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Autore: Razaghena    24/03/2022    2 recensioni
Settembre 3019, a un mese dall'incoronazione di Re Éomer, notizie di incursioni da parte dei Sudroni raggiungono il Mark. A 288 miglia di distanza da Edoras, a Dol Amroth, l'introversa principessa Lothíriel apprende che la sua mano è stata concessa a uno dei nobili della città, un uomo che è poco più di uno sconosciuto per lei. Sarà proprio la spedizione militare congiunta tra Gondor e Rohan a mettere in pausa i progetti di matrimonio e a stravolgere le vite della Principessa e del Re.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eomer, Lothirìel
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                           Un giovanotto biondo era seduto sul primo gradino delle scale in pietra di Meduseld. Sopra la sua casacca luccicava un medaglione tondo, d’oro e di smalti, raffigurante un cavallo bianco. Il ragazzo lasciava vagare lo sguardo sui tetti di Edoras, illuminati dagli ultimi, orizzontali raggi dorati, mentre l’aria della sera si faceva gradualmente più pungente. Alle sue spalle, due soldati montavano silenziosamente la guardia all’ingresso. Il disordinato rumore di stivali in avvicinamento disturbò la quiete che stava regnando sulla terrazza del Palazzo.

«Éomer! Devi venire subito!». Una testa ramata spuntò dal fondo della gradinata. Un ragazzo, troppo smilzo per la sua notevole statura, risalì le scale quattro gradini alla volta, sfruttando tutta la lunghezza delle sue gambe. «Forza, in piedi», gli ribadì con il fiato corto e un luccichìo che non prometteva nulla di buono negli occhi.

I Custodi della Porta non sembrarono scomporsi. Non doveva essere una scena a loro nuova.

«Sai che non posso venire, Brandwine. Sto aspettando di andare a cavalcare con il Re», Éomer rispose incolore all’amico. Nessun cenno che indicasse la sua volontà di alzarsi.

«Uno dei carri, giù, alla piazza inferiore, è bloccato nel fango e sbarra la via principale», l’eccitazione evidente nella voce del ragazzo.

Éomer lo guardò con aria interrogativa per qualche secondo. «Quindi?».

«Quindi?!»

«Quindi.»

Brandwine si esibì in una sequenza di gesticolamenti per aria. «Oggi c’è il mercato. Ci sono le ragazze che fanno commissioni per le madri. Le ragazze, Éomer. Sai quelle graziose creature in cui rischieresti seriamente di imbatterti se tu non passassi il tuo tempo immerso nel letame delle scuderie».

Il nipote del Re inarcò un sopracciglio. Una delle guardie alle loro spalle si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. «Mi hai cercato per questo?».

«Sì. Ed è un ottimo motivo, se posso permettermi di dire tanto. Ma non possiamo perderci in chiacchiere ora», Brandwine gli girò attorno per portarsi dietro la sua schiena. «Alza il tuo regale didietro e andiamo a liberare quel carro prima che lo faccia qualche troppo zelante passante», lo spintonò sgraziatamente fino a farlo sollevare.

«Brandwine non scenderò in piazza per-… per esibirmi o qualsiasi cosa tu abbia in mente. Ho degli obblighi, dei doveri. Tra questi, la cavalcata serale con il-».

«Con il Re, sì-sì-lo-so. Lo so. Non volevo iniziare con questo, ma ammetto che», Brandwine si fece più vicino, «c’è Rowan», gli sussurrò accompagnando le sue parole con una lunga occhiata d’intesa.

Éomer guardò inespressivo l’amico, inspirando profondamente. «Tu sai che quel nome non mi dice nulla, vero?».

«Row-! Te ne ho sicuramen-… Sai, in quanto tuo amico- Che dico, siamo sinceri, in quanto tuo unico amico, mi ferisce il tuo disinteresse per i miei affari». Brandwine non aveva smesso di trascinarlo come meglio poteva per un gomito o per la casacca. Erano ormai a metà scalinata.

«Hai blaterato fino a ieri di… di Ingrid! Ti stupisce che Rowan mi suoni estraneo?».

