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Autore: vielvisev    20/03/2022    2 recensioni
Questa è la fine dell'era dei Malandrini: Lily e James sono morti. Sirius è accusato di tradimento e imprigionato. Peter Minus creduto morto. Sono rimasti solo due testimoni di quel passato ingombrante: Remus Lupin e Severus Piton.
Mini-Long sulla potenziale amicizia mai nata tra due personaggi simili, ma su due fronti opposti. Sul loro dolore, la loro solitudine e l'accettazione del lutto per loro più difficile da affrontare.
Missing Moments
*
*
DAL TESTO:
Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva perfettamente.
-
Era nato sotto la stella sbagliata Severus Piton, sua madre glielo diceva sempre.
-
“Lupin. Che sorpresa.” disse il mago, distendendosi un poco.
Era raro che venisse colto impreparato, gli faceva provare una strana sensazione, come di perdita di equilibrio.
“Non è particolarmente un piacere vederti, Severus, ma sì è una sorpresa” rispose il mannaro ed era forse la prima volta che lo chiamava per nome e l'altro aggrottò la fronte e fece un passo indietro.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus, Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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.Polvere.



Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva meglio di chiunque altro e proprio perché aveva sperimentato nella sua vita sia il dolore lampante e nervoso del corpo che si strema, che quello personale e sordo del sentirsi rigettato da una società bigotta e infine quello pungente e disperato di chi raschia il fondo della propria coscienza alla ricerca di una direzione, Remus Lupin si chiedeva se questa nuova categoria di dolore, che aveva la forma degli occhi grigi di Sirius e il rumore della sua assenza, potesse avere dei confini. 
 Perché era era convinto di aver già provato tutto sulla sua pelle, Remus Lupin. Era convinto che nella sua gioventù avesse già imparato a dire addio, quando Lily si era spenta e con lei i Malandrini si erano sgretolati. Era passato attraverso le difficili fasi dell'accettazione, della disperazione, della negazione, del rimpianto. Aveva finito le sue lacrime, trovato una ragione  e si era annebbiato nell'alcool fino a perdersi in sé stesso, per poi risalire.
Aveva già masticato a lungo il rancore e la sofferenza, le grida agrodolci di chi sopravvive e avrebbe voluto solo sparire. Era convinto di essere pronto, abituato, quasi ormai portato alla perdita. Ma erano tutte bugie. 
 Perché Sirius Black non era ad Azkaban per i suoi errori, non era nascosto in qualche grotta insieme al suo Ippogrifo, convinto di fare la cosa giusta ad affamarsi, celandosi al mondo, non era perso nei ricordi torbidi della prigionia, immerso nell'acqua ormai fredda della vasca da bagno di casa, le ginocchia al petto scheletrico e gli occhi sgranati. 
 Sirius Black non era più, semplicemente, in nessuna forma e ragione, era polvere e Remus Lupin non poteva nemmeno odiarlo per averlo lasciato di nuovo solo, non poteva sentirne la mancanza con la speranza di rivederlo, non poteva pensare troppo a lui senza sentirsi soffocare.  Sirius Black era scomparso dietro un velo e Remus Lupin era solo. 
 Un bussare affrettato gli ferì le orecchie. Qualcuno di insistente alla porta. Remus si raggomitolò su sé stesso, nel buio del vecchio appartamento Babbano così greve di ricordi, ignorò il bussare, si concentrò sui suoi respiri pigri e distratti. 
Sentiva ancora qualcosa che ricordava il profumo di Sirius in quella casa, se si concentrava, il lascito di quelle confuse giornate prima di spostarsi a Grimmauld Place, passate a confortarsi a vicenda, a ricercarsi nelle ferite dell'altro accettando di essere entrambi lì, spalla contro spalla, sbriciolati nell'animo e quasi interi nel corpo.
Il bussare si fece ancora più insistente, Remus serrò gli occhi, sibilò tra i denti, contò lentamente i respiri e schiuse le ciglia solo per iniziare a fissare i nodi del legno sul soffitto spiovente della stanza. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei...

“Remus apri, per favore, sono passate due settimane” Tonks
Lupin respirò più pesantemente, avvertiva il profumo di miele e cannella della ragazza, il suo fiuto reso sensibile dalla luna piena in arrivo. Per un istante si chiese se stesse sopportando tutto quel dolore senza morire, o annientare il suo corpo, solo grazie alla sua licantropia, che per istinto e rabbia animale lo teneva in vita, come aveva fatto in passato. Remus odiò ancora di più la sua condizione. Detestò ogni fibra di sé stesso. In un rifiuto nauseante e violento.
 “Remus. Aprimi. Lascia che io ti parli”
Rise rauco tra i denti Remus Lupin, quasi ringhiò di quella giovanile insistenza. Nei suoi pensieri Ninfadora Tonks era confusa, poco più di una macchia rosa sfocata nella sua memoria. Tutte quelle ronde fianco a fianco con la ragazza, a mormorare sciocchezze perché il tempo non diventasse simile a melassa, durante quelle notti a girovagare con il pensiero fisso a Sirius, che in preda ai suoi fantasmi lo aspettava tra le pareti grige del quartier generale, sembravano lontane e quasi irreali. Avevano davvero condiviso qualcosa che non fosse polvere e silenzio?
 Sì. Aveva riso un tempo con Tonks, Remus Lupin, aveva lasciato che quella ragazza parlasse di tutto per entrambi, con il suo tono entusiasta e gli occhi brillanti. Si era fatto contagiare da quel buon umore discontinuo e irruente che la giovane Auror spargeva tutto intorno. Eppure ora, nonostante avvertisse il suo odore attraverso la porta chiusa, nonostante sapesse che la ragazza era reale e che lo chiamava a gran voce, Remus Lupin non sentì nessun istinto di affetto, comprensione e amicizia a spingerlo ad avere pietà di quella cieca insistenza e andare ad aprire. 
Sirius era morto. A Remus non poteva importare di meno di Ninfadora Tonks. 
 “Sei testardo come uno Schiopiodo, Remus” sibilò la voce giovane attraverso il legno della porta, grondante di rassegnazione e rabbia mischiate insieme “Sirius era anche mio cugino, sai? Era un membro dell'Ordine, era un Black, era il padrino di Harry. Stiamo soffrendo tutti. Lo so che per te era importante, Rem. Non ne abbiamo mai parlato, ma tutti sapevamo. Stare chiuso lì dentro ad affamarti e distruggerti non ti aiuterà. L'ho visto morire anche io. È anche colpa mia. Non mi sono mai sentita così stupida e impotente come in quel momento, sai? Odio mia zia per quello che ha fatto, credimi. Mi vendicherò un giorno, posso giurarlo. Però ti prego, lascia che ora io possa aiutare almeno te. Ti prego, Remus. Aiutiamoci a vicenda”
Ma il mannaro serrò gli occhi fino a quasi cadere dentro sé stesso, arrestò il respiro e finse di non esistere e riuscì a rimanere talmente a lungo immobile in quella posizione, rannicchiata e disperata, che dovette addormentarsi senza nemmeno essersene reso conto e quando riaprì gli occhi, in quello che gli parve solo un battito di ciglia, la notte era calata improvvisa nel piccolo appartamento. 
 Remus sbatté le palpebre pesanti di lacrime e stanchezza e si mise sull'attenti in un secondo, la pelle d'oca che invadeva la schiena a presagire il peggio, mentre i suoi sensi intorpiditi dal dolore, ma resi acuti dal lupo che aveva in sé riuscivano a percepire la presenza di qualcuno nella casa. L'odore di polvere, spezie e vecchi libri. 
 “Chi è là?” chiese rauco, mettendosi in piedi con qualche difficoltà e inciampando nella coperta caduta a terra, mentre arrancava in cerca della bacchetta, senza ricordare dove l'avesse fatta cadere.
 “Ti rendi un facile bersaglio, Lupin.”
 Severus Piton sedeva rigido su una sedia, la bacchetta del mannaro tra le dita e gli occhi onice freddi e distanti.
 “Severus” gracchiò Remus sorpreso, osservando le vesti dell'altro mago, impolverate e usurate, doveva essere arrivato direttamente da qualche ronda, o missione e sembrava molto stanco “Cosa ci fai qui?”
“La ragazzina è venuta da me singhiozzando, rischiando tra l'altro di espormi in molteplici modi e sostenendo che avevi bisogno di aiuto.” disse Severus con tono vellutato e vagamente annoiato “Ho provato a dirle che in quanto petulante Grifondoro se avessi avuto davvero bisogno di aiuto avresti chiamato, che eri grande e in grado di prendere le tue scelte, ma era isterica, il che è un peccato, perché avevo avuto l'impressione errata che fosse quasi in gamba”
 “Ragazzina?” gracchiò di nuovo Lupin, sorpreso. 
“Ninfadora.” disse secco l'altro.
 “Oh” esalò Remus. 
 Cadde uno strano silenzio imbarazzato. Il mannaro ciondolò sulle gambe lunghe e magre, mentre Severus lo osservava attento, ma privo di vivacità, come se stesse analizzando una radice, senza dire nulla. Sentivano probabilmente entrambi il peso della solitudine dell'altro, ancora una volta messi sullo stesso piano da una vita ingiusta. E se il volto di Piton era fermo nella suo composto e rispettoso distacco, quello dell'altro era accartocciato di sentimenti e paure mischiati insieme. Tacquero a lungo, ma fu Remus a capitolare per primo, quando quella situazione di stallo sembrò diventare insostenibile e il buio e il silenzio parvero premere sulle loro spalle. Fece un leggero sospiro, allungò la mano per sfilare la sua bacchetta da quelle di Severus e accese pigramente la luce.
 L'appartamento apparve ancora più chiaramente squallido e vuoto agli occhi di entrambi.
 “Vuoi un the?” chiese Remus all'altro uomo, con tono arreso.
 “Sei in grado di preparalo, Lupin? Sembravi un relitto fino a poco fa”
“Sto bene”
 “Non sembra” sibilò Severus.
 “Sto bene.” ripeté di nuovo il mannaro, stropicciandosi gli occhi “Come hai fatto a entrare?” 
 “Sembravano tutti molto preoccupati di ferirti in qualche modo, volevano lasciarti il tuo spazio, ma si angustiavano allo stesso tempo di non sapere se tu fossi vivo. Un comportamento stupido se ci pensi, se tu fossi stato qui dentro agonizzante, nel tentativo di rispettare il tuo dolore, ti avrebbero lasciato morire solo” disse Piton con tono secco e Remus fece uno sbuffo dal naso che poteva assomigliare a una risata, mentre metteva il bollitore sul fuoco. 
 “Immagino tu non avessi nessun rispetto da darmi e hai aperto la porta senza porti domande, Severus”
 “Non credo sia una questione di solo rispetto, Lupin. Onestamente non avrei sopportato i piagnistei di quella ragazza un giorno di più. Ora posso dire che sei vivo, che non è affar mio e che lei può smettere di crogiolarsi nel suo affanno”
“Tonks si è affannata così tanto per me?” chiese perplesso Remus, ricordando le confuse parole della ragazza alla sua porta quelle che sembrano poche ore prima e forse invece erano già giornate.
 “Se trovi la cosa un comportamento disdicevole e infantile hai finalmente il mio appoggio, Lupin” 
 Remus non rispose e Piton tacque. Il sibilo sottile del bollitore riempì il silenzio e impedì le domande che entrambi forse avrebbero voluto fare. Perché lo sapeva, Remus Lupin, che dietro il nero sarcasmo dell'altro c'era un po' di comprensione, che Severus Piton aveva rotto la sua solitudine per venirlo a strappare dal dolore che entrambi conoscevano perfettamente e che più gli anni passavano, più li rendeva simili.
 “Severus...” iniziò rauco il mannaro, poggiando le tazze sul tavolo della cucina.
 “Non cercare conforto in me, Lupin.”
 “Ma non so con chi parlare”
 “Con nessuno” disse secco l'altro “Quelli come noi non possono fidarsi di altri che di sé stessi. Black era l'unico che poteva capirti. È morto, Lupin e non tornerà, a te aspetta tutto il lato orribile del sopravvivere, un destino gramo.”
Remus inghiottì un groppo di saliva e si obbligò a respirare profondamente, sapendo quanto le parole dell'altro, per quanto prive di empatia e conforto, fossero la verità. Sirius era morto. Non sarebbe tornato. Improvvisamente la verità così semplice e amara gli crollò addosso e gli bloccò il respiro. Gli parve di poter vedere il volto di Black, il suo sorriso storto, da lupo, la sua gioventù bruciata in quei lineamenti sconvolti dal dolore.
 “Non sono nemmeno riuscito a dare lui la pozione della pace che mi avevi dato” si obbligò infine a dire a Piton e gli parve un dettaglio così stupido quello della pozione, quel piccolo balsamo che avrebbe dovuto dare sollievo a Sirius e che era rimasto inutilizzato da qualche parte a Grimmauld Place, che avvertì le lacrime sulle ciglia. Black era morto comunque con il sorriso, pensando di fare la cosa giusta, ma a Remus non rimaneva ora che polvere e silenzio.

