Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Roberto Turati    13/03/2022    0 recensioni
Questa è la prima raccolta di racconti per un progetto di gruppo chiamato "la Compagnia di EFP". Come nel Decameron di Boccaccio, ciascuno di noi autori della Compagnia viene eletto a re o regina di una "giornata" e decide un tema a cui tutti i suoi compagni devono attenersi per scrivere una oneshot.
 
Il tema della prima giornata è stato deciso da me, Roberto Turati: il rapporto tra un personaggio che fa da mentore e un altro che fa da suo allievo!
 
E ricordate: siamo pronti ad accogliere a braccia aperte nuovi partecipanti! Non solo per la curiosità di vedere quali storie possono nascere, ma anche per conoscere nuovi autori. Se queste storie vi intrigano e vi piacerebbe unirvi alla Compagnia di EFP, contattate pokas, la nostra direttrice creativa.
 
Detto questo, buona lettura!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L'Albero di Fuoco

La donna venne a prenderla al tramonto. La luce del sole morente splendette sulle rune di bronzo che portava alla cintura e sulle braccia avvolte da bende. Portava un logoro saio marrone, rattoppato in più punti e con piume di corvo cucite sulle spalle e attorno al collo. Un cappuccio nascondeva la maggior parte del viso, lasciando intravedere solo una bocca sottile e un mento affilato. A ogni passo, un bastone di legno bianco intrecciato batteva sul terreno. «Sei tu Yharet?»

La bambina annuì, le labbra serrate e uno sguardo che cercava di sembrare coraggioso. Sotto il cappuccio della donna splendettero due luci fiammeggianti e la bocca si piegò in un sorriso. «Vieni.» E si voltò.

Yharet gettò un ultimo sguardo alle sue spalle. Il villaggio era deserto, le strade vuote e silenziose, ma alle finestre diversi volti la stavano osservando, nascosti negli angoli. La paura era dipinta sui loro sguardi, in certi casi misti a un odio che fino a pochi giorni prima non credeva possibile potessero rivolgerle. Una luce illuminava l'interno di una casa, ma nessuno non c'era nessuno a guardarla.

Si passò una mano sugli occhi lucidi e seguì la strega nel bosco.

 

Il viaggio durò abbastanza da far morire completamente il sole, mentre la sua pallida gemella si alzava e splendeva nel cielo scuro, filtrando attraverso le foglie. Quando le ombre si erano fatte più fitte, la donna aveva battuto il bastone a terra e una piccola fiammella era nata sulla punta di esso, sollevandosi sopra di loro e crescendo fino a diventare grossa come una mela, illuminando per loro la strada. Un brivido attraversò la schiena della bambina quando vide quella magia, quel fuoco che le aveva distrutto la vita.

Giunsero a una radura ai piedi della montagna che Yharet vedeva sempre dalla sua casa. Dalla parete rocciosa sembrava essere cresciuta una capanna di legno a due piani, la parete frontale illuminata da due grossi bracieri di ferro nero, posizionati ai lati della porta d'entrata, sulla quale erano incisi strani simboli e figure lignee infuocate.

La strega fece svanire la sfera di fiamme con uno schiocco di dita ed entrò, ma Yharet rimase sulla soglia diversi secondi, in preda alle paure. Pensò di scappare, fuggire nei boschi e tornare a casa. Suo padre e sua madre di certo l'avrebbero aiutata in un altro modo e l'avrebbero tenuta con loro, vero?

Quando però si guardò alle spalle vide l'oscurità che circondava la casa, le ombre che strisciavano tra gli alberi, che ora parevano bocche spalancate nel vuoto più oscuro, con mille occhi che la fissavano malevoli e bramosi della sua carne. Un vento gelido le colpì il viso, e senza pensarci entrò e chiuse la porta alle sue spalle.

«Ottima scelta.» La strega la stava osservando con un sorriso, il cappuccio ora calato e il volto visibile. Da come gli adulti ne parlavano, Yharet si era sempre immaginata una creatura terrificante con occhi gialli, capelli di serpenti e code di scorpione, zanne da maiale e molte altre cose che la terrorizzavano. Invece non era altro che una donna, non troppo diversa da molte altre, eccetto per la pelle abbronzata e gli occhi splendenti simili a due dolci fiamme. Una lunga treccia rossa le ricadeva sulla spalla, chiusa da lacci e rune di bronzo e con qualche ciocca ormai grigia. «Fuori è buio, e nel buio le piccole fiammelle come te rischiano di essere mangiate.»

Yharet strinse i denti al sentirsi chiamare così ma non disse nulla.

«Vieni, ti faccio vedere la tua stanza.»

La donna la condusse lungo il corridoio e su per le scale, fino a una porta di legno con sopra inciso un albero avvolto dalle fiamme. Oltre c'era una stanza praticamente vuota, se non per un letto molto semplice e uno strano simbolo inciso al centro del pavimento, illuminato dalla luna che filtrava dalla finestra rotonda.

«So che non è molto, ma con così poco tempo ho potuto sistemare solo l'essenziale. Nei prossimi giorni vedrai come si trasformerà.» Le sorrise, posandole una mano sulla testa. «Ti piacerà stare qui.»

L'unica risposta della bambina fu quella di scostarsi dalla mano ed entrare. La donna ritirò il braccio e annuì, rivolgendole un sorriso comprensivo. «La mia stanza è in fondo al corridoio, se hai bisogno di qualcosa. Buonanotte, giovane Yharet.» disse, chiudendosi la porta alle spalle.

La bambina ascoltò attentamente i passi allontanarsi fino a sparire. Si alzò dal letto e controllò in ogni angolo, in cerca di qualche mostro o demonietto, spie della strega, ma non trovò assolutamente nulla. Quella era solo una stanza desolata, nulla di più, nulla di meno.

Tornò a letto, rivolgendo al simbolo a terra uno sguardo disgustato e sputandoci sopra. Solo quando si sdraiò e chiuse gli occhi si ricordò di essere solo una bambina di sette anni, e lì, nel silenzio e nel buio, abbandonata e perduta, si abbandonò alle lacrime, chiamando la mamma e il papà.

 

I colpi alla porta la risvegliarono dai suoi incubi, seguiti dalla voce della strega. «In piedi, Piccola Fiamma. La colazione è pronta.»

Yharet si stropicciò gli occhi, asciugando le lacrime ancora fresche e cercando di togliere quelle che si erano seccate durante la notte. Il sole si stava alzando poco oltre gli alberi, tingendo l'intera stanza di un rosso accecante simile al sangue, o al fuoco.

Si alzò e aprì la porta, trovando per terra un piatto di pane e formaggio, con un boccale di latte appena munto. Si guardò attorno e, non vedendo la strega, prese il cibo e lo portò dentro. Vide che sotto il piatto stava un biglietto con scritto "Buona colazione". Lo strappò e gettò i resti in un mucchietto vicino alla porta, ciò che restava di tutti i biglietti precedenti. Si sedette sul letto e cominciò a mangiare.

Era passata circa una settimana da quando Yharet era stata condotta in quella casa dalla strega, sette giorni da quando aveva dovuto dire addio alla sua vita per seguire una sconosciuta, venendo allontanata dal suo stesso villaggio.

Mangiò in fretta e furia, non volendo pensare. Ogni volta che ricordava la sua vecchia casa o il volto dei suoi genitori gli occhi le si riempivano di lacrime, e non si sarebbe mostrata debole davanti alla sua carceriera.

Il cibo era incredibilmente buono, ma Yharet non lo avrebbe mai ammesso. Odiava che fosse lei a prepararglielo, e ancora di più odiava mangiarci assieme. I primi due giorni aveva provato a rifiutarlo, ma quando lo stomaco aveva cominciato a urlare nel cuore della notte, si era ritrovata un piatto di minestra davanti alla porta. Lo aveva divorato in pochi attimi, ma al mattino tutto ciò che diede alla strega fu uno sguardo duro e una ciotola vuota.