«Ingrid? Ingrid, Éomer?!», Brandwine alzò gli occhi al cielo con finta esasperazione, «Segrid. Si chiamava Segrid. E non faceva per me, per quanto possa suonare triste».

«Tragico». Éomer a questo punto si stava lasciando spintonare per le spalle, opponendo a malapena resistenza. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, le bizzarrie di Brandwine rappresentavano spesso il punto più alto delle sue giornate.

«Ma l’amica della sorella di Segrid, invece…! Rowan! Oh, Rowan! Credo di aver trovato moglie. Éomer devi venire a vederl-».

I due giovani si fermarono appena in tempo per non scontrarsi con un uomo che era apparso ai piedi della gradinata del Palazzo. Alto, spalle larghe e un’armatura tirata a lucido. Éomer e Brandwine lo riconobbero ancora prima che si togliesse l’elmo. Un rapido scambio di sguardi si susseguì nell’istante di silenzio che si aprì. Gli occhi di Théodred passarono velocemente sui due giovani, esaminandoli.

Aprì bocca per primo. «Ho sentito», si indicò alle spalle, «che hanno bisogno di una mano giù alla piazza del mercato». Il sorriso complice in cui si aprì dissipò la tensione.

«Oh, è così, mio signore? Credo che dovremmo andare a dare una mano allora. Nevvero, Éomer?», Brandwine colse l’attimo. Superò Théodred trascinandosi dietro Éomer nel mentre.

«Brandwine», l’Erede lo apostrofò a distanza di qualche gradino.

«Sì, mio signore?».

«Inizia ad adoperarti per trovare una moglie anche per Éomer. Bisogna sottrarlo alle scuderie».

«Lo consideri fatto, mio signore. Più ardua l’impresa, maggiore la mia gloria».

Théodred si era voltato per rivolgere ai due ragazzi un ultimo affettuoso sorriso. «Andate», i suoi occhi si spostarono su Éomer, «Parlerò io con mio padre. Va’ e non farmi sfigurare!».



Dieci anni dopo

28 settembre 3019, Terza Era
Palazzo del Cigno d’Argento, Dol Amroth, Gondor
288 miglia a sud


                                           Lothíriel passò sotto l’ampio arco che delimitava l’ingresso alla cucina splendidamente intonacata di bianco. Il suo sguardo non ebbe il tempo di registrare ciò che stava accadendo nella stanza che individuò la divisa fiordaliso della sua dama di compagnia. «Eccoti, Thïr-».

La serva si voltò al suono del suo nome e, con esasperati gesti delle braccia, si affrettò a indicare alla Principessa di nascondersi. Negli istanti successivi, tutto accadde molto velocemente. Lothíriel si era resa conto della presenza dell’anziana cuoca, Madegar; quest’ultima si era voltata verso l’ingresso, armata di un notevole coltello e un’espressione accigliata in volto; «Chi è arrivato?», aveva domandato mentre Lothíriel si era prontamente lasciata cadere sulle ginocchia.

«Nessuno. Niente. Io non ho sentito proprio niente e soprattutto nessuno. Uhm, cosa-…», Thïria reindirizzò l’attenzione della cuoca, «Cosa mi stavate raccontando, cos’è successo all’alba?».

«Dov’ero rimasta? Ah, sì, ecco. Poco dopo l’alba, come mio solito, sono andata dal pescivendolo, giù al porto. Gli ho chiesto i migliori pesci di stagione e mi ha confezionato un pesce spada, parecchie sogliole e qualche branzino. Oh bambina mia, bambina mia! Avresti dovuto vedere quanto velocemente ha incartato quei branzini! Non mi piaceva proprio la faccia del pescivendolo stamattina, nemmeno i suoi baffi stavano ritti. E a Madegar certe cose non sfuggono».

«Inteso», confermò Thïria.

Approfittando della sentita narrazione della cuoca e dall’incoraggiante rumore del coltello sul tagliere, Lothíriel aveva gattonato fino al massiccio tavolo da lavoro situato al centro della cucina. Si sedette con la schiena contro quest’ultimo, tirandosi le ginocchia al petto, accogliendo con un sospiro silenzioso il suo destino.

