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Autore: Abby_da_Edoras    17/03/2022    7 recensioni
Questa storia è il sequel di My winter storm e riscrive in modo del tutto mio personale le vicende della parte conclusiva della sesta stagione di Vikings. Il legame tra Ivar e Aethelred si sta consolidando, ma i due dovranno affrontare ancora molti ostacoli a causa dei quali rischieranno di perdersi... tutto però finirà bene! Intanto a Kattegat anche Bjorn rischia la sua corona, per i tradimenti e gli intrighi di vecchi rivali e amici non del tutto leali. Entrano in scena nuovi personaggi (uno inventato da me) e ci sarà una nuova coppia molto... passionale e particolare (e non dico altro!).
Grazie a chi mi segue e continuerà a seguire le mie follie! XD
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, produttori e autori della serie TV "Vikings".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bjorn Ironside, Ivar, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'L'amore non ha fine '
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Cap. 16: Unstoppable today

 

I put my armor on, show you how strong how I am
I put my armor on, I'll show you that I am

I'm unstoppable
I'm a Porsche with no breaks
I'm invincible
Yeah, I win every single game
I'm so powerful
I don't need batteries to play
I'm so confident
Yeah, I'm unstoppable today
Unstoppable today…

(“Unstoppable” – Sia)

 

Travolto dalla gioia di aver restituito la vista a Erik e poi dalla passione di quella notte, Tiago pareva aver dimenticato di aver visto l’uomo che faceva sesso con un’altra donna quella mattina stessa, di averlo visto schiaffeggiarla perché lei si ritraeva e di tutto ciò che era accaduto dopo… ma non era così e i ricordi si ripresentarono tutti alla sua mente quando brama e piacere lasciarono il posto al languore appagato del riposo. Il ragazzo, tuttavia, credeva veramente in ciò che aveva detto a Ingrid: immaginava che Erik, una volta ripresa la sua vita normale, lo avrebbe messo da parte, ma non gli importava, per lui contava solo che stesse bene e che fosse felice. Era normale che volesse cercare passione altrove, lui era solo un ragazzino, come poteva sperare di tenerlo accanto a sé? Avrebbe accettato di essere abbandonato quando fosse successo e avrebbe comunque continuato ad essere presente ogni qual volta avesse avuto bisogno di lui.

Erik, però, pareva non avere la stessa intenzione e, al contrario, una volta sfogato il desiderio, voleva chiarirsi con Tiago. Erano ancora a letto insieme, stretti l’uno all’altro, e l’uomo accarezzò i capelli del giovane spagnolo e iniziò a parlargli con una tenerezza insolita.

“So che preferiresti non parlarne, ma io ho bisogno di farlo” esordì Erik. Tiago, in realtà, non avrebbe voluto più pensarci, ma era Erik a volersi ripulire la coscienza… “Mi hai visto con quella schiava stamani e sei venuto a sapere che spesso, mentre tu cercavi un rimedio per guarirmi dalla cecità e ti stancavi fino a perdere le forze, io prendevo schiave come quella per divertirmi un po’. È vero, ammetto che è vero, non voglio mentirti. Ma non voglio nemmeno che tu pensi che lo abbia fatto perché non mi importa di te o, peggio, perché considero anche te a quel livello. Anzi, è tutto l’opposto!”

Il ragazzo non capiva bene se quello fosse un discorso di scuse o di giustificazioni, ad ogni modo Erik continuava a usare la parola schiave e già quello dimostrava che non aveva imparato un bel niente dall’esperienza avuta. Avrebbe voluto dirgli che non doveva spiegare niente, che per lui andava bene così, che sarebbe rimasto al suo fianco comunque, ma l’uomo non gli diede nemmeno il tempo di aprire bocca e continuò il suo monologo.

