che si diffondeva sotto la sua pelle. Ma sapeva anche che nulla lo avrebbe fatto tornare sui suoi passi, che Sirius aveva bisogno di quello: di dimostrarsi utile, di macinare azioni e scelte in quella casa che odiava, nel costringersi a dilaniarsi pur di andare avanti, come l'adolescente orgoglioso e strafottente che era stato.


 Un tempo però c'era stato James Potter a placare la rabbia di Sirius Black, ad assimilare per lui il rancore, trasformandolo in coerenza. Era lui da cui Sirius era corso quando era scappato di casa, lui l'amico che era quasi un fratello, con cui scambiava sfoghi frastagliati dietro le tende del baldacchino di James, o con cui correva a stressare i muscoli in ore e ore di volo sulle loro scope. James e Sirius si erano sempre capiti all'istante, forse perché fatti della stessa pasta di luce ed eroismo, con quei sorrisi affamati di futuro, così grondanti di strafottenza gentile. 
Remus era sempre arrivato dopo invece, come un manto leggero, ad asciugare le lacrime che erano già state versate, a offrire la pace e il silenzio, a far metabolizzare il dolore e lenire le ferite. Remus portava la dolcezza, un pezzo di cioccolato da dividere insieme, un sorriso mesto di consolazione e poi passava la punta delle dita sui muscoli contratti di Sirius e tra i suoi capelli arruffati, imponendo un istante per distendersi.
 Ora invece tutto il peso del dolore dell'altro gli era rovinato addosso, i giorni buoni e i giorni terribili, in una straziante cacofonia torrenziale che si costringeva a gestire senza mai chiedere aiuto. E Sirius era complesso da gestire, complesso da metabolizzare e comprendere. Perché camminava angosciato tra quelle pareti, snocciolando piani, chiedendo scusa, combattendo con fantasmi, senza mai ascoltare. Si infiammava con l'ardore di un ragazzino, si ostinava con una forza imprevista, si offendeva a morte per parole sussurrate. Non era mai in pace, mai a disposizione, come trascinato da troppi anni di pensieri acidi e rancore, come se qualcosa lo mangiasse dall'interno.
 “Moony”


Remus abbassò lo sguardo sull'altro uomo e sorrise dolcemente. Gli occhi di Sirius erano annebbiati dal sonno, il ghigno morbido, l'espressione vagamente confusa e felice. Qualcosa di tiepido e piacevole si rimestò nel petto del mannaro ed allungò la mano, scostandogli una ciocca di capelli dal viso e continuò la sua carezza leggera fin dietro il collo, lasciando che il palmo riposasse poi sulla spalla dell'altro, in un gesto dolce e sospeso. 
“Padfoot”
 “Non dormi?” gracchiò Sirius, le ciglia lunghe che sfioravano le sue guance magre. 
 “No” rispose quieto Remus e si avvicinò a lui, scivolando tra le lenzuola di cotone profumato. 
 Sirius ne seguì il movimento, con uno sbuffo gentile, incastrandosi sotto il suo collo. Si aggrappavano ancora tra loro con la punta delle dita, fragili e spezzabili, ma pieni di amore. C'era qualcosa tra loro di intatto, come fossero rimasti dei ragazzini trascinati dall'inconsapevolezza e allo stesso tempo si fossero sfibrati e frantumati fino alle ossa. Sirius così piegato dal giogo di quella prigionia imposta e Remus dalle responsabilità che continuava ad ammassare su di sé.
 “Oggi c'è la riunione?” chiese Black. 
 “Sì” assentì Remus tranquillo. 
 “Ci sarà anche Mocciosus?”
  “Ci sarà anche Severus, sì.” rispose lentamente l'altro “Dovrebbe esserci tutto l'Ordine”

 Sirius aggrottò appena la fronte, come sforzandosi di recuperare il filo del discorso e per un istante Remus ebbe la visione fugace dello sguardo scuro e incerto di Piton, l'ultima volta che si erano parlati da soli alla casa di Spinner's End.
Pensare a Severus aveva un che di velata malinconia e ironia mischiate insieme. Riusciva quasi sempre a immaginarlo, chino sul suo calderone, le dita pallide al lavoro, lo sguardo assorto, la solitudine pesante sulle spalle magre. E a Remus dispiaceva per lui. Sinceramente. A volte si sentiva in colpa come se lo avesse abbandonato.
 Si erano visti raramente in quell'anno, sempre e solo per brevi incontri, quasi solo alla presenza di terzi. Severus presenziava di rado alle riunioni, maggiormente impegnato su altri fronti, ma i suoi ingredienti e le sue pozioni erano giornalmente stipati nella scorte dell'Ordine, probabilmente raccolti e preparati durante le notti di ronda, e i suoi appunti e considerazioni arrivavano puntualmente sui tavoli delle riunioni sotto forma di pergamene strettamente arrotolate e vergate con una scrittura sottile e appuntita, che Remus aveva imparato a riconoscere ovunque.
 Non avevano più passeggiato però, loro due, Remus e Severus, non si era più confidati e quando si incontravano mantenevano tra loro una discreta ed educata distanza che sapeva di sospetto e ferite. 
Sirius prendeva dolcemente in giro Remus per la propensione che aveva di prendere sempre le parti di Severus, quando il nome del professore di Pozioni veniva snocciolato negli incontri dell'Ordine, come un'ombra che agiva alle loro spalle per proteggerli e Lupin sorrideva a quelle stoccate gentili, circondando le spalle di Sirius con un braccio e mormorando piano: “Non essere crudele con lui, Padfoot. Meriterebbe molto di più, Severus, credimi”
 “Mocciusus?” ghignava sempre Black “Forse merita di più, ma un amico come te mi sembra troppo per lui, Moony”


 “Non mi ricordo più, siete tornati amici?” gracchiò Sirius e sembrò improvvisamente combattere con il sonno. 
 E Remus sapeva che a volte la memoria di Sirius diveniva confusa, che tredici anni ad Azkaban avevano lasciato il segno e tutto quello che era avvenuto dopo la sua liberazione era difficile da processare. Sapeva che a volte Sirius dimenticava di come fosse arrivato in una stanza, che seguire le riunioni e le parole per lui era uno sforzo, che spingeva alla risoluzione, all'attacco, all'azione, in modo a volte incoerente e testardo, perché una parte di lui era rimasta il ragazzino incosciente di un tempo, incarcerato seppur privo di colpa e tenuto in piedi solo da onore e sete di normalità. 
 Quel ragazzino che con Remus aveva ascoltato musica, mormorando di tempi migliori. Lo sapeva Remus Lupin, ma era difficile accettare quella nuova realtà dove quasi affogavano, pur disperatamente provando a stare a galla insieme.
 “No” scosse il capo il mannaro “Io e Severus non siamo mai stati amici, Padfoot. Ma parliamo. Quello sì”
 “Ah già, ora ricordo” mormorò Black con un sospiro di sollievo “A me non piace lui”
 “No, lo so” sorrise Remus, posandogli un bacio veloce sulla fronte e districandosi dalle coperte. 
 Si vestì velocemente, combattendo contro il freddo che sembrava invadere quella casa, nonostante fossero in estate, si voltò una volta pronto per osservare l'altro uomo, ancora sdraiato sulla schiena, lo sguardo grigio rivolto al soffitto. 
 “Sirius” lo chiamò dolcemente “Vuoi fare colazione insieme prima di andare dagli altri?”
 “Mi piacerebbe, Moony” mormorò lui, costringendosi a mettersi seduto, fragile e magro. Simile a un'ombra.
 “Non devi per forza partecipare alla riunione oggi, se non vuoi, nessuno si asp...”
 “No, Rem. Voglio partecipare. Voglio capire cosa stiamo facendo. Voglio aiutare.”
 Remus gli sorrise lentamente e annuì appena, si chinò in avanti a rubargli un bacio, mormorò tra i denti “Ti aspetto in cucina”, ma avrebbe voluto gridare, perché se c'era un modo sicuro di perdere di nuovo Sirius Black era vederlo annegare in una guerra non più sua e che lo avrebbe sopraffatto prima ancora che se ne rendesse conto. 