«I miei sospetti si sono rivelati fondati quando la testa di uno dei branzini è sbucata fuori durante l’incartamento. Saresti dovuta esserci, Thïria, figlia mia, per vedere la testa di quel branzino! Aveva l’occhio infossato! INFOSSATO, ti dico!». Le parole della cuoca furono accompagnate da una serie di preoccupanti fruscii. A Lothíriel non fu difficile immaginare che Madegar stesse tirando fendenti per aria, come da sua consuetudine. Nascose il viso tra le mani, pregando che non fosse quello il giorno in cui l’anziana accoltellava se stessa o qualcuno. «Allora ho preteso che mi mostrasse il branzino, ma quel farabutto continuava a trovare scuse. Si è finto perfino offeso quando l’ho accusato di volermi vendere del pesce poco fresco! Perché sai, bambina mia, Madegar si procura solo il pesce migliore per la tavola del Principe! Se avessi mandato un inserviente al porto, non si sarebbe accorto dell’inganno, ne sono certa!».

«Iriel, allora sei q-», la voce di Amrothos giunse dall’ingresso. Lothíriel spalancò gli occhi e gesticolò qualcosa in direzione del fratello.

«Chi- Chi ha parlato?», la domanda della cuoca era arrivata un istante dopo che il giovane si era abbassato.

«Nonhosentitonulla. Ma ditemi, Madegar, come fate a scovare sempre il pesce più fresco?», Thïria si immolò in un moto di lealtà.

«Non dirmi che non ti ho mai insegnato come distinguere il pesce fresco, figliuola», l’indignazione evidente nella voce della cuoca, «Vieni qui, avvicinati. Prima di tutto, il pesce deve avere l’occhio vivo, lucido e splendente. Come questo, vedi? Brillante e in rilievo».

Amrothos aveva raggiunto la sorella camminando a quattro zampe. «Chi ha osato turbare Madegar oggi?», le sussurrò mentre le sedeva accanto.

«Il pescivendolo. Ha provato a venderle del branzino poco fresco», gli bisbigliò in risposta.

«Principiante», Amrothos fece una smorfia. «Thïria? Riusciamo a tirarla fuori dall’impiccio?».

«Ne dubito. Madegar non rinuncia mai al suo pubblico».

«È vero. Farò avere alla sua famiglia un’indennità, non credo la rivedranno a breve. E a che punto della narrazione siamo? Avevo piani per la mattinata. Ero venuto a chiederti se volevi accompagnarmi ai porti commerciali».

La Principessa rivolse uno sguardo loquace al fratello.

«Capito. Siamo ostaggi», esalò sconfitto. Allungò un braccio, tastando il tavolo alla cieca, quando lo ritirò teneva in mano due fichi. «Tieni, mangiamo. Non possiamo prevedere quanti inverni rimarremo bloccati qui».

I due fratelli consumarono la loro colazione occultati dal robusto tavolo; in sottofondo, l’anziana cuoca illustrava con esacerbante enfasi i suoi segreti a spese dell’inerme Thïria, i cui versi d’assenso giungevano sempre meno convincenti. Gli occhi di Lothíriel continuavano ad andare sul viso del fratello, per poi tornare sfuggenti sul motivo delle mattonelle del pavimento. Era qualche giorno che dibatteva con se stessa se parlargli della sua apprensione riguardo al corteggiamento del Comandante. Non era certo la mancanza di complicità che la faceva esitare, piuttosto il focoso astio che il fratello nutriva per il Primogenito. Non voleva essere lei a rimarcare quel solco. Una leggera gomitata nelle costole le ricordò che non era mai stata brava a nascondere qualcosa al fratello.

«Quindi? Di cosa si tratta?», Amrothos le sussurrò.

Lei si limitò a fare spallucce. «Cosa intendi?».

«Lo sai. Quello che muori dalla voglia di dirmi. Forza, ti ascolto».

«Non è qualcosa di grave…», cominciò la Principessa.

«Mmh…», Amrothos sospirò, «Ma è qualcosa che mi farà arrabbiare. Sentiamo allora».