Piton non disse nulla per molti minuti. Lo fissava da lontano, con sguardo corrucciato e volto contratto. Remus provò a leggerne l'espressione, nel tentativo di capire cosa stesse pensando, ma non ci riuscì. Era come se lui e Severus Piton fossero stati messi su una stessa zattera a galleggiare e fossero entrambi in grado di salvare l'altro, ma si ostinassero invece a provare a salvare tutto il resto del mondo, osservando in silenzio il reciproco dolore. Era un destino ingiusto.
 “Non passerà, Lupin” disse infine l'uomo e il mannaro trasalì. 
 “Che cosa?” chiese.
 “Il dolore.” ribatté secco Piton “Non passerà. Ti chiedevi se ha un confine, non ce l'ha. Crederai di essere forte abbastanza, di essere rinato, poi il tuo sguardo cadrà su un'ampolla di bevanda della pace e crollerai. Il dolore non ha confini, Lupin. Muta, si trasforma, ma non diminuisce. Rimane. Black è morto e tu soffrirai”
 Remus respirò a fondo, a volte dimenticava quanto per Severus fosse semplice leggerlo, grazie alle sue capacità di Legilimens. Per lui era semplice riconoscere la sua presenza, con il suo inconfondibile odore di polvere, spezie e vecchi libri, per l'altro era semplice capire ogni suo pensiero e incrinatura, come un libro aperto.
“Cosa devo fare?” chiese Remus.
 “Cerchi davvero consiglio da me Lupin?” lo schernì l'altro amaro “Penso ancora a Lily e alle mie colpe dopo anni, non credo di essere la persona più adatta a farti superare un lutto.”
 “Mi basta sopravvivere” ammise Remus a capo chino e li sentì quegli occhi d'onice che lo fissavano con strana attenzione, studiandolo in ogni sua piega, rimpianto e cicatrice. 
 “Allora affronta la vita come hai fatto appena Black ha passato il velo” rispose Severus e il mannaro aggrottò la fronte e scosse il capo, chiaramente confuso.
 “Cosa intendi?”
Severus piegò appena le labbra. Poteva essere una smorfia di disgusto o l'ombra di un sorriso, aleggiò sul volto pallido per un istante, creando una breve bolla di silenzio tra loro.
 “Black ha passato il velo. Tu hai capito che era morto. Che la persona più importante per te era appena svanita. Ti si è spezzato il cuore. Hai ceduto alla disperazione e cosa hai fatto?” chiese apatico Piton, strascicando le parole come se gli costasse un terribile sforzo parlare con lui. 
 Remus arrancò nella confusione della sua memoria, le mani serrate sulla tazza rovente che iniziarono a formicolare. Gli parve di rivedere la grande stanza ad anfiteatro. L'arco e il velo. Il sorriso da lupo di Black a tagliarli in due il volto amato, gli occhi grigi pieni di famelica voglia di vivere. E poi Harry. Harry Potter.
 “Ho fermato Harry” disse lentamente Remus ad alta voce e si rese conto di quanto assurdo fosse quel fatto, il suo lucido istinto, che al posto che farlo gridare fino a lacerarsi i polmoni e lasciarsi investire dal dolore, lo aveva invece spinto verso Harry, fermandolo appena in tempo, stringendo quel ragazzo che aveva in sé sia Lily che James contro di sé, assorbendo anche il suo dolore. Severus chinò appena il capo in un cenno pigro di assenso.
 “Hai fatto la cosa giusta” disse secco “Hai inghiottito il dolore. Ti sei ridotto a un'ombra e per istinto hai fatto la cosa giusta, Lupin. Non so se c'è spazio per la felicità per quelli come noi. Possiamo però fare la cosa giusta”
“Per quelli come noi?” 
“Quelli nati sotto una cattiva stella”