*

Severus destava presenziare alle riunioni dell'Ordine a Grimmauld Place. 
Quella casa era semplicemente rivoltante. Il broccato alle pareti, le teste di elfo appese in corridoio, i quadri arcigni che seguivano ogni suo movimento. Ogni cosa risvegliava in lui quel senso di inadeguatezza che aveva afflitto la sua infanzia e adolescenza, facendolo sentire sbagliato, non voluto, inappropriato. 
Aveva combattuto duramente, Severus, per dimostrare a tutti di avere capacità e cervello, aveva sbandierato con orgoglio le sue origini, puntando i piedi sul suo essere migliore, nonostante non avesse il sangue puro. Ed era stata proprio quella sua sete di essere accettato che lo aveva fatto arrossire più del dovuto ai complimenti dei Serpeverde più grandi, che lo avevo reso duttile alle loro moine, che lo aveva messo su un strada di cui ancora provava a scrostarsi le colpe. 
Ed ora quella casa di pizzi e ricchezze, anche se appassita e resa grigia dal tempo che passava, gli ricordava con violenza quanto fosse stato vano combattere con tutto sé stesso, perché in fondo ci sarebbe sempre stata una casta pronta a considerarsi migliore di lui. Migliore di tutti i maghi.
Grimmauld Place era decrepita, grondante di magia oscura, stantia nei suoi motti e nelle sue colpevolezze. Severus riusciva a immaginare gli inchini delle donne e gli sguardi gelidi degli uomini nei Gala delle grandi occasioni, riusciva a visualizzare con chiarezza cristallina l'orgoglio tronfio dei Black di generazione in generazione. Glielo aveva raccontato Regulus Black, con un misto di rispetto e imbarazzo, di quanta nobiltà e vigliaccheria aveva galleggiato in quelle pareti. 
Glielo aveva raccontato nel suo ultimo anno di scuola, quando lui e Severus avevano cominciato a scambiare qualche timida parola piena di sospetto. Entrambi più giovani degli altri Mangiamorte, entrambi più desiderosi di essere riconosciuti come giusti e potenti. Non era rimasto più nulla di Regulus Black. Nemmeno un ricordo, nemmeno un lamento. 
“Severus” 
 Piton si voltò, distogliendo lo sguardo dal grande albero genealogico che riempiva tutta la parete della stanza e trovò Remus Lupin che lo osservava appoggiato mollemente allo stipite della porta, un sorriso gentile sul volto. 
 “Lupin” rispose in un saluto appena accennato.
 “Mi chiamerai mai con il mio nome, Severus?”
 “Non credo, no.”

 “Sei il primo, gli altri arriveranno tra un minuto” rispose quello, gentile e amaro alla stesso tempo, facendo morire tra i denti la risata secca e attraversò la sala fino a una vetrinetta polverosa da cui prese dei bicchieri e un vecchio Whiskey, appoggiandoli sul tavolo in legno scuro. 
 Severus rimase in silenzio, con misurato e studiato distacco, lo sguardo che però controllava distrattamente le nuove ferite di Lupin, come un automatismo, i graffi, le imperfezioni che lui era troppo distratto per curare, ma che Severus, con la sua attenzione ai dettagli, non faticava a riconoscere.
 La luce fuori dalle finestre si abbassava sempre di più, disegnando aloni rossastri e blu al di là delle tende sottili, Lupin accese con un colpo di bacchetta le candele del vecchio lampadario di diamanti e vetro colorato, che troneggiava sopra di loro. Il fuoco crepitava rumorosamente nel camino, come se volesse sottolineare il silenzio tra loro.
 “Un bicchiere?” chiese il mannaro con un sorriso. 
Severus si irrigidì istintivamente, come sempre davanti alla gentilezza del mago, ma fece un debole cenno di assenso e prese posto su una vecchia sedia, lo sguardo di nuovo rivolto verso l'albero genealogico. Remus non lo disturbò con altre parole, lasciandolo al suo silenzio, ma prese posto accanto a lui, bagnandosi appena le labbra con il suo Whiskey, prima di passarsi stancamente una mano sul volto. Piton notò il gesto e aggrottò le sopracciglia. 
Mancavano quasi due settimane alla luna piena, eppure Lupin sembrava stravolto, le occhiaie erano pesanti sul suo viso, le spalle basse, l'aria arruffata ed esausta. E l'istinto che aveva assunto nell'anno speso insieme tra le mura di Hogwarts pungolò di nuovo sgradevolmente lo sterno di Severus, provocando una vaga preoccupazione. 
 “Non dormi abbastanza, Lupin?” chiese secco, senza riuscire a trattenere la domanda. 
 Remus alzò lo sguardo color cioccolato su di lui, sorpreso, le labbra socchiuse in un'espressione buffa. 
 “No, in effetti” ammise tranquillamente dopo un istante. 
 “Black ha gli incubi e guaisce nel sonno tenendoti sveglio?” chiese pungente l'altro. 

Non riusciva a essere cortese, Severus, non riusciva a comporre domande placide come faceva l'altro, perché era sempre così stanco, e solo, e arrabbiato, soprattutto. Perché nessuno gli chiedeva mai come stesse lui, nessuno si preoccupava mai che lui dormisse abbastanza. Tranne Lupin. Perché passava le notti da solo a intrattenersi con i Mangiamorte, Severus Piton, indossando maschere affogate nell'Occlumanzia e poi le mattine si costringeva a lavorare al piano di studi degli studenti di Hogwarts, a cui malgrado tutto doveva insegnare, per mantenere la sua copertura. E i suoi pomeriggi erano sprecati a ripristinare le protezioni della scuola, che doveva però essere in grado di spezzare, comunicando con dei professori che non poteva più farsi amici, fintanto che Silente non lo avrebbe reso partecipe di quale fronte gli toccava ferire a morte.
Era finito da tempo il periodo dei the in compagnia e delle chiacchierate accademiche fatte insieme a Minerva e gli altri docenti, perché i giorni erano senza fine e le sere erano dedicate all'Ordine, ovviamente, le riunioni, il costruire una rete di comunicazione, gli appunti, le ricerche. E poi Potter, Harry Potter, a infangare ogni suo pensiero e a ostinarsi a mettersi nei guai più di quanto non fosse, diventando la sua più grande preoccupazione, tanto che appena chiudeva gli occhi, Severus sognava solo Lily, accusatoria e arcigna, seppur bellissima, che lo guardava e...
 “In effetti è così.” rispose pacato Remus, con la sua costante gentilezza, incapace di mostrarsi ferito dalle parole dell'altro uomo e Piton sbatté le palpebre confuso, dimentico del motivo per cui Remus gli stava parlando.
 “Come dici Lupin?” chiese rauco e freddo. 
 “Le notti di Sirius sono difficili a volte” rispose quello “e se aggiungi le sue crisi post Azkaban, le ronde e le riunioni mi rimane poco tempo per dormire. Immagino che anche per te non sia semplice, Severus, quindi potrai capirmi”
Piton si sentì arrossire, con una strana sensazione, simile a quella che aveva provato nel chiamare Lily 'Sanguesporco', che gli strinse il petto e pressò le labbra in risposta, lo sguardo onice fisso sulla parete. Tra tutti in realtà Lupin era quello che meno voleva ferire. Perché il mannaro era destinato come lui alle retrovie, ai compiti gravosi e ingrati, oltre che essere travolto dai suoi problemi personali. Eppure si ritrovavano sempre insieme a stuzzicarsi con gentile comprensione e a ferire il silenzio reciproco per non soffrire troppo la solitudine. 
Un bicchiere di Whiskey a sancire la distanza tra loro.

 Severus lo sapeva cosa poteva fare Azkaban, perché li aveva visti alcuni dei Mangiamorte un tempo sadici, ma ferocemente intelligenti, trasformarsi in bestie dopo la prigionia. Poteva immaginare le difficoltà di Black e vedeva chiarmaente l'ostinato amore di Lupin, la sua calma nel cucire le ferite dell'altro, rinunciando a sé stesso.
 “So che è dura, Lupin” si forzò quindi a dire, lottando contro l'arsura che sentiva nella gola e le pareti di Occlumanzia che come un istinto antico calavano feroci nella sua mente, ma Remus si voltò e gli fece un debole sorriso. 
 Prima però che potessero aggiungere altro, o che il silenzio si facesse teso, ci fu un tramestio e i coniugi Weasley entrarono nella stanza, seguiti dal primogenito e la figura magra di Sirius Black. Severus indugiò con uno sguardo distaccato sul profilo del Malandrino, mentre quello scopriva i denti in un'espressione sprezzante. 
 “Mocciosus” disse solo Sirius.
“Cane” rispose Piton rigido, senza tentare di nascondere lo sprezzo, ma senza nemmeno sentirsi ferito. 
 Era lontano il tempo in cui la presenza di Sirius Black gli aveva provocato timore. Lontano il tempo in cui i suoi sentimenti per i quattro Malandrini erano stati solo rabbia e invidia. Potter era morto. Minus aveva tradito. Black era un'ombra di sé stesso e Lupin... Gli occhi di Piton si mossero d'istinto verso il mannaro che sorrideva al nuovo arrivato, lo vide spostare la sedia accanto alla sua e far accomodare Black accanto a sé, notò lo sguardo che si scambiarono, il modo in cui i loro corpi sembravano adattarsi allo spazio in modo da stare il più vicino possibile. 
 “Sii gentile con Severus, Sirius” mormorò gentile Remus e a Piton quasi sfuggì un sussulto, mentre usava tutta la sua concentrazione per rimanere indifferente, anche se il ragazzino che era stato quasi gridava di gioia e confusione nel rendersi conto che Remus Lupin lo stava difendendo alla presenza di un altro Malandrino. 
 “Si può sapere perché lo difendi sempre?” sbiascicò Sirius, avvicinandosi a Remus di un altro millimetro e continuando a ignorare ostinatamente Severus come se non fosse lì.
 “Perché stiamo collaborando con lui, Sirius e perché è simpatico”
 “Mocciosus non può essere simpatico.”
“Questo lo dici tu, Padfoot”
 “Moony”
 “Dimmi”

 “Sei strano.”