«Sei consapevole di non essere molto incoraggiante, vero?».

«Non volevo esserlo», il fratello accompagnò le sue parole con una scrollata di spalle e un mezzo sorriso.

«Che visione», una voce dal timbro inconfondibile risuonò nella cucina, Lothíriel sussultò, «Principi di Gondor che mangiano per terra». Elphir era in piedi di fronte a loro con le mani raccolte dietro la schiena. La sua divisa blu notte era impeccabile, come sempre. «In piedi». La voce distaccata. Anche quello come sempre.

Amrothos si chinò verso la sorella, non curandosi veramente di non farsi udire, «Allora è vero che piove sul bagnato… Guarda un po’ com’è profonda la ruga di Elphir già dal mattino». Si sollevò in piedi per rivolgersi direttamente al maggiore, «Cosa ti porta fin qui, fratello? Forse non ne sei a conoscenza, ma in questa zona alloggiano e lavorano i domestici».

Seguì un momento di silenzio in cui i due fratelli si soppesarono con lo sguardo. Persino il brusio della cuoca era cessato. Il Principe Erede riusciva dove finanche il nobile padre capitolava; era l’unico a mettere in soggezione Madegar. Gli occhi azzurri di Elphir si spostarono lentamente su Lothíriel. Chiaramente, aveva deciso di soprassedere.

«Iriel, se hai finito di fare colazione va’ a prepararti. Anche tu, Amrothos. Le vedette mi hanno avvisato che nostro padre e nostro fratello dovrebbero essere ormai alle porte. Se posso osare chiedervi tanto, cerchiamo di non accoglierli sul pavimento della cucina».

«Quando? Quando arrivano?», Lothíriel inquisì ansiosa. Gli occhi di Elphir si spostarono sulle dita di lei che si erano aggrappate al suo braccio.

Lo squillante suono di un corno raggiunse in quel momento il Palazzo. La ragazza sussultò di nuovo sul posto e prima che potesse rendersene pienamente conto stava già scendendo di corsa la scalinata d’ingresso. Si precipitò giù per la via principale, correndo fino a sentire un sapore ferroso in bocca. Il cuore le tamburellava contro la cassa toracica, le orecchie le pulsavano. Negli angoli degli occhi iniziò a sentire il pizzicore delle lacrime, che ignorò. Come ignorò la polvere e il fango che andavano sgualcendole l’orlo delle vesti.

Il suono di altri due corni riempì l’aria, il corteo doveva essere arrivato alla cinta interna. Lothíriel accelerò la corsa e, quando la via si tuffò nella Prima Piazza, si trovò davanti a un muro di persone venute ad acclamare i Principi. Si immerse nella folla, senza abbandonare con lo sguardo gli stendardi d’azzurro e d’argento che vedeva sopraggiungere. Riusciva a sentire il selciato tremarle sotto ai piedi al ritmo degli zoccoli in avvicinamento. D’improvviso la folla ringhiò, urla gioiose si levarono all’unisono alla vista del Principe Imrahil che guidava il corteo con il Secondogenito al suo fianco. Dopo sei mesi dalla partenza per Minas Tirith, il Principe era tornato.

Lothíriel si spinse fino alla prima fila. Padre. Aprì, chiuse e riaprì la bocca. Boccheggiò ancora ma non aveva fiato in corpo per emettere suoni. Padre, guardami.

Gli occhi del Principe incontrarono i suoi tra la folla. «Iriel!».

La Principessa sgusciò tra le guardie per raggiungerlo. Imrahil rimase in sella ma sfilò prontamente lo stivale da una delle staffe; la stessa staffa su cui la figlia appoggiò il piede per gettargli di slancio le braccia al collo. E mentre si stringevano tra le acclamazioni degli amrothiani, nascondendo entrambi il viso contro la spalla dell’altro, la Principessa sentì la mano del padre accarezzarle amorevolmente i capelli.

«Sono tornato. Sono tornato».

Dopo sei mesi dalla partenza per Minas Tirith, suo padre era tornato.