* * *

Severus Piton non aveva mai amato particolarmente la sua esistenza, ma rifuggiva alla morte. 
 I corpi riversi e senza vita lo terrorizzavano, gli occhi vuoti dei cadaveri lo facevano sentire esposto. Era un uomo logico Severus, abituato a non avere speranza, nutrito dal pragmatismo cieco e netto. Morire per lui significava cessare di esistere. La vita era un barattolo in cui qualche dio malvagio ti permetteva di giocare per poi farti uscire in modo che tu smettessi di esistere. Non c'era un luogo dove andare, non c'era speranza. 
 Albus Silente era di altro avviso. Nelle pigre sere estive, prima dell'annuale ritorno di Severus a Spinner's End, avevano spesso parlarono nel silenzio notturno, con passeggiate lente e prive di direzione. Era Albus in realtà a parlare e Severus ad ascoltare con sufficiente distacco e disinteresse, ma le ipotesi del preside sulla morte avevano sempre avuto il potere di affascinarlo. Credeva in un aldilà simile a un pensatoio, Albus Silente, dove la vita poteva essere rivista e cambiata, dove i momenti migliori potevano essere eterni, dove si potevano creare falsi ricordi ed estirpare il dolore. Un finale giusto, dove ognuno poteva avere ciò che meritava e non era necessario rinunciare a nulla.
 “Non è comunque un buon motivo per cercare di uccidersi” disse secco Piton, osservando la mano dell'altro uomo, bruciacchiata su tre dita, fragile. Mosse lentamente la sua bacchetta su e giù dal polso alla punta delle dita, ispezionando con cura l'esame diagnostico e ripetendo gli incantesimi di contenimento. Scelse poi un unguento e lo applicò in silenzio sulle nocche dell'anziano, la fronte aggrottata mentre provava a pensare ad altri modi per rallentare la maledizione.
Albus Silente taceva, lo sguardo azzurro tranquillo e l'aria pensosa e assorta.
 “Non si muore quasi mai per scelta Severus, ma per accettazione” disse infine e l'altro annuì distratto.
 “Come credi” mormorò Piton “Dovrò venire a rifare il tutto prima dell'inizio dell'anno” aggiunse poi, con cenno pigro alla mano annerita, la smorfia carica di disappunto.
“Ti ringrazio.” rispose il preside con un sorriso, osservandolo da sopra gli occhialini a mezzaluna. 
 “Sono serio Albus. Devi tenere sotto controllo questa ferita, non strafare.”
 “Sono vecchio Severus” esalò il preside con vaga stanchezza “E molto fortunato ad averti al mio fianco”
 “Non puoi permetterti di invecchiare ora” disse secco Piton “Ci sono troppe cose sul piatto”
 “So che posso fidarmi di te, Severus, anche se dovessi morire so che non lascerai nulla di incompiuto”
 “Non hai molto rispetto per la mia anima”
 Silente gli lanciò uno sguardo tranquillo che sapeva di affetto, come un vecchio padre stanco e disilluso, Severus lo avvertì sulla pelle e si sforzò di ignorarlo con tutto sé stesso. Non sapeva mai cosa provare nei confronti di Albus Silente, se gratitudine, o rimpianto. Si era abituato alla presenza dell'anziano nella sua vita, come una guida salda e sincera. Aveva imparato a leggerlo e comprenderlo, a dipanare i suoi ragionamenti, ad accettare le sue azioni sibilline. 
Era contorto Albus Silente, Severus ci aveva messo parecchio a capirlo, a conoscere anche solo una parte di quel mago di incredibile potere che si ostinava a fare la cosa giusta in mezzo a mille fallimenti. Per salvare i più Silente era in grado di sacrificare vite, muovere pedine, rinunciare a sé stesso, ma lo faceva sempre con un dolore consapevole, con un rispetto sincero e profondo, con una compassione struggente. Era forse questo, questo lucido cercare di fare ostinatamente la scelta giusta, caricandosi sulle spalle le responsabilità delle sue azioni, comprendendo il peso di ogni cicatrice e valorizzandone l'esistenza, che lo aveva reso così diverso da Voldemort. Severus si era accorto di ammirarlo negli anni, ma di provare anche nei confronti di quella pregna saggezza un pacato terrore, perché non c'era modo di sfuggire allo sguardo limpido di Silente e alla sua tranquilla accettazione del corso degli eventi. Anche davanti a cose atroci. Anche davanti a cose che avrebbero sbriciolato in polvere chiunque.
 “Se le cose andranno per il verso giusto, Severus” mormorò il preside, sorridendo lui con quello che sembrava affetto “mi auguro che la tua anima verrà compresa e perdonata.”
 Piton fece un mezzo grugnito nervoso in risposta, bendò con strana delicatezza le dita dell'anziano e si fece sfuggire un sospiro di stanchezza, mentre si alzava per avviarsi verso l'uscita.
 “Vai da Remus?” chiese Silente, con fare leggero.
 Il giovane si irrigidì appena a quella domanda. Non amava che nell'Ordine si desse per scontato che lui e Lupin fossero amici, specie quando era Silente a farlo, ma era innegabile che il mannaro fosse tornato alla vita solo dopo il suo intervento, che dopo settimane dove nemmeno l'ostinazione di Ninfadora Tonks aveva avuto successo, Lupin aveva smesso di annullarsi solo per le sue parole e che, agli occhi di terzi, questo doveva sicuramente avere valore. 
Severus si trattenne dall'irrigidire le spalle e annuì seccamente in direzione del vecchio mago. 
“Sì” rispose a voce bassa “Lupin mi aspetta per la ronda di stasera.”
“Bene, bene” mormorò Silente e per quanto lo sguardo chiaro si fosse subito spostato verso la finestra, con aria casuale e distratta, Piton ebbe l'impressione che stesse sorridendo tra sé e sé. 
Uscì dall'ufficio del preside imboccando i corridoi deserti. C'era sempre qualcosa di pacifico e poetico nelle notti ad Hogwarts, specie d'estate, quando l'assenza degli alunni era lampante tra quelle vecchie pareti. A passo svelto l'uomo ridiscese fino all'ingresso. Aveva imparato a non soffermarsi più ad ogni angolo della scuola, in cerca di fantasmi passati. Aveva imparato a essere freddo e controllato, focalizzato sempre su qualcosa di più importante, che lo spingeva ad andare costantemente in avanti. Lily Evans, i Malandrini, tutto quel passato ingombrante che gli pesava sulla schiena e che inevitabilmente ancora oggi gravava sulle sue scelte, a volte sembrava irreale e confuso, come se quel Severus fragile e spezzato, così ardentemente ansioso di trovare il suo posto nel mondo, pronto ad ascoltare le storie di Eileen Prince, le ginocchia nodose e gli occhi colmi di feroce intelligenza, non fosse in realtà mai esistito. 

Trovò Lupin appoggiato a uno delle colonne del cortile, lo sguardo rivolto verso la falce della luna nuova. Gli dava le spalle e sembrava non essersi accorto della sua presenza, ma Severus sapeva che i suoi sensi da licantropo dovevano averlo già avvertito, come quella volta al cimitero, presso la tomba di Lily Evans, ormai parecchi anni prima.
 “Severus” lo salutò il mannaro, azzardando un sorriso sincero.  
 “Lupin”
 “C'è una stellata stupenda”
 Piton alzò appena un sopracciglio in risposta e si incamminò per primo lungo il sentiero, avvertendo dopo un istante le falcate lunghe dell'altro uomo seguirlo. Non parlarono per parecchi minuti, mentre con gesti ormai coordinati controllavano il perimetro, ripristinando qua e là gli incantesimi protettivi lungo il confine del parco. Non avevano più parlato dello stato in cui Severus aveva trovato Lupin ormai settimane prima, con quell'angoscia negli occhi scuri e la voglia di morire attaccata alla pelle. Non avevano più parlato di Black e della sua assenza che persino Piton riusciva a percepire. Si era così abituato a vedere Remus dividere la sua aria con l'altro uomo, con quei gesti che sapevano di affetto e abitudine, che ora osservarlo camminare solo, le spalle basse e il corpo dinoccolato, pareva quasi sbagliato.
 “Avete ripreso le ronde nelle città?” chiese Piton, quando erano ormai quasi tornati al punto di partenza e Remus alzò il capo di scatto, sfoggiando un'aria confusa, come se fosse stupito che l'altro mago avesse rotto per primo il silenzio. 
 “Sì” rispose infine con la sua solita inflessione calma e gentile “Io e Tonks controlliamo Diagon Alley domani”
“Bene” esalò Piton, arricciando appena le labbra per mimare un'espressione di sprezzo. Solo un gesto istintivo per far credere all'altro che non fosse una vera conversazione sul nulla la loro. Che non erano davvero amici.  “Tonks dice di amarmi. Forse avevi ragione tu, Severus è testarda e infantile”
 L'affermazione del mannaro cadde tra loro e Piton si ritrovò a fermare la sua camminata, voltandosi verso l'altro con aria contratta e ferita. Sentì una rabbia violenta ardere per un istante nel petto, senza una vera motivazione, facendogli tremare appena le mani. Remus lo guardava cauto e sembrava addirittura più nervoso di lui, lo sguardo basso e la mandibola tesa e Severus capì che era a disagio nel fare quell'ammissione, con le occhiaie marcate sotto gli occhi color cioccolato, date probabilmente dalle notti rese ancora insonni dal pensiero di Black e il respiro spezzato. 
 “Perché lo dici a me, Lupin. Non vorrai di nuovo dei consigli per le tue pene” sputò infine, sbattendo una volta le ciglia per tornare prontamente lucido e capì all'improvviso da cosa era causata quella repulsione e il suo tremore: ancora una volta lui e Remus si ritrovavano ad essere simili, soli e abbandonati, ma al mannaro era offerta una redenzione e lui, per un affetto che si rifiutava di ammettere di provare, era costretto ad accettarlo in silenzio, lasciarlo andare.
 “Non so con chi parlarne” ammise Remus, le guance stranamente rosate sotto le cicatrici chiare “Lei è così testarda e sicura di sé, sembra aver già pensato ad ogni cosa, mentre io non so cosa fare con me stesso”
 Lupin sembrò incurvarsi ancor più su sé stesso, spezzato e Piton riconobbe nella sua espressione contratta qualcosa che gli ricordò il ragazzo lungo e mite che un tempo aveva passeggiato per Hogwarts accanto a Sirius Black e i Malandrini, con quell'aria stupita di chi si chiede come possa meritare tanta fortuna, la stessa che Severus sapeva di aver avuto stampata sul viso pallido ogni volta che si era trovato accanto a Lily. 
 “So che amavi Black” disse infine secco, scostando lo sguardo scuro verso le cime della foresta proibita.
 Remus inarcò le sopracciglia, sorpreso dalla frase dell'altro e Severus poté scorgerne lo stupore e quasi scoppiò a ridere rauco e sincero di fronte a quell'espressione incredula e contratta. E avrebbe voluto dire al mannaro che mentre lui non sapeva come affrontare l'amore e si affannava nel chiedersi se fosse adatto a quella ragazzina, lui, Severus Piton, avrebbe dovuto sopportare la morte. Che Albus Silente era destinato a spegnersi lentamente e che lui temeva ormai da giorni il suo coinvolgimento. Che non poteva fidarsi di nessuno, eterno spezzato tra Ordine e Mangiamorte, senza posto nel mondo e che le notti erano gelide e lunghe e piene di fantasmi. 
 “Lo amavo” rispose però Lupin, stranamente sincero, strappandolo dai suoi pensieri sempre più neri e angoscianti “Lo amo ancora così tanto che a volte dimentico di respirare”
 “E non sai cosa fare con la ragazzina e il suo entusiasmo” disse per lui Severus, sprezzante. 
 Remus fece un sorriso stanco e tirato, da lupo, tanto che nella luce tenue per un momento ricordò lui Sirius Black.
 “Tonks dice che ci sarà la guerra e non vuole morire sola.” mormorò Lupin, abbassando ancora di più il capo e incassando le spalle “Dice che io sono gentile, che ho sofferto abbastanza, che possiamo aiutarci a vicenda. Dice che l'amore vero esiste una sola volta nella vita, l'ha visto con i suoi genitori, che le hanno insegnato ogni cosa. Il suo amore lei l'ha dato a Charlie Weasley, ma lui l'ha rifiutata con tenerezza, incapace di sapere cosa volesse. Io il mio invece l'ho dato a Sirius Black e lei lo sa bene. Dora dice che non ci resta che combattere la solitudine insieme”
 “Pensi che abbia ragione?” quasi abbaiò Severus, travolto da una strana ostilità “Pensi che tutto si risolva con una bugia? Che basti un po' di compagnia per lenire le ferite?”
 Era volutamente amaro e stanco. Lo aspettavano poche ore di sonno. Un incontro con Mulciber. Una notte chino sulle pozioni. La solitudine di Spinner's End come rifugio e condanna. Lui non aveva mai trovato qualcuno che sostituisse quel che avevano costruito lui e Lily e il loro non era stato nemmeno amore, ma quell'amicizia complicata e ingombrante, simbiotica, senza possibilità di rottura. Certo, c'erano state le moine degli altri Serpeverde, Regulus Black e il suo silenzioso orgoglio, il fare paterno e consolante di Albus Silente e poi lui Remus Lupin, con la sua paziente ostinazione, quel modo di fare quieto e gentile, che sapeva di rispetto e comprensione, ma nessuno si era avvicinato a Lily, nemmeno Remus Lupin e la sua quasi amicizia. 
Non c'era quella condivisione morbida tra loro, quell'adorazione sincera, quel bisogno di sentirsi un tutt'uno che aveva caratterizzato il suo rapporto con Lily Evans. Severus ne era consapevole e l'aveva da tempo accettato. Era destinato alla solitudine. Eppure, seppur ne fosse privato, crescendo qualcosa sull'amore lo aveva capito e se avesse dovuto tratteggiarlo con poche linee su un foglio, allora l'avrebbe descritto con il modo in cui Sirius Black e Remus Lupin si protendevano l'uno verso l'altro, senza che potessero farne a meno e in quel quadro Ninfandora Tonks, con la sua irruenta gioventù, il suo testardo coraggio e dirompente ottimismo era una nota stonata persino per lui.
 “Non lo so cosa penso, Severus” esalò Lupin “Sei tu di solito a fare la cosa giusta, non io”
 “Davvero divertente, Lupin.” ribatté subito aspro l'altro mago, in un tremore incontrollabile, il volto livido di rabbia trattenuta, le labbra serrate su ricordi sbiaditi “Io sono il ragazzo che ha fatto tutte le scelte sbagliate”
“Sei molto di più.” mormorò Remus, ma Severus non rispose e camminarono in silenzio fino a tornare all'ingresso. 
 Il cielo era pieno di stelle e la luna insensibile e distante sopra di loro. Lupin si infilò le mani nelle tasche e prese un sospiro tra i denti, osservando circospetto l'altro uomo. Severus camminava con passo spedito, il mantello nero, onnipresente come il pastrano del mannaro, nonostante fossero in estate, che veleggiava sulle sue spalle magre.
 “Nessun consiglio per me quindi?” tentò di nuovo il mannaro quando Severus fu sul punto di rientrare al castello senza nemmeno salutare e Piton rallentò fino a fermarsi, si afferrò la radice del naso con la punta delle dita, cercando un controllo che scivolava via ad ogni respiro.
 “Nessun consiglio per te, Lupin” confermò infine, voltandosi di scatto, la mente piena di preoccupazioni affannate e immagini distorte, dal volto solare di Ninfadora Tonks, la mano nera di Albus Silente, le lentiggini di Lily Evans, gli occhi grigi e malinconici di Sirius Black.
 “Severus” lo chiamò lentamente il mago e Piton tentennò sul posto.
 E forse fu quello strano tono di preghiera a farlo voltare, forse fu la consapevolezza di essere di nuovo a un bivio, che molte cose sarebbero accadute nei mesi a venire e la sua amicizia con Lupin era fragile come un granello di polvere e poteva sparire dal mondo, nel tempo breve di un respiro. Si voltò ad osservare l'altro mago, avendo cura di contrarre il volto in un'espressione di misurato sprezzo. 
 “Che cosa vuoi, Lupin?”
 “Pensi che sopravviveremo alla fine di tutto?”
 Severus rimase per un istante interdetto, masticando quella domanda nella sua coscienza. Osservò il volto stanco dell'altro uomo, come una ragnatela di cicatrici chiare. Erano ancora entrambi degli spezzati, in bilico su una vita che sembrava non appartenere più a nessuno dei due. Erano i rimasugli sbagliati di un passato formato da persone che non avevano avuto futuro, ma solo sofferenze. E aveva abbastanza fiducia in Albus Silente, Severus Piton, per sapere che la fine prima o poi sarebbe arrivata, che il cielo sarebbe stato illuminato da una nuova alba, che c'era un futuro da qualche parte. Eppure lui si sentiva così distante da quella possibilità, come un elemento estraneo in quella storia. Non vedeva pace per sé stesso, non vedeva un posto al mondo dove avrebbe potuto ricucire le sue ferite e ritrovare il suo equilibrio. Osservò il mannaro di fronte a lui, così simile a sé stesso, così piegato dalle stesse ombre e paure. Anche Remus Lupin era un elemento estraneo, che si sarebbe sbriciolato una volta finita la speranza. 
“No, Lupin. Non penso che ci sia un futuro per quelli come noi.”
“Noi nati sotto una stella sbagliata”
“Esatto.”