Colazione e cena venivano consumati nella sua stanza, mentre per il pranzo prendeva il cibo e lo portava fuori, gustandolo su una roccia abbastanza grande da farla sedere. Non aveva intenzione di mostrare alla strega quanto le piacesse ciò che preparava o che avesse fame, anche arrabbiandosi con se stessa per essere così debole da cascarci.

Forse era per questo che era stata maledetta. Era una bambina debole.

Si passò il braccio sugli occhi lucidi, finì di mangiare e uscì dalla stanza, scendendo le scale e arrivando in cucina, tenendo lo sguardo basso. La donna stava seduta a un tavolo, bevendo un liquido rossastro simile a sangue da una coppa fumante. Le sorrise quando la vide, gli occhi fiammeggianti, ardenti come due stelle.

«Già finito? Deve piacerti molto, Piccola Fiamma. Ne vuoi ancora un po'?»

La bambina strinse i denti e sbatté il piatto sul tavolo con fin troppa forza, il volto leggermente arrossato. «No.»

La strega annuì e bevve di colpo tutta la coppa, mettendola nell'acqua assieme al piatto e afferrando il suo bastone da passeggio. «Vieni allora, Piccola Fiamma. Continueremo la meditazione.»

La piccola sbuffò piano e la seguì.

Il prato fuori dalla casa era tutto un altro spettacolo durante il giorno. L'erba era verde smeraldo, luccicante per le goccioline di rugiada illuminate dal sole nascente. Fiori di ogni tipo sbucavano dal terreno, dalle piccole margherite alle rose più rosse, con diversi cespugli e rampicanti che si aggrappavano alle mura della casa. L'anello di alberi che le circondava era immerso in un'ombra tenue, con molti uccelli che saltavano tra i rami, spiccando voli sulle loro teste e cinguettando allegri.

Insomma, era un prato che qualsiasi bambino amerebbe per giocare con gli amici. Purtroppo, Yharet aveva perso tutti i suoi amici, e quel prato non era altro che la sua prigione, quegli alberi le sbarre, quella donna la sua carceriera.

La strega la condusse a un cerchio di ceppi bianchi tagliati da molto tempo, gli anelli interni incisi con strani simboli vagamente simili a lettere. Lei aveva provato a spiegarle cosa significassero, ma Yharet aveva ascoltato appena metà delle sue parole, ignorando del tutto il resto. Non voleva avere a che fare con quelle cose maledette.

La donna si sedette su uno dei ceppi e incrociò le gambe, mentre la bambina si sedeva su quello più lontano da lei e si metteva nella stessa posizione. «Ora, Piccola Fiamma, ricordi cosa abbiamo studiato ieri?»

«Qualcosa» rispose lei, limitando al minimo la conversazione.

La strega non si scoraggiò e le offrì un piccolo sorriso, chiudendo gli occhi e posando le mani sulle ginocchia, l'indice e il pollice uniti per le punte. Inarcò la schiena e cominciò a respirare lentamente. La bambina la imitò, anche se in maniera molto raffazzonata e non sforzandosi minimamente.

«Rilassati. Lascia che il mondo ti parli» disse la donna, continuando a restare ferma. Yharet mosse gli occhi chiusi verso l'alto, dandosi una minima sistemata per farla stare tranquilla. Dopo il terzo giorno in quella casa, la donna l'aveva portata a fare quell'esercizio ogni singola mattina, almeno tre ore in silenzio ad "ascoltare il mondo."

Yharet non riusciva a sentire il mondo. Quando chiudeva gli occhi le uniche cose a giungere alle sue orecchie erano il fruscio delle foglie, che si trasformava in fiamme crepitanti. Il cinguettio degli uccelli diventavano le lacrime di sua madre, mentre il silenzio era lo stesso che c'era quando suo padre l'aveva guardata come se vedesse una sconosciuta.

Aprì un occhio e guardò la strega, con l'odio che cresceva nel suo piccolo cuore ancora acerbo. Odiava il suo viso tranquillo e sorridente, quasi desiderando che le fiamme inghiottissero il suo vestito e la facessero sparire dalla sua vista. Non sapeva nemmeno come si chiamasse, non gliel'aveva chiesto e non le interessava, voleva solo tornare a casa e alla sua vita.

Il gracchiare di un corvo richiamò la strega dopo quasi un'ora di meditazione. La donna aprì gli occhi e Yharet lo vide, un uccello grosso e grigio, posarsi sulla sua spalla ed emettere versi al suo orecchio come se sussurrasse.

«Oh Fiamme!» imprecò, alzandosi in piedi e rivolgendosi alla bambina. «Ho dimenticato che oggi sarebbe venuto un cliente. Tu resta qui e continua a meditare, tornerò il prima possibile.» Si voltò e corse verso la casa tenendo alzato il saio con le mani, seguita dal corvo grigio.

Un piccolo sorriso apparve sul viso di Yharet, forse il primo da molto tempo. Quell'incidente non era certo sufficiente a spegnere quel fuoco scuro che le bruciava nel petto, ma era comunque una piccola soddisfazione sulla sua aguzzina.

Rimase ferma per alcuni minuti, aspettandosi che la strega tornasse a momenti, ma si stancò rapidamente. Si rimise in piedi e si stiracchiò, le gambe e le braccia doloranti per essere rimaste tanto ferme. Camminò in cerchio attorno ai tronchi, accarezzando i simboli fino al ceppo dove si era seduta la strega. Si guardò attorno, chiedendosi se avrebbe potuto rovinarli con un sasso abbastanza affilato.

Improvvisamente un verso alle sue spalle la fece sussultare, voltandosi e quasi inciampando nel ceppo. Si era aspettata chissà quale orrore, ma invece di un lupo o di un demone della strega, si trovò davanti un piccolo agnello che la fissava con i suoi grossi occhioni azzurri.

«Ehi, ciao piccolino» gli disse dopo l'attimo di paura, allungando una mano verso di lui, ma senza toccarlo. Conosceva gli animali, a casa ne avevano avuti parecchi, e lasciò che le annusasse la mano prima di accarezzarlo sulla testa. «Anche tu bloccato qui con quella brutta strega, eh?»

L'animale belò e cominciò a saltellarle attorno tutto allegro e spensierato, e dalle labbra di Yharet finalmente uscì una risata. Per un singolo momento, quell'animale così puro e innocente aveva cancellato una settimana dalla sua mente, lasciando solo una bambina di sette anni ancora preda della gioia infantile.

Si mise a saltellare insieme a lui, grida allegre e ridendo felice, giocando a inseguirlo e a farsi inseguire, rotolando sul terreno e bagnandosi il vestito di rugiada fresca. Gli uccellini si posarono sui rami a fissare i due che si divertivano a correre dentro e fuori dal cerchio di alberi tagliati, cinguettando felici.

Poi, mentre Yharet afferrava l'agnello per stringerlo in un abbraccio, lo sentì strillare di dolore. L'odore di pelo bruciato le risalì nel naso, fino al cervello, fino alla sua stessa anima, rianimando l'orribile ricordo che l'aveva portata lì. L'animale scalciò e la spinse via per allontanarsi, gemendo ferito e spaventato. Una chiazza di pelo vicino al collo era annerita e puzzava, con piccole chiazze di lana che ancora bruciavano luminose. Si rotolò per terra in cerchio, belando di puro terrore.

La bambina si guardò le mani, sentendo le fiamme ardere poco sotto la pelle, un leggero fumo che si innalzava dalle punte delle dita. Il respiro aumentò a dismisura, panico crescente nel suo cuore mentre lo sguardo si spostava all'animale ferito. «Mi dispiace, non volevo... aspetta...» Fece un passo avanti, volendolo solo aiutare, ma lui le belò contro e corse via, quei grandi occhi azzurri iniettati di paura.

