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Autore: FreddyOllow    01/03/2022    1 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Pete, stai bene?" chiese Megan, preoccupata. "Vuoi un po' di foglie?"
Si alzò in piedi. "Sto bene... Non ho più mal di testa. Mi sento meglio."
Lei sorrise.
"E poi le foglie dobbiamo tenerle per i morsi. Forse alla centrale torneranno utili."
La donna si rabbuiò.
"Che c'è?"
"Niente."
"È per la centrale? Hai sentito Jill. L'elicottero è l'unica via di fuga. Io so pilotarlo."
Megan abbassò gli occhi. "Non è per questo... Ti conosco. Se trovassimo qualcuno, tu resteresti lì per aiutarlo. E noi non ce ne andremo mai da qui."
"Non possiamo abbandonare la gente. Sono più che sicuro che Marvin è lì. Forse ha organizzato una resistenza. Se è così, dobbiamo aiutarlo. Forse lui ha già pensato a un piano di fuga. E poi sono un poliziotto. Ho il dovere di proteggere le persone."
"Però prima non hai mai mosso un dito per aiutare quelli che abbiamo incontrato."
Lui non rispose.
Lei restò in silenzio. Voleva solo andare via, allontanarsi da tutto questo. Forse era un atteggiamento egoista, ma anche altri lo avrebbero fatto. Oppure si stava giustificando?
"Meg" disse Pete. "Tutto bene?"
"Sì."
"Dammi la pistola." La guardò dritta negli occhi. "Andrà tutto bene. Adesso muoviamoci."



 

Marvin raggiunse il suo ufficio e si chinò di nuovo sulla mappa. Era combattuto. Non sapeva se aveva fatto bene a risolvere la situazione in quel modo. Forse aveva esagerato. Non sapeva con certezza cosa fosse successo, ma non poteva punire solo Jim. Sapeva quanto Chung potesse essere irritabile. Non era la prima volta che creava problemi. Molti agenti si erano lamentati per il suo atteggiamento e alcune volte erano scoppiate delle risse per causa sua.
D'altronde, Jim era un volto conosciuto nel dipartimento. Non faceva che entrare e uscire da una cella. Risse, molestie, ubriachezza, vandalismo e altri reati minori. L'ultima volta che lo avevano messo dentro era per molestie e lesioni personali gravi. Aveva picchiato la sua ragazza e altri due ragazzi che erano intervenuti per fermarlo, compresa un'altra ragazza. Gli agenti intervenuti erano stati costretti a usare i manganelli per renderlo inoffensivo.
Da quel giorno erano passati undici settimane. Una volta uscito su cauzione, era andato dritto a casa della sua ragazza, ma non l'aveva trovata. Da allora era sparito, finché era stato arrestato per ubriachezza molesta in un bar, due giorni prima dell'epidemia. E ora stava fomentando una rivolta.
"Forse non una rivolta, ma qualcosa di simile" si disse Marvin.
Qualcuno bussò sullo stipite della porta.
Marvin alzò lo sguardo. Era Elliot. "Sì?"
"Kevin è uscito in cortile."
"Cosa?"
"Ho tentato di fermarlo, ma ha detto che voleva riflettere."
"Riflettere?"
Elliot alzò le spalle.
"Riflettere su cosa?" chiese Marvin. "Sulle parole che gli ho detto?"
"È probabile."
"Non ascolta mai. Fa sempre di testa sua."
"Volevo dirti che ti appoggio."
"Su cosa?"
"Su come hai gestito la situazione. Hai fatto la scelta giusta, solo che..."
Marvin si accigliò. "Che?"
"Mi avevi detto che avresti gestito le cose in maniera diversa, ma poi hai fatto tutt'altro. Mi hai stupito."
"Certe situazioni richiedono misure drastiche." Si lasciò cadere sulla sedia d'ufficio con fare pensieroso. "Non sono sicuro di aver fatto la scelta giusta."
"L'hai fatta" disse Elliot. "Jim dava fastidio un po' a tutti. E poi ho notato che si era messo a infastidire Liah. Lei non se ne lamentava, ma se non avessi fatto qualcosa tu, lo avrei sistemato io."
"Non lo sapevo. Perché non me lo hai detto?"
"Non volevo stressarti. E poi non sei da solo. Puoi contare su di me e sugli altri agenti. Non caricarti di tutti i fardelli, tenente."
"Grazie, Elliot."
Lui annuì con un sorriso sincero. "Si figuri, tenente." Andò via.
Marvin chiuse gli occhi arrossati. Era esausto. Persino pensare era diventato difficile. Voleva solo riposare un po'.
"Li chiudo solo per un po'. Solo un po'..."