* * *

Tonks sembrava essersi spenta all'improvviso, come consumata dal suo rifiuto, aveva trovato un modo di sfuggire alle ronde insieme, lo evitava, mandando invece Kingsley al suo posto, sviando ai suoi tentativi di chiarire, ostinata e chiusa. E Remus aveva ceduto, lasciandola al suo silenzio. Non poteva permettersi il lusso di avere qualcuno accanto nella sua esistenza già complicata, non voleva rovinare altre vite. Se Tonks voleva reagire con rabbia ostinata era suo diritto e lui non l'avrebbe certo fermata. La compagnia di Kingsley per altro, così calmo e silenzioso, non gli dispiaceva. Badavano ognuno a scambiarsi solo poche parole, mai di circostanza, sempre accuratamente selezionate. Erano pratici e veloci nello svolgere i loro compiti e piuttosto efficaci, ma nonostante fingesse che tutto andasse bene, che le cose si sarebbero sistemate, che Dora avrebbe capito, Remus viveva nel senso di colpa. 
Perché l'aveva intravista Tonks, arrabbiata e grigia, così diversa dall'ottimismo che di solito amava spandere intorno a sé, lo aveva capito che si sentiva spezzata per il suo No a dividere la loro solitudine insieme. È che Remus ancora sperava in qualcosa di roseo e bello per lei, mentre forse quella giovane donna aveva imparato a gioire giorno per giorno e deposto ogni ambizione. Era così diversa da Sirius, Tonks, nonostante entrambi fossero animati da quella contagiosa strafottenza gentile, quel modo di aggredire il mondo con un sorriso bieco e gli occhi brillanti.
 Remus sospirò di stanchezza e Kingsley accanto a lui si accigliò appena. 
 “Dovresti riposare Lupin”
 “Sì, lo so” sorrise mesto il mannaro “Tutti dovremmo farlo.”
Raggiunsero il punto della smaterializzazione, Kingsley tese una mano in saluto e Remus rispose alla stretta.
“Sai che se hai bisogno di parlare con qualcuno hai amici ad ogni lato, Lupin, lo sai, vero?”
 “Sì, grazie Kingsley” sorrise lui.
 “Allora a domani” disse l'uomo, con la sua voce profonda.
“A domani” rispose quieto il mannaro, ma dopo il crack della smaterializzazione dell'altro rimase immobile a osservarsi i piedi, incapace di prendere una decisione su dove andare.
 Non aveva voglia di tornare nel suo appartamento a languire, non aveva nemmeno voglia di andare all'Ordine e nelle stanze vuote che sapevano così tanto di Sirius e ricordi agrodolci. Non aveva voglia di vedere Hogwarts con le sue ombre e fantasmi ed era consapevole che per lui non sarebbe stato sicuro bighellonare a Diagon Alley e che doveva tenersi lontano dai bar tristi e il Whiskey quando dilagava nello sconforto. 
 Improvvisamente pensò a Severus, Remus Lupin. Non lo vedeva da giorni interi, perché l'uomo era troppo risucchiato nel suo ruolo di spia. L'aveva trovato più stanco, tagliente e disilluso, ogni volta che per caso lo aveva incrociato, eppure allo stesso tempo era parso anche più ostinato e focalizzato su obbiettivi che Remus non poteva immaginare. 
 Aveva rinunciato a capire cosa animasse quell'uomo da tempo, Remus Lupin, eppure gli mancava Severus. Le loro passeggiate tranquille e così prive di spiegazioni e parole. Solo la loro presenza mite, l'accettazione del dolore e la consapevolezza dei pesi sulle loro spalle. Era qualcosa di tranquillizzante, di tiepido, a pensarci.
Remus si smaterializzò quasi sovra pensiero e si stupì appena nel rendersi conto di trovarsi all'ingresso del cimitero di Godric's Hollow. Lasciò che i suoi piedi lo portassero alla tomba dei suoi amici e si sentì quasi confortato nel vedere il viso sorridente di Lily e quello luminoso di James, che passava dal guardare Remus dalla sua cornice a osservare la moglie con aria innamorata. Se loro fossero stati lì avrebbero avuto consigli adeguati per lui, Remus lo sapeva. 
Gli avrebbero detto come doveva comportarsi con Dora, lo avrebbero aiutato nella sua sofferenza dilaniante per la mancanza di Sirius, forse l'avrebbero persino ascoltato su Severus, su quell'amicizia che negli anni si erano costretti a costruire. A Remus sembrò quasi di sentire la voce squillante dell'amica dire “Severus è speciale, Remus. Credimi”, riusciva quasi a immaginarla, con lo sguardo ostinato e brillante di chi è guidato dal senso di giustizia, il sorriso reso morbido dall'affetto, le sue mani protese verso di lui, pronte a sostenerlo con un calore che non aveva mai rivisto in nessun altro.