Yharet cercò d'inseguirlo ma il piede colpì una radice. Sentì il dolore alle mani e al viso, il sapore del sangue che le riempiva la bocca. Lacrime gelide cominciarono a colarle lungo le guance, evaporando prima ancora di poter cadere a terra. La fornace nel suo petto bruciava, chiedendo più aria, e il petto si muoveva sempre più rapido mentre il cuore martellava come impazzito. Un corvo gracchiò in lontananza, mentre il mondo svaniva in una tinta rossa e crepitante.

Con un grido che solo una bambina spaventata e sola poteva emettere, Yharet scatenò l'inferno.

Le fiamme ruggirono e sibilarono, strisciando sul terreno e alzandosi come una marea cremisi e dorata. Una cacofonia di cinguettii spaventati riempì l'aria assieme al crepitio, mentre gli uccellini fuggivano prima che i rami su cui stavano riposando prendessero fuoco. I ceppi tagliati divennero grandi torce di fiamme bianche e i simboli incisi su di essi brillarono e si deformarono, mentre l'erba attorno si piegava e diventava nera.

Al centro dell'inferno, Yharet piangeva. Le fiamme la inghiottivano, circondando ogni angolo della sua visuale. Poteva sentire bestie ringhianti muoversi nel fuoco, assalirla con artigliate e morsi caldissimi che le bruciarono i vestiti e la pelle. Si piegò fino a nascondere il viso nel terreno, mentre gli alberi attorno a lei crepitavano e si spezzavano, gemendo con voci che conosceva e la maledivano.

«Aiuto... vi prego... papà... mamma...» chiamò con un filo di voce. Non voleva che il fuoco la inghiottisse, che la facesse svanire per sempre. Non voleva morire. «Mamma...»

Come un tuono durante una tempesta, una voce alta e possente parlò in una lingua sconosciuta, e l'inferno tremò sotto di essa. Le fiamme ruggirono come leoni e si innalzarono, gridando con mille voci mostruose, un frastuono che costrinse la bambina a coprirsi le orecchie. La voce si impose nuovamente, con parole antiche quanto il mondo stesso.

Aprendo appena gli occhi, Yharet vide una figura scura farsi largo nelle fiamme. Esse non le facevano danno, anzi, sembravano inchinarsi al suo passaggio, spegnendosi vicino ai suoi piedi. La figura si fermò davanti a lei e la prese da terra, stringendola tra due braccia più calde di qualsiasi fuoco, e la voce cantò una dolce nenia nel suo orecchio, una ninnananna di parole che non capiva, ma che la calmarono.

Le fiamme fremettero e si fecero piccole e deboli, finché il mondo non tornò ai suoi normali colori. La figura si voltò e si diresse verso la casa, stringendo la bambina al petto. Prima che l'oscurità la avvolgesse e cadesse nell'oblio, Yharet vide un sorriso gentile e un paio di ardenti occhi rossi.

 

All'inizio credette di avere gli occhi ancora chiusi, ma lentamente le vaghe macchie scure si delinearono in un soffitto che non conosceva, con simboli intagliati nel legno e strani amuleti che pendevano tra le travi. Le ci vollero diversi minuti anche solo per riuscire a rendersi conto di essere sveglia, viva, sdraiata in un comodo letto di piume.

Si mosse con lentezza, con fitte che le percorrevano tutto il corpo. La pelle gridava, e ogni muscolo e osso parevano paralizzati e intorpiditi, svuotati da ogni energia. Si mise a sedere e si guardò attorno, trovando gli stessi simboli e amuleti del soffitto sparsi ovunque, un patchwork di disegni, scritte, gioielli e parti animali che sembravano totalmente fuori posto, ma che trasmettevano una sorta di armonia.

Sentì dei passi e la porta si aprì. «Oh, sei sveglia Piccola Fiamma.» La strega le sorrise e si avvicinò, posando per terra un catino d'acqua. «Grazie a Varnyar. Hai dormito per tre giorni, cominciavo a preoccuparmi.»

«T-Tu...» provò a dire la piccola, ma dalle sue labbra uscì solo un rauco sospiro. Il fuoco continuava ad arderle nella gola, che sentiva innaturalmente secca e calda a ogni respiro che prendeva.

«Shhh» disse la donna, premendole un dito sulle labbra. «Il fumo e il calore hanno danneggiato le corde vocali. Ci vorrà un po' prima che tu possa tornare a parlare.»

Yharet aprì la bocca ma la chiuse immediatamente, guardando un istante nel vuoto prima di annuire. Provò a fare qualche gesto con le mani, indicando se stessa e poi la strega. Lei non sembrò capire, ma da un armadio tiro fuori una penna di corvo, un calamaio e una pergamena.

"Perché mi hai salvata?" scrisse Yharet. Per fortuna al suo villaggio il sacerdote della chiesa le aveva insegnato come leggere e scrivere, come faceva con tutti gli abitanti, giovani o adulti.

La donna la guardò confusa un momento prima di sorriderle. «Sei la mia allieva. Che razza di maestro lascia la propria allieva in mezzo alle fiamme?»

La bambina sbattè le palpebre e rimase in silenzio diversi minuti, riflettendo su quelle parole. Poi ricominciò a scrivere, cancellando un paio di volte quello che aveva scritto e mettendoci diverso tempo per trovare le parole giuste.

"Ho ferito qualcuno?"

«No, no, tranquilla. Billy ha il manto bruciacchiato ma sta bene. Qualche albero è ridotto in cenere, ma da essa ne cresceranno altri più alti e forti.»

Un piccolo sorriso comparì sul volto della bambina. Immaginò che Billy fosse l'agnello, e fu contenta di sapere che stava bene. Non voleva che la sua maledizione facesse ancora del male.

«Ora sdraiati, Piccola Fiamma. Ero scesa poco fa a cambiare l'acqua e gli stracci, e non vorrei sprecarla ora che è bella fresca.»

Ci volle qualche secondo perché Yharet annuisse e tornasse a sdraiarsi, non senza qualche dolore. La strega sollevò le coperte, scoprendo il suo corpicino nudo, e dolcemente passò uno straccio immerso di acqua fresca sulla pelle arrossata.

La bambina strinse i denti, poiché la pelle irritata era sensibile al tocco, anche se la freschezza dell'acqua portava un dolce benessere dopo il dolore. Arrossì imbarazzata per la situazione, ma non si mosse e non si ribellò.

«Ce la fai a girarti? » chiese la strega, e per la seconda volta in quel giorno, Yharet obbedì. Ebbe un fremito quando sentì il panno bagnato sulla spina dorsale, scivolando verso il basso. Fu mentre tornava a girarsi che sentì una strana sensazione, una mancanza e un fastidio alla testa. Quando ci passò sopra la mano capì, sentendo una cute ispida e dolorante.

Le lacrime cominciarono a raccogliersi attorno agli occhi. Le dita scivolarono dalla fronte, passando per la testa e scendendo fino al collo, i polpastrelli che incontravano solo peli ispidi e qualche ciocca salvata dalle fiamme, ma anch'esse erano dure e rovinate.

«Ehi, non piangere.» La donna si chinò e le posò la mano sulla guancia. «I bulbi non si sono danneggiati, quindi presto ricresceranno più forti e belli di prima. Per quelle come noi è normale bruciarsi, soprattutto prima o durante gli studi.» Le sfuggì una flebile risata.

La bambina non si tolse dal contatto e scrisse sulla pergamena, rivolgendo lo sguardo agli occhi della donna. "Anche tu ti sei bruciata?"

Un minuscolo bagliore brillò nei due rubini fiammeggianti della strega, che lentamente si allentò l'abito attorno al collo, mostrando parte della spalla e del petto. La pelle abbronzata era deturpata da una pallida cicatrice, una voglia lattiginosa che andava dalla base del collo, scendendo fino a un seno e al braccio, fermandosi chissà dove sul resto del corpo. Yharet spalancò gli occhi, con una punta di dispiacere che si agitava nel ventre.