1 ottobre 3019, Terza Era
Edoras, Rohan
288 miglia a nord


                                           La vita nel Mark aveva subito un’improvvisa accelerata dopo l’arrivo dei messaggeri con gli stendardi oscurati. Il fumo rigettato dalle fucine anneriva da settimane i cieli sopra l’Ovestfalda, e tutte le cuoierie e sellerie del regno lavoravano incessantemente per far fronte alle commissioni.

Notizie nefaste erano giunte dal Lebennin: notizie di incursioni di Sudroni e villaggi di confine scomparsi nella notte. Qualcosa si stava silenziosamente muovendo nel Harondor, strisciando nelle ore senza luce lungo la foce dell’Anduin e, quantunque non ne riuscissero ancora a cogliere l’entità, Re Elessar e i suoi alleati non avrebbero lasciato le province del Sud sole di fronte alla nuova minaccia. Una spedizione congiunta tra Gondor e Rohan era stata pianificata. Al termine di lunghe giornate di Consiglio gli ospiti gondoriani avevano lasciato il Mark, con la promessa di ricongiungersi nel Lebennin il mese successivo per stanziare un accampamento.

Organizzare una campagna militare dal termine incerto non era cosa da poco. Provviste, materiali per il campo, armature; tutto doveva essere ordinato, forgiato, conciato, eventualmente riparato, per poi convergere ad Edoras, città da dove sarebbero partiti i quattromila cavalieri di Rohan.

E proprio nella guardiola all’ombra dei Cancelli di Edoras stanziava come ogni giorno il Re del Mark, impegnato a convogliare il massiccio arrivo d’equipaggiamento e uomini provenienti da ogni angolo del regno. Tra il fremente vociare dei Marescialli e ufficiali, si udì un cavallo fermarsi bruscamente di fronte all’edificio, ed una testa ramata comparve poco dopo sulla soglia della guardiola.

«Re Éomer! Abbiamo un problema!», si annunciò Brandwine mentre entrava a grandi passi, chinando il capo per non sbattere contro le travi del soffitto troppo basso per lui.     

Éomer sospirò. «In magazzino?».

«No, la situazione delle scorte è sotto controllo. Ma ho appena intercettato un uomo a cavallo proveniente dalla strada per Dunclivo, uno dei carrettieri del carico di ferro e rame che stavamo aspettando. È stato mandato avanti dai suoi compagni perché uno dei loro carri è bloccato in mezzo alla via. Ha riferito di due ruote sprofondate nel fango. I suoi abiti riferivano la stessa storia. Hanno bisogno di una mano per liberarlo».

Un moto di frustrazione attraversò Éomer come una scarica. Lo manifestò a malapena, serrando e rilasciando la mandibola un paio di volte. Non erano già abbastanza in ritardo? Fece un cenno di saluto in direzione degli ufficiali presenti ed uscì, seguito da Brandwine.

«Chi vuoi che mandi? Bastano due o tre uomini e i loro cavalli per aiutare i carrettieri», chiese l’amico mentre montavano in sella.

«Dov’è l’uomo con cui hai parlato?».

«In attesa al bivio Sud della via. Gli ho detto di aspettare i cavalieri che avresti mandato. Chi faccio chiamare? Éomer…?», Brandwine doveva aver letto qualcosa di spiacevole nella sua espressione, «Éom-… Éomer. Chi vuoi che mandi?». La risposta era facilmente intuibile.

Un sorriso increspò appena le labbra del Re. «Prendiamo aria, Brandwine. Andiamo noi. Onoriamo i vecchi tempi». Spronò il cavallo risalendo la via per Dunclivo.




                                           Tirò la catena verso il basso e il secchio si rovesciò sopra la sua testa. L'acqua fresca gli pizzicò feroce la pelle ed Éomer si affrettò a lavarsi il fango di dosso. Accanto a lui, Brandwine aveva già infilato la casacca ed era passato a pulire gli stivali.

«È stata la nostra più grande scoperta quella delle docce degli scudieri. Ci ha evitato parecchie tirate d’orecchi quando eravamo più giovani», Brandwine commentò con un sorriso nostalgico che gli danzava negli angoli della bocca.