“Lupin”
Il mannaro si girò di scatto, stupendosi di ritrovarsi di fronte a Piton stesso. Non lo aveva sentito arrivare e nemmeno percepito, troppo perso dai suoi pensieri, ma l'odore penetrante di vecchi libri e spezie ora lo investì irruento. Era dimagrito Severus Piton, sembrava quasi pallido e consumato, ma risiedeva un certo orgoglio nel suo sguardo scuro e attento, un ostinato controllo che faceva tenere lui la schiena ritta e il volto contratto.
 “Severus. Una sorpresa”
 “Non mi hai percepito” disse l'altro con tono perplesso, studiandolo attentamente e Remus sorrise.
 “Stiamo invecchiando entrambi, Severus” mormorò.
 Il Serpeverde fece un gesto sfuggente con il mento e si diresse a passo incerto verso la tomba degli amici. Sembrava ignorare con tutto sé stesso la foto di James, goffo come era stato da ragazzino, gli occhi onice fissi su Lily. Remus lo osservò poggiare il mazzo di fiori di campo sul marmo freddo e poi prendersi un momento di riflessione. Il mannaro lo lasciò fare, ma non indietreggiò fino a quando l'altro mago non si voltò verso di lui. 
 “Sei ancora qui, Lupin”
 “Niente di meglio da fare”
 “Devi avere una vita noiosa” 
 “In effetti sì”
Si incamminarono insieme lungo i sentieri del cimitero con aria vagamente distratta, entrambi stanchi e consumati.
 “Come mai i fiori di campo?” chiese all'improvviso Lupin, in cerca di qualunque cosa che spezzasse il silenzio e rimase turbato quando Piton rispose con tono mesto, senza irrigidirsi, senza cercare di difendersi. 
 “A Lily piacevano i fiori di campo”
“Capisco” mormorò Remus, osservandolo con più attenzione.  
Gli occhi di Piton erano spenti, le occhiaie marcate, il respiro tremulo, sembrava stravolto, come se avesse pianto a lungo ed era chiaramente fragile, sul punto di cedere, nonostante sfoggiasse un'aria dura e affilata. Ma lo conosceva bene Severus Piton, Remus Lupin e anche se non sapeva leggerlo, aveva imparato a scovarne le ferite fresche. 
 “Stai bene Severus?” chiese.
 “Certo, Lupin”
 “Non sembra”
Si fermarono entrambi, consci che le parti tra loro sembravano essersi invertite. Remus osservò Severus tentennare, ma gli lasciò il suo spazio e non forzò la mano per sapere nulla di più. 
 “Ho visto il nuovo Patronus di Tonks” disse infine Piton e il mannaro fece un rantolio spezzato.
 “Molly me l'ha detto” biascicò infine e sul volto stropicciato dell'altro mago si aprì un mezzo ghigno che sembrava quasi divertito, fragile e sarcastico allo stesso tempo. 
 “Cosa gli hai fatto a quella ragazza, Lupin?”
 “Provo a salvarla, Severus”
Severus tirò su col naso in segno di vago sdegno, il mannaro si sforzò di arricciare le labbra in una smorfia appena più morbida e divertita e in qualche modo si ritrovarono entrambi ad annuire. Si ricordava di quando si erano incontrati in quello stesso punto anni prima, Remus Lupin. Di come Severus fosse ferito e pieno di rancore, di come le lacrime al tempo sembrassero sciolte nella ruggine e nel sangue. C'era una sorta di rassegnazione invece ora tra loro, che sapeva forse di salsedine e pioggia leggera, come qualcosa che ha l'odore della malinconia e sta già per finire. 
 “L'ultima volta che siamo stati in questo stesso punto, Severus, ti offrii da bere come due vecchi amici e rifiutasti”
 “Non eravamo amici, Lupin” ribatté rauco l'altro.
 “E ora?”
 “Non lo siamo nemmeno adesso”
 “Ma ti va di bere un bicchiere?”
 “è rischioso farci vedere insieme in giro, Lupin.”
 “A casa tua allora?”
 Severus sembrò tentennare, Remus video il dubbio brillare sul volto pallido, ma infine chinò il mento in un cenno vago di assenso e qualcosa di simile al terrore scosse il mannaro nel profondo. Perché dovevano essere in bilico su un baratro di rovi e disperazione se Piton accettava in quel modo la sua amicizia, se accettava di condividere qualcosa con lui, ma non disse nulla, chinò il capo a sua volta, distrattamente, annuendo appena.

Si smaterializzarono in un battito di ciglia a Spinner's End e quando furono entrati nella casa piena di libri, spezie e silenzio di Piton a Remus mancò quasi il respiro. Era la prima volta che vedeva l'interno del posto dove l'altro viveva, l'ultima volta che era stato sulla soglia di quella casa, l'indirizzo scritto da Silente su una pergamena nella sua tasca sinistra, Severus non lo aveva fatto entrare, avevano scambiato poche battute e poi lui era tornato da Sirius, che lo aspettava nel loro appartamento Babbano, con quegli occhi grigi così bisognosi di amore ed equilibrio. 
 Severus prese una bottiglia di vino e lo servì a entrambi, Remus cercò di frenare la curiosità, lanciando solo un veloce sguardo intorno. Sedette sul divano liso, in una posizione tesa, le lunghe gambe piegate in modo che le ginocchia risultavano troppo alte per essere davvero comodo. Sorseggiarono lentamente la bevanda, senza parlare, il crepitio del fuoco che Piton aveva avuto la cura di accendere che riempiva il silenzio. 
 “Cosa succede, Severus?” si azzardò infine Remus, incapace di attendere oltre
 “Non lo so, Lupin. Non lo so” rispose vago l'altro e il fatto che Severus Piton non fosse in controllo di qualcosa mise ancora più terrore al mannaro, che lo osservò in silenzio lo vide disarmato, arreso.
 “Prova a spiegarlo” si sforzò di chiedere mite, osservando i lineamenti del mago che sedeva di fronte a lui. 
Piton esalò un sospiro e si passò una mano sul volto, con fare così fragile che faceva paura, sembrava sconvolto, tanto che se gli avesse detto di aver incontrato il fantasma di Lily Evans camminare per strada, Remus ci avrebbe creduto. L'equilibrio tra loro si tese fino a diventare vibrante, i loro respiri sembravano essere l'unico rumore.
 “Silente non sta bene” mormorò infine Severus e quasi Remus provò sollievo a quell'affermazione, perché era una cosa che già intuiva e che silenziosamente considerava meno peggio di tante cose che potevano accadere. 
 “Lo so, l'ho visto” disse mite, con tatto. 
 “E ci sono cose che cambiano.” continuò Piton, il volto contratto come se stesse combattendo una difficile guerra interiore, scegliendo accuratamente ogni singola parola “I Malfoy sono esposti, non solo Lucius, ma ora anche Draco e Narcissa, la situazione sta precipitando per tutti, c'è molta tensione”
 “Sei sempre bravo a gestire la tensione, Severus” rispose Lupin, nel tentativo di risultare gentile, mentre cercava di capire qualcosa nella sottile agitazione dell'uomo difronte a lui.
 Piton si tese di nuovo, raddrizzò la schiena cercando di darsi un contegno, raschiando sé stesso in cerca di controllo.
 “Ho dovuto fare un voto infrangibile con Narcissa, le ho promesso che proteggerò Draco” ammise infine e il mannaro dovette sforzarsi di non sgranare gli occhi per lo stupore. Sapeva che l'uomo e Narcissa Malfoy erano legati, ne aveva intuito una forma di rispetto nelle parole che Severus usava per descrivere la donna, sapeva che tra tutti quelli che seguivano la parola di Voldemort, se Piton avesse potuto salvare qualcuno, avrebbe scelto lei senza battere ciglio e di conseguenza quel figlio smilzo e arcigno che aveva visto crescere, Draco Malfoy. Ma un Voto Infrangibile era qualcosa di invasivo e di molto definitivo da accettare, qualcosa a cui nemmeno Remus era preparato.
 “Il ragazzo era in pericolo?” chiese cauto.
 “Siamo tutti in pericolo, Lupin” sibilò il mago, bevendo nervosamente un grosso sorso di vino.
 “Immagino di sì” esalò Remus con stanchezza, senza riuscire a dare un senso a quella conversazione “Silente lo sa?”
 Severus quasi rise tra i denti, improvvisamente di nuovo freddo e amaro, come quell'uomo di vetri e cicatrici, gelido e stoico come l'inverno, che il mannaro si era abituato a riconoscere. 
 “Silente sa sempre tutto”
 “Perché gli sei molto devoto”
 “È così” disse solo Severus. 
 E non parlarono più. Finirono il loro vino muti, scrutandosi appena, lasciando che il silenzio si dilatasse tra loro, mentre fuori dalle finestre la luce calava e le braci del camino si trasformavano lentamente  nell'unica fonte di luce della stanza. Severus tossicchiò all'improvviso e Remus parve destarsi di scatto e stese le gambe intorpidite, godendo ancora per un istante del quieto silenzio tra loro. 
 “Cercherò di evitare Grimmauld Place a Natale” disse infine alzandosi. 
 Non avrebbe potuto tornare lì, a fronteggiare nella sua mente il sorriso stanco e dolce di Sirius, le sue canzoni natalizie stonate e così piene di insensato ottimismo, tutti quei brevi frammenti in cui Black sembrava essere tornato sé stesso, in cui lo abbracciava e amava in silenzio e in cui Lupin aveva sperato in un futuro. 
 “Mi sembra una scelta saggia” rispose secco Piton, ed era di nuovo il freddo uomo di sempre, pieno di spigoli, ma privo di incrinature, almeno dall'esterno. 
 “Tu sarai qui?”
“Sì. Mi tengo a distanza da Hogwarts”
 “Mi sembra una scelta saggia”
 Lupin ciondolò fino all'ingresso, si voltò un'ultima volta a guardare l'altro uomo, ancora immobile sulla sua poltrona, il calice di vino in mano, i libri a fargli da cornice. Si chiese per un istante se avrebbero parlato mai davvero lui e Severus, se sarebbero mai stati in grado di affrontare insieme il loro passato, di analizzare la loro amicizia, tutti quei fardelli che volenti o nolenti condividevano. Si chiese se avesse davvero ragione lui e loro fossero semplicemente nati sotto una cattiva stella, se il loro dolore fosse davvero frutto di un destino ingiusto e crudele. 
“Ti troverò qui se avrò voglia di un bicchiere di vino?”
“Non siamo amici, Lupin”
 “Questo lo dici tu, Severus”