 

Il Licker sparì dietro la finestra. Nick abbassò la pistola e guardò la porta aperta da cui erano uscite le due zombie. Si fermò davanti al cadavere con l'accetta nel cranio e la sfilò con fatica. Si udivano dei suoni, come dei colpi su un legno. Raggiunse cauto la porta aperta e sbirciò dentro. Le assi di legno piantate sull'unica finestra erano ridotte a brandelli e il pavimento era cosparso di sangue e vetri. Cinque zombie erano a ridosso di una porta e la colpivano con pugni e testate.
"Ci deve essere qualcuno là dietro..."
Un non-morto si girò e barcollò verso di lui, che si nascose dietro lo stipite. Quando gli arrivò vicino, Nick gli sferrò un colpo in fronte e quello crollò con un tonfo. I quattro non-morti si voltarono verso il suono e gemettero. Uno di loro arrivò vicino alla porta e inciampò sul cadavere. Mentre Nick stava per colpirlo, un Licker entrò dalla finestra infranta e zampettò rapidamente sul soffitto.
La recluta sbarrò gli occhi, terrorizzato.
Lo zombie gli afferrò un piede e gli morse il cuoio dello stivale. Quello lo colpì con l'accetta, ma scivolò sul pavimento.
Il licker scattò la testa verso di lui, la lunga lingua che frustava l'aria. I quattro zombie gli vacillarono incontro.
Il non-morto gli diede un altro morso allo stivale e lui lo colpì con la pianta del piede. Lo scricchiolio dell'osso del collo echeggiò nel corridoio. Il non-morto smise di muoversi, la punta dello stivale in bocca.
Il Licker ruggì eccitato e si precipitò verso di lui, che gli puntò la pistola.
Sparò.



 

Quando Pete e Megan uscirono dal negozio, una dozzina di non-morti vagabondavano nella strada.
Pete guardò la fidanzata. "Ok, ci muoveremo rasenti agli edifici. Lì non ci sono zombie. Andiamo."
Superarono il posto di blocco, dove c'erano due cani zombie morti e seguirono le pareti. I non-morti si voltarono verso di loro e gli zoppicarono dietro.
"Facciamo presto" disse Pete. "Siamo quasi arrivati."
Oltre passarono un bus e due auto della polizia e si fermarono davanti a un altro posto di blocco.
"Questo è diverso dagli altri" aggiunse Megan.
"È stato fatto dalla polizia, non dalla SWAT. Forse hanno cercato di respingere gli zombie."
Quando superarono il lungo pannello blu che ostruiva la maggior parte della strada, dozzine di poliziotti morti giacevano sull'asfalto.
Pete restò inorridito. Li conosceva quasi tutti.
"Non ci voglio passare tra di loro" disse Megan, impaurita.
"Sono morti. Non possono farti niente. Andiamo."
"No."
Pete la guardò, serio. "È l'unica strada per entrare nella centrale. Non avere paura. Ci sono io."
"Non mi piace. Ho una brutta sensazione."
Lui sbuffò, irritato. "Senti, o passiamo da qui, o ci facciamo mangiare da quelle cose. Non abbiamo altra scelta."
"Possiamo non andarci."
"Non ricominciare. Il dipartimento è l'unico posto sicuro." Le afferrò una mano e se la trascinò dietro.
S'incamminarono tra i corpi senza vita degli agenti, un tempo suoi amici. Cercava di non guardarli e di trattenere le lacrime, ma quelle scesero copiose lungo il suo viso.
Quando arrivarono a metà strada, i poliziotti alzarono i busti squarciati e gemettero.
"Lo sapevo!" disse Megan, terrorizzata. "Adesso ci uccideranno!"
Pete era troppo scosso per risponderle. Aumentò il passo. Serpeggiarono tra gli zombie, che allungavano le mani scarnificate verso di loro. Un non-morto afferrò Megan per una gamba e la fece cadere bocconi a terra. Quella cacciò un urlo.
Pete si voltò e conficcò il coltello nel cranio dello zombie. Poi le liberò la gamba dalle fredde dita e corsero verso il cancello posteriore della centrale. Lo scosse con forza. Era chiuso. "Dobbiamo scavalcarlo. Forza, ti aiuto io."
Megan era così stordita e spaventata, che fece tutto in automatico. Posò le mani sulle sbarre di ferro, un piede sulle mani intrecciate di lui, che la spinse in alto, e scavalcò il cancello. Pete la seguì poco dopo.
I poliziotti zombie si accalcarono davanti al cancello, le mani protese tra le sbarre.
"Io... come" disse Megan, senza capire come aveva fatto a scavalcare il cancello.
"Vieni, Meg, Entriamo dal retro."
Proseguirono lungo il cortile puntellato da file di siepi, fiori e muretti e si fermarono davanti a una porta di ferro.
Pete girò la maniglia. Era chiusa. "Cazzo, dovevo immaginarlo..."
"E ora?"
"Ora dobbiamo trovare un modo per entrare."
"Forse non c'è nessuno."
"La porta è chiusa, non vedi? Non volevano fare entrare gli zombie. Quindi sono più che sicuro che ci sia qualcuno all'interno." Sferrò un pugno a martello sulla porta. "Aprite! Qualcuno mi sente? Sono Pete Anderson!"
Qualcosa zampettò rapidamente lungo la facciata dell'edificio e sparì dietro il cornicione.
Megan aggrottò la fronte, impaurita. "Pete... Pete! Ho visto qualcosa." Lo strattonò. "Pete!"
Lui la ignorò. "Mi sentite?" Martellò di pugni la porta. "Sono..."
Quella si aprì con un cigolio.
Pete si accigliò, serio. Megan sorrise.
"Oh, guarda un po' che sorpresa" disse Johnson con un ghigno sinistro. "Lo scemo del villaggio è ancora vivo."



