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Autore: _aivy_demi_    06/03/2022    6 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
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Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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When the time will come

«Go away



«Yoongi, come sta la tua coscienza?»
Jimin aveva già ricoperto quattro volte la distanza dell’intera sala a piedi: le mani strette una nell’altra dietro la schiena nascosta dalla felpa grigia, il viso basso a seguire l’incastro del parquet chiaro. Yoongi sollevò lo sguardo sorseggiando da almeno dieci minuti un caffè completamente freddo.
«Come dovrebbe stare, scusa? Come sempre.» Puntò le iridi scure sull’altro, si stava palesemente innervosendo. Gli avrebbe fatto venire il mal di mare. «Puoi fermarti adesso, o hai intenzione di scavare un sentiero? Cazzo, Jimin, possibile tu ti stia pentendo? Io avevo già avvisato Jin e lo sai. Mi sono rotto le scatole di lui. Meglio così piuttosto che vederli rincorrersi senza incontrarsi. Mancano due mesi sì e no, e grazie a te lo sa anche Jungkook adesso, quindi perché io dovrei sentirmi in colpa? Sei stato tu il primo a fare danno, dovrebbe essere la tua di coscienza a darti fastidio.»
Silenzio. L’andirivieni del ragazzo si fermò.
«Lo sta già facendo, a quanto pare. Bene, è tardi, Jin è andato di sopra, Taehyung è scomparso subito dopo cena e tu sei qui a fare il pellegrinaggio dalla porta all’arco del salotto, direi di andare a dormire.» La ceramica della tazzina cozzò violenta contro la vasca del lavello: sfogare una certa irritazione contro gli oggetti si stava dimostrando più efficace del previsto, pensò Yoongi sbuffando con una certa sonorità. Si diresse con calma alle scale, alzando la mano in segno di saluto, quando venne fermato per il polso da una presa incerta e nervosa.
«Cosa credi dirà Jungkook?»
«Avresti dovuto pensarci prima di andare a spifferargli tutto. Ora che fai, ti tiri indietro? Non pensi sia un po’ tardi?» sospirò voltandosi verso Jimin. «Sul serio, mettiti il cuore in pace. Quei due non sarebbero andati da nessuna parte.»
«Come fai ad esserne così sicuro?»
«Conosco abbastanza Jin da sapere che non avrebbe ceduto, e conosco Jungkook tanto da ammettere che non avrebbe mai detto una sola parola prima della partenza. Se questo non ti sembra masochismo, allora non so come chiamarlo.»
La presa si allentò fino ad esaurirsi, era d’accordo con il discorso di Yoongi, eppure era sempre più propenso a pensare di aver dato il via a qualcosa di irreparabile.
«Guarda che non sei tu ad averlo registrato, dovresti riversare questa tua rabbia repressa su Taehyung. Hai provato a sentire cos’abbia da dire? Così magari mi lasci in pace. Buonanotte.» Il tono con cui aveva concluso la conversazione era piatto. Ne aveva piene le tasche e la testa. Salì al piano di sopra e svoltò immediatamente, entrando nella propria stanza da letto e cercando invano di chiudere fuori dalla porta di legno chiaro i propri pensieri, tutti: dalle parole da vipera ai gesti non proprio ortodossi, ne aveva dette e fatte più d’una di cui non andava propriamente fiero. Vedere soffrire però i due amici in quella maniera era troppo ormai, e nonostante stesse riuscendo a mantenere una certa maschera di bronzo davanti a tutti, ne stava risentendo con non poca difficoltà; focalizzò la stretta di mano di Jimin sul proprio polso, in gesto inconsueto che l’aveva preso alla sprovvista.
Tanto equilibrati erano stati finora, tanto si stavano disperdendo piano piano.