“Ogni volta che te ne andavi e rischiavi la vita per curarmi, io mi sentivo inutile, un peso, non servivo a niente e anzi per colpa mia tu eri in pericolo, mi sentivo frustrato e impotente e non volevo sentirmi così. Per questo chiamavo le schiave e facevo sesso con loro, che lo volessero o meno: per me erano solo oggetti, servivano a distrarmi, a farmi sentire che almeno una parte di me funzionava ancora, a non farmi pensare ai rischi che correvi tu… Non erano niente” riprese Erik. “Tu invece sei… speciale, ecco. È vero, all’inizio ti ho considerato uno schiavo come loro, ma tu sei stato sempre dolce e gentile con me, mi hai accolto, accettato, mi hai donato il tuo amore senza condizioni anche quando ti trattavo male. E poi, quando ho commesso quella sciocchezza con Ingrid e lei mi ha accecato, sei stato tu ad aiutarmi, ti sei occupato di me e alla fine hai saputo perfino guarirmi. Io non avevo mai conosciuto qualcuno come te e, adesso che ti ho trovato, non voglio perderti. Lo sai che, in tanti anni, io non ho mai saputo cosa volesse dire fare l’amore? Ho avuto schiave e schiavi, sono stato con delle donne, ma con loro ho fatto solo sesso, senza coinvolgimento, senza altro fine che il piacere fisico. Con te… tu mi fai sentire bene, non è solo piacere o passione, è un calore mai provato e tu sei il primo che ho baciato veramente, non l’avevo mai fatto prima, non ero stato abbastanza intimo con nessuno, ma con te mi viene naturale, spontaneo.”

Stretto tra le braccia di Erik, Tiago era incantato e sedotto dalle sue parole, nonostante alcune di esse fossero, sinceramente, delle grandi bestialità. Ma quello che il giovane spagnolo desiderava credere era di essere speciale per Erik e, mentre l’uomo continuava a parlargli con tono pacato e suadente, Tiago si lasciava conquistare sempre di più da lui.

“Tu non sei più uno schiavo per me, ho sbagliato anche solo a pensarlo. Tu sei il mio amante e io ti voglio sempre con me, anche adesso che mi hai ridato la vista. Riprenderò il mio posto al fianco di Bjorn ma tu verrai con me, io ti porterò sempre con me, sei mio, sei il mio amante e io ti voglio con me” sottolineò Erik, circondando Tiago in un abbraccio piuttosto possessivo.

“Ma io…” obiettò timidamente il ragazzo, “io non posso seguirti nei tuoi doveri per il Re, io non sono un guerriero, non so combattere, so solo servire e usare le piante e le erbe per curare, Re Bjorn non vorrà che partecipi ai suoi consigli…”

“Tu sei molto di più di questo e anche Bjorn se ne accorgerà” replicò l’uomo. “Sei buono e generoso, vuoi che tutti stiano bene e siano felici e riesci a mettere pace tra le persone: queste sono doti importantissime che faranno molto comodo alla politica di Kattegat. Non ti sottovalutare, Tiago, io ho finalmente capito quanto vali e non voglio mai più separarmi da te, ti voglio sempre con me.”

Erik concluse questo appassionato discorso con un bacio lunghissimo, intimo e profondo, perdendosi sulle labbra del suo giovane compagno e pensando che era davvero fortunato ad averlo incontrato, adesso Tiago era la sua luce, la sua gioia e lo inondava di calore e dolcezza. E Tiago, incredulo e sentendosi incendiare l’anima, si abbandonò a quel bacio, concedendosi il lusso di credere alle parole di Erik, a quello che voleva sentire da lui… almeno fino a quando fosse durato.

A Kattegat sembrava che l’amore stesse vincendo, ma in Wessex era guerra.