«Avevo all'incirca un paio d'anni più di te. Il mio maestro era uscito per raccogliere erbe e io presi il suo grimorio, volenterosa d'imparare qualche nuova magia. Ero così sicura di me stessa che provai a evocare uno spirito delle fiamme.» Il suo corpo ebbe un piccolo brivido e guardò la cicatrice con un sorriso tetro. «Il mio maestro tornò prima che il demone che avevo evocato mi consumasse, ma il danno era stato fatto.»

"Mi spiace." Yharet la immaginò come una bambina, molto simile a lei, forse persino con dei genitori che anche lei non aveva più rivisto.

«Ah, non ti dispiacere, Piccola Fiamma.» La strega sorrise e si riaggiustò il vestito, nascondendo l'orrore pallido. «Fui veramente stupida quel giorno. Dopo le cure dovetti pulire tutta la casa, compresi i bagni, e mi presi anche un bel pugno in testa!» Scoppiò in una risata, alla quale persino Yharet partecipò, emettendo qualche rauco verso.

«Ora stenditi e cerca di riposare» disse la donna, appoggiandole uno straccio bagnato sulla fronte. «Ti lascerò tranquilla per qualche ora, e dopo ti porterò qualcosa per la gola. Se ti serve qualcosa, usa questa.» Dalla tasca del vestito estrasse una campanella d'argento e la posò sul cassetto. Si chinò su di lei e le diede un bacio sulla fronte, per poi voltarsi.

Poco prima che uscisse la campanella squillò. Si voltò, confusa, sorridendo non appena vide cosa c'era scritto sulla pergamena. "Grazie di tutto" e poco sotto "maestra".

«Izerah» le disse. «Mi chiamo Izerah, mia giovane allieva.»


 

La chiave della magia sta nella concentrazione, le aveva detto Izerah. Solo meditando e concentrandosi avrebbe trovato il proprio fuoco interiore, espandendolo fino a farlo uscire sotto controllo.

Eppure, per quante ore ci stesse mettendo, Yharet non riusciva a trovare un bel niente. Sospirò arresa, facendosi male alla gola, e si lasciò cadere all'indietro, le braccia spalancate, fissando il soffitto coperto di amuleti. Era rimasta seduta nella sua stanza per ore, al centro del cerchio arcano, con il solo suono degli uccelli fuori dalla finestra come compagnia.

Lentamente si rialzò, decisa a darsi una rinfrescata. Andò al catino pieno d'acqua nell'angolo della stanza e vi ci immerse la testa, trattenendo il respiro e lasciandosi cullare qualche istante dall'acqua prima di tirarsene fuori. Prese una gran boccata d'aria e si appoggiò ai bordi con le mani, fissando il proprio riflesso nell'acqua disturbata dal continuo gocciolio dei capelli bagnati.

Dopo l'incidente era rimasta a letto per due settimane, finché la pelle non era completamente guarita e tornata a una sensibilità normale. In quei giorni pensò molto alla sua situazione, a ciò che era, a ciò che voleva essere e ciò che poteva diventare. Anche se era ancora molto piccola, aveva compreso come quel potere così grande che possedeva non poteva restare celato, e che prima o poi sarebbe esploso, ferendo lei e chi aveva intorno. Perciò, il giorno stesso in cui si era potuta rimettere in piedi, aveva chiesto a Izerah d'insegnarle tutto.

La donna le aveva sorriso, aveva annuito e l'aveva baciata sulla fronte. Il ricordo la fece arrossire leggermente.

Aveva cominciato a studiare con incredibile serietà per una bambina ancora così piccola, in parte anche per scusarsi dei danni causati dall'incidente. Lei e Izerah passavano diverse ore a parlare, con la studentessa che faceva mille domande all'insegnante per sapere cosa fosse il suo potere, come controllarlo, perché lei lo aveva e altri no, e molte altre questioni simili. 

Imparò di Varnyar, l'Albero Rosso, della nascita del loro mondo, degli spiriti-foglia e dei grandi piromanti, così venivano chiamati, della storia, i draghi-amanti Alyssa e Katherine, Vicaer la salamandra, Enyl della fiamma sporca, e Myria, la regina del fuoco.

Quest'ultima in particolare aveva colpito la bambina per il suo coraggio e la sua storia, da semplice contadina a salvatrice del mondo, armata con un'immensa ascia e con un potere tale da radere al suolo una città da sola. Era rimasta così impressionata da sognarla una notte, in lotta contro una mostruosità con mille occhi ciechi e una bocca che sputava veleno. Era stato così vivido che se l'era fatta addosso.

La giovane fissò il suo riflesso e si accarezzò la sottile peluria che stava ricrescendo.Ci sarebbe voluto un bel po' prima che tornassero come prima, ma almeno non sembrava più una malata di febbre rossa. La voce restava ancora bloccata, e probabilmente non avrebbe potuto parlare ancora per diverso tempo.

Scosse la testa per togliere ogni goccia dai capelli e tornò a sedersi nel cerchio, dando una ripassata al grosso libro che Izerah le aveva fornito. Parlava di diverse tecniche e pose per rilassarsi e meditare, ma dopo averne provate oltre venti ancora non riusciva a trovarne una che riuscisse a farla entrare in contatto con la sua fiamma interiore. Passò le pagine e passò alla successiva, non dandosi per vinta.

Incrociò le gambe e le tenne rilassate mentre distendeva le braccia ai lati, le mani poggiate sulle ginocchia e indice e pollice uniti per le punte. Si mise più dritta possibile con la schiena e cominciò a fare respiri lenti e controllati, inspirando e trattenendo per diversi secondi prima di buttare fuori. Il tutto avveniva a occhi chiusi.

I minuti passavano lenti e ogni singolo respiro pareva lungo un'ora o più. Nessun bambino è realmente abituato a stare fermo, e nonostante la buona volontà anche Yharet sentiva il corpo che voleva solo muoversi, correre e saltare dopo tutti quei giorni a letto. Eppure si costrinse a restare ferma, immaginando di usare la stessa voce che Izerah aveva usato contro le fiamme.

La maestra le aveva detto che il modo migliore per meditare era svuotare la mente, ma come doveva fare? Il solo pensare di averla svuotata non la stava riempiendo di quel pensiero? Inoltre, era più facile a dirsi che a farsi, perché ogni volta qualche nuova immagine le si palesava, alcune sensate, altre completamente folli. Rifletté su creature e situazioni ai limiti dell'assurdo e del buon senso, per il semplice motivo che nella sua volontà di non vederle, esse apparivano comunque.

Si ritrovò a pensare alla sua casa, alla sua famiglia. Provò a scacciarli, ma quei volti che la guardavano impauriti e severi rimasero lì, mentre qualcosa di umido le bagnava le guance. Fiamme rosse emersero attorno a lei, avvolgendo i volti che ora sembravano indemoniati, occhi rossi e fiammeggianti colmi di odio.

Poi, così come erano venuti, i volti sparirono. Una fiamma rubino la avvolse, leggera e fresca come il vento mattiniero di primavera. Il suo tocco era gentile e delicato, dita di fuoco che la strinsero in un abbraccio, passando sulle guance come a voler asciugare le lacrime.

Dal suo petto fuoriuscì uno strano essere fatto di viticci bianchi e fiamme. Somigliava a un incrocio tra un uomo, un rettile e un pipistrello, con grandi orecchie appuntite, due piccola corna e un paio di brillanti occhi arancioni, simili a carboni ardenti.La creatura lanciò uno strillo acuto e spalancò le ali, posandosi sulla sua spalla con le zampe anteriori e dandole una leccata sulla guancia.

Yharet aprì gli occhi e tutto svanì. Le fiamme furono sostituite dall'oscurità della notte, appena illuminata da uno spicchio di luna nel cielo. Eppure quando si era seduta mancava appena un'ora al tramonto.