Non stavano nemmeno più badando a lui, Severus sentì come un telo calare tra sé e i due vecchi amici, che battibeccavano con i volti vicini, prima di tornare entrambi lucidi e focalizzarsi sui piani che Arthur mostrava loro.
 Non si accorse nemmeno, Severus Piton, che tutto l'Ordine era presente, che Albus era arrivato a capo del tavolo, che Kingsley stava ponendo delle giuste questioni, che Minerva lo osservava con il suo sguardo severo e gentile. Non si accorse di tutte le discussioni riguardo Potter, le protezioni necessarie, il lavoro da fare per limitare il Ministero nelle sue azioni che sarebbero state sicuramente sovversive. Non si accorse di niente di tutto ciò.
 L'unico elemento che attrasse l'attenzione di Severus, per l'ora che rimase seduto a quel tavolo, fu il modo in cui la mano di Black aveva preso a tremare dopo che l'aveva puntata sulla pergamena davanti a Bill e di come il mago l'avesse nascosta prontamente sotto il tavolo, chiudendola stretta in un pugno per non mostrare al resto dell'Ordine la sua debolezza, sfoggiando in cambio un ghigno feroce. E si accorse poi, Severus Piton, di come Remus Lupin si fosse prontamente chinato verso l'uomo, con un sorriso gentile e come avesse mormorato lui qualcosa, prima di tornare ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia, il volto rilassato rivolto verso i presenti, attento ai temi della riunione. 
La relazione tra i due maghi non era segreta, ma sembrava incapace di soffrire il pettegolezzo, perché Black e Lupin erano stati da subito esageratamente protettivi verso la loro coppia. Nessuno ne parlava apertamente e loro sembravano apprezzare la situazione, tenendo gelosamente tra loro ogni aspetto privato, come una cosa bella che non si è pronti a condividere. Eppure era così evidente il loro legame. Come se un filo dorato li unisse uno all'altro.
 Severus non aveva mai fatto commenti sprezzanti a riguardo del loro rapporto, nemmeno per prendersi gioco di Black. Aveva tenuto ben separate nella sua mente il difficile senso di fiducia che divideva con Lupin e lo sprezzo tagliente che scambiava con Black, ma qualcosa di tiepido lo invase nel vedere come, seppur tenendo il corpo a una distanza discreta dall'altro mago, la mano di Remus aveva di nuovo raggiunto il pugno tremante di Sirius sotto il tavolo, aprendolo con una mossa gentile, intrecciando le dita a quelle dell'altro, in un gesto protettivo e pieno di conforto, che sapeva di vissuto e affetto. Si sentì scosso, Severus Piton, in fondo alla durezza del suo animo, vedendo come la preoccupazione si spandesse sul volto di Remus e il sorriso di Black si facesse più spaurito.
 E per la prima volta, davanti a quel muto affetto tra i due Malandrini, che senza parlare si supportavano l'un l'altro, Severus si chiese se quello fosse amore e soprattutto si domandò, con stupita angoscia, perché, se un creatura così spezzata, confusa e fragile, come Black, ormai ombra di sé stesso, senza più famiglia e passato, era in grado di accettarlo e farlo suo, di coltivarlo con quell'attenzione e rispetto, perché lui, Severus Piton, non era capace nemmeno di far entrare nella sua vita una cosa semplice come l'amicizia.

E si sentì invidioso come da ragazzino, Severus, con quella vorace voglia di affermarsi e la sensazione frustrata di aver sbagliato qualcosa e di non poter desiderare di meglio per sé. E strinse i denti chiedendosi perché tutti avessero un motivo per lottare per un futuro migliore e lui era l'unico che cercava ostinatamente di migliorare il passato. 
 Indurì il suo sguardo, Severus, facendosi gelido e rabbioso, mentre per distrarsi elencava mentalmente con minuzia tutto quello che lo aspettava una volta uscito di lì: le pozioni che avrebbe dovuto preparare per l'Ordine, i piani da rivedere, l'incontro con Albus all'alba, prima di passare poi da Mulciber e Nott e...
 Severus prese bruscamente respiro e sentì gli occhi di Remus spostarsi verso di lui indagatori a quel gesto. Lo vide scrutare il suo profilo mentre lui lo ignorava trattenendo il respiro, ma proprio quando il petto gli si occludeva di dolore e mancanza d'aria, pungolandolo con l'idea di abbandonare quell'assurda casa gremita di magia nera, dove si giocava a fare la Resistenza, la porta della sala si aprì di scatto, mostrando la figura agitata di Dedalus Lux.

 “Dissennatori!” esalò quello “Dissennatori, da Potter. Il ragazzo si è difeso... il Ministero.... Immagino Wizegamont...” Black in un attimo fu in piedi, attraversando la stanza con slancio verso Lux, e Severus riuscì a vedere un lampo di feroce protezione nei suoi occhi grigi al pensiero di Harry in pericolo. Una protezione per cui, persino Piton, si accorse di provare un vago rispetto. Perché una voce dentro di sé quasi sibilò che Lily Evans sarebbe stata orgogliosa di aver scelto come padrino Sirius Black. Perché Lily Evans era stata dolce e gentile, con quelle sue lacrime che si decideva a versare solo per Piton, con quel suo sorriso onnipresente, ma Severus la ricordava anche ostinata e battagliera, pronta a difendere senza vergogna, sulla linea di guerra ogni volta che veniva ferito il suo senso di giustizia. Lily che aveva...
La mano di Lupin si strinse inattesa sulla sua spalla, in supporto e lui alzò la testa di scatto a scrutare lo sguardo tranquillo del mannaro, chiedendosi per l'ennesima volta perché Remus Lupin volesse essere suo amico ora che a legarli non c'era più nemmeno la stessa solitudine e amarezza, ora che lui poteva essere felice. Almeno un po'.
 “Stai bene, Severus?” chiese il mannaro “Sei pallido”
L'altro inghiottì un boccone d'aria e annuì in un gesto secco. 
 “Sto bene. Stanco” strascicò “Va da Black, Lupin”
 Remus gli lanciò un'ultima occhiata attenta, ma annuì a sua volta, attraversando poi la sala per raggiungere Black, spezzato dall'agitazione per il suo pupillo. E Severus esalò un sospiro e subito sibilò tra i denti al pensiero di Potter ancora in pericolo, mentre al suo fianco Ninfadora Tonks, una sua vecchia studente con capelli di un ridicolo viola acceso, scuoteva appena il capo, attirando così la sua attenzione. 
 “Non sa stare al sicuro per un solo secondo questo Harry Potter” mormorò la giovane, lo sguardo perso verso Black che inveiva contro Lux e Remus che cercava di calmarlo con pazienza. 
 Piton si voltò, lanciandole una veloce occhiata. 
 “Concordo.” disse solo. 

*


Sirius aveva appena avuto una crisi. Terribile. Violenta.
 Si era svegliato gridando, il corpo così contratto da far spavento, lo sguardo chiaro sgranato rivolto verso il soffitto. I sensi di Remus, acuiti dalla vicinanza con la luna piena, erano subito andati all'erta e in un istante si era ritrovato lucido accanto all'uomo, liberandolo dalle lenzuola e chiamandolo dolcemente. 
 “Padfoot” esalò, mentre alla rinfusa afferrava la bacchetta e lanciava un incantesimo insonorizzante sulla stanza.

 Sirius si mosse ancora di scatto, senza controllo, come in preda alle convulsioni, le labbra tanto strette da sembrare viola. Si guardò intorno spaventato, muovendo le mani nel vuoto in un suono rauco e Remus fu svelto ad afferrarle e a trattenerle tra le sue, per fare in modo che non si graffiasse. 
 “Padfoot” lo richiamò dolcemente, stringendolo con forza contro di sé, impedendogli di sfuggire.
Lo aveva visto una volta lanciarsi contro una parete più volte, fino a svenire a terra. Lo aveva visto picchiare la fronte con disperazione fino a coprirsi di una maschera di sangue. Lo aveva visto crearsi cicatrici di graffi ed escoriazioni, o strapparsi i capelli convinto che qualcosa lo attaccasse dall'interno, piangere disperato di colpe non sue, mentre snocciolava nomi con frenesia. La mente di Sirius, il suo Sirius, era fragile e dolorante.
“Padfoot. Sei al sicuro. Sei a casa. Sono io, Moony.”
 “Sono a casa” disse rauco l'altro e sebbene i suoi muscoli si allentarono un poco, il suo respiro rimase accelerato.
 I secondi passarono lenti, fino ad addensarsi in minuti grevi e penosi, ma infine Remus sentì la cassa toracica di Sirius calmarsi contro il suo petto e la pace scorrere tra i loro corpi in modo che lentamente si distesero entrambi, l'uno contro l'altro, sfiniti da quell'attacco improvviso e imprevisto.

Avevano passato delle buone giornate e delle notti tollerabili, fino a quel momento. Con l'estate Sirius era stato preso quasi da un insensato buon umore e Remus lo aveva visto persino ridere, più simile a sé stesso di quanto non si fosse aspettato di vederlo mai più nella vita. Lo aveva osservato parlare con Harry con fare complice e presente, lo aveva sentito respirare pacato nel sonno, lo aveva percepito leggero e pieno di speranza. E aveva approfittato di quella flebile gioia Remus, quando Sirius arrivava nelle giornate buone in cucina e si versava il caffé, con quel ghigno da lupo che lui amava, prima di sussurrare “buongiorno”, le dita che gli sfioravano la guancia e la dolcezza mischiata alla stanchezza. “Che cosa facciamo oggi, Moony? Qualunque cosa tu voglia per me.”. 
 E ne aveva approfittato a piene mani di quei momenti di baci, Remus Lupin, di ferite ricucite insieme, di calore, pelle e corpo. Dove gli occhi grigi di Sirius sembravano pieni di qualcosa che non fosse disperazione, gli abbracci si erano fatti soffici e le giornate positive. Mentre vivevano quegli stralci di vita insieme, dove tornare dalle ronde, non significava trattenere il respiro per capire quale faccia incrinata, del diamante spezzato che era Sirius Black, avrebbe dovuto affrontare, ma significava complicità e affetto.