* * *


Non so come fare per aiutarlo”

Severus scrisse quell'appunto su una pergamena sgualcita e lo affrancò alla zampa del vecchio gufo che subito si alzò in volo, diventando preso un piccolo punto nell'azzurro morente del cielo. Era vero. Non sapeva come aiutare Draco Malfoy e scriverlo su una pergamena che sarebbe stata letta e poi bruciata da Remus Lupin non lo aiutava a risolvere il problema, ma in qualche modo lo faceva sentire più in equilibrio. 
 Le stava provando tutte, Severus, per salvare quel ragazzo. Perché riconosceva il freddo orgoglio di Malfoy, il modo caotico e confuso in cui cercava di non fallire, di essere efficace. Riconosceva quella chiusura ostinata, quel rifuggire alle mani tese ad aiutarlo per diventare sempre più solo e arrabbiato. Aveva vissuto sulla sua pelle tutte quelle sensazioni, Severus Piton, ne portava ancora addosso il marchio dopo troppi anni di rancore e stanchezza e avrebbe voluto risparmiare la stessa umiliazione a Draco, ma il ragazzo era sfuggente, troppo simile a un giovane sé stesso, troppo orgoglioso e cieco alle alternative, spaventato a morte fino al midollo, codardo per osare sperare in un futuro migliore.
 Un brivido gli corse lungo la schiena e Severus sentì la febbre salire e il gelo attaccarsi alla sua pelle. Era stremato e conoscendo bene il suo corpo e i limiti di sé stesso, era anche ben consapevole di essere ben oltre il confine. Eppure non trovava soluzione, le ore di sonno erano ormai drasticamente poche, una manciata di minuti nervosi di incoscienza agitata, il pensiero delle cose da fare, ascoltare, studiare, le precauzioni da prendere, era semplicemente costante. 
 Silente non esigeva nulla da lui, come un padre mansueto, se non di essere ascoltato, mentre snocciolava fragili istruzioni, ma era la consapevolezza del male a essere motore delle giornate di Piton, a spingerlo ad accanirsi oltre la sua stanchezza, sulla mano di maledetta del preside in cerca di una risoluzione, nelle riunioni infinite e sempre più fiacche dell'Ordine, nelle retate gelide e terribili tra i Mangiamorte, nelle pianificazioni, nello spionaggio. 
 Ogni volta che cedeva a qualche ora di calma e si costringeva a chiudere gli occhi, galleggiava in realtà nell'Occlumanzia, le labbra serrate nello sforzo di non perdere la sua concentrazione, le mani aggrappate sul nulla. 
E pensava a Lily quando si sentiva troppo esausto, Severus Piton, Lily Evans che avrebbe meritato una vita felice e invece non l'aveva avuta, per colpa del suo tradimento, per colpa di quell'attimo di vanagloria lontano in cui aveva creduto di avere nella vita un riconoscimento. Almeno uno.
 Il Patronus a forma di lupo di Remus interruppe improvvisamente i suoi pensieri e galleggiò davanti a lui. Sembrava tentennare nel buio tenue della sera, esattamente come faceva il mago che lo aveva prodotto, quando azzardava una domanda che sapeva di non dover fare e poi attendeva pacato la risposta, lasciando all'altro il suo spazio.
“Ho ricevuto il messaggio. Vediamoci, Severus. Vengo a Hogsmeade. Dimmi dove” 
 Piton lasciò che la figura argentea svanisse, prima di evocare la sua. La cerva trottò per un istante intorno a lui, aggraziata e leggera, come a ricordare lui dove doveva dirigere tutte le sue poche energie.
“Confine della foresta proibita, Lupin. Adesso”
 Quando la cerva sparì l'uomo rimase un solo secondo immobile, gli occhi chiusi e il respiro lento, nel tentativo di sciogliere i muscoli contratti dalla giornata infinita, di ignorare la febbre crescente. Riprese i suoi passi scendendo di nuovo verso l'ingresso della scuola, incrociò Minerva e Pomona che controllavano i corridoi insolitamente tranquilli e fecero lui un leggero cenno di saluto a cui rispose brusco. Cercava di tenere distanza da loro, con fatica, ma era una forma di protezione necessaria nei loro confronti. Non che Minerva avesse bisogno di qualcuno che rendesse la sua vita più sopportabile, era una donna dura e resistente, ma Severus Piton non voleva essere causa di altro dolore e più apprendeva cose sul suo compito e più si sentiva come un veleno inarrestabile, perché era tutto così complicato da gestire emotivamente, così pieno di inganni e non detto e lui non voleva avvelenare quelle persone.
 Uscì nel parco, lasciandosi alle spalle le pareti sicure del castello, il prato umido di brina debolmente illuminato da una mezza falce di luna che pareva brillare di luce propria. Era una notte tranquilla, priva di nuvole e nell'aria c'era l'odore fresco della neve in arrivo e il suono di lontano di qualche civetta. 
Lupin lo aspettava al confine della foresta, i capelli disordinati sul capo magro e il solito pastrano che pendeva dalle spalle contratte. Sembrava invecchiato, consumato e lo sguardo cioccolato era distratto, come se stesse pensando ad altro. Black. Immaginò Piton senza fatica. Black con cui in quello stesso parco aveva sognato un futuro. 

“Lupin” lo salutò seccamente, tenendosi a qualche passo di distanza.
 “Severus come stai?” rispose l'altro mago, stropicciandosi gli occhi con un gesto arreso.
Piton si obbligò ad annuire in risposta e Remus tese un sorriso stanco. 
 “Bene, bene” mormorò tra i denti, appena un sussurro “Harry invece, sta bene?”
“Potter è come sempre fin troppo in forma” rispose secco Severus e il mannaro rise, ora un po' più dolcemente, l'espressione resa morbida al solo pensiero di quel ragazzino per cui forse avrebbe voluto essere una guida presente e da cui invece, inconsapevolmente, era tenuto a distanza, mentre Potter piangeva la morte di Black, ironicamente forse pensando che, nonostante Lupin, Sirius fosse la sua unica figura paterna. Severus lo trovava ingiusto.
“Il tuo gufo mi ha raggiunto mentre stavo tornando al quartier generale, mi spiace per il ragazzo, Draco intendo” disse Remus, interrompendo i suoi pensieri e Severus annuì di nuovo, improvvisamente pentendosi di aver accettato di vedere l'altro. Di cosa avrebbero dovuto parlare? Non erano a una ronda, il silenzio poteva divenire scomodo tra loro, carico di rancore e rimpianto, ma lui aveva sentito il bisogno di aggiornare il mannaro sul suo sconforto e Remus lo fissava paziente, gentile, come se fosse in attesa che lui decidesse di rivelargli qualcosa. Severus si mosse a disagio.
 “Tu Lupin come...” iniziò, per sviare il discorso
 “Non sapevo che fosse una cerva il tuo Patronus” lo fermò il mannaro e Piton trasalì.
 “I Patronus cambiano forma, sono strani, non attendibili”
 “Davvero? Il tuo quando è cambiato?” indagò l'altro e Severus si obbligò a deglutire.
 “Non è mai cambiato. È sempre stato così da che ricordo” si sforzò a rispondere “Una volta rappresentava un ideale, ora probabilmente è così perché vuole ricordarmi il motore della mia motivazione”
“Lily” disse quieto il mannaro.
 “E ciò che rappresenta” concluse scontroso Piton, trincerandosi dietro muri di Occlumanzia, la febbre che premeva sulle sue tempie, togliendoli lucidità e calma.
 “Era davvero qualcosa di vitale per te, vero?” chiese il mannaro.
 La domanda così netta e sincera quasi lo destabilizzò, ma Piton ormai celava i sentimenti con la stessa facilità con cui si ricordava di respirare e annuì con vago imbarazzo in risposta, pur consapevole di non avere nulla da nascondere all'altro mago. Perché avevano vissuto entrambi in quel castello nello stesso periodo, loro due, e Remus Lupin li aveva visti, lui e Lily Evans quando vivevano spalla a spalla, in una strana simbiosi impossibile da spezzare, respirando la stessa aria, animati da una frenetica speranza. Lo sguardo di Lupin si fece un po' meno stanco e più presente. 
 “Lily mi diceva spesso che tu eri stato il suo primo amico, che eri la persona di cui aveva più fiducia al mondo.”
 “Io e Lily avevamo un rapporto molto profondo, difficile da spiegare” tentò rauco Severus e non seppe perché le parole gli scivolassero così facilmente dalle labbra, forse aveva bisogno di essere ascoltato, forse era la stanchezza.
“James lo definì ingombrante al tempo. Forse aveva ragione, Lily non ha mai smesso di pensare a te completamente” sorrise Remus “Una parte di me sarà sempre convinta che inizialmente lei abbia accettato di uscire con James con il fine di farti reagire, di farti arrabbiare forse, ma si è poi innamorata. Il che è piuttosto ironico”
Severus annuì appena, distrattamente, lo sguardo corrucciato.
 “Era ingombrante sì.” mormorò solo, distrattamente, perso nei ricordi. 
Non era mai stato geloso di James, non aveva mai pensato di essere abbastanza per sostituirlo, non aveva mai desiderato strapparlo a Lily, non era su diritto, né un dovere. Lo aveva odiato cordialmente però, per la sua boria, per i suoi atteggiamenti meschini, per essere così diverso da lui, così visibilmente vincente e viziato, così circonfuso di speranza.  
Non per Lily, non perché stavano insieme. Erano due cose profondamente separate. Odiava James per il modo in cui si comportava, le loro inconciliabili diversità, lo trovava mediocre, imbarazzante, semplicemente perché era lui, non perché lei lo amava. Certo, se avesse potuto scegliere, non lo avrebbe trovato adatto a lei, ovviamente, ma non spettava a lui decidere con chi dovesse uscire Lily Evans, a chi dovesse dare il suo cuore.
 “Tonks?” chiese Severus improvvisamente e forse lo fece perché si sentiva esposto e non voleva essere l'unico in un posizione scomoda “A proposito di Patronus che cambiano.”
 “Lo hai detto anche tu, Severus” si schernì Remus “I Patronus cambiano, sono poco affidabili. Anche il mio da qualche tempo mi sembra più simile a un cane che a un lupo. Quello di Tonks tornerà come un tempo spero.” 
 Il silenzio cadde ancora tra loro, ma era tiepido e privo di tensione. Osservarono le cime ondeggianti della Foresta Proibita e poi le stelle brillanti che spezzavano il blu vellutato del cielo. Remus mosse il piede con aria distratta, smuovendo con la punta della scarpa un po' di terra. Severus si strinse nelle spalle magre, il viso contratto e chiuso.