Si alzò in piedi su gambe doloranti e malferme, reggendosi al bordo del letto. Era stanca, ma sentiva qualcosa di nuovo che si muoveva sotto la sua pelle, nelle ossa, una forza esterna ma che le apparteneva come le appartenevano le braccia. C'era riuscita?

Dopo qualche minuto riuscì a camminare stabilmente, anche se ogni tanto dovette appoggiarsi alla parete. Uscì dalla stanza e camminò lungo il corridoio fino alla camera di Izerah. Stava per bussare quando la vide appena aperta, con un filo di luce che passava dall'uscio.

Entrò e vide la sua maestra stesa sulla scrivania, addormentata, con la lampada ancora accesa accanto a lei. La piccola fiammella illuminava il suo viso, mostrandone le ombre delle rughe incombenti e un sorriso sereno che ben poche persone potevano permettersi durante il sonno.

Yharet avrebbe potuto svegliarla e dirle ciò che era successo. Invece si arrampicò sul letto e tirò via il lenzuolo, appoggiandolo sulle spalle della donna e facendo attenzione a non fare troppo rumore. Spense la lampada e tornò in camera sua, mettendosi a dormire con un sorriso.

 

«Contrazione, Piccola Fiamma.»

Non era esattamente facile obbedire, ma Yharet ce la stava mettendo tutta. La sfera di fiamme tra le sue mani pareva calma, ma la poteva sentire dimenarsi e combattere per fuggire al suo controllo. Doveva restare concentrata, ripetendo nella sua mente le formule che incatenavano il fuoco alla sua volontà. Il sudore le imperlava la fronte, con gocce che ogni tanto finivano per caderle sugli occhi.

Izerah la fissava da un paio di metri di distanza, immersa nel buio. La fiamma illuminava appena i contorni del suo viso, anche se gli occhi rossi splendevano di potere ben visibile. Le aveva detto che il fuoco cresce meglio nelle tenebre, spinto dal desiderio naturale di bruciarle.

Sentiva il calore scaldarle i palmi e risalirle fino ai gomiti, come se volesse consumarla. In parte sembrava capirlo, una forza che voleva uscire da quel piccolo involucro di carne, spalancare le ali ed essere libera, perché in fondo era una parte di lei, come lei era una parte di lui.

Il volto di Izerah si mosse nel buio e cominciò a girarle attorno, fissandola con un sorriso dolce ma lo sguardo serio e severo, gli occhi due stelle cremisi nel buio. La stava esaminando in ogni movimento, in ogni minima debolezza nel suo sguardo. A volte pensava riuscisse a osservare persino i suoi pensieri.

Alcune immagini le riempirono la mente. Alcune portate dalla paura di fallire e perdere il controllo, altre più vecchie e reali, volti che da tempo non vedeva e che, nonostante ricordasse ancora, appartenevano a un'altra vita. Il fuoco sfruttò quelle immagini per fuggire un istante, ruggendo e alzandosi in una grande fiammata cremisi che per un momento sembrò pronta a inghiottire tutto quanto.

La giovane strinse i denti e la sua volontà avvolse il fuoco, incatenandolo con le formule di quella lingua antica che rivelava il vero volto delle cose. Le fiamme si dimenarono e ruggirono, combattendo qualche istante prima di tornare tra le sue mani, apparentemente mansuete.

La maestra annuì. «Spegnilo.»

Yharet si concentrò. La fiamma nasceva da lei, dal suo volere di mantenerla accesa, e solo lei poteva ordinarle di svanire. Il fuoco ruggì debolmente, provando una flebile resistenza prima di arrendersi e spegnersi, lasciando la stanza nel buio.

«Sei stata brava» Izerah batté il bastone a terra e un globo di fiamme illuminò le tenebre. Le sorrideva, accarezzandole la guancia. «Hai ancora qualche problema nella concentrazione, ma stai migliorando a vista d'occhio.»

La giovane arrossì e abbassò lo sguardo. «G-Grazie maestra.»

«Vieni, abbiamo ancora molto da fare oggi.»

 

Qualcuno potrebbe pensare che la via della magia fosse qualcosa di semplice, ma dopo cinque anni da quando era lì, la dodicenne Yharet aveva compreso come non fosse così.

Oltre agli esercizi per il controllo del fuoco c'erano tutta una serie di compiti da svolgere. Il fuoco era un'arma potente, ma non poteva certo mantenere una casa in ordine, pulire e mungere gli animali nella stalla o raccogliere erbe e funghi tra i boschi. E dopo ciò, c'era ovviamente lo studio.

Ogni giorno la ragazza stava china su grossi libroni di carta ingiallita, vergati da mano tremante in una lingua che alle persone comuni sarebbero sembrati solo un mucchio di scarabocchi, ma che lei aveva ormai imparato a padroneggiare, anche se con ancora qualche piccola lacuna quando entravano di mezzo i tempi verbali.

Erano antiche formule e incantesimi particolari formulati da grandi piromanti del passato, trasmesse attraverso i loro discendenti da una generazione all'altra in quei grossi volumi chiamati Grimori. Izerah ne possedeva due, uno personale ereditato dal suo maestro e uno che le era stato donato da una sua collega piromante al momento della sua morte, visto che non aveva studenti a cui lasciarlo.

In questo modo Yharet aveva compreso come, persino tra i piromanti, ci fossero idee molto diverse sul mondo, sulla sua creazione e sulle sue regole. Izerah non parlava mai molto dell'argomento, forse perché anche lei ne sapeva molto poco, o forse per una sorta di risentimento.

Le aveva detto di come ci fossero diverse scuole di pensiero che, come i rami di un albero, si allontanavano dal tronco e generavano a loro volta pensieri figli, che potevano avvicinarsi o allontanarsi da visioni completamente diverse. C'erano piromanti che vedevano il fuoco come qualcosa di oscuro da dominare col pugno di ferro, mentre altri lo vedevano come una divinità a cui concedersi completamente. Oltre alla natura del fuoco, cambiavano anche i pensieri su come rapportarsi al mondo. C'era chi preferiva la solitudine e il vagabondaggio, chi le grandi ed elaborate cerimonie, e persino chi credeva che quel potere andasse usato per il dominio sugli altri.

Al nominare di quest'ultimi Izerah aveva sputato e aveva lanciato un'imprecazione che Yharet non riconobbe completamente, ma il solo intuirla l'aveva fatta arrossire fino alla punta dei capelli. «Bastardi che rovinano il nostro nome» le aveva detto, con forse la prima vera nota d'odio nella sua voce da quando la conosceva. Yharet aveva deciso di non parlarne mai più.

Stava ripassando un antico incantesimo che, secondo il creatore, avrebbe dovuto rendere la sua pelle dura e pesante come il ferro, quando un suono di vetri in frantumi la fece sussultare, seguito da un grido. Le ci volle un istante per riconoscere la voce e prima che potesse anche solo pensarlo balzò in piedi e si lanciò giù dalle scale, correndo in cucina. 

«Maestra!»

La donna stava in piedi, vicino al tavolo, apparentemente in perfetta salute. Fissava il pavimento con uno sguardo seccato, mormorando alcune maledizioni, quando alzò gli occhi verso l'allieva. «Non preoccuparti, Piccola Fiamma, sto bene. Stavo prendendo l'olio di drago per un incantesimo ma la brocca era scivolosa ed è caduta.» A terra la macchia rosso scuro si stava allargando tra i cocci di porcellana scura.

«Era anche l'ultima brocca di olio che avevamo.» La donna sospirò e si sedette su una sedia, apparendo improvvisamente stanca. La città che forniva quell'ingrediente si trovava a tre giorni di viaggio, e Yharet l'aveva già vista altre volte sparire per quasi una settimana prima di tornare con il carretto carico di merci varie, dal semplice cibo agli ingredienti più complessi e strani. Tuttavia, ogni volta la vedeva sempre più spenta dopo ogni viaggio. 