 “Mi dispiace” mormorò Sirius, con le lacrime agli occhi che Lupin non avrebbe mai creduto di vedere su quel  viso nobile e affilato. Non avrebbe mai creduto di vedere a spezzato l'orgoglio di Sirius Black.
 “Non hai motivo di dispiacerti, Padfoot. Stai bene. Stiamo bene” mormorò in risposta, baciandolo sulle labbra e sulle guance, stringendolo a lui, ricomponendolo pezzo dopo pezzo, con un briciolo di ostinazione e una vaga disperazione. 
 E ancora, e ancora, e ancora. 

  “Questa casa non mi fa bene” sussurrò rauco Sirius.
 “Immagino di no” rispose lui Lupin “Vuoi andartene? Possiamo tornare nel nostro appartamento se lo preferisci. Anche solo per un po', basta chiedere, Padfoot. Silente non...”

 Ma Sirius scosse di nuovo il capo e prese respiro. L'aria stanca e la maglia scostata sul petto scarno, a mostrare i tatuaggi sottili. Remus sospirò appena, spostò la mano dal costato dell'uomo fino a quei disegni incerti, li accarezzò lentamente, mentre Black tratteneva il respiro, come se non fosse ancora pronto a quel nuovo livello di intimità: le parti di loro stessi che non conoscevano dell'altro, quei tredici anni di silenzio tra loro.

“Quando li hai fatti quei tatuaggi?” chiese lentamente Remus, con l'intento sincero di parlare d'altro, di qualunque cosa. 
Il volto di Sirius si contrasse appena, ma poi si spezzò con un sorriso gentile, brillante. 
 “Non te l'ho mai raccontato?” mormorò dolcemente, stranamente rilassato. 
 “No” rispose lui Remus, esortandolo a continuare con un cenno del capo, mentre entrambi si appoggiavano contro la spalliera del letto, nella penombra calma della notte, i cigolii della casa a far loro da cornice.
 “Li ho fatti da solo con china e disperazione. Ad Azkaban. Questo ramo al centro rappresenta Hogwarts” disse Sirius, spostando la mano di Lupin, facendola scorrere sul suo sterno “Questo è James” continuò lentamente, portando le dita del mannaro su una linea sottile che sembrava il profilo di una scopa “Questo sei tu” aggiunse con l'ombra di un sorriso, muovendosi su varie fasi della luna, tratteggiate con mano malferma, che Remus sentì scorrere spesse sotto i polpastrelli “Questa linea spezzata rappresenta Pete. Questo obelisco rappresenta Mary, mi ricordava il suo rossetto. Questo quadrato è il libro preferito di Marlene. Questo ovale è un fiore chiuso, un bocciolo diciamo, rappresenta Lily. Questa linea ondulata invece è una serpe rappresenta Piton. Questo invece...”

 “Hai tatuato qualcosa che rappresenta Severus sul tuo corpo?” chiese curioso Remus e Sirius sbuffò. 
“Sapevo che ti saresti fermato su questo punto” rise appena tra i denti, stancamente “E no, non rappresenta Severus, come lo chiami tu. Rappresenta il passato però, rappresenta qualcosa che non volevo dimenticare, rappresenta Hogwarts. Azkaban tende a rendere tutto confuso mentre sei lì.  È un posto che...”
 “Toglie molto” mormorò Remus con sguardo di scuse “Lo so, me l'hai detto” aggiunse e si allungò sul comodino per prendere una barretta di cioccolato, spezzandone un quadratino per darlo a Sirius. 
 “Sei ancora convinto che tutto si aggiusti con un pezzo di cioccolato, Moony?”
 Il mannaro sorrise appena e si chinò su di lui, gli rubò un bacio che sapeva di dolcezza, si strinsero per non cadere in pezzi, pronti a dormire per qualche ora nervosa di sonno e veglia, prima  che le ronde riprendessero per Lupin e la noia ripiombasse come una condanna sulle spalle di Black.


 “Ci tieni davvero a Mocciosus. Vero?” chiese Sirius nel sonno “Ci tieni davvero.”
 “Sì, certo. Tengo a lui” rispose Lupin, stringendo il corpo magro dell'altro in cerca di calore. 
“È un po' il tuo Regulus” esalò Sirius in un sussurro e Remus ricordò il profilo sottile del secondo fratello Black. Non pensava a Regulus da secoli. 

 Eppure improvvisamente gli tornò il ricordo dell'angoscia di Sirius per quella versione di sé più giovane e sospettosa, ricordò le litigate dei due sputate tra i denti, ricordò gli sguardi ostinati che si scambiavano in Sala Grande, ma mai nello stesso momento. C'erano delle volte in cui era Sirius che cedeva ad avvicinarsi al fratello, in un segno di protezione ed esasperazione, cercando un dialogo attraverso la sua ostinata irruenza, la sua logica per lui ferrea e per Regulus troppo piena di imperfezioni e boria. C'erano delle volte in cui invece era Regulus ad avvicinarsi all'altro, lo sguardo brillante di orgoglio e le spalle incassate, le labbra piene di parole sussurrate, di inviti a riflettere, a discutere civilmente, a non perdersi, che rimbalzavano sulla rabbia giovanile dell'altro. 
 Erano due varianti dello stesso problema che non riuscivano mai a incontrarsi, Regulus e Sirius, che si avvicinavano di un passo pieni di speranza, per poi bruscamente chiudersi in loro stessi, a leccarsi le reciproche ferite, ad affrontare ognuno per sé i propri incubi, spesso così simili tra loro. Non riuscivano a guardarsi davvero, pur essendo a un solo passo. 

Esattamente come lui e Severus. 
 “Sì. Piton è un po' il mio Regulus, forse” mormorò lentamente Remus, ma Sirius già dormiva.

*

Nevicava. Nevicava copiosamente. 
Severus fece un mezzo sospiro nervoso nel guardare quel candore inatteso fuori dalla finestra, mentre Bill Weasley controllava un'ultima volta il piano di ronde della settimana a venire e lui si sforzava di annuire a tempo con le sue domande. Anche Remus era presente, silenzioso, seduto in un angolo dell'ampio salone su una vecchia poltrona, gli occhi chiusi, come se stesse sonnecchiando in quell'attimo di pausa. Nevicava. E se c'era una cosa che agitava Severus profondamente, più della pausa estiva piena di nulla se non di silenzio, allora quella era la neve. 
 “Remus dovrà fare i primi sopralluoghi per cercare i branchi” snocciolò tranquillo Bill, ignaro dello stato d'animo dell'altro uomo, mentre si legava i lunghi capelli in una coda bassa e arruffata. 
 Era uno dei pochi Weasley di cui Severus tollerava la presenza perché lo trovava pragmatico e discreto. Ci aveva a che fare il poco necessario per considerarlo una mente adeguata al ragionamento e a non innervosirsi quindi a ogni respiro. Considerò distrattamente le parole del rosso e si costrinse ad abbassare di un millimetro il mento, in segno di assenso. Gli occhi scuri che tremolarono per un breve istante lontani dalla neve verso la figura lunga e rannicchiata di Lupin. 
 Il mannaro però non sembrò farci caso, socchiuse solo lo sguardo, per poi annuire a sua volta in segno di assenso, la testa sorretta dalla mano, come se i pensieri gli stessero diventando insopportabili.
 “Cosa si sa dei branchi?” domandò Severus, in una richiesta strascicata.
 “Poco. Abbiamo una segnalazione di almeno due piccoli gruppi a Sud di Londra” disse Bill  “Attualmente sembrano innocui, nessun attacco segnalato al San Mungo. Potrebbero solo in cerca di aiuto e sarebbe ideale prendere contatto con loro, o almeno far sapere che hanno la possibilità di parlarci se vogliono”
 “Mi sembra un'ottima idea” disse piatto Severus, lo sguardo di nuovo distratto dalla neve chiara.
Perché era romantica la neve, ovviamente. Nel senso più lato del termine. Faceva venire voglia di prendersi una pausa, di rallentare, di concedersi un attimo di pace e contemplazione. Ed era così piena di ricordi, la neve. Di giochi da ragazzino e di momenti di vacanza che avevano l'odore di spezie, the caldo e biscotti allo zenzero. Lily Evans.