Taehyung aveva bussato alla porta della stanza di Jin consapevole della sola presenza di Jungkook: in quelle condizioni era meglio tenerlo lì, aveva detto lo stesso padrone della camera, così da essere costantemente controllato. Guai a dire che avevano a che fare con un adulto capace di badare a se stesso – a parte le medicine, quelle proprio non era in grado di tenerle a mente – anche perché Jin si era arrabbiato nel ricevere quella semplice frecciatina detta con leggerezza. Ritrattata dunque la frase incriminata, si rese ben conto lo stesso Taehyung quanto l’argomento “Jungkook” fosse così delicato per il ragazzo, e quanto quest’ultimo ci tenesse ad ogni singolo aspetto della sua vita, partendo proprio dalla sua salute.
Lo scrosciare dell’acqua calda della doccia nel bagno del piano riempiva il corridoio di una cantilena continua e familiare, colmando un silenzio fatto di sensi di colpa e di un leggero tremolio alle mani.
Coda di paglia, aveva concluso cinico.
Chiuse le dita a pugno ripetendo il gesto più volte: era scontato il fastidio non sarebbe passato, così come il bisogno di ingoiare più del dovuto, a vuoto. Si appoggiò alla porta a riprendere fiato e regolarizzare il respiro. Possibile stesse avvertendo dell’ansia nonostante fosse stato d’accordo con gli altri fin dall’inizio? Quando Yoongi aveva proposto l’idea, lui era stato il primo ad accettare con un cenno d’assenso. Le sue sensazioni si erano rimescolate quando aveva spedito a Jungkook il messaggio vocale, concludendo il proprio ruolo senza farsi beccare, ma rendendosi complice di qualcosa che forse aveva passato il limite. Chi erano davvero loro per intromettersi? I loro amici, aveva detto Yoongi senza battere ciglio. E ci aveva creduto anche prima, non certo però nell’istante in cui si accasciò sul pavimento, spalle alla porta, la testa tra le ginocchia, la rassegnazione mista al dispiacere. Lui e la sua dannata emotività, avrebbe dovuto smettere di mettersi in mezzo per poi starci così male e ridursi ad uno straccio. Sembrava essere incollato, non riusciva neppure a rialzarsi, la sensazione di fastidio allo stomaco si era spostata alla testa procurandogli un dolore costantemente crescente. Doveva finirla lì.
Bussò.
Attese dall’altra parte, mentre le nocche ripetevano un toc delicato. “Starà sicuramente dormendo, ha mangiato e preso le pastiglie, adesso sarà sotto il piumone. E se…” Voltò il busto in direzione della superficie lignea, attendendo una risposta, un rumore, una traccia di presenza.
Nulla.
Tentò ancora, sussurrando il nome dell’amico.
Niente.
Si issò determinato, carico di una rinnovata energia: avrebbe semplicemente eliminato il messaggio dalla conversazione privata, mandando delle scuse al destinatario inventandosi un contenuto errato, per poi spiegare agli altri cosa… esattamente cosa? Che aveva cancellato erroneamente ciò che aveva spedito in accordo con loro? Non ci avrebbero creduto, però avrebbe giovato a sé. Sarebbe stato corretto, tutto si sarebbe riequilibrato, così come era stato fino a qualche ora prima. E le sue mani non avrebbero più tremato, la morsa sullo stomaco si sarebbe allentata, e lui avrebbe sorriso di nuovo. Soddisfatto di un ragionamento praticamente perfetto estrasse lo smartphone dalla tasca.
La doppia spunta blu accanto alla registrazione decretò il fallimento del suo tentativo di redimersi.
Inspirò, il danno era fatto.
Jungkook era sveglio, aveva ascoltato ogni singola parola e si trovava oltre la porta, a pensare chissà cosa di loro, di Jin, di lui.
E non poteva rimediare in alcun modo. Una leggera punta di rabbia si insinuò scalciando poi violentemente tutte le altre sensazioni: Taehyung pareva terribilmente deluso. Avrebbe risolto in qualsiasi altro modo, ne sarebbe uscito pulito. Entrò in camera bloccandosi al secondo passo, la mano ancora sulla maniglia.
Sgranò gli occhi, le labbra socchiuse in uno “scusa” muto che non aveva ancora avuto il tempo di pronunciare ad alta voce.
Jungkook era seduto sul letto rivolto nella sua direzione, i pantaloni bianchi della tuta a sfiorare il pavimento, una delle pesanti felpe casalinghe dai colori improbabili di Jin indossata nonostante il termostato ad indicare una temperatura ideale, ed il cellulare stretto ancora tra le dita. Gli occhi erano puntati su di lui, ma non erano concentrati su qualcosa di preciso, parevano vacui, umidi, vuoti.
Lo stava guardando, ma non lo stava vedendo davvero.
«Senti, se è per quello che hai ascolt
«Esci, per favore.»
Una delle prime volte in cui Taehyung si sentiva realmente a disagio in presenza dell’altro. «Come, scusa? Se è per la questione del messaggio, guarda, posso spiegare…»