«Domani partirò.»

«Vengo con te» dichiarò con la sicurezza che solo i giovani hanno, facendo nascere un sorriso sul viso della donna.

«Non c'è bisogno Piccola Fiamma, lo faccio da tanti anni ormai.»

«"Una fiamma stanca ha bisogno delle piccole fiamme per ardere con più vigore"» recitò Yharet col tono di quella che a suo parere doveva essere la voce della maestra. «Me l'hai insegnato tu.»

«La mia voce non è così vecchia!» Izerah scoppiò in una risata e spazzolò i capelli della dodicenne. «E va bene piccoletta, verrai con me. Sarà un viaggio lungo, perciò oggi avrai la giornata libera.»

Yharet saltò dalla gioia e, nella foga, strinse la donna in un abbraccio. Izerah sussultò un istante prima di ricambiare.

 

Il viaggio fu abbastanza tranquillo e sereno, una lenta marcia a bordo di un carretto trainato da un mulo testardo ma assai disponibile se nutrito bene. L'unica seccatura del viaggio erano stati una coppia di lupi che si erano avvicinati al campo, richiamati dall'odore del cibo. Izerah aveva lanciato loro un pezzo del pollo che stavano mangiando e loro se ne erano andati senza un verso.

Giunsero in città che il sole era al suo massimo, immergendo ogni cosa in una luce divina. Yharet per poco non rimase accecata dalle pietre di marmo che splendevano nel mezzogiorno inoltrato, dovendo abbassare gli occhi e potendoli rialzare solo dopo essersi abituata.

Non era mai stata in una vera e propria città. Gli anni vissuti con Izerah le avevano quasi fatto scordare la sensazione di stare nella stessa stanza con più di cinque esseri umani, clienti che ogni tanto venivano a chiedere qualche pozione o rimedio magico, ma si ritrovò completamente annichilita davanti alla folla che si muoveva tra le strade, in un misto di terrore e meraviglia più pura.

Izerah pareva più sicura, anche se era ovvio come tanto caos non fosse il suo ambiente naturale. Guidava il carro attraverso la strada principale con lentezza rispetto ai frenetici cittadini, che sembravano muoversi come se fossero costantemente in ritardo per qualcosa.

La strada principale si inoltrava partendo dal grande cancello, sul cui arco di pietra era inciso il volto di un leone ruggente e su cui sventolavano bandiere azzurre e dorate. Era così larga da poter far passare contemporaneamente quattro carri l'uno a fianco all'altro, ma poco importava visto la mole di persone che la riempiva, scivolando dentro e fuori dai negozi come centinaia di formiche al contrario.

I negozi passavano attraverso quasi ogni tipologia di prodotto che gli esseri civili avevano inserito nella categoria "vendibile". Spaziavano dall'artigianato, come mobilia e arte, al cibo, carne e verdura, passando attraverso abiti comuni e di regni lontani, vasi piccoli e giganteschi, armi per nobili cavalieri o semplici contadini, moltiplicandosi in una doppia fila che sembrava senza fine.

Visto che il viaggio durava tanto e nessuna delle due era troppo felice di andare in città, oltre alle casse di olio di drago presero diverse provviste di ogni genere, dal cibo agli ingredienti e ai vestiti. Per l'occasione avevano indossato abiti civili, e fu strano per Yharet indossare qualcosa di diverso dai semplici saio marroni che lei e la sua maestra indossavano sempre.

Visitarono solo una piccola porzione di tutti quei negozi, con la bambina che si muoveva silenziosa alle spalle della donna, poco abituata a parlare con estranei. Invece osservava con crescente curiosità ogni dettagli di quei luoghi che a lei parevano ancora più magici della casa dove abitava.

Stavano comprando le ultime cose quando passarono davanti a uno strano carretto itinerante dipinto di bianco, con simboli violacei dipinti su ogni facciata, strani segni che, ne Yharet, ne Izerah conoscevano. Il bancone era pieno di strane cianfrusaglie che nessuna delle due aveva mai visto, e il proprietario dietro di esso era altrettanto singolare. Era un ragazzotto, massimo vent'anni, pelle chiara e capelli ricci e dorati simile a fiamme vive. Portava un lungo mantello bianco chiuso da una spilla di bronzo occhiforme sul petto. Dietro degli occhiali rigorosamente squadrati splendevano due minacciosi occhi viola bordati di grigio.

«Salve. Vi interessa qualcosa?» chiese con una vocetta melodiosa simile al suono di un organo a canne.

«No, grazie, però se non ti dispiace, vorrei sapere cosa significano questi simboli. Non ne ho mai visti così.»

«Oh, vedo che in questo mondo qualcuno si interessa di simbolismo.» Una sottile risata scosse il ragazzo, facendo svegliare la strana sciarpa che gli avvolgeva il collo, rivelandosi invece come un lungo e sottile cobra dalle scaglie bianche, con una macchia violacea sulla testa che per la forma poteva somigliare a un occhio.

Le due arretrarono di un passo alla vista del serpente, che si limitò a guardarsi attorno pigramente e a farsi dare un grattino sotto al mento dal padrone prima di tornare a sonnecchiare. «Sono solo alcuni dei miliardi di simboli che ho trovato in giro, durante i miei viaggi. Alcuni servono come protezione, ma non ricordo verso chi, ihih.» La risatina svanì in pochi istanti e i suoi occhi si concentrarono sulle due, soprattutto su Yharet. «Tua figlia ha ereditato la tua bellezza, giovane signora.»

«Lo so, io... n-no, no, non è mia figlia» esclamò Izerah, balbettando e arrossendo, voltandosi per non farsi vedere dalla bambina.

Il giovane stava per dire qualcos'altro quando delle urla attirarono la loro attenzione. Dietro gli occhiali squadrati, i suoi occhi brillarono e un sorriso crebbe sul suo viso. «Oh, fantastico. Arrivano i cattivi, ihih!»

Lungo la strada la folla si divise in due maree premute contro i negozi, permettendo alla processione di passare. Questa era composta di uomini e donne vestiti di grigio e bianco, accompagnati da grossi cavalieri in armatura pesante e con le mazze strette in pugno. Alcuni portavano stendardi recanti un sole d'alabastro in campo grigio, ma su uno era stata legata una persona.

L'anziano sacerdote portava le vesti del suo ordine clericale, orribilmente strappate e coperte di macchie. Il viso era tumefatto e pieno di lividi, con un occhio così gonfio da non vedersi. Yharet si strinse alla gamba della sua maestra, mentre questa diventava pallida. Con orrore videro alcuni della folla lanciare oggetti contro il l'uomo, principalmente frutta marcia, insultandolo ed esultando per la sua sofferenza.

Quello che sembrava il capo del corteo era trasportato su una portantina sollevata da una mezza dozzina di uomini robusti. Indossava gli stessi abiti dei suoi simili, ma più decorata e con una catena dorata che dal collo gli cadeva sul petto. Era vecchio e dal sorriso gentile, con delle mezze lenti sul grosso naso. Sembrava in tutto e per tutto il classico nonnino buono, salutando la folla con una dolcezza assurda in quel clima teso.

A Yharet sembrò che per un istante l'avesse vista, e con un sussulto si nascose dietro la sua maestra finché la processione non sparì. Allora tutti tornarono alle loro faccende, come se nulla di tutto ciò fosse successo.

«Chi... chi era quello?»

«Lo spiegone che tanti odiano, ihih.»Il ragazzo appoggiò i gomiti sul bancone e sembrò giocherellare con una strana perla color lavanda. «Nessuno conosce il suo nome, ma si fa chiamare Lo Studioso. Un paio di anni fa giunse in città assieme ad alcuni del suo ordine, il Sole Bianco, dicendo di portare ordine e conoscenza dove secondo loro regnano solo ignoranza e malvagità. Lui e i suoi cominciarono a parlare al popolo dei prodigi della scienza, dicendo loro che la fede e la magia erano tutte credenze e sciocchezze che dovevano sparire per un mondo migliore.»