“Abbiamo anche un piano di case sicure ormai attivo.” riprese il rosso “Andromeda ha comunicato ieri a Tonks che lei e il marito ci lasciano la loro in caso servisse. È protetta anche da magia del sangue, in quanto Spezzaincantesimi posso testarne l'efficacia con un sopralluogo. Ovviamente anche quella di Dedalus è disponibile, ma alcuni dipendenti del Ministero ne conoscono l'ubicazione e non potremo fidarci troppo a lungo del Ministero. Stessa situazione per quella di Kingsley. Silente si sta attivando per analizzarle personalmente.”
 “Rosmerta?” chiese Piton incerto, un sopracciglio scuro inarcato, mentre tornava a dare una veloce occhiata prima a Lupin, ancora assopito, e poi al Weasley “Ha detto che alcune stanze del pub possono essere protette”
 “Rosmerta ha il pub, appunto” spiegò quest'ultimo “Essendo un luogo così pubblico per definizione ci sarà troppo movimento. Se dovessimo attuare delle evacuazioni sarebbe complicato, ma è utile per le urgenze, o gli spostamenti lampo di persone, anche perché a Hogsmeade non abbiamo appoggi, è decisamente un punto debole che dovremo sistemare, a meno che Minerva non riesca ad aver successo con Abeforth, ma...”
 “Albus non era molto fiducioso, lo so.” mormorò Piton in un sospiro.
Neve. Lily. Non pensava più molto a Lily, in realtà, Severus Piton, non nel modo feroce e disperato dei primi tempi. Era diventata una presenza tenue nei suoi pensieri, relegata in un angolo quieto della sua esistenza, dove l'aveva mutata in motore logico delle sue scelte. Lily era morta. Vero. Lily era morta perché lui aveva ambito per una volta della vita a essere guardato con gratitudine e orgoglio da qualcuno, perché aveva sperimentato la voglia di essere apprezzato, di essere riconosciuto come valido. Aveva ceduto e Lily era morta. Severus non era più disposto a cedere a nulla.
 “Che mi dici della profezia?” chiese nervosamente, cercando di sviare il discorso “Non possiamo continuare a lungo a fare la guardia all'Ufficio Misteri senza destare sospetto. Specie dopo l'attacco di Natale a tuo padre”

 “Lo so” lo interruppe Bill “Ma non abbiamo un posto sicuro dove portarla e in realtà equivarrebbe a rubare al Ministero se accompagnassimo lì Harry a prelevarla. L'ufficio Misteri, anche se non sorvegliato strettamente da noi, in fondo rimane un luogo sicuro. Anche perché o Voldemort in persona si presenta, o...”
 “Piuttosto difficile che Harry fugga da scuola e si diriga là a prendere una profezia di cui non conosce l'esistenza” rispose per entrambi Lupin, snocciolando le risposte che masticavano da giorni con asprezza inconsueta.

Piton lo osservò per un istante, registrò la stanchezza negli occhi color cioccolato, il modo in cui l'uomo si passò di nuovo una mano sul volto in un gesto pieno di stanchezza, prima di chinarsi in avanti e poggiare i gomiti sulle proprie ginocchia, in quella che sembrava una posizione straordinariamente scomoda. Severus non commentò, trattenendo l'umanità che a volte, in quella situazione dove tutti si ritrovavano a dividersi a morsi pezzi sbrindellati di speranza, arrivava ad accarezzargli tentatrice lo sterno, incrinando le sue numerose maschere d'astio. 
 Non si era più fidato di nessuno, Severus, non aveva affidato più la sua amicizia a terzi. Non dopo Lily. Non dopo Regulus. Nemmeno a Remus Lupin, che più di tutti si avvicinava alle sue stesse ferite. Ma Severus non viveva più nemmeno nel rancore e nella disperazione disarmante dei primi tempi. Il volto dell'amica d'infanzia non appariva in tutti i suoi incubi e aveva smesso di lacrimare sangue e rimpianto. Il tempo sembrava aver parzialmente ricucito l'assenza, reso meno insopportabili le colpe, equilibrato la sua sofferenza. 
La morte di Lily Evans era diventato semplicemente il punto di svolta della vita del nuovo Severus Piton. Della vita di un uomo che non cedeva a sé stesso, per lavorare “più in grande”, rinunciando alla possibilità di vivere, scegliere e persino di sbagliare, ma per il bene comune. Severus Piton era ormai programmato unicamente per il fine ultimo, per la morte di Voldemort, per la liberazione di tutti quei pesi sulle sue spalle. Poi avrebbe riposato. Forse. In fondo a ogni cosa. Ci avrebbe provato almeno.
 La nausea lo attanagliò allo stomaco, si staccò dal tavolo, sotto lo sguardo perplesso di Bill e si avvicinò alla finestra, cercando di inghiottire nella memoria l'immagine di lui e Lily bambina che giovano nella neve, di loro che mangiavano biscotti guardando i fiocchi cadere, ridendo forte, infantili e vicini. Cercò di estirpare il ricordo di Lily che correva per i corridoi del castello per raggiungerlo, perché la prima neve era una cosa che apparteneva a loro due, tanto quanto le sue lacrime. Perché anche se crescevano e cambiavano, quando tutto si copriva di quel bianco soffice e insensibile, Lily Evans e Severus Piton dovevano essere lì, immobili e senza parole a vivere quel momento spalla contro spalla.

 “Se vuoi fermarti qui per Natale, Piton” iniziò Bill con tono educato “Mia madre sarebbe contenta, sarebbe bello per tutti. Anche Silente apprezzerebbe che....”
 “Grazie Weasley, abbiamo finito” lo fermò secco Severus, con un gesto del capo e Bill sembrò incerto solo per una manciata di secondi, prima di accennare un mezzo sorriso mortificato e allontanarsi a grandi falcate, lasciandolo solo.  


Natale. Ci mancava solo l'idea di obbligarsi a passare quella giornata in una casa piena di un passato ingombrante e di persone che non lo volevano davvero. Persone anzi da cui lui stesso si era tenuto distante, con parole concise e velenose, con una rabbia misurata e precisa. Non poteva permettersi l'umanità e il calore, Severus Piton. No.

 Perché lui l'aveva distrutta Lily Evans e tutta la sua infanzia. L'aveva abbandonata nel suo passato complicato e quasi scordata per tutti in quegli anni nervosi e gelidi in cui lei aveva costruito una famiglia per sperare nel futuro e lui aveva invece disperatamente cercato una motivazione per vivere a dispetto del suo passato. Tutti quegli anni bui e senza uscita in cui aveva anelato il riconoscimento dei suoi meriti e delle sue capacità. In cui aveva cercato il sapore dell'amicizia. 
Aveva cercato di non pensare a lei, Severusrelegandola tra i ricordi più soffici e indistinti e ci era anche riuscito in qualche modo, almeno fino a quando Voldemort non aveva detto quelle tre parole, quelle tre terribili parole, in risposta alla sua profezia riferita per metà e snocciolata tra le labbra sottili con confusione: Sono i Potter.
“Sono i Potter” e improvvisamente Severus si era reso conto che dall'altra parte della guerra c'erano delle persone. Persone. Non delle ombre indistinte che lottavano contro di loro in nome di qualche archetipo o scrittura. Erano delle persone. Persone che avevano degli ideali reali, differenti da quelli del suo Signore. Erano persone con sogni e sentimenti, ricordi e pensieri propri. Erano persone come Lily Evans. Erano solo... 
 Piton arrancò lontano dalla finestra, inciampando nei suoi stessi piedi e le ginocchia ossute picchiarono sul pavimento duro, quando il suo orientamento perse ogni direzione. Sentì il panico invadergli i muscoli, facendolo tremare. Sentì gli occhi lacrimare e il fiato rantolare nel suo petto in cerca di via d'uscita. Il sapore metallico del sangue in bocca gli annebbiò i sensi, sentì grida, percepì la sua pelle indurirsi di brividi e paura. Annaspò, credendo di soffocare. Non ricordava più come si stesse in vita.

“Severus” la voce pacata di Remus gli arrivò da lontanissimo, obbligandolo a mettere in fuoco la situazione. 
 Passarono secondi, minuti, forse ore, prima che riuscisse a sentire di nuovo il corpo come suo, a riconoscere il dolore dei muscoli contratti, dei polmoni strapazzati dall'apnea. Si accorse con orrore di essere in ginocchio di fronte a un Lupin nella stessa posizione e chino verso di lui. Si accorse di avere la fronte appoggiata alla spalla dell'altro uomo e che lacrime gli colavano sulle guance. Si sentì inerme, debole e cercò di contrarre i fasci di muscoli e nervi per riprendere il consueto distacco tra loro e fuggire da quella stanza e la sua umiliazione, ma il suo corpo sembrava non rispondergli. 
 “Respira, Severus” ripeté Lupin tranquillo, le mani lunghe che premevano sulle sue spalle, come due presenze ferme e gentili, il corpo rannicchiato vicino al suo per farlo sentire protetto da quella stanza che sembrava troppo vasta per il suo smarrimento.
 Passarono altri secondi, minuti, ore. In quella casa che probabilmente odiavano entrambi. Severus si concentrò sul respiro tranquillo di Lupin, lo sguardo però fisso oltre la spalla del mannaro, pieno di vergogna nel farsi trovare così fragile. Scivolò tra i rami dell'arazzo sul muro, inciampando in volti sconosciuti e austeri, fino a ritrovarsi a fissare il viso sottile di un ragazzo ricamato, che dopo qualche istante riconobbe come Regulus Black. 
 Regulus Black. Ecco un altro fantasma che arrivava dal passato con orrore. Regulus Black. L'unico tra i Mangiamorte  con cui si era azzardato a parlare, con cui si era azzardato a respirare a tempo ammettendo la paura. Entrambi giovani in mezzo agli adulti, entrambi assetati di determinazione. Era svanito anche lui, Regulus Black, come cenere al vento.  
Severus non avrebbe saputo nemmeno dire quando o perché, ma improvvisamente sentì con chiarezza la sua assenza. Regulus Black. Un giorno camminava con lui nei ranghi dei Mangiamorte, guardandosi le spalle a vicenda, pieni di sospetto e comprensione, il giorno dopo l'avevano dichiarato morto in situazioni non chiare. Black. 
 