Ivar, da abile stratega qual era, aveva messo a punto un piano che gli avrebbe consentito di eliminare quanti più soldati Sassoni possibile, evitando tuttavia di coinvolgere le persone inermi che seguivano l’esercito per raggiungere Chichester. Aveva quindi attirato i Sassoni in un’imboscata nella foresta che avrebbero dovuto attraversare, accerchiandoli con i guerrieri e le shieldmaiden da ogni lato, che apparivano improvvisi e letali dalla nebbia; lui si era appostato tra gli alberi, sopra un ponte di corde fatto costruire appositamente per lui e i suoi arcieri che così avrebbero trafitto a colpo sicuro i soldati; inoltre, aveva fatto approntare delle trappole mortali che colpivano i Sassoni a tradimento, lasciandoli morti o mutilati. In questo modo il popolo che seguiva Re Alfred non sarebbe rimasto toccato dalla battaglia perché sarebbe stato l’esercito a entrare per primo nella foresta, cadendo nell’imboscata; infatti, mentre i soldati di Re Alfred e del vescovo Aldulf si inoltravano tra gli alberi e finivano straziati e uccisi, la carrozza che trasportava la Regina Elsewith e il suo bambino rimase fuori. La Regina comprese il pericolo e ordinò che la gente seguisse la sua carrozza, aggirando la foresta.

La battaglia nella foresta si faceva sempre più cruenta, Ivar impartiva ordini dall’alto e i soldati Sassoni erano massacrati da ogni parte, se non finivano nelle trappole venivano trafitti dalle frecce o aggrediti a sorpresa da guerrieri e shieldmaiden sbucati dal nulla e guidati da un Hvitserk che sembrava aver ritrovato la sua vena di combattente, agile, implacabile e letale. Harald e i suoi non potevano far altro che seguire le direttive di Ivar e le offensive di Hvitserk e Helgi, ma il Re dei Norreni non sembrava dispiaciuto per aver perso il comando: ciò che lui aveva desiderato veramente era l’azione, la battaglia, e adesso l’aveva, non importava chi guidasse gli eserciti.

In tutto ciò, l’unico a non condividere l’entusiasmo generale era, per ovvie ragioni, Aethelred. Il giovane Principe era rimasto a lungo nell’accampamento per non vedere e non sentire, confuso da emozioni che gli vorticavano dentro straziandogli il cuore e l’anima. Da un lato era convinto che il suo posto fosse accanto a Ivar e ai Vichinghi, coloro che lo avevano salvato dalla folle crudeltà di sua madre e che gli avevano fatto conoscere la libertà, l’amore, la gioia di vivere veramente senza oppressioni e ipocrisie. Dall’altro, tuttavia, non poteva tollerare che tanti uomini perdessero la vita massacrati in una guerra assurda, nata esclusivamente per i capricci e le ambizioni di un uomo come Harald. Per lui sarebbe stato molto più facile dare la colpa di tutto al Re dei Norreni e a chi aveva voluto seguirlo, ma non riusciva a dimenticare che anche i Sassoni si erano comportati in modo inspiegabile, facendo incendiare le case dei coloni Vichinghi e uccidendo degli innocenti. Le razzie di Harald non potevano in alcun modo giustificare un tale abominio e lui, nonostante tutto, non riusciva a non desiderare che le cose potessero tornare com’erano un anno e mezzo prima, con Re Alfred che governava pacificamente sul Wessex, una terra che Sassoni e Norreni condividevano in amicizia.

Ad un certo punto si sentì soffocare dentro quella tenda e provò il bisogno insopprimibile di vedere che cosa stava accadendo nella foresta, se davvero la gente del popolo era al sicuro, se qualcuno dei suoi cari era rimasto ferito, Alfred, chissà, o… che Dio non volesse… Ivar!

Giunse di corsa ai margini della foresta e, sulle prime, non riuscì a distinguere bene cosa succedesse, chi stesse vincendo e neanche quali fossero i Sassoni e quali i Vichinghi, poi la sua attenzione fu attirata da qualcosa in particolare, le urla di una donna. Chi poteva essere? Forse una shieldmaiden ferita o forse… forse Ivar gli aveva mentito e le donne e i bambini non erano al sicuro? Doveva saperlo. Seguì le grida e ai suoi occhi si presentò una scena inattesa: due guerrieri Norreni avevano catturato la Regina Elsewith e cercavano di trascinarla a forza nella foresta, la giovane donna però non si era lasciata intimidire e stava disperatamente cercando di resistere, dibattendosi e colpendo alla cieca con un pugnale.

