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Autore: Sasita    31/03/2022    1 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. dal prossimo capitolo avremo un po' di... "spice", finalmente. In questo capitolo i nostri dumbass preferiti si confrontano un po' dopo gli avvenimenti alla Roadhouse, e si prendono una meritata pausa da tutto.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Un grazie speciale va a strugatta, che mi rincuora ogni volta con una recensione!



Warmer

 
Everything that I like-like
Eyes on you like a spotlight
Going off of what I know-know
Killing me with what I don't know
But when I get close, I feel the cold
Coming on like a storm
Why can't you say if you you feel the same?
Just give me something

Tell me, am I getting warmer?
'Cause I can't read the thoughts in your head
Every time I turn the corner
I'm feeling like I know less and less
I give you all of my time (time)
All day, all day, all night
So baby, don't lie (lie)
Tell me, tell me, am I
Am I getting warmer?

Poker face, don't you dare tell
Feeling like what in the world girl
Did I do to make you reclusive?
But I know what the truth is
You think you'll get hurt expecting the worst
But baby, I've been hurt too
We don't have to rush, a little's enough
Just give me somethin'


 
Need to know, am I getting colder?
Are we good, are we almost over?
Need to know we're not gettin' colder
I need to know, need to know, yeah
'Cause I can't read the thoughts in your head
Every time I turn the corner
I'm feelin' like I know less and less
I give you all of my time (my time)
All day, all day, all night
So baby don't lie (don't lie)
Tell me, tell me, am I
Am I getting warmer?
Are we good, are we almost over?

 

Tutto quanto era successo dopo aver pronunciato quelle poche, profonde parole, Dean lo ricordava confusamente. Aveva passato la sera a farsi ubriacare di chiacchiere da tutti i suoi amici e parenti, trascinato da una parte all’altra della Roadhouse come se fosse il giorno del suo compleanno e tutti avessero avuto un qualche augurio da fargli. Ognuno voleva dirgli qualcosa: sua madre che era orgogliosa di lui, Bobby che era “la fottutissima ora”, Jo che era felice che avesse trovato sé stesso, Rowena che era soddisfatta di essere stata la loro terapista di coppia, Missouri e Pamela che, entrambe, lo avevano visto accadere. Crowley gli aveva lanciato un’occhiata di sottecchi con il suo sorriso furbo e poi se n’era uscito con un “se ci hai messo così tanto a capirlo forse non è Sam il Testone”. Charlie aveva stretto le braccia al collo a tutti e due in un abbraccio tanto soffocante che se non fossero stati uno un’anima e l’altro un angelo probabilmente sarebbero svenuti per la mancanza di ossigeno.

Il resto era tutto in una nube di fumo; le voci ovattate, i colori sbiaditi. Dean ricordava solo che per tutto il tempo aveva cercato gli occhi di Castiel nel salone, incrociandoli una volta mentre parlava con Ellen, una mentre parlava con suo padre, una mentre parlava con Bobby. Sembrava tranquillo, a suo agio, anche se la sua pelle continuava a brillare, quasi che il suo tramite fosse incapace di trattenerne tutta la grazia. L’aveva notato anche mentre cantava, e poi quando gli aveva detto che lo amava. Era bello in maniera devastante. 

Per tutta la sera erano stati sballottati da una parte e dall’altra, presto le conversazioni si erano spostate su altri argomenti, tutti avevano alzato un po’ il gomito a forza di pinte di birra, e gli zuccheri delle crostate non avevano certo aiutato a mantenere bassi i livelli di euforia. Prima che potessero accorgersene la serata si era trasformata in una gara canora, con la povera band che doveva sopportare le peggiori richieste. Dean aveva vissuto tutto in una bolla finché Castiel non era finalmente riuscito a farsi strada verso di lui, e gli aveva porto una fetta enorme di crostata alle mele. Non si erano detti niente: l’uomo l’aveva ringraziato e si era abbuffato, come al solito. Tutto sembrava così naturale, così normale, che Dean non riusciva quasi a credere che avesse aspettato tanto ad accettare quello che provava per paura che qualcosa cambiasse. Come avrebbe potuto cambiare? Dirlo ad alta voce o meno non cambiava la natura del loro rapporto, erano sempre gli stessi, e Dean avrebbe aperto squarci tra i mondi adesso come prima pur di recuperare il suo angelo, anche a costo di disintegrare l’universo. 

Quando tutti avevano iniziato ad andarsene, a gruppi più o meno piccoli, Dean aveva ringraziato Ellen e Jo per la splendida serata, abbracciato sua madre e fatto un cenno col capo a suo padre, scompigliato i capelli di Charlie e poi raggiunto Castiel sulla porta. I due si erano diretti in silenzio verso l’impala, come avevano fatto altre mille volte. Nessuna stranezza, nessuna incomprensione, almeno per una volta. 