“Regulus” sussurrò inaspettato, nel tentativo di schiarirsi la gola secca e brucianti.

Lupin si riscosse a quel suono, lo osservò attentamente, come se stesse ragionando e Severus sbatté le palpebre, instupidito da quel momento di confusione, fino a quando Remus non gli tese una mano e lo aiutò a mettersi in piedi. 
 “Perché nomini Regulus?” chiese tranquillo il mannaro, ma l'altro uomo scosse il capo scuro, la fronte aggrottata, di nuovo chiuso ed ermetico dietro muri di ostinazione e paura irrazionale.
 “Non so. Mi è venuto, così” mormorò fragile, ma sincero “L'ho visto sull'arazzo.”
 Remus si voltò a guardare il ritratto a sua volta, lo scrutò per un istante prima di annuire assorto e si mise a cercare qualcosa nella tasca del suo pastrano che poi porse a Piton. 
 “È solo cioccolato, Severus.” disse, notando la fronte aggrottata dell'altro “Non morde”

 “Non lo voglio. Grazie.” rispose lui, con un leggero passo indietro.
 “Ti può aiutare, sai?”
 “Lupin...” iniziò con vago imbarazzo Severus “Non dire a Black...”
 “Che hai nominato Regulus?”
 “Sì. Non dirglielo”

 “Vi conoscevate?” chiese Remus “Tu e Regulus intendo” “Un po'” si obbligò a sputare Piton tra i denti, sperando che l'altro non facesse altre domande, che non lo obbligasse ad affondare le dita nei ricordi grigi del suo passato inconcludente e amaro tra le file dei Mangiamorte.

“Hai avuto un attacco di panico Severus. Non c'è nulla di cui vergognarsi” tentò il mannaro “Quello che puoi aver detto, o pensato, rimane tra me e te. Se non vuoi che citi Regulus...”
“Non dirlo” ripeté Piton, gli occhi neri simili a onice rovente, mentre fissavano l'altro uomo “Regulus non voleva che si parlasse di lui a suo fratello, me lo disse più volte. Mi disse che se fosse morto voleva essere dimenticato”
 Remus lo guardò con un vago stupore, forse rendendosi conto che non doveva essere stato l'unico giovane Mangiamorte spezzato, Severus Piton, che chissà quanti come lui e Regulus Black si erano frammentati in pezzi di sabbia contro un ideale in cui avevano pensato di credere e che si era rivelato invece una voragine.
 “Non dirò nulla a Sirius” mormorò infine e il sollievo che sentì Severus rischiò quasi di farlo sospirare e piegare in avanti per abbracciare l'altro uomo. 
 Perché poteva quasi sopportare il mannaro, Severus Piton, poteva quasi accettarlo quanto bastava nella sua vita, dandogli gocce di malferma fiducia, poteva gestire i suoi rimpianti e il ricordo confuso di Lily Evans, a volte eterea e delicata nella sua testa, altre volte testarda e forte, ma non aveva la forza anche di pensare alle torture, al gelo, alla disillusione del suo passato. Al modo in cui lui e Black, Regulus Black, senza mai dirlo nemmeno ad alta voce, avevano compreso di non avere posto al mondo in cui sentirsi a casa. Non nelle loro case. Non ad Hogwarts. Nemmeno tra i Mangiamorte. 

Erano a un passo l'uno dall'altro, Remus e Severus, la tavoletta di cioccolato tra loro. Le occhiaie sui volti, la stanchezza sulle spalle. Consumati, aridi di speranza, in piedi per pura inerzia. Piton che riprendeva lentamente il controllo, chiuso in una maschera di freddezza, Lupin via via più distratto, lo sguardo lontano e il respiro lento. Rimasero in silenzio. 
Fermi al centro di quella vacua stanza, all'ombra del grande albero genealogico della famiglia Black. Erano confusi come due bussole spezzate, troppe poche di ore di sonno sulle ciglia e l'assenza di un momento di pace da giorni. Fuori la neve continuava a cadere e nessuno dei due sembrava avere la forza di abbandonare quella stanza. 
 Severus sarebbe stato solo con i ricordi fantasmi di quei fiocchi leggeri, Lupin avrebbe dovuto ricomporre Sirius Black per la terza volta in una giornata, tracciando solchi e ferite che conosceva a memoria, sfinito in partenza. 
 Rimasero lì quindi, a farsi una tenue e muta compagnia. Stremati dal dover vivere in funzione di qualcosa, e fu infine Lupin, dopo parecchio tempo, a spezzare per primo quello strano momento di condivisione, condito solo dai loro sguardi perplessi e agitati.

“Devo andare, mi aspetta la ronda più tardi e volevo assicurarmi che Sirius fosse ok. Sei sicuro di stare bene, Severus?”
Piton si sforzò di piegare i muscoli irrigiditi e annuire in risposta, esalando piano un “Sì. Certo.”
 “Sai che puoi venire da me se hai bisogno?”chiese Remus lentamente.
  “Lo so, ma non lo farò” sputò sulla difensiva.
 “Lo so” sorrise amaro il mannaro “Ma è importante che tu lo sappia comunque.”
 “Con chi fai la ronda Lupin?”
 “Tonks” rispose quello, stupito dalla domanda dell'altro, forse. 
 Severus annuì lentamente una sola volta e percorse con lo sguardo il volto del mannaro, vagamente grato del suo aiuto, spezzato nel vedere che persino la gentilezza di Remus Lupin, la sua ostinata speranza, il suo sincero affetto per il figlio di Potter e Lily e il rinnovato amore per Black, non bastassero a tenere lontano l'esausta amarezza. 
 “Stai attento, Lupin.” disse, costringendosi a sputare fuori quelle parole, a cedere per un istante all'empatia che gli scaldava il petto “Mi dispiacerebbe non vedere più la tua brutta faccia”
 Remus sorrise mesto, annuì appena, distratto, gli lanciò un occhiata amichevole sussurrando “Lo sarò, Severus”. 
Poggiò la barretta di cioccolato sul tavolo e se ne andò.


*

Era ormai sempre nervoso Sirius, piegato dall'ansia e dalla frenesia, come se fosse costantemente sul punto di fare un ultimo scatto di corsa. A poco serviva la pace che Remus cercava di infondergli, le parole mormorate a tarda notte e affogate in tazze di the. Sirius era irrimediabilmente frammentato, incompleto, sempre sulla soglia di qualcosa, come in bilico con sé stesso. Annebbiato. E dormiva a manciate di minuti ormai e non più di ore. Si rinchiudeva nella soffitta con Fierobecco sempre più spesso, rannicchiato su sé stesso, le labbra fragili che mormoravano parole inudibili. 
L'inattività lo tediava e peggiorava la sua razionalità. L''assenza di stimoli, di Harry, o di altre novità a costringerlo a mettere insieme i suoi cocci, lo portavano all'incuria. Remus ci provava. Ci provava davvero a scrollarlo dalla sua condizione, a scavare in quel relitto di persona per cercare l'amore della sua vita, ma Sirius gli scivolava dalle dita.
 E cercava di ignorare la stanchezza persistente, Remus, le ronde sempre più massacranti alleggerite solo dalla presenza brillante di Tonks al suo fianco, cercava di mettere insieme sé stesso ogni volta che tornava a casa dai giorni insieme agli altri mannari, nel tentativo di essere soffice e tranquillo per Sirius, senza pensare all'odore metallico di muschio e sangue che avevano i suoi simili e che gli si attaccava addosso come una maledizione. Si convinceva di dover ricucire le sue ferite, rimettendo in equilibrio i frammenti di Sirius Black, placando il suo malessere, ma era stanco, Remus. Stanco tanto che a volte si sentiva solo un insieme di legamenti e respiri, senza più direzione, carne o futuro.
 “Da quanto non dormi Lupin?”
Severus lo fissava con sguardo scuro e preoccupato, Remus non si era nemmeno accorto che fosse ancora lì. 
 Di solito scivolava nella stanza, Severus Piton, lasciava la pozione Antilupo sulla scrivania a volte, accettava un pezzo di cioccolato, o un bicchiere di Whiskey nelle giornate più nere e se ne andava. Le spalle chine, i pensieri altrove. 
 Quel giorno invece qualcosa lo aveva trattenuto, ed era lì a strapparlo dai suoi pensieri, la fronte aggrottata e la punta delle dita pallide a stringere un pezzetto di cioccolato che doveva avergli offerto senza esserne accorto. 
 Remus grattò un po' di forza dal fondo della sua apatia, si costrinse a stendere un sorriso stanco, a rendere più gentili le linee della sua espressione. Non meritava acidità e altri problemi, Severus, non quando metà della guerra per qualche motivo gravava sulle sue spalle magre. 
 “Sto bene, Severus, davvero”
 “Non sembra”
 “Da quando ti preoccupi?”