 

Quando Marvin riaprì gli occhi, Kate lo stava fissando. Trasalì. " Mi ha fatto prendere un colpo..."
"Mi dispiace, non volevo spaventarti."
Il tenente si stropicciò gli occhi arrossati. "Che succede?"
"Niente. Sono solo preoccupata per Nick."
"Se la caverà."
Lei si sedette sulla scrivania. "Lo so."
"Allora perché ti preoccupi?" Marvin intuiva il motivo, ma non voleva dirle niente.
Lei non rispose.
Lui sorrise. "Nick è un bravo ragazzo. Sa quello che..."
"Stiamo insieme" disse Kate, imbarazzata.
Marvin non parlò subito. "Avevo notato qualcosa... A dire la verità, vi ho visto dietro il divisorio di vetro."
Kate deviò lo sguardo, a disagio. "Non è contro il regolamento, giusto?"
"No, ma il regolamento è l'ultimo dei nostri problemi."
Le relazioni tra colleghi non erano vietate, ma non erano ben accette da Irons, che le sradicava sul nascere con minacce di licenziamento. Ma a Marvin non importava più. Quando questa brutta storia sarebbe finita, Irons sarebbe stato licenziato o peggio. E Johnson lo avrebbe seguito.
Lei accennò un sorriso. "Volevo... volevo che tu lo sapessi."
"Potevi anche non farlo, visto l'attuale situazione. Ma ti ringrazio. E..."
Elliot corse nell'ufficio con fare preoccupato. "Tenente, il cancello. Gli zombie lo stanno per abbatterlo."
Marvin scattò in piedi. "Cosa?"
"Ho posizionato degli agenti davanti al portone d'ingresso."
Marvin si diresse con passo sostenuto verso la balconata della hall, seguito da Elliot e Kate. Quando vi arrivarono, gli zombie tartassavano di pugni il portone e le due grandi finestre. I tredici superstiti si erano raggruppati alla reception, dietro la statua. Tutti gli agenti erano vicini all'entrata.
"Mantenete la posizione!" urlò Marvin, correndo lungo la balconata. Scese le scale e li raggiunse.
"Tenente, tra poco entreranno qui" disse Kevin. "Cosa facciamo?"
"Quanti sono?"
"Cosa?"
"Gli zombie, dannazione!"
"Ne ho contati trenta, ma forse sono molto di più. La maggior parte si è divisa nel cortile."
Quella era l'ultima cosa che voleva sentirsi dire. Se si fossero espansi attorno alla centrale, sarebbe stata la fine. Per fortuna aveva fatto barricare l'ala ovest. Potevano fuggire da lì e andare sul tetto.
"Il canale fognario passa sotto la centrale" disse Elliot. "Possiamo usarlo per fuggire."
"Le fogne non sono sicure."
"Come lo sai?"
"Lo so."
La grande finestra a sinistra andò in frantumi.
"Mantenete la posizione!" gridò Marvin.
I superstiti gridarono e alcuni fuggirono nell'ala Ovest.
"No, dannazione. Fermi!"
Liah e Tania si fermarono e lo guardarono per un istante. Poi ritornarono alla reception.
Gli zombie entrarono e caddero oltre la finestra. L'altra esplose un momento dopo. I gemiti echeggiarono nel salone, ovattando qualsiasi rumore.
"Colpiteli alla testa!" urlò Marvin. "Alla testa!"
Nessuno lo sentì.
Si avvicinò agli agenti e indicò loro di colpire la testa. Quelli annuirono.
Kevin si lanciò contro gli zombie. Conficcò il coltello nel cranio del primo, poi indietreggiò velocemente prima di esserne circondato. "Sono troppi!"
"Non fatevi accerchiare!" urlò Marvin.
Alcuni zombie misero i piedi in fallo sui due scalini dell'atrio e caddero a terra. Altri cascarono oltre il parapetto.
"Usate le pistole, se ce l'avete!" gridò il tenente.
Gli spari sovrastarono i gemiti per un momento. Una decina di zombie crollarono sul pavimento, le teste ridotte a una poltiglia di cervella e sangue.
"Kevin, prendi i superstiti rimasti e portali al sicuro sul tetto!" urlò Marvin.
"Sono più utile qui. Me la cavo nel corpo a corpo."
"Per questo devi andare tu. Devi proteggerli!"
Lui annuì. Si diresse dai sette sopravvissuti dietro la reception e li condusse nell'ala Ovest.
Liah si fermò sotto la porta e lanciò uno sguardo a Marvin, che le accennò con la mano di continuare a muoversi. Tania piangeva.
Un'altra decina di non-morti cadde a terra con il cervello spappolato. Il portone d'ingresso cedette e si abbatté sulla schiena di quelli davanti.
Altri zombie entrarono nella hall.
"Non possiamo affrontarli con le armi bianche" urlò Elliot. "Sono troppi. Ci accerchieranno!"
Marvin gli diede ragione. Non potevano fare molto. "Ritiratevi lentamente verso l'ala ovest!" Lanciò un'occhiata alla porta dell'ala est da cui era uscito Nick. Sperava che lui e Rita non arrivassero proprio adesso, o sarebbero morti. Poi guardò la statua che troneggiava sugli zombie. E si rese conto che il piano di fuga era andato in fumo. Doveva uccidere tutti gli zombie per avere di nuovo accesso alla Hall. Quando si girò, Kate gli era davanti, la faccia insanguinata, mangiucchiata, da cui penzolavano lembi di pelle. Lo afferrò per la camicia e gli affondò i denti nella giugulare.
Si svegliò di soprassalto sulla sedia d'ufficio, il cuore che gli martellava nel petto, la fronte che grondava sudore. "Cosa... Era... era così reale." Si tastò il corpo, incredulo. Si alzò e perse un poco l'equilibrio. Si portò la mano sulla fronte. Scottava.



 