“Lupin, per quanto riguarda Black...” disse infine, e non seppe perché si fece sfuggire quelle parole, perché cercasse di parlare di Black con il mannaro, così chiaramente ancora fragile e incerto.
 Non voleva torturarlo. Non voleva obbligarlo a pensare a quel suo amore frastagliato che gli era scivolato tra le dita, come un'ombra sbiadita di ciò che era stato. Non aveva sospesi con Black, Severus Piton. Si erano feriti a vicenda con parole taglienti sputate tra i denti, si erano odiati in modo sincero e paritario. Non aveva rimpianti con lui Piton, ma nessuno gli aveva mai chiesto come si sentisse dopo la morte di Lily, nessuno si era mai preoccupato di sapere cosa stesse provando, quando lui aveva così tanto bisogno di piangere e imparare di nuovo a respirare. E sentiva di dovere quell'accortezza a Remus Lupin, Severus, quella possibilità, se voleva, di crollare e urlare, o snocciolare parole e memorie su Sirius Black, su quello che era stato il loro amore.
 Ma il mannaro lo interruppe, mormorando un “Devo andare”, ritirandosi di qualche passo e Piton sbatté le palpebre per un istante confuso e lesse il dolore sul volto dell'altro, che ancora lo trafiggeva fresco e acuto. Annuì quindi, arreso all'evidenza che la conversazione tra loro dovesse per forza essere quasi assente, oppure penosa, piena di ricordi e composta sofferenza. Accettò la ritirata dell'altro, comprese la sua sete di solitudine e rimpianto.
 “Ricorda la tua pozione” aggiunse solo “La luna piena è vicina”
 “Sei gentile a preoccuparti per me”
 “Non mi preoccupo per te, Lupin”
 “Mi chiamerai mai con il mio nome, Severus?”
 “No, non credo, no” 
L'altro rise stanco e amaro, scuotendo appena il capo, con aria che sembrava quasi divertita. 
 “Ci vediamo la prossima settimana allora, Silente mi ha chiesto di fare una ronda a scuola.”
Severus aggrottò la fronte, perplesso.
 “Una ronda a scuola? Perché?”
Remus scrollò le spalle con disinteresse, lanciando un ultimo sguardo veloce all'altro. 
 “Non lo so” rispose quieto “Sai come è fatto Silente, prende dieci scelte, ma non te ne racconta nessuna”
 “Già” disse Severus, ma il respiro gli si bloccò nella gola e l'agitazione gli si rimestò nel petto.
 Il mannaro camminava già verso i confini della scuola, le gambe lunghe che procedevano a grandi falcate, il capo chino, come una figura che ormai Severus avrebbe riconosciuto ovunque, in tutti quegli anni a ricomporsi malamente.

 “Lupin” lo chiamò rauco e l'altro si girò e rimase a distanza, ed era troppo buio perché Severus potesse indovinare la sua espressione, ma gli parve di sentire gli occhi color cioccolato che lo studiavano attenti. 
 “Dimmi” disse il mannaro in un mormorio che arrivò quasi indistinto alle sue orecchie. 
 Severus pressò le labbra, incerto, sentendosi fin troppo scoperto, come se stesse offrendo volontariamente un fianco a un sacrificio inutile e meschino. Prese un profondo respiro, lottando con l'Occlumanzia per ordinare i pensieri, per restare in controllo rispetto alla paura che irrazionale gli irrigidiva i muscoli. Continuò a fissare la figura sottile del mannaro, ancora rivolta verso di lui, in attesa. Si obbligò a raschiare del coraggio dal fondo dei suoi intenti. 
Perché lo sapeva di non avere scampo, Severus Piton. Sapeva che Lupin era l'unico testimone della sua esistenza.
“Lasciami il beneficio del dubbio, Remus. In futuro. Lasciami il beneficio del dubbio”
 E non seppe mai se il mannaro avesse davvero sentito le sue parole, se fosse stupito, o avesse semplicemente annuito, perché Severus si voltò, il mantello che si mosse silenzioso nel buio della notte mentre ritornava su suoi passi. 
 Verso Hogwarts. Verso il suo destino.


* * *

Si scambiarono solo uno sguardo Remus Lupin e Severus Piton. 
 Uno sguardo affrettato in mezzo a grida, polvere e incantesimi. Uno sguardo forse disperato, pieno di parole che il mannaro non aveva colto. E non furono possibili spiegazioni, né fermarsi nella loro battaglia, si incrociarono solo per un istante: Piton che si torceva come in cerca del saluto dell'altro mago, Remus velatamente confuso per quell'attenzione.
 Ma poi ci furono altre urla e feriti ed entrambi svanirono dalla vista dell'altro e fu solo mentre la polvere della lotta si posava pigra lungo i corridoi, che Remus comprese la disperazione che aveva scorto in quell'uomo scuro e solo, che dopo anni lui aveva imparato a leggere, ma non a comprendere. E si rese conto, Remus Lupin, di come Severus fosse affondato per un istante dentro di lui, con forse una punta di disperazione, o malinconia, che nella foga della battaglia il mannaro non era stato in grado di cogliere. Severus, in effetti, gli era sembrato simile a un uomo che affoga e cerca redenzione senza trovarla e lui se ne rendeva conto solo in quel momento.
“È successo qualcosa” pensò Remus Lupin, unendo i puntini, realizzando che Severus era corso su per la scala che nessuno di loro era stato in grado di imboccare, come bloccati da forze esterne. Che era tornato giù nella battaglia con la morte nel cuore, lo sguardo rovente, il volto pallido, una mano stretta sulla spalla di Draco Malfoy in forma di protezione. Che nella fuga per qualche motivo aveva cercato lo sguardo di lui, Remus Lupin. 
Ma quando il mannaro ridiscese le scale verso l'ingresso, appena i Mangiamorte furono scomparsi e si ritrovò davanti al corpo spezzato di Albus Silente, ai piedi della torre di Astronomia, non riuscì a dare il beneficio del dubbio a Severus Piton.
 E non riuscì nemmeno a placare l'acidità che gli invase le fauci e gli atrofizzò il cuore, mentre la sensazione di tradimento gli invadeva il petto. Lo stesso identico presentimento che aveva provato quando Mary McDonald aveva detto lui che Sirius Black era la causa della morte dei suoi due migliori amici, che aveva tradito James e Lily. Lo stesso lacerante dolore che Remus si era sentito incollato addosso per tredici anni.
 E se la razionalità provava a placare la sua rabbia, ricordandogli poi che Sirius lo aveva ritrovato, in mezzo a mille bugie, spezzato e fragile, bisognoso di cure e amore sulle sue ferite, la rabbia rovente nelle vene gli faceva provare un odio viscerale per Severus Piton, che dopo tutti quegli anni, forse, con quel gesto atroce e inaspettato, si era infine vendicato del dolore che aveva dovuto portare a lungo sulle spalle, dell'umiliazione che i Malandrini gli avevano inflitto e di cui non si era mai liberato.
“Lasciami il beneficio del dubbio, Remus”
 Glielo aveva chiesto Severus, chiamandolo per la prima volta per nome. E Remus sapeva che qualcosa di quell'omicidio a sangue freddo del preside di Hogwarts stonava con quel ragazzino ossuto che aveva visto un tempo scivolare silenzioso nei corridoi di Hogwarts, quel ragazzino che aveva meritato l'amore incondizionato di Lily Evans, che poi si era fatto uomo, ferito e sanguinante, ma retto, giusto. 
“Possiamo però fare la cosa giusta, Lupin”
Glielo aveva sentito dire, al limite del suo confuso dolore, e ci aveva creduto a quelle parole, Remus Lupin. Ed era per questo che si era trascinato sui gomiti fuori dalla sua sofferenza, che ci aveva provato davvero a fare la cosa giusta, non per sé stesso, ma per Harry e per un futuro che non sentiva ancora completamente suo. 
E si ricordava, Remus, di quanto Severus fosse devoto a Silente, di quello strano rapporto padre-figlio che lui non aveva mai compreso, ma in cui il Serpeverde si sentiva a suo agio. E ricordava la crudezza delle parole di Piton in ogni momento di sconforto, il modo in cui affrontava la vita con gelido distacco e controllo maniacale. E non poteva essere un caso quindi il Voto infrangibile che aveva preso per Draco Malfoy, né le parole che aveva snocciolato nei loro rari incontri e nemmeno quel Remus appena sussurrato, che gli aveva detto una manciata di giorni prima. 
“Lasciami il beneficio del dubbio, Remus”
 Il beneficio del dubbio. Remus Lupin si rifiutava di credere che la devozione di Severus arrivasse fino a quel punto. Si rifiutava di credere che fosse tutto un piano, che Silente fosse morto per sua volontà, che Piton avesse accettato di frantumare una volta di più la sua anima, ridursi a un niente, obbligarsi alla solitudine più estrema, vanificare ogni suo volere, in favore di un piano più grande. Si rifiutava di crederlo, Remus Lupin. Anche se ogni ragionamento portava per lui a quella conclusione. Si rifiutava di crederlo perché era un sacrificio troppo terribile, troppo gravoso, persino per Severus Piton. E quindi l'unica spiegazione possibile era pensare che l'uomo avesse davvero ucciso Silente di sua volontà, che era un Mangiamorte, che la sua sofferenza fosse fittizia e che dunque lui, Remus Lupin, si fosse sbagliato su quel mago con cui aveva cicatrizzato le proprie ferite, che aveva creduto simile a lui. 