«Sono stato rimproverato da mio zio per tante cose, ma sono sempre tornato a Palazzo più pulito di prima che lo lasciassi». Éomer concluse la doccia e iniziò a raccattare i suoi indumenti.

«Più pulito di prima, ma con un sentore di letame addosso», specificò Brandwine, ricevendo in risposta solo uno sbuffo. «Sai, sono contento di vederti più disteso, anche solo per un attimo. Sono stati giorni intensi questi».

«Sì… Intensi. Un mese di preparativi consumato in un battito», Éomer sospirò. In quelle settimane aveva sentito il peso della sua corona gravargli addosso. Sollevò gli occhi sull’amico che stava barbaramente sbattendo gli stivali in terra, distribuendo fango a raggiera. «Chi l’avrebbe mai detto», rifletté ad alta voce, «che saremmo finiti così. Io sul trono e tu… Tu…».

«Io?». Brandwine assottigliò lo sguardo.

«Tu… Così…».

«Così come?», Brandwine si alzò dallo sgabello e iniziò lentamente ad allungare un braccio verso un forcone appoggiato lì accanto. «Finisci la tua frase, mio signore».

«Sposato, credo. Non ci avrei scommesso un soldo di rame».

Brandwine ridacchiò. La sua mano si reindirizzò dal forcone alla spalla di Éomer. La risposta dovette averlo soddisfatto. «Con Rowan per giunta!», esclamò orgoglioso.

Uno scudiero li avvertì della sua presenza schiarendosi la gola all’ingresso della stalla. «Sire», si inchinò, «Il Capo delle Scuderie si chiede se potrebbe sottoporvi una questione».

«Ci sono problemi con i nuovi finimenti?».

«No, mio signore, vorrebbe chiedervi di stimare una giovane giumenta».

Éomer e Brandwine si scambiarono uno sguardo e un’alzata di spalle. Fintanto che non si trattava di nuovi problemi, il re avrebbe stimato volentieri ogni giumenta del suo regno.




                                           Mentre passava la mano sul collo muscoloso del cavallo e sentiva le familiari scintille mordergli i polpastrelli, le parole scivolarono fuori dalle labbra di Éomer senza volerlo. «Dove ti tenevano nascosta?».

«È magnifica, non trovate, sire?», l’anziano Capo delle Scuderie si avvicinò, «Gléodis, questo è il suo nome, ha compiuto sette anni. Ha terminato la formazione alla monta ed è pronta per essere destinata a qualcuno, mio re».

Éomer fece a malincuore un passo indietro per lasciare Gléodis libera di trottare nel pascolo. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. «Ti viene in mente qualcuno?», si rivolse a Brandwine.
«Nessuno. Ma sono molti i soldati che hanno da poco perso il proprio destriero. Anche se…», l’amico scosse la testa, combattuto, «Devo ammettere che questa giumenta è notevole. Siete certo che sia nata nella stalla giusta?».

«Non è un mearas, ve lo garantisco», il Capo delle Scuderie assicurò con una certa solennità nella voce. «Ma riconosco che potrebbe ingannare anche un occhio esperto. Osservate i suoi appiombi, tutti corretti. La muscolatura, tesa e ben sviluppata. La sua corporatura sarebbe ideale per diventare un cavallo da guerra. Ma, se concedete a questo vecchio di parlare oltre, sire…».

«Non mi risparmiare, Holdred».

«Ritengo che sarebbe sprecata come cavallo da carica. Il suo portamento…», l’anziano gesticolò grandiosamente in direzione del cavallo, «Il suo portamento, sire, la rende un diamante tra pezzi di vetro. Sottoporla a un addestramento militare andrebbe a intaccare, sciupare il suo portamento signorile. Questa è la mia umile opinione».

«Mi trovi d’accordo». Gli occhi di Éomer non avevano abbandonato per un istante l’animale che si muoveva flessuosamente nella campagna. I suoi crini folti si agitavano nel vento e il manto morello esposto al sole appariva straordinariamente lucido. Benché avesse una conformazione solida, le andature erano elastiche, eleganti e rilevate. Era apparente che il suo portamento spiccasse su quello dei cavalli con cui stava pascolando.