Il proiettile centrò il cervello esposto del Licker, schizzando di sangue e materia grigia gli zombie alle spalle.
Nick sbarrò gli occhi, sorpreso. Lo aveva beccato al primo colpo. Tutti quei pomeriggi passati all'armeria della centrale avevano dato i suoi frutti. Non amava molte le armi, in quanto gli evocavano brutti ricordi. Situazioni che aveva cercato di dimenticare da una vita. Sua madre morta in una rapina finita male, il petto squarciato da un colpo di fucile a pompa. Ricordava i due poliziotti e l'assistente sociale all'uscita della scuola, il cupo e rigido orfanotrofio dove era rimasto chiuso fino ai diciassette anni. Di quel periodo ricordava davvero poco, ma quel poco era peggio dell'inferno.
Uno zombie inciampò sul cadavere della creatura e cadde sul pavimento, riportandolo al presente. Scattò in piedi e gli conficcò l'accetta nel cranio. Poi attese l'arrivo degli altri non-morti. Indietreggiò un po' e colpì il secondo zombie in fronte. Indietreggiò nuovamente e sferrò un colpo al terzo non-morto sopra l'orecchio.
Si piegò in avanti e riprese fiato.
La porta di fronte si aprì con uno stridio.
Lui alzò lo sguardo. "Rita?"
"Nick!" disse lei, contenta.
"Stai bene?"
"Sì, certo. Tu?"
Nick superò i cadaveri e la raggiunse. "Ti stavo cercando."
"Pensavo fossero morti tutti."
"Sei da sola?"
Lei annuì. "Tu?"
"No, sono insieme a sei agenti e quattordici sopravvissuti. Ora andiamo."
"Aspetta! Prima devo trovare qualcuno."
"Non abbiamo tempo. Marvin ha un piano di fuga, ma ci servi tu per portarlo a termine."
"No, prima devo trovare Pam."
Nick si rabbuiò e abbassò lo sguardo.
Rita lo guardò, turbata. "Cosa c'è?"
"Pam non ce l'ha fatta..."
La donna era sconvolta. "Sei sicuro? Forse ti sei confuso."
"No, era lei. Mi ha attaccato e... Si trova nella stanza delle prove."
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime e si voltò per non farsi vedere.
"Mi dispiace" disse Nick. "Sapevo quanto eravate legate. Mi dispiace tanto."
Quando si girò verso la porta da cui era entrato, la testa di un Licker sbucò da dietro lo stipite.
Si pietrificò.
La creatura entrò nella stanza e Nick indietreggiò verso Rita, che non si era accorta di niente. Quella fece per girarsi, ma lui la fermò e le intimò il silenzio con un dito sulle labbra.
Poi indietreggiarono verso lo stanzino in cui si era chiusa la donna. Quando arrivarono sulla soglia, lei calpestò alcuni vetri.
Il Licker scattò la testa versi di loro e ruggì, la lunga lingua che saettava in aria.
Nick puntò la pistola e sparò. Il cervello della creatura saltò in aria come pezzi di gelatina.