 

L’uomo e l'angelo entrarono in macchina insieme come se fosse una cosa scontata, senza neanche averne discusso prima.

Castiel si schiarì la voce. «Dove vorresti andare, Dean?» 

«Non saprei, Cas… battiamo la strada come al solito, che ne pensi?»

L’angelo tentennò. «Ti fidi di me?»

Dean alzò gli occhi su di lui, confuso da quella domanda. Le sue iridi verdi incontrarono i pozzi azzurri di Castiel, vibranti e brillanti di vampate di grazia. Sul volto del serafino c’era un’espressione serena e divertita insieme.

«Che vuoi fare?», gli chiese sospettoso.

«Rispondi prima alla mia domanda»

Dean assottigliò lo sguardo. «Certo che mi fido di te, ma—»

Non finì la frase, Castiel gli sfiorò appena la fronte con due dita della mano e in meno di un battito di ciglia tutto fu prima invaso da una forte luce azzurrina e poi l’impala si materializzò su un selciato di piccole pietre grigio perla circondato da grosse piante di lavanda profumata. 

Dean sbatte le palpebre più volte, e si rese conto che doveva avere sul viso un’espressione demenziale. Si guardò intorno cercando di capire dove si trovasse, poi guardò Castiel.

«Mi hai appena teletrasportato— dove, di preciso?», chiese, poi scosse la testa. «Lo sai che quando mi—»

«Non accadrà niente al tuo apparato gastroinstestinale, Dean», lo rassicurò Castiel, garantendosi un’occhiataccia in risposta.

«Sarà meglio per te», lo minacciò l’uomo, ben poco credibile. «Dove siamo?»

«In Provenza», rispose l’altro. «O meglio… in una parte del Paradiso che riproduce la Provenza», si corresse. «È quasi l’alba, guarda», gli indicò poi con un dito oltre il finestrino. 

Dean guardò in quella direzione; una luce delicata iniziava a filtrare dall’orizzonte frastagliato. Senza aggiungere una parola, si liberò della cintura che aveva inutilmente allacciato e uscì dall’auto, stregato dal profumo e dal panorama ancora immerso nel buio brumoso e umido del primo mattino. In un fruscio Castiel gli fu accanto, i lembi del suo impermeabile sfioravano il braccio di Dean, abbandonato sul fianco. A quanto riusciva a vedere nella notte che piano piano si rischiarava, si trovavano sulla cima di una collina, circondati da centinaia di metri di lunghe strisce di cespugli di lavanda. Il dolce versante si perdeva in una piccola vallata, interrotta di netto da quella che sembrava una scogliera che si gettava su un’enorme macchia scura e densa, da cui saliva un leggero, lontano sciabordio. L’uomo roteò su sé stesso, per guardarsi intorno quanto poteva. Fiori e piante si estendevano a vista d’occhio e dietro la sua Baby si apriva morbida catena di monti, che non riusciva a distinguere perfettamente. Alla sua destra si allungava una strada e alla sua sinistra, proprio davanti all’auto, si trovava un piccolo cottage di pietre coperte di uno strato erbacee, chiuso da uno spesso tetto spiovente. 

Dean posò gli occhi su Castiel. «Ma che…»

«Ti ho derubato del tuo primo tramonto in Paradiso, speravo di poterti regalare un’alba che potesse sostituirlo degnamente…»

L’uomo si sentì riempire di calore. «Cas—»

«Ti ho anche portato della crostata avanzata», sorrise l’angelo. «Che ne dici se ci sediamo sul tettuccio e ci godiamo lo spettacolo? Questo è uno degli angoli di Paradiso che preferisco per guardare l’alba»

«Dico che è un’ottima idea!», concordò Dean afferrando il contenitore di polistirolo e lanciandolo sul tettuccio prima di issarcisi a sua volta.

Piano piano il silenzio della notte si riempì dei suoni del risveglio; gli uccellini iniziarono a cinguettare, così come le api iniziarono piano piano ad accorrere in piccoli sciami sui fiori schiusi e pieni di polline. L’aria fresca iniziò a intiepidirsi a contatto con i primi raggi solari che fecero esplodere il cielo di un rosa tanto intenso quanto Dean non l’aveva mai visto. Piccole nuvole soffici riflettevano la luce, rifrangendola in tante sfumature diverse di rosso e violetto, accendendo l’intero mondo di colore. Piano piano il panorama si fece più nitido; in fondo alla collina non si apriva propriamente una vallata, ma una piccola gola di sabbia chiarissima, racchiusa da bianche rocce calcaree trapuntante di piccoli cespugli di lavanda che si facevano via via più fitti, fino a coprire in onde lillà l’intera terra emersa intorno a loro. Il piccolo lembo di mare che si intravedeva aveva il colore più turchese che si potesse immaginare, ed era tanto limpido e calmo che anche a distanza Dean riusciva a intravedere il fondale sabbioso. Le montagne alle sue spalle erano verdeggianti, coperte da macchie boschive di svariate tonalità di verde. 