“Lasciatela, lasciatela stare, maledetti!” un altro grido nel quale Aethelred riconobbe la voce di suo fratello Alfred. Sì, il Re si era accorto dell’accaduto ed era intervenuto, abbandonando la battaglia per soccorrere la sua Regina. I due guerrieri dovettero lasciar perdere la donna e difendersi dall’assalto disperato di Alfred e Aethelred ne approfittò per correre da Elsewith.

“Stai bene? Non preoccuparti di loro, ti proteggerò io. Dov’è la tua carrozza? Ti scorterò fin là” le disse.

La Regina sulle prime non lo riconobbe e cercò di allontanarsi da lui, respingendolo e correndo disperatamente fuori dalla foresta, in direzione della carrozza da cui era stata trascinata via poco prima. Aethelred la seguì per accertarsi che vi arrivasse sana e salva e che non ci fossero altri Vichinghi tanto folli da minacciare la sua vita. Elsewith giunse alla carrozza, trafelata e ansante, e quando fu lì ne alzò il sedile, rivelando il nascondiglio di un bimbetto di circa un anno e mezzo, il figlio suo e di Alfred, il Principino Edward. Proprio in quel momento la giovano fu raggiunta da Aethelred e, sentendolo arrivare, si voltò verso di lui puntandogli contro il pugnale.

“Vattene, non toccare mio figlio!” esclamò, furibonda.

Il Sassone non si preoccupò della reazione della Regina, era normale che non lo avesse riconosciuto, ma la vista del nipote lo commosse profondamente.

“Lui è… è tuo figlio e il figlio di Alfred?” mormorò, con la voce rotta dall’emozione.

Elsewith restò allibita dalla commozione di colui che credeva un Norreno e, per la prima volta, decise di guardarlo meglio. Le vesti di foggia vichinga e i capelli lunghi fino al collo, annodati in alto sulla nuca, l’avevano tratta in inganno, ma adesso riconosceva quei grandi occhi chiari e buoni e la voce dolce, che tradiva l’accento del Wessex.

“Ma tu sei… sei Aethelred?” domandò, al colmo della sorpresa. Poi il suo sguardo si fece cupo. “Sei con i pagani, adesso, con quei demoni. Combatti con loro?”

“Sono tornato nel Wessex insieme ai Vichinghi, è vero, ma non combatto con loro, sono tornato proprio perché sapevo che una spedizione voleva razziare le coste del Wessex” rispose Aethelred. “Io non voglio tutto questo, quando sono partito Alfred regnava in pace e Sassoni e Norreni vivevano fianco a fianco…”

Elsewith si lasciò sfuggire un sorriso di compatimento e scrollò il capo, prendendo in braccio il figlioletto che continuava a fissare Aethelred.

“Anche tu sei un sognatore e un generoso, come Alfred” commentò, “e sono belle doti per un uomo, ma non per un Re. Per un sovrano queste sono debolezze, io lo dico sempre a mio marito. Non ci sarà mai pace finché i pagani non saranno eliminati per sempre, loro rappresenteranno sempre una minaccia, fingono di volersi convertire al Cristianesimo ma poi continuano ad adorare i loro falsi dei e a vivere in modo violento e brutale.”

“Per questo Alfred ha fatto incendiare i loro villaggi e uccidere persone innocenti?” replicò Aethelred. Quello era il momento della verità, finalmente avrebbe saputo come stavano veramente le cose.

“L’ordine lo ha dato Alfred, ma solo perché io l’ho convinto” rispose Elsewith, fiera. “Come ti ho detto, Alfred è troppo buono, troppo gentile e fiducioso e molti lo ritengono debole per questo. Volevo che desse una dimostrazione di forza e che facesse capire a quei pagani che non possono fare quello che vogliono nella nostra terra!”