Rita gli lanciò uno sguardo, incerto. "Due spari. Ora sì che avremmo addosso tutti quei mostri."
"Due spari?" chiese Nick, confuso.
"Questo è il secondo sparo. Quelle cose hanno l'udito fine. Se sentono più rumori in un luogo, non se ne vanno più."
"Come lo sai?"
"Esperienza. Mi sono rinchiusa lì dentro per questo. Ora faremo meglio ad allontanarci da qui."
Si avviarono lungo il corridoio, finché entrarono nella stanza delle prove.
Rita si chinò in lacrime su Pam e le accarezzò i capelli.
"Dobbiamo andare" disse Nick.
Lei si alzò e lo seguì.



 

Johnson li fece entrare e chiuse la porta. Si voltò. "Non avrei mai creduto di rivederti vivo."
Megan lo guardò. "Grazie per averci aperto."
Johnson non la degnò di uno sguardo. "I tuoi amici sono nella hall. Perché non vai a trovarli? Così ti levi dalle palle."
La donna aggrottò la fronte, perplessa.
Pete non gli rispose e s'incamminò lungo il corridoio insieme alla fidanzata.
"Chi era quello?" chiese Megan
"Un coglione."
"Non vi state molto simpatici."
"Johnson non sta simpatico a nessuno."
"È così con tutti?"
Lui annuì.
"Perché ci ha aperto la porta?"
Se lo domandava pure Pete. Forse aspettava qualcuno? O forse non era così stronzo da lasciarli fuori? "Non lo so."
Svoltarono l'angolo.
Mentre camminavano, Pete adocchiò le assi di legno piantate alle finestre e le tracce di legno lungo il battiscopa. Dovevano averle montate da poco. Girò la maniglia e si avviarono in un piccolo corridoio che delimitava gli uffici.
Kevin inseriva delle monete in un distributore di bibite.
"Kev!" disse Pete con un sorriso.
Quello si voltò, sorpreso. "Oh, Pete! Sei vivo!"
I due si abbracciarono.
"Pensavo fossi morto" disse Kevin.
"Lo pensavo anch'io di te" rispose Pete. "Lei è Megan, la mia fidanzata."
Lui si portò una mano dietro la nuca, imbarazzato. "Sì, Megan."
Lei lo guardò a disagio.
"Che succede? Vi conoscete?" chiese Pete, perplesso.
"È una lunga storia" aggiunse Kevin.
"E quale sarebbe questa storia?"
"Siamo usciti un paio di volte" rispose Megan, impacciata.
"Solo usciti?"
Non risposero.
Pete scacciò via il pensiero di Megan e Kevin tra le lenzuola. "Johnson mi ha detto che ci sono altri superstiti nella hall. È vero?"
Kevin corrugò le sopracciglia, confuso. "Hai incontrato Johnson? Quindi è ancora vivo..."
"A quanto pare sì."
"Non lo vediamo da quando è successo questo casino. Lo stesso vale per Irons. Pensavamo fossero fuggiti o morti."
"Gli scarafaggi sono duri a morire."
Kevin smorzò una risata. "Già, proprio così."
"Allora? Ci sono altri superstiti?"