Un’idea. Un’idea bizzarra si fece spazio nella sua mente. Per un attimo si sentì sollevato, come se avesse trovato un incastro perfetto. Poi le possibili ricadute gli balenarono in mente, spezzando il suo spirito iniziale. Prese a massaggiarsi il collo.

«Chi?», Brandwine lo riportò sulla terra. «A chi hai pensato adesso?».

«Ti ricordi… Dei Principi di Dol Amroth?».

«Il Principe Imrahil e suo figlio? Non hanno perso i loro cavalli in guerra, che io sappia».

«No, è così… Ricordi bene, ricordi bene…». Éomer inspirò profondamente. «Pensavo piuttosto…», non era certo di voler esprimere ad alta voce ciò che aveva in mente, «Alla conversazione che i Principi hanno avuto ai Tumuli… Qualche giorno prima della loro partenza».

Sulla fronte di Brandwine si susseguirono una progressione di aggottamenti. Quando colse ciò a cui l’amico si stava riferendo, la sua espressione cambiò del tutto. Ci mancò poco che le sue sopracciglia raggiungessero l’attaccatura dei capelli. «Parli della…?».

«Sì, Brandwine».

«Stiamo pensando alla stessa cosa? Intendi proprio la… la Principessa?», si volle assicurare l’amico. Il Capo delle Scuderie drizzò la schiena, in allerta. La conversazione a cui stava assistendo stava prendendo una piega intrigante. Brandwine continuò imperterrito, «Ho capito bene? Vuoi donare Gléodis alla Principessa di Dol Amroth? Alla giovane, con ogni probabilità molto bella Principessa di Dol Amroth? Anzi, alla giovane, con ogni probabilità molto bella, e molto… molto… MOLTO nubile Principessa di Dol Amroth?».

«Sì», Éomer esalò in un sospiro. «Era solo un’idea. Una pessima idea. Chiederò ai Marescialli se hanno qualche candidato in mente per Gléodis».

«No-no-no-no. Non fraintendere il mio stupore. Io dico di esplorare quest’idea». Brandwine accompagnò le sue parole con sentiti ed esagerati cenni della testa a cui si aggiunse persino il Capo delle Scuderie, che Éomer fulminò con lo sguardo. «Perché ti è venuta in mente la Principessa di Dol Amroth?», lo incalzò l’amico.

«Non mi è venuta in mente lei. Mi è venuta in mente quella conversazione. Questo sarebbe il cavallo perfetto da inviare in dono a dei nuovi alleati. A degli amici».

«Sì, ma…», Brandwine sembrò quasi sofferente, «Ti ho già fatto notare quanto straordinariamente nubile sia la principessa in questione?».

«Più volte. Ma non è lei il punto. Imrahil ha un figlio che necessita di un cavallo, noi abbiamo un ottimo cavallo. Un cavallo a cui, siamo convenuti, vorremmo risparmiare l’addestramento militare. Ha veramente importanza che il figlio in questione sia… una figlia?».

Brandwine inspirò platealmente, guadagnando tempo prima di esalare un poco convinto «Nnno~…? No».

«Sì». I due uomini si voltarono verso il Capo delle Scuderie che ora si stava tappando la bocca con le mani.

«No, no. Non ha necessariamente importanza. Non così tanta», Brandwine sembrò cercare di convincere se stesso quanto il re. «Rimane però la questione della decisione del Principe. Si era detto contrario a dare un cavallo alla figlia».

«Di certo non è aggirare la volontà del Principe ciò che voglio», Éomer rifletté ad alta voce, «Potremmo… Potremmo indirizzare Gléodis a lui e lasciare che sia lui a scegliere se tenerla nelle proprie scuderie o appuntarla alla figlia. In entrambi i casi, non finirebbe su un campo di battaglia». Saggiò nuovamente con gli occhi il magnifico cavallo che pascolava poco distante da loro. Per qualche motivo, riusciva a trovare pace all’idea che quel cavallo fosse nelle cure del Principe Imrahil. Lo reputava un uomo degno di stima e lo aveva osservato con il proprio destriero. Gléodis sarebbe stata in buone mani. Tornò con lo sguardo sull’amico, che si stupì di trovare ancora in silenzio. Aveva un’espressione pensosa e un luccichìo fin troppo familiare negli occhi. «Tutto qui? Hai già esaurito le obiezioni?».