E fu con rabbia ed egoismo, dopo le lacrime, dopo lo sconforto, dopo le parole e le spiegazioni, che Remus baciò Tonks nella luce pallida dell'alba in arrivo. Fu con un senso di rivalsa e di rifiuto che si strinse a lei, costringendosi a essere gentile, riempiendosi le narici del suo profumo di miele e cannella, obbligandosi a credere di essere diverso, diverso da Severus Piton, diverso dall'uomo che aveva provato ad essere e che ancora amava Sirius Black. 
 Baciò Ninfadora Tonks per trovare una via d'uscita da quell'incubo, Remus Lupin, una speranza, una via di fuga forse anche da sé stesso e non dalla solitudine come lei sosteneva. La baciò credendo di amare la sua incoscienza, la sua gioventù, tutti quegli anni di vita che aveva davanti. La baciò teneramente, mormorando scuse e lasciò che lei si aggrappasse al suo braccio, che gli stringesse la mano al funerale, che trovasse conforto nella sua presenza, mentre fingevano di non essere i relitti umani in cui le guerra li stava trasformando. 
 E giurò a sé stesso che non avrebbe rinunciato più a nulla, Remus Lupin, che lui non era uguale a Severus Piton come aveva a lungo creduto, che avrebbe preso tutto quello che la vita aveva da dargli a piene mani, che avrebbe combattuto per un futuro, che avrebbe costruito qualcosa, coltivato ogni possibilità, che avrebbe lasciato una traccia di sé stesso in quel mondo così amaro, che avrebbe amato. 
 E sbatteva le ciglia, Remus Lupin, stupendosi appena che Tonks fosse ancora al suo fianco, dopo due notti di ronde e inferno, con quell'espressione dolce e ostinata che aveva imparato a conoscere, la smorfia tranquilla di chi ha trovato un posto nel mondo e l'ha accettato senza avere smania di nient'altro, lo sguardo fisso sulla bara bianca di Silente, il vestito nero che le fasciava quel corpo sottile, così fragile, così bello.
 E sussultò confuso, Remus Lupin, nel rendersi conto che aveva creduto fosse passato un solo istante da quell'ultimo sguardo scambiato con Severus Piton, la notte della morte di Silente e invece erano trascorse intere giornate. Giornate così piene di sussurri e parole, di solitudine e dolore, di noia e stasi. E nonostante il braccio tiepido di Ninfadora intorno alla sua vita, forse più a sostenerlo che a cercare protezione, nonostante la dolce carezza di lei nell'incavo del suo polso, come a ricordargli che erano in due ormai, Remus si sentì andare alla deriva e si obbligò a fissare il capo rosa della ragazza che aveva preso una scelta per entrambi, in cerca di un sostegno che non lo facesse crollare.
 “Andrà bene, Remus. Troveremo il modo” disse Tonks e Lupin annuì meccanico in risposta, anche se non sapeva se lei intendesse che avrebbero trovato il modo di sopravvivere, o forse di amarsi, nell'ombra di Sirius Black che sembrava osservarli da lontano. Forse Tonks intendeva che avrebbero trovato il modo di addormentarsi la notte senza rimpianti, e che lui, Remus Luoin, forse avrebbe trovato il coraggio di estirpare i  dubbi pungenti su Severus Piton che lo facevano tremare di terrore. Forse Tonks intendeva che avrebbero trovato il modo entrambi di dimenticare, di ricostruirsi da zero, per ottenere quel futuro che Lupin bramava, ma non sentiva di meritare. 
 Perché riusciva ancora a vederlo davanti a sé Severus Piton, pieno di cicatrici e rimpianto. Severus Piton che in fondo era quasi un amico e che scuoteva il capo, amaro e disilluso, con un sospiro spezzato e una risata tra i denti. 
Perché lo aveva detto, Severus, che non c'era futuro per loro, nati sotto la stella sbagliata, e nonostante Remus stringesse Tonks al suo fianco, mormorando parole di conforto, chinandosi verso Harry per offrire il suo sostegno di mite e gentile lupo mannaro, ammaestrato, quasi umano, Remus Lupin sapeva che c'era stata una sola persona al mondo che era sempre stata sincera con lui, seppure nella sua crudele schiettezza. Una sola persona in tutta la sua misera vita che non aveva mai provato a proteggerlo dalla verità, anche quando questa faceva male, anche quando significava accettare la morte di Sirius Black. E questa persona era Severus Piton. 
 Remus pensò che forse in effetti non lo aspettava un futuro, ma che se anche ad attenderlo era la morte, pronta a liberarlo dai suoi tormenti e ricordi dolorosi, prima avrebbe ritrovato Severus Piton. Lo avrebbe afferrato per le spalle magre, lo avrebbe guardato in quegli occhi d'inverno, avrebbe contato le sue cicatrici, come fossero uno specchio delle proprie e gli avrebbe offerto un bicchiere di qualcosa, in onore della vecchia amicizia che non avevano mai ammesso di condividere, dicendo: “Parliamo Severus. Abbiamo tante cose da dirci. Il silenzio a volte non basta”
 E forse lui avrebbe riso rauco amaro, gli avrebbe raccontato della sua infanzia di stenti, del marchio che nascondeva sul braccio sinistro, delle umiliazioni che aveva subito, delle paure che aveva avuto, degli orrori a cui aveva assistito, delle perdite che aveva masticato tra sé e sé con lacrime e dolore. Avrebbero messo entrambi sul piatto tutto quello che sapevano, ma che non avevano mai affrontato: Lily, i loro genitori, Sirius, tutti quei sentimenti che non credevano di meritare e che la vita infatti, impietosa, aveva tolto a entrambi. Morso dopo morso.
 “Mi fido di te, Remus” avrebbe forse detto infine Piton, finalmente tranquillo.
 E Remus avrebbe sorriso, versando un bicchiere di whiskey e masticando lento del cioccolato amaro, lo sguardo quieto che osservava l'altro uomo, con i suoi capelli scuri intorno al volto pallido e le vesti nere a celare il corpo magro.
 “Lo so, Severus” avrebbe risposto mite Remus “'L'ho sempre saputo.”
 E non erano altro che memoria e dolore. 
 Come polvere nel vento.


*Angolo Autrice*

Ciao Lettori. 
Eccomi qui con un nuovo capitolo. Anche se è passato un po' dal precedente.
è dolorosa questa storia, mi accorgo di masticarla con difficoltà, di provare pena per i personaggi, di arrancare un poco nelle loro sofferenze.

Severus e Remus sono sempre stati i miei due personaggi preferiti, ho provato a rendere loro omaggio con questa storia, piena di dolore, certo, ma anche di momenti di sollievo. Sappiamo tutti, in fondo, che non aspetta loro un lieto fine, che hanno la tragedia nel sangue. Sono molto legata a entrambi da sempre e amo il pensiero che questa amicizia, tra le righe del Canon, possa effettivamente essere esistita. 

Sul mio polso sinistro, appena sopra le vene dove si sente il battito del cuore, insieme al disegno di manciata di libri e una tazza di the, ho tatuata la firma "Severus", sul mio polso destro invece, di lato, a guardarmi costantemente, la parola "Moony" e alla fine di questa storia sento di amare questi due minuscoli segni di inchiostro ancora di più. 

Scrivere di loro, in questo periodo strano della mia vita è stato bello e catartico. 
Ci aspetta un altro capitolo ancora in realtà, un epilogo, che forse è inatteso, ma che ho ritenuto necessario, per concludere in modo agrodolce il percorso di questi due personaggi. 
Spero vi faccia piacere posticipare il saluto ancora di un poco.

Grazie a chi lascerà un commento.
Grazie anche a chi legge in silenzio. 
con affetto
vi


  
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