«Davvero?» Le sillabe tremavano, così come le sue labbra. Jungkook stringeva a sé l’oggetto, avvicinandolo al petto, le nocche sbiancate dallo sforzo. «Spiegami. È la sua voce, perché il numero è il tuo?»
Una domanda lecita, una risposta semplice.
«Perché l’ho registrato io.» Un’ovvietà.
«Ah.» Il tappeto catturò le sue iridi con interesse eccessivo. «E questo lui lo sa?»
Altra domanda lecita.
«Beh…»
«Tae, lo sa?»
Non gli era mai costato tanto dire un semplice no. Non doveva nemmeno trovarsi lì in quel momento, si trovava sotto stretto interrogatorio a causa di un’idea non sua.
Jungkook era spazientito, stanco, sfiancato, ancora non aveva assimilato l’essere venuto a sapere le tempistiche della partenza di Jin da Jimin, e aveva pure ascoltato la conversazione più assurda, inspiegabile, indimenticabile della sua intera esistenza grazie ad un’altra persona. Non aveva gioito, non aveva sorriso; era furioso, si sentiva un estraneo.
«Rispondi, cazzo!» Lo scatto di rabbia fece sussultare l’ospite indesiderato sul posto, annullando la possibilità di parlare. Lo aveva ammutolito con due sole parole. «Per favore, va’… va’ via. Se non hai nu-… nulla da dire, vai via.»
«Jungkook, senti…»
Il ragazzo sbottò, scaraventando il cellulare da parte e ricoprendo in poche falcate malferme la distanza che separava i due.
«No, adesso sent… sentimi bene tu.» I volti a non più di venti centimetri di distanza. «Non avete fatto altro che farvi i cazzi… ahhh… nostri. Chi vi ha chiesto niente? Ho chiesto io a Jimin…» riprese fiato a fatica, tossendo un paio di volte prima di parlare di nuovo, «di dirmi quando sarebbe partito? No. Ho chiesto io a voi d- di sapere cosa pensa di me? No, cazzo... cazzo. Si può sapere perché vi sentite… sentite tanto superiori da pretendere d-», altra pausa obbligata, «di avere il diritto di, uff… mettervi in mezzo?» Tossì e riprese, gli occhi arrossati dalla febbre sempre più liquidi. «Credi davvero che… che questo mi faccia sentire… meglio? Pensi che il tuo messaggio mi far- farà correre da lui a… ahh… dichiarargli il mio amore? Non è un film, Tae, ca… zzo. E se io, se io lo amo o meno, sono solo fatti miei. Adesso va’ via, non… non voglio vedervi.» Lo spintonò con le poche forze che aveva fino a oltre l’uscio, per poi ritrovarsi Jin in accappatoio, le mani a stringere ancora l’asciugamano sui capelli.
Era bloccato.
Stava guardando Jungkook e Taehyung, sconvolto.
«Cosa hai fatto… che cazzo hai fatto?»
«Jin, ero venuto per sistemare la situazione, lui non doveva sapere…»
Jin scaraventò sul pavimento il telo, strattonò per la maglietta nera il ragazzo sbattendolo contro il muro del corridoio, sovrastandolo. Lo stava detestando, quel poco che aveva colto era arrivato direttamente dalle labbra di Jungkook, ed era stato più che sufficiente. «Cosa gli hai mandato?»
Silenzio.
«Rispondi.»
«Quel… quello che hai detto.»
La presa sul tessuto si intensificò, provocandogli affanno.
«E come?»
Jungkook era inerme, poggiato sullo stipite della porta: davanti a lui il ragazzo che amava stava sfogando la rabbia più pura contro uno dei suoi migliori amici, e lui non aveva la forza di fare nulla.
Non voleva fare nulla, in realtà.
«Come!» Jin scaraventò una seconda volta Taehyung contro la parete, stavolta con maggiore forza: un gemito strozzato, la lingua paralizzata dell’altro l’aveva fatto infuriare.
«Ho sentito tutto.» Furono le ultime parole sussurrate da Jungkook, prima di lasciarsi andare e cadere a terra trattenendosi a fatica dal singhiozzare. Jin mollò la presa e si precipitò su di lui, stringendolo al petto in parte scoperto dalla spugna dell’accappatoio. Il suo calore contrastò comunque con la temperatura del ragazzo, ma vive erano le lacrime che stavano inumidendone la pelle ancora umida dalla doccia.
«Fateci solo un favore, lasciateci in pace.»
Taehyung si precipitò al piano di sotto di corsa, mancando un paio di scalini per poi inciampare sui propri piedi e sbilanciarsi. Jimin gli evitò una caduta rovinosa per un soffio, acchiappandolo da dietro con entrambe le mani.
«Che fai?»
«Abbiamo fatto un casino.»
«Come, abbiamo? Che hai combinato?»
Jimin lo conosceva, sapeva sarebbe andato a spifferare tutto: entrambi faticavano a mentire, ma stavolta la posta in gioco era davvero alta. «Non dirmelo, ti prego. Non dirmi che sei andato a dirgli tutto.»
Quelle iridi color caramello lo incatenarono sulle scale. «Mi sa che non hanno apprezzato. E credo adesso ci odino...»



   
 
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