Brandwine alzò le mani. «Non ho altro. Me ne occupo io se tu vuoi tornare ai Cancelli».

«Te ne vuoi occupare tu?».

«Sì».

«Ora te ne vuoi occupare tu?».

«È così».

Nulla nel tono candido che stava esibendo l’amico avrebbe potuto convincere meno il Re della sua sincerità. Gli puntò l’indice contro, «Brandwine… Bada bene-…», i suoi occhi si spostarono sul Capo delle Scuderie che stava allungando il collo per cogliere ogni inflessione delle loro voci con mal dissimulata curiosità. Ritirò il dito con un sospiro. «Occupatene tu. Io ho fretta di rientrare in città, mi stupisce che non sia venuto ancora nessuno a cercarmi. Prepara un messaggio, un buon messaggio. Chiaro, infraintendibile. Brandwine…», gli rivolse la migliore delle sue peggiori occhiate, «Infraintendibile, mi hai sentito?».

«Infraintendibile, sì».

«Prepara il messaggio e fai scortare Gléodis alla sua nuova terra», concluse prima di allontanarsi verso la strada che conduceva in città. Con una spedizione militare alle porte, Éomer non aveva altro tempo da investire in questa faccenda. Oltretutto, pensò, quanti danni avrebbe potuto mai fare Brandwine?


Note dell’autrice
• Vi ringrazio per essere tornati a leggere questo secondo capitolo e per il vostro feedback. Leggo avidamente le vostre recensioni e i vostri messaggi più o meno nel momento stesso in cui premete ‘Invio’; il mio ritardo nel rispondervi è dovuto soltanto al mio desiderio di darvi una risposta significativa e non scritta di fretta. Un grosso grazie per la vostra pazienza.
   
        *¹
Un diamante tra pezzi di vetro, citazione da “Pericle, principe di Tiro” di William Shakespeare.

Aggiunta delle sintesi di fine capitolo - Mi sono ripromessa di aggiornare questa storia più volte al mese e cercherò di tenere fede alla mia parola. Ho deciso però di iniziare a lasciare una sintesi del capitolo corrente in fondo alla pagina, per permettere ai lettori occasionali di rimanere al passo con i nodi principali della trama. È una soluzione che, da lettrice, io amo trovare, soprattutto in storie la cui pubblicazione si protrae nel tempo.
Razaghena

Riassunto Capitoli 1 e 2 Settembre 3019. Il Principe Imrahil e il suo secondogenito Erchion sono ospitati a Edoras come parte del seguito di Re Elessar. Durante una passeggiata, Éomer apprende che la figlia di Imrahil non ha un cavallo per volontà del padre, che desidera in questo modo salvaguardarla. Giungono ad Edoras alcuni messaggeri con gli stendardi ripiegati, portatori di cattive notizie: le incursioni dei Sudroni vicino alle foci dell’Anduin gettano un’ombra sulla pace di Gondor. Viene pianificata una spedizione congiunta tra Gondor e Rohan e gli ospiti gondoriani tornano alle loro terre per riorganizzare le forze.
A Dol Amroth, in assenza del padre, governa l’austero primogenito del Principe, Elphir. Lothíriel apprende dal fratello che il corteggiamento di un nobile della città, il Comandante Sîrfalas, culminerà con ogni probabilità con il matrimonio. La Principessa viene però allietata dal ritorno del padre.
Ottobre 3019. Éomer, nel pieno dei preparativi per la partenza dei suoi cavalieri, è chiamato a decidere del destino di Gléodis, una magnifica giumenta della sua scuderia. Per risparmiarle l’addestramento militare, decide inaspettatamente di inviarla alla Principessa di Dol Amroth. Assegna a Brandwine, suo amico e braccio destro, l’incarico di scrivere un messaggio chiarificatore e organizzare la consegna del dono.
  
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