Aethelred si sentì sollevato nello scoprire che non era stato suo fratello a volere quei massacri, se le cose stavano così allora c’erano ancora speranze di pace, nonostante l’ossessione di Elsewith, tanto simile a quella di Judith…

“Alfred aveva stretto un accordo con i Norreni e per molto tempo avete vissuto in pace” ribadì nuovamente il giovane. “La spedizione di Harald è stata un errore, ma io sono qui per proporre un negoziato: voglio che tu e Alfred incontriate i capi dell’esercito Norreno e che stipuliate un nuovo accordo con loro. I coloni che vorranno vivere in pace nel Wessex e coltivare la terra per le loro famiglie dovranno essere al sicuro e, in cambio, farò in modo che non ci siano altre razzie e scorrerie… almeno da parte dei Vichinghi di Kattegat.”

“Davvero? Tu puoi garantire per un demonio come Ivar Senz’ossa? Lui non smetterà mai di cercare di distruggerci, lui vuole sottometterci tutti come lo voleva suo padre! Come puoi difendere un tale mostro? Tu sei generoso, sei un grande guerriero, il tuo posto sarebbe al fianco di tuo fratello, non in mezzo a quei barbari” esclamò la Regina. “Guardati, sembri quasi uno di loro e invece sei un Principe Sassone, dovresti stare con la tua famiglia. Forse sei scappato perché Alfred è diventato Re mentre il trono sarebbe spettato a te in quanto primogenito? Non devi. Alfred sarebbe disposto a regnare con te al suo fianco e tu avresti praticamente i suoi stessi poteri… e insieme potreste eliminare la minaccia dei pagani una volta per sempre!”

Aethelred si sentiva impotente, parlare con Elsewith lo faceva tornare indietro nel tempo, quella durezza e ostinazione erano state di sua madre Judith, l’unica differenza era che Elsewith non lo disprezzava, ma anzi voleva che tornasse a vivere alla Corte di Winchester, al fianco di Alfred.

“No, non sono partito dal Wessex perché volevo la corona di Alfred, sono partito per cercare il mio posto nel mondo… ed è con i Vichinghi. Non sono affatto come dici tu, con me sono stati gentili e accoglienti come una vera famiglia e non mi hanno mai impedito di essere cristiano e di seguire le mie idee” dichiarò deciso. “Per questo voglio che anche qui possa avvenire lo stesso, perché Sassoni e Norreni possono vivere insieme e rispettarsi, io ne sono l’esempio vivente. Voglio la pace e so che anche Alfred la vuole. Potremo avere questo incontro, dunque?”

Elsewith sospirò.

“Va bene, ne parlerò con Alfred e sono certa che anche lui farà di tutto per organizzare un incontro di pace” disse, poco convinta. “Tuttavia non illuderti troppo, non credo affatto che un accordo possa bastare a demoni pagani come i tuoi amici, loro non vogliono la pace, vogliono solo conquistare, uccidere e rubare.”

Non sarebbe servito discutere ancora con la Regina. Aethelred la ringraziò per la promessa di parlare ad Alfred dell’accordo e poi i due si salutarono. Il giovane Sassone lanciò un ultimo sguardo a Edward, il suo nipotino, sperando che almeno lui potesse crescere in un mondo pacifico, poi si allontanò per ricongiungersi ai Vichinghi.

Nel frattempo, i Sassoni erano riusciti ad evitare una terribile sconfitta solo grazie alla nebbia che era calata sempre più fitta, impedendo ai Norreni di massacrarli tutti. Ivar aveva fatto suonare la ritirata e i pochi soldati Sassoni sopravvissuti erano riusciti a uscire dalla foresta al seguito di Re Alfred e del vescovo Aldulf.

“Il Signore ci ha salvati impedendo a quei demoni di ucciderci tutti” diceva il vescovo, ma Alfred non sembrava ascoltarlo. Ciò che contava per lui era la salvezza di sua moglie e di suo figlio, oltre che dei suoi sudditi, e iniziò a rilassarsi soltanto quando riuscì a scorgerli tra la nebbia come ombre in lontananza.