 Il fastidio passò come un lampo sul volto dell'altro uomo, Lupin lo riconobbe in un battito di ciglia. Aveva imparato a leggerlo, Severus Piton, anche se nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso. Aveva imparato a riconoscere la stanchezza nel tremore della palpebra, il sospetto nei lineamenti duri, la rassegnazione delle labbra serrate. Aveva imparato i dettagli in anni sbriciolati in rare passeggiate, molti silenzi e vecchi liquori consumati chini sui piani di ronda.   Era stato un appiglio per Remus, Severus Piton, una costante ermetica e sgradevole, che cercava di respingerlo con costanza, ma in cui eppure si riconosceva senza sforzo alcuno e che era grato di non avere mai troppo distante da sé. 
Si erano entrambi abituati alla presenza della solitudine dell'altro, forse. 
 “Non voglio essere una tua preoccupazione, Severus”
 “Non lo sei”

 “Allora non chiedere risposte che non vuoi in realtà conoscere”
 “Non ti odio, Lupin. Non abbastanza da vederti massacrare in questo modo.” rispose secca la voce dell'altro.

Era sempre gelido, Severus Piton, ma Remus doveva dargli atto di una certa coerenza nel suo rispetto blando, che quasi concedeva solo ad alcune persone, tra cui lui. Si mordeva con Black infatti, Piton, rivangando il passato e sputando sentenze, ma quando loro due passavano tempo insieme, Remus e Severus, anche solo confrontando i piani, le notizie e le possibilità, non citava mai Sirius. Non cercava di umiliarli per la loro condizione, quella di un coppia che si prosciugava di amore e pena, non scrollava Moony dicendo lui che cercava un fantasma dentro quegli occhi grigi, come aveva fatto Molly Weasley. Severus lasciava che Remus trovasse il suo modo di cucire le proprie ferite e quelle di Sirius e non inferiva mai, come se il suo fine ultimo fosse quello di lasciare ad ognuno il proprio spazio per esistere.
Ed era grato, Remus, a quei 'Stai bene, Lupin?' sputati tra i denti di quell'uomo rigido e controllato. Grato di quella fugace attenzione che scivolava su di lui senza mai soffocare, quasi solo come una carezza amichevole e di conforto.

 “Ho un disperato bisogno di dormire” sussurrò il mannaro e allungò una mano a poggiarla sulla spalla dell'altro uomo, stupendosi quando non lo sentì ritrarsi come sempre e lo vide pallido nel tentativo forse di apparire gentile.
 “Come sta Black? È lui che ti preoccupa?” mormorò Severus, a voce tanto bassa che quasi non sembrava reale e Remus sentì gli occhi che pizzicavano di lacrime e sale a quella domanda così netta e inattesa. 
 Perché ancora una volta Severus Piton svestiva la sua corazza per creparsi di una rispettosa comprensione. Perché forse lui più di tutti poteva immaginare gli incubi che sconvolgevano i giorni di Sirius Black.

 “Sta male” mormorò il mannaro “A volte sembra perdersi dentro di sé e non so come raggiungerlo”

Piton lo guardò per un istante, poi mangiò con aria assorta il pezzetto di cioccolato ormai sciolto tra le dita pallide. Sembrò dondolare un poco sui talloni, incerto, prima di affondare una mano nella tasca della sua veste e tirarne fuori una boccetta, lo sguardo distratto, vagamente rivolto alla figura sottile di Regulus Black sulla parete.
 “è Bevanda della pace” mormorò rauco e accigliato, con l'aria di chi vuole fuggire dalle sue stesse parole “L'ho appena distillata. Fagliela bere prima di dormire. Credo funzionerà meglio del tuo cioccolato, ma si basa su un concetto simile. Black probabilmente soffre di allucinazioni causate dall'esposizione prolungata ai Dissennatori. Sappiamo poco degli effetti a lungo termine, perché ci sono, come puoi immaginare, pochi casi di studio, ma un po' di questa pozione, la possibilità di fare bagni caldi e lunghi sonni, oltre che la tua presenza dovrebbe aiutare.”

 Remus sentì le labbra piegarsi appena in un sorriso per quel regalo inaspettato e perse un istante a chiedersi se più che per lui Severus lo stesse aiutando perché Sirius, nonostante tutto, era fratello di Regulus Black. Alzò lo sguardo per ringraziare, ma l'altro si era già voltato e si avviava a grandi passi verso il camino, per tornare ad Hogwarts, il mantello nero sulle spalle magre, come una scia fredda e scura. Il mannaro sospirò e rimase per un istante immobile, come se non sapesse dove spostare le sue energie: lungo, dinoccolato e solo in mezzo alla stanza piena di arazzi e ombre.

 Gli occhi scivolarono per un istante sul profilo spigoloso di Regulus e qualcosa nella sua smorfia, altezzosa e fragile allo stesso tempo, gli ricordò Sirius. Sirius con la sua molle alterigia, il suo sorriso furbo, la mente arguta, così come era stato nei suoi giorni migliori tra i corridoi di Hogwarts, la scopa da volo su una spalla e la risata coordinata con quella gradasse e sincera di James Potter.
 Si trascinò verso la soffitta, Remus Lupin, senza più speranza e con molta stanchezza. Si trascinò dal suo unico cuore pulsante: Sirius Black e quando lo trovò addormentato ai piedi di Fierobecco, raggomitolato su sé stesso in una forma di pelle e ossa tenute insieme con la volontà, si sentì perso. Si chinò su quell'uomo amato, le labbra che avrebbero voluto mormorare canzoni e ricordi lontani all'ombra di Sirius Black e che invece si spaccavano per il gelo sopportato nell'ultima ronda. Si chinò su quell'uomo adorato, Remus Lupin, scostando ciocche di capelli da quegli occhi chiusi che sapeva grigi, sfiorando quella pelle tiepida e martoriata, sentendo che Sirius Black stava scivolando via dentro sé stesso e nemmeno tutto il suo amore avrebbe potuto fermarlo.
 “Sirius” mormorò, scuotendolo appena “Andiamo a dormire.”
 L'altro socchiuse gli occhi e annuì alla cieca, raddrizzandosi incerto e poi seguendolo silenzioso giù per le scale, le dita fragili intrecciate debolmente con quelle di Remus, lo sguardo perso su pensieri lontani.

 “Ho paura Remus” mormorò affranto, un velo di sudore sulla fronte, mentre si rannicchiavano nel loro letto, aggrappandosi come sempre tra loro, tremanti ed esausti. 
 “Anche io Sirius” rispose il mannaro e quasi non si accorse della stanchezza troppo pesante che lo trascinò nell'incoscienza un istante dopo, prima che potesse anche solo provare a confortare Sirius Black.

 Rimase nel torbido limbo di chi è abituato a dormire con la bacchetta stretta al fianco, pronto a scattare in piedi alla prima occasione, allenato all'emergenza, alla guerra silenziosa di chi si prepara a combattere nel tedio delle retrovie. Si svegliò d'improvviso quelli che sembravano essere pochi secondi dopo e che invece erano ore. 
 La stanza era buia e silenziosa. La casa intera sembrava trattenere il respiro. Sirius non c'era e un panico lieve percorse Remus non trovandolo accanto a sé e uscì in corridoio chiamandolo, arrancando spaventato contro gli scalini fino al piano inferiore, maledicendosi per essersi addormentato senza prima ricomporre l'animo di Black. 
 “Moony”


Sirius fece capolino dalla porta della sala principale e Remus quasi cadde sulle ginocchia nel guardarlo in viso. 
 “Padfoot?” chiese rauco e incredulo, senza quasi riconoscerlo. 
Gli occhi grigi erano stranamente a fuoco, privi di quella patina d'angoscia di cui Azkaban li aveva ricoperti, il volto disteso, la posa morbida, le spalle rilassate e i lineamenti del viso affilati e pronti, ma non contratti. Lo guardava in viso, Sirius Black, con un accenno di uno dei suoi sorrisi da lupo che a Remus mancavano come l'aria e con una strana determinazione a inquinare le sue movenze. Non c'era la frenesia malsana di chi cerca una via d'uscita, non c'era nemmeno la sorda angoscia di chi non riesce a fuggire dai propri incubi. Sirius Black sembrava rinato. 
 E forse per questo Remus non riuscì a dire nulla, né a reagire, quando quello stesso uomo che nelle ultime notti passate disperatamente insieme gli era sembrato distrutto e che aveva confortato, tenendolo stretto per impedirgli di ferirsi da solo, all'improvviso si fiondò verso di lui, gli prese il volto tra le mani e gli  diede un bacio sulle labbra che sapeva di vittoria e vibrava di qualcosa che sembrava essere stato fino a quel momento dimenticato.
 E non riuscì ad essere razionale Remus Lupin, nemmeno un po', quando la fronte di Sirius si posò contro la sua e i loro respiri si coordinarono per una strana magia. Non riuscì a frenarsi, Remus Lupin, quando Sirius sorrise apertamente e gli diede un altro bacio e poi un altro ancora, le dita che affondavano nei capelli arruffati del mannaro.