«E quello... lo chiamano un mondo migliore?» chiese Izerah, la voce che tracimava di un odio che Yharet non credeva possibile potesse esistere nella sua maestra. Piccole scintille si accesero attorno ai suoi capelli, scintillando come gocce di sangue rovente. «Quel sacerdote...»

Il ragazzo alzò le spalle e guardò verso il cielo, e per un istante le sue lenti splendettero alla luce del sole, deformandola in strani colori sconosciuti. «Chiunque è bravo a riempirsi la bocca d'idiozie su pace e giustizia, per un dio o meno, ma ci saranno sempre coloro che per le proprie idee saranno ben lieti di spargere sangue innocente. Che abbia un talismano o che abbia un libro, la merda resta merda.» Un sogghigno comparve sul suo viso, e si lasciò andare a una risata cupa. «E anche la morale è fatta.»

Le due si allontanarono da quello strano individuo, con Yharet attaccata alle gambe della maestra e Izerah che sembrava sul punto di esplodere e dare tutto alle fiamme. Il sole stava tramontando alle loro spalle quando se ne andarono da quella città, sperando di non rivedere mai più quell'ordine di folli.

 

Giunsero armati di falci, forconi e mazze create da rami caduti. Alcuni possedevano persino delle spade, mentre altri tenevano tra le mani coltellacci grossi e minacciosi. Nei loro sguardi non c'era nulla di buono, facce piene di rabbia e odio, un tipo di fiamma oscura che solo gli uomini potevano generare.

Lo Studioso camminava fra loro, avvolto nella sua veste elegante e riccamente adornata. Erano passati quattro anni dalla prima volta che l'aveva visto, eppure non sembrava cambiato per nulla. Passeggiava con aria serafica, come un bambino in un prato e non come un comandante di folle inferocite. Una dozzina di cavalieri in armatura pesante lo seguivano, le armi sguainate, i visi nascosti dietro elmi squadrati.

Yharet strinse i denti e tirò le tende, correndo verso la stanza di Izerah. Nel corso degli anni le due avevano sentito che il Sole Bianco si stava diffondendo nei villaggi più vicini, lento ma inesorabile come le onde nel mare. Avevano già visto cosa accadeva a chi praticava fede e magia. «Sono arrivati. Sono entrati nella radura.»

La donna annuì con uno sguardo cupo. Gli anni e la malattia non erano stati clementi, rodendo quel corpo un tempo forte fino a lasciare poco più che una carcassa macilenta e magra, la pelle quasi grigia, guance incavate e capelli bianchi secchi e così sottili da spezzarsi. Solo gli occhi resistevano, due fiamme cremisi nel buio.

«Albert me l'ha detto» disse, indicando il corvo appollaiato sulla finestra. Dei forti colpi di tosse fecero tremare quel fragile corpo, e qualche goccia scura cadde sulle coperte. Yharet si precipitò a tenerla, dandole alcune botte sulla schiena e e guardandola preoccupata. «T-Tranquilla, Piccola Fiamma...»

La sedicenne Yharet trattenne le lacrime. «Dobbiamo andarcene. La porta non li terrà fuori a lungo.»

L'anziana donna si lasciò andare a una dolorosa e cupa risata. «Riesco appena ad alzarmi, figuriamoci a fuggire...» La risata si trasformò in una nuova crisi di tosse. «Se è arrivata la mia ora di riunirmi all'Albero, così sia. Tu devi fuggire e continuare la nostra stirpe.»

«Cosa dici?» la giovane guardò sconvolta la maestra. «No! Io non ti lascio qui!»

«Yharet, ti prego» la voce della vecchia era incrostata di tristezza, e gli occhi cremisi le brillavano. Prese il bastone pallido e glielo offrì. «Tu devi vivere e mostrare la via ad altri come noi, o questo cancro di falsa sapienza getterà il mondo nel caos. Prendilo.»

«No!» Fiamme balenarono dalle spalle della ragazza, che gettò a terra il bastone. Si voltò e si diresse a passi pesanti fuori dalla stanza. «Scaccerò questi maledetti e ce ne andremo, insieme.» A forza ignorò la debole voce della mentore che la chiamava sempre più disperata mentre scendeva le scale ed entrava in cucina. Una vecchia accetta era poggiata contro il muro.

Stava per uscire quando una delle finestre si frantumò per colpa di un sasso scagliato. Altri colpirono il legno con dei pesanti tonfi, mentre le grida si facevano più forti e intense. Tacquero per un istante quanto aprì la porta, riprendendo più forte di prima.

«Andatevene! Io e la mia maestra non vi abbiamo mai fatto nulla di male, tornatevene a casa e lasciateci in pace!» gridò Yharet, agitando l'accetta e facendo un passo avanti. Fu accolta solo da altre pietre e urla.

"Bugiarde! Imbroglione! False! Bigotte!" urlava la folla, assieme ad altri insulti molto più spinti e volgari, soprattutto per una ragazza.

«Non mi interessa quello che credete, lasciateci in pace e noi lasceremo in pace voi! Andatevene e...» un colpo e cadde a terra, il fiato mozzato. Un dolore pulsante le serrò la testa e la vista si riempì di punti neri. Quando portò una mano alla fronte la trovò appiccicosa e umida, e guardandosi la mano vide rosso colare tra le dita. A terra, vicino a lei, stava una pietra sporca di sangue.

Li sentì avvicinarsi. Alzando lo sguardo vide i loro volti pieni, le armi strette in pugno, lo sguardo che tradiva una voglia omicida che nemmeno le bestie più assetate di sangue possedevano. Calde lacrime cominciarono a colarle lungo le guance, scavando nella pelle. Lacrime così calde che cominciarono a evaporare.

Le risa divertite e le gli insulti si trasformarono in grida quando le fiamme avvolsero uno degli aggressori, divorandolo con un crepitio che pareva somigliare a un'inquietante risata. La folla si allontanò, ignorando completamente l'uomo che si accasciava al suolo urlando e concentrando gli sguardi carichi di paura verso la ragazza che si stava rialzando, avvolta da un fuoco cremisi come i suoi occhi.

«Ho. Detto. Andatevene!» ruggì con una voce non sua, sbattendo il piede il piede a terra e scatenando una fiammata sibilante contro la folla, che si allontanò con delle grida. L'unico apparentemente calmo era lo Studioso, che si sistemò gli occhiali e parlò con tono pacato alla sua scorta. Gli omoni in armatura si fecero avanti, spade sguainate in pugno, occhi pronti a uccidere dietro gli elmi.

Caricarono urlando, le armi in alto per colpirla. Il primo cadde divorato dalle fiamme, un rosso serpente che si infilò nell'armature e la bruciò dall'interno, mentre il secondo finì con una gamba avvolta dal fuoco e si rotolò a terra per spegnerlo, senza successo. Il terzo si prese un colpo d'ascia sull'elmo, ma quando si girò colpì la ragazza con il guanto corazzato sul viso.

Yharet cadde a terra, sentendo il sapore ferroso sulla lingua, mentre le fiamme attorno a lei scemavano e si spegnevano. Sputò un pezzo di dente, mentre la mascella pulsava come se stesse per staccarsi. Il fiato le uscì dai polmoni quando l'uomo le diede un calcio al ventre, assieme a qualche goccia di sangue. Le sembrò quasi le stesse sorridendo mentre alzava la spada per finirla.

Chiuse gli occhi, chiamando sua madre come quando era piccola.

Una luce brillò nel buio, e quando riaprì gli occhi vide l'uomo che stava per ucciderla a terra, con metà del corpo coperta di fiamme sibilanti. L'altra metà non esisteva più, ridotta in cenere. Un tocco caldo e gentile la aiutò ad alzarsi, e accanto a se vide una figura fiammeggiante dai penetranti occhi rossi.