“Non possiamo lasciare che quei pagani la facciano franca. Oggi ci hanno attirato in una trappola, ma dovremo riorganizzare i nostri eserciti e attaccarli in un luogo a noi favorevole per poterli sconfiggere e distruggere una volta per tutte, per la gloria di Dio!” continuò Aldulf, ma questa volta Alfred lo interruppe.

“Riorganizzeremo l’esercito, sì, ma soltanto per difenderci” tagliò corto. “Io voglio che la mia gente viva in pace e, se è un nuovo accordo quello che vogliono, allora sono disposto a concederlo. Manderò un messaggero per invitare i capi dei Norreni a parlamentare con me. Quasi due anni fa stipulai un accordo di pace con Ubbe Lothbrok, ma lui non è qui e non ci sono nemmeno Torvi o Lagertha. Devo capire se Ivar Senz’ossa è disposto a un accordo del genere perché la pace è la mia priorità. Soltanto se lui non ci darà scelta continueremo a combattere.”

Detto questo, Alfred si avviò deciso verso la sua famiglia e i suoi sudditi, seguito lentamente da un vescovo Aldulf molto deluso.

Quella sera, nell’accampamento dei Vichinghi, c’era festa per la vittoria contro i Sassoni, anche se non era stata schiacciante come avrebbero voluto. Ivar e Aethelred, però, non partecipavano, erano a parlare nella loro tenda.

“Hai protetto la fuga della Regina Elsewith? Ma ti sei bevuto il cervello? Aethelred, da che parte stai, sul serio?” Ivar era sconcertato.

“Io voglio la pace” ribadì Aethelred, fissando il Vichingo negli occhi. “Cosa pensavi di ottenere facendola rapire o, magari, uccidere? Alfred e Elsewith hanno un bambino piccolo, mio nipote. Se fosse accaduto qualcosa alla Regina non credi che Alfred non ti avrebbe mai perdonato? E in quel caso non ci sarebbe stata alcuna possibilità di giungere a un nuovo accordo!”

“È stata proprio quella Regina a far uccidere coloni innocenti, quale pace vuoi ottenere da lei?” obiettò Ivar.

“Non è lei a regnare in Wessex, è Alfred il Re, e lui vuole la pace” insisté il Sassone. “Avremo un incontro con lui, ci manderà un messaggero per stabilire il giorno e il luogo, e finalmente stipuleremo un nuovo accordo come quello che fecero Ubbe e Lagertha. È solo questo che voglio, Sassoni e Vichinghi che vivono fianco a fianco, rispettandosi gli uni gli altri e collaborando. Niente più razzie, niente più conversioni forzate, solo rispetto e tolleranza.”

Ivar sospirò rassegnato e strinse tra le braccia il suo compagno, dicendo senza saperlo le stesse cose che gli aveva detto Elsewith quel pomeriggio.

“Tu sei buono e generoso, Aethelred, vuoi che tutti siano sereni e in pace e io ti ammiro e ti amo per questo, ma temo che il tuo cuore sia troppo grande e non voglia vedere il male che c’è intorno.”

Lo baciò una, cento, mille volte. Ogni volta che si perdeva nella morbidezza e nella dolcezza delle sue labbra e del suo corpo tiepido tutto il resto scompariva e rimaneva solo una tenerezza che faceva bene al cuore. Chissà, forse il sogno di Aethelred poteva realizzarsi, o forse no, quello che importava era che in quel momento loro due erano insieme, uniti, che lentamente i loro corpi e le loro anime si fondevano in una sola essenza. Forse quell’incontro con Re Alfred avrebbe potuto cambiare le cose, portare davvero la pace… ma ci avrebbe pensato dopo, quegli istanti d’amore che potevano ancora concedersi dovevano espandersi in un universo di passione e dolcezza che, almeno per un po’, avrebbe cancellato tutto il male.

Al resto avrebbe pensato il giorno dopo.

Fine capitolo sedicesimo

 

 

 

 

 

   
 
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