“Padfoot” gracchiò confuso, dopo quelle che parvero ore, labbra contro labbra, screpolati e tremanti a mischiare i respiri, mentre si aggrappavano tra di loro in quella stretta che finalmente sapeva di amore, oltre che di disperazione. 
 “Moony. Dobbiamo andare al Ministero” sussurrò Sirius, stringendolo contro di sé e a Remus Lupin, così alto e goffo, gli sembrò di affondare contro il corpo magro dell'altro, di essere per un momento una cosa sola.
 “Al Ministero?” sussurrò confusamente, aggrottando le sopracciglia come faceva da ragazzo. 
 “Al Ministero” confermò Black “Harry e altri ragazzi stanno andando lì a quanto pare. Mocciosus ha dato l'allarme poco fa, ha dato di matto in realtà, si disperava di avvisarti di ogni cosa il prima possibile, ma volevo che ti riposassi fino a quando non avessimo capito cosa fare e fossimo certi che Harry fosse davvero in pericolo, prima di uscire allo scoperto. Il fatto è che non sono a scuola, non sappiamo ancora cosa sia successo, ma hanno bisogno di rinforzi. Ora.”
 Remus sbatté le ciglia perplesso, assimilando quelle informazioni, mentre lentamente la guerra ricadeva sulle sue spalle. Mise a fuoco la missione, ricordò le prime stanze dell'ufficio Misteri che aveva ispezionato con un Indicibile amico e Arthur Weasley l'estate precedente e i brividi gli corsero sulla pelle e la sua licantropia, che odiava, ma che l'aveva reso più reattivo e sensibile negli anni, mischiandosi con le sue reazioni e i suoi sensi, gli seccò le fauci e lo mise in allerta, ampliando  la sua percezione e gridando al pericolo imminente.
 “No, Sirius” mormorò prontamente, la sensazione di essere sul bordo di un precipizio che lo faceva barcollare, il petto stretto dalla paura di perderlo per troppa foga, di nuovo “No, no, Padfoot. Tu non puoi...”
 “Non ti lascerò là fuori a combattere da solo, Moony. E non abbandonerò Harry”
 “Devi stare al sicuro. Tu...”
 “Nessuno di noi è al sicuro da molto tempo, Rem. Respira ora”

Ed era calmo, Sirius Black, come non lo era mai stato negli ultimi due anni. Aveva la sicurezza di chi ha tutto sotto controllo, che sfoggiava da ragazzino, il modo di fare placido di chi sa come andranno le cose, tanto che Remus, per la prima volta in quel tempo di inferno, pensò che poteva affidarsi all'altro, che insieme potevano farcela, che non era lui a dover gestire entrambi in quella lotta, che potevano salvarsi a vicenda.  
Perché lo sguardo di Sirius Black era limpido, presente, mentre affondava negli occhi color cioccolato del mannaro e Remus Lupin non riuscì a impedirgli di prendere la sua scelta, non si sentì abbastanza forte, né abbastanza fermo, ma si ritrovò già ad annuire, mentre il cuore gli sanguinava di amore, spezzato tra la gioia di rivedere Sirius, il suo Sirius, in quei lineamenti adulti e la paura di osservarlo sparire come polvere.
 Ma era un eccezionale combattente, Sirius Black, Remus lo sapeva e continuava a ripeterselo. Era agile, intelligente e spietato. Poteva difendersi con efficacia, perché era stato un tempo uno studente brillante al limite del credibile.
 E poi in fondo lo sapeva, Remus Lupin, che se anche se si fosse opposto all'idea che Sirius lasciasse quella maledetta casa piena di ricordi e cigolii, andando da solo a salvare Harry e lasciando che lui macerasse nell'attesa di vederlo tornare, lo avrebbe perso comunque, nei meandri della sua noia. Non subito forse, ma giorno dopo giorno, ora dopo ora in cui Sirius Black viveva senza riconoscere sé stesso allo specchio.
Non ragionò quindi, Remus Lupin, per una volta nella sua vita e si lanciò contro quel sorriso da lupo, assaggiando quelle labbra che sapevano di perdono e speranza, mentre Sirius continuava a stringere tra le mani il suo volto con ferma delicatezza, quegli occhi grigi così brillanti che lo scrutavano fino in fondo alla sua anima tremante. 
 Fecero entrambi una risata rauca e amara quando smisero di baciarsi come ragazzini, ebbri di un'insensata felicità e si strinsero in quell'abbraccio ancora un istante, nascondendo la paura che il loro mondo si sbriciolasse dietro espressioni quiete e stranamente controllate, alimentate da una sorda adrenalina.

 Il tutto era durato non più di una manciata di secondi affrettati, ma Remus Lupin avrebbe potuto descrivere il sapore di quell'abbraccio, avrebbe potuto dire il numero di respiri che si erano scambiati, l'odore preciso dei loro baci. 
 “Ti amo da impazzire, Remus Lupin” disse Sirius afferrandolo per mano, pronto a raggiungere gli altri, con quell'aria baldanzosa da ragazzaccio che era, ancora legato al passato e assetato di futuro, il sorriso da lupo a tagliargli il viso.
 “Sei il solito esibizionista, Padfoot” sorrise Remus mite, seguendolo giù per le scale, ma mentre già macinavano i primi gradini verso le voci degli altri dell'Ordine, Black titubò, voltandosi verso di lui, le labbra serrate: insicuro e pensieroso.
 Lui che non aveva mai avuto la grazia di ragionare due volte a qualcosa, in passato, lui che della logica e la preparazione poco gli importava, fin dai loro scherzi immaturi e divertenti ai tempi della scuola, lui che si spingeva all'azione con coraggio irresponsabile dal primo istante in cui aveva vissuto: si fermò.
 “Mi ami anche tu, vero Moony?” sussurrò con strana lentezza e sembrò improvvisamente fragile, tanto che Lupin lo guardò con stupore, le labbra socchiuse dalla confusione. 
 “Ne dubiti?” chiese con tatto “Farei qualunque cosa per te.”
 “Lo so” rispose Sirius con aria un poco spersa, grattandosi dietro il capo come faceva da bambino, ciocche di capelli scuri che nascondevano le gote pallide “È che a volte mi sento la disgrazia della tua vita”
“Lo stai dicendo davvero a un lupo mannaro?” sorrise Remus, poggiando il palmo della mano sul volto dell'altro, rimirandolo per un istante, in ogni piccolo dettaglio, avvertendo ancor più forte la sensazione di un precipizio accanto a loro in cui avrebbero potuto lasciarsi cadere, mischiata alla voglia di prenderlo per mano e fuggire per nascondersi egoisticamente dal mondo, forse per tornare al loro appartamento di piastrelle ad ascoltare musica e bere caffé nero. Felici. Almeno una volta ancora, una soltanto. 
 “Tu mi hai salvato.” disse Remus con candore “Non lo sai? Ti amo anche io, Sirius Black”. 
 L'altro sorrise con vago sollievo a quell'affermazione, le ciglia che accarezzavano le guance mentre respirava piano, si mise sulle punte per baciarlo di nuovo e lo fece lentamente questa volta, con dolcezza struggente, tanto che il cervello di Remus si annebbiò di quell'ondata di benessere e felicità che non aveva più sperato di provare. 
Erano entrambi sullo stesso precipizio ora e si amavano terribilmente. Andava tutto bene.
 “Andiamo a salvare Harry” mormorò sulle sue labbra Black, gli occhi grigi di nuovo vivaci. 

E Lupin non disse nulla e scacciò il pensiero di Severus Piton che fece breccia per un istante nella sua mente, inaspettato. Perché era certo, Remus, che il Serpeverde, se fosse stato lì, gli avrebbe detto di ragionare, di guardare Sirius e accorgersi delle sue ferite interiori, di tenerlo al sicuro per non essere di nuovo uno spezzato, lui, Remus Lupin.  
Forse era proprio il motivo per cui Piton aveva cercato di parlare con lui e Remus se ne rese confusamente conto in quel momento. Forse Severus, se fosse stato lì, lo avrebbe aiutato davvero a prendere scelte migliori, a preservare Black perché lui non ne uscisse ferito. Ma Severus non c'era e Remus si sentiva invincibile.
 Afferrò Sirius per mano, inghiottendo la sensazione di addio che gli formicolava addosso, lasciandosi guidare dall'urgenza, osservando con occhi sgranati il profilo amato di Black, mentre pensava alla tazza di the che avrebbero bevuto una volta di nuovo in salvo, al profumo delle lenzuola del letto che avrebbero diviso guardandosi finalmente in volto, al colore del cielo che avrebbero osservato dalla loro casa, in futuro: Sirius lucidando la sua nuova scopa, la risata tra i denti e l'aria da ragazzaccio su quel volto nobile e bello, i tatuaggi a ricamare il suo pallore, la loro canzone canticchiata sommessamente nel silenzio. Remus che leggeva invece il suo libro preferito, indossando il suo vecchio maglione bucherellato sul corpo magro, una tazza di the sulle ginocchia appuntite, il sorriso sereno appena accennato. Tra loro di loro sarebbe rimasta solo una tavoletta di cioccolato, un bicchiere di Whiskey e forse la musica di sottofondo, da ascoltare insieme, spalla contro spalla.
 Respiro contro respiro.


*Angolo Autrice*

Ciao Lettori. 
Dovete scusarmi per questa assenza, ma è stato un mese terribile e nelle ultime settimane ho avuto anche un lutto in famiglia, quindi, come potete immaginare, aggiornare non era nei miei pensieri e, come ho ripetuto più volte, tengo molto a questa storia e non volevo affrettare la pubblicazione. 
Capitolo complicato questo. Soprattutto doloroso da scrivere e immagino non semplice da leggere. Attraversa i traumi di Sirius, ma osservandoli dal punto di vista distrutto e annebbiato di Remus e quello più cinico e distaccato di Severus, che eppure si preoccupa per il mannaro. 
Ho immaginato che Piton e Regulus si conoscessero e avessero condiviso dei momenti e dei punti di vista, essendo di gran lunga i più giovani tra i Mangiamorte (Regulus lo diventa a 16 anni, Severus a 17 e tra loro vi è un anno di differenza).
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Con affetto
vi



  
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