 

Marvin guardava il viso della statua al centro dell'atrio. Pensava al suo incubo. Era stato così reale, persino il dolore della giugulare che gli veniva strappata. Sentiva la testa un poco pesante. Forse aveva un principio di febbre, ma era niente a confronto con l'inferno là fuori.
"Ehi, Pete!" urlò una voce da uomo.
Marvin si girò. Un sorriso si dipinse sul suo volto e gli andò incontro. Era sorpreso e contento di vederlo in vita.
Tutti gli agenti si erano ammassati attorno a Pete, che li abbracciava uno ad uno. Quando si vide davanti il tenente, i due si sorrisero e si strinsero in un forte abbraccio.
I sopravvissuti si avvicinarono, incuriositi.
"Sembri stare bene" disse Marvin. "Come sei entrato? Le porte sono tutte chiuse."
"Dal retro. Mi ha aperto Johnson."
Il tenente restò interdetto per un momento. "Johnson?"
"Sì, proprio lui. Sembra che nessuno lo vede da un bel po'."
"Ed è meglio per lui se non si fa vedere."
"Non ci ha accolti bene" aggiunse Megan. "Mi ha ignorata, anche se l'ho ringraziato per averci fatto entrare."
"Lei è Megan, la mia fidanzata" disse Pete.
Marvin le allungò una mano. "Tenente Marvin Branagh. Piacere di conoscerla."
Lei gliela strinse. "Megan Stuart."
"Non ti dispiace se ti rubo Pete per un momento?"
"No, niente affatto."
Marvin lo condusse a disparte dagli altri, che facevano la conoscenza di Megan. Si fermarono sotto la statua e si raccontarono le loro disavventure. "E ora sei sicuro di non essere più infetto?"
"Non lo so, ma mi sento meglio."
"Quella ragazza mi stupisce sempre."
"Ho delle altre erbe, in caso servissero a qualcuno" disse Pete.
"Hai detto che ha usato delle piantine, giusto? Quelle che abbiamo qui in centrale?"
"Sì, se non ricordo male sono nell'ala est e nel cortile."
"L'ala est è invasa dai non-morti e Licker."
"Licker?"
"Quei mostri senza pelle. Li abbiamo chiamati così."
Pete lanciò un'occhiata alla porta dell'ala est. "Quindi Nick è lì?"
"Sì, e spero che abbia trovato Rita." Poi indicò un punto sotto la statua. "Lì c'è un condotto d'areazione. Lo vedi? Proprio ai piedi. Solo Rita può passarci."
"Là fuori sono tutti morti" disse Pete. "Potrebbe morire."
"Lo so, ma dobbiamo cercare aiuto. Non possiamo rimanere qui."
Pete evitò di parlargli dell'elicottero sul tetto. Non c'era posto per tutti e fare due o tre viaggi era impossibile con l'esercito che aveva circondato la città. "Ci sono le fogne. Possiamo usarle."
"No, sono da evitare. Nick mi ha detto di essersi imbattuto in un alligatore gigante."
Pete smorzò una mezza risata, incredula. "Ma dai, sono solo leggende. Non dirmi che ci credi."
"Non credevo nemmeno ai Licker, eppure esistono. Questa cosa, questo virus, è pericoloso. Non va sottovalutato. E poi chissà cosa c'è nella melma. Meglio evitare."
Pete non parlò subito. "Mi sembra solo strano."
"Siamo circondati da stranezze" disse Marvin.
"Hai provato a chiedere aiuto con la console della STARS? Quella che hanno nel loro ufficio?"
"Qualcuno l'ha messa fuori uso. Siamo isolati dal resto del mondo."
Pete si accigliò. "Credi siano stati Irons e Johnson?"
"Probabile."

   
 
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