«I-Izerah?»

«Sono passati nove anni ma sei impulsiva come quando ti presi con me.» Una risata sfuggì alle labbra della donna. Fiamme di un cremisi scuro ruggivano dalla sua pelle, secca e sottile come carta, avvolgendola come un manto, mentre la treccia grigia era diventata un fuoco vivo, danzando nell'aria vigoroso e potente, in completo contrasto con quel corpo deteriorato. Rivolse uno sguardo d'odio verso la folla, che adesso si stava avvicinando. «Rientra in casa. Mi occuperò io di questi maledetti.»

«N-No... io...»

«Yharet!» Izerah la prese e la fissò negli occhi con un misto di emozioni che danzavano tra la rabbia alla paura, dall'amore alla severità, dal rimpianto al dispiacere. «Sei la miglior studentessa che io abbia mai avuto, ed è stato un onore insegnarti. Grazie per essere entrata nella mia vita.»

«Izerah..» Yharet ebbe appena il tempo di dire il suo nome prima che le fiamme la afferrassero e la spingessero in casa, chiudendo la porta alle sue spalle. La ragazza si alzò e provò a uscire, ma l'entrata sembrava boccata. Sentiva l'aura della sua maestra impregnare la serratura, e a nulla servì chiamarla battendo sul legno.

Corse alla finestra e vide la donna avanzare verso la folla, le fiamme attorno a lei che crescevano e aumentavano, bestie rosse che ruggivano e sibilavano. Il manto che la copriva si spalancò in grandi ali che sembravano pronte a inghiottire il mondo. Gli uccelli attorno si alzarono in volo e fuggirono via, e Yharet comprese il motivo. Il fuoco dentro di lei tremò, e piangendo corse nella parte più interna della casa.

Stava per raggiungere il fondo quando un rumore come di tuono la scagliò in avanti. Una luce abbagliante la avvolse, così forte che dovette chiudere gli occhi. Poi giunse l'oscurità.

 

Non capì per quanto rimase sdraiata a terra. Un limbo la avvolgeva, un vuoto inizialmente ricolmo di grida, che si fecero sempre più lontane e flebili fino a sparire, e lacrime. Le sue lacrime.

Quando riuscì ad alzarsi dovette far ricorso a tutte le sue forze per voltarsi, rischiando di crollare in lacrime appena lo fece. Lentamente avanzò, con il sangue che gocciolava sul pavimento coperto di detriti. Superò l'ampia apertura nel muro che un tempo era stata l'entrata e uscì in giardino.

L'aria era avvolta dal fumo e dalla puzza di carne bruciata. Diversi copri giacevano a terra in un cerchio di carne annerita, armature fuse e abiti inceneriti. L'erba era stata vaporizzata, lasciando un enorme cerchio di terra brulla e nera, mentre alcune braci ardevano ancora lungo il bordo.

Yharet camminò fino al centro del cerchio, cadendo sulle ginocchia e piangendo davanti a un bastone piantato nel terreno, bianco e ancora brillante di potere, come se ardesse continuamente senza bruciarsi. Calde lacrime bagnarono il terreno, evaporando per quanto era caldo. «Ma...»

Un improvviso tocco la fece sussultare, interrompendo ciò che stava per dire. Pareva la più dolce delle carezze, la mano più morbida e gentile che avesse mai sentito in vita sua. Quando alzò lo sguardo non trovò nessuno. C'erano solo lei, il fumo e il bastone, e quest'ultimo non si mosse, continuando ad ardere in silenzio.

Rimase lì diversi minuti prima di alzarsi, passandosi palmi sugli occhi e asciugandosi alla meglio le lacrime. Afferrò il bastone, sentendo una calda sensazione nel petto quando lo strinse tra le dita, con i muscoli che parevano rivitalizzarsi, le ferite farsi meno dolorose.

Non ebbe tempo di rallegrarsi. I sopravvissuti dell'esplosione non sarebbero rimasti lontani troppo a lungo, e di certo non sarebbero tornati con intenzioni benevole. Corse in casa e raccolse ogni cosa che potesse servirle, facendo particolarmente attenzione per i libri più importanti della sua maestra. La sola vista richiamò le lacrime, ma non c'era tempo per quelle.

Serpi fiammeggianti strisciarono dai suoi piedi mentre usciva, infilandosi in ogni stanza e cominciando a divorare il legno, gli amuleti e ogni altra cosa. Non avrebbe permesso che quei maledetti insozzassero la casa dov'era vissuta ed era stata amata, e mentre liberava le bestie nella stalla schiacciò un paio di occhiali a mezzaluna sotto lo stivale.

Rivolse un'ultima occhiata alla casa avvolta dalle fiamme e un corvo grigio si posò sulla sua spalla. Mormorò una preghiera all'Albero e si voltò, non voltandosi più indietro e inoltrandosi nell'oscurità del bosco.



 

La fiamma tremava tra le mani della bambina avvolta dal saio marrone, mentre il sudore le colava sulla fronte. Era visibilmente tesa, con una voglia bianca sulla guancia dove si era già bruciata molto tempo prima.

«Rilassati» disse la maestra alle sue spalle. «Non mostrare paura alle fiamme. Hai il controllo, mantienilo.»

La piccola annuì e prese un profondo respiro. La fiammella si gonfiò come a voler fuggire, ma rapidamente divenne delle dimensioni di una candela, una minuscola lucina nel sottobosco della foresta.

La donna si mise accanto a lei e sorride, accarezzandole la testa. «Ottimo lavoro Lydia. Ora spegnila.»

Annuendo, la bambina si concentrò. La fiamma brillò per un istante prima di svanire tra le sue dita, mentre un calore familiare tornava nelle braccia, risalendo fino al centro esatto del petto. Seguendo la maestra si sedette in un piccolo cerchio di sassi incisi con simboli di cui stava studiando il significato.

«Ora rilassati e apri la mente al mondo» disse la donna, mettendosi in posa da meditazione. La bambina fece lo stesso, chiudendo gli occhi e restando nel più assoluto silenzio mentre facevano quell'esercizio. La radura era calma e serena, disturbata solo dal canto delle cicale e dal cinguettio degli uccelli.

Improvvisamente quest'ultimi si fermarono, e al loro posto giunse il gracchiare di un corvo. La maestra spalancò gli occhi, guardò in alto verso l'uccello grigio e puntò lo sguardo alla sua destra. «Lydia, alle mie spalle.»

La bambina obbedì e corse dietro di lei, mentre un trio di figure emergeva dal sottobosco. Vestivano di grigio e bianco, con un sole di stoffa sul petto e armi di acciaio tra le mani. Dai loro sguardi trasaliva solo odio misto a lussuria. «Per essere delle selvagge superstiziose, siete davvero carine, soprattutto la bambina» disse uno di loro, uno spilungone apparentemente dall'aspetto gentile e ben curato. 

«Se farete le brave non vi faremo male. Non troppo. Forse potrebbe anche piacervi» disse la donna del gruppo, passandosi la lingua sulle labbra e stringendo i pugnali tra le dita. 

Fiamme cremisi percorsero le braccia coperte di bende e rune di Yharet, mentre i capelli neri a caschetto si agitarono nell'aria sempre più calda e secca. Strinse la presa sull'enorme ascia dal manico di legno bianco e ardente, la lama d'acciaio percorsa da fiamme cremisi, mentre la scritta fiammeggiante sulla sua fronte che brillava sulla pelle abbronzata.

«Vedremo chi si farà male.» Bestie fiammeggianti la avvolsero e la circondarono mentre si avvicinava ai tre, fissandoli con gli stessi occhi rossi e ardenti che erano stati di sua madre.


 

AUTORE: TheManiae

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Roberto Turati