Il sole stava lentamente sbucando da dietro la collina vicina, anch’essa coperta di splendide piantagioni di lavanda, e filtrando tra i fiori e le foglie creava un gioco di luci e ombre su tutto ciò che iniziava a illuminare, compreso il volto di Castiel. Dean si voltò a guardarlo mentre se ne stava in silenzio, rapito dallo spettacolo della natura, e a sua volta fu rapito. Quante volte, si domandò, aveva frenato il suo sguardo in momenti come quello? Quante volte aveva sfiorato il viso di Castiel e l’aveva guardato con la stessa espressione che immaginava di avere in quel momento, e non se ne era accorto? Quante volte aveva iniziato a pensare a quanto fosse affascinante, e si era fermato prima di concludere il pensiero? Quante volte aveva semplicemente sorriso fino agli occhi, guardandolo? E quante volte, ancora, gli era sembrato così naturale, così semplice, così innato, trovarsi vicino a Castiel senza dire niente, semplicemente condividendo un momento. Quasi fosse stato attirato dal suono rumoroso dei pensieri di Dean, il serafino si voltò a guardarlo e gli sorrise, addentando un pezzetto della sua crostata e tornando a fissare gli occhi sull’orizzonte.

Presto tutto fu inondato di luce. Il rosa del cielo si confuse con l’azzurro, il sole comparve del tutto oltre l’orizzonte e la brezza mattutina iniziò a soffiare tra i fuscelli di lavanda, riempiendo l’aria di un profumo inebriante. Insieme al vento si alzarono anche delle piccole onde sulla battigia, in fondo alla gola sabbiosa, increspandosi e ritirandosi in una candida schiuma. Tutto intorno a loro era viola, bianco e verde, anche la casetta a fianco all’auto: quello che inizialmente Dean aveva creduto fosse uno strato di edera, non era che un manto di gelsomino fiorito che abbracciava le pietre fin quasi al tradizionale tetto di paglia. Due piccole finestrelle riflettevano il cielo e il paesaggio, mentre una bella porta di massiccio legno dipinto di bianco nascondeva del tutto alla vista l’interno. Dean chiuse gli occhi, inspirò a fondo quell’aria serena, quei profumi fioriti, e si lasciò avvolgere dalla tiepida sensazione del sole sulla pelle. Uno sbadiglio lo sorprese mentre si stava stiracchiando beatamente.

«Devi essere stanco», osservò Castiel.

Dean ridacchiò. «Niente a cui non sia abituato»

L’angelo lo guardò piegando un po’ la testa di lato. «Puoi riposare se vuoi, la casa è a tua disposizione»

L’uomo alzò un sopracciglio, guardandolo di sbieco. «In che senso “a mia disposizione”?»

«Nel senso che è tua»

Dean non si lasciò neanche il tempo di processare l’informazione. «Mia

«Sì, Dean… se la vuoi, ovviamente», si corresse poi il serafino, temendo di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato.

«Cioè tu mi hai regalato una casa?», disse Dean ancora sconvolto, «è questo che stai dicendo…»

Castiel lo guardò incerto. «Beh, tecnicamente il Paradiso è pieno di case sfuse, ma questa l’ho scelta l’ultima volta che sono venuto, nel caso in cui—», si schiarì la gola. «È tua, se la vuoi…»

L’uomo la guardò con gli occhi ancora pieni di stupore. «Cazzo sì!», esclamò poi, balzando giù dalla macchina. «Ci schiaccerò il pisolino più pacifico di tutta la mia vita… beh, più o meno», disse facendo la sua tipica faccia buffa, per poi dirigersi svelto vero il portone.

L’angelo gli sorrise. «Ti aspetterò qui»

Dean si fermò a metà passo e si volse. «Come scusa?»

«Non vorrei essere inquietante…», rispose Castiel con semplicità.

L’uomo lo guardò storto. «Tu non dormi più», disse poi come se fosse un’ovvietà a cui non aveva pensato. «Di nuovo»

Castiel fece spallucce e scese dalla macchina a sua volta. «La cosa ti turba?»

«Beh, no, ma io ho bisogno di riposo sicuramente…»

«Non preoccuparti per me», rispose il serafino. «Mi godrò il paesaggio e controllerò che non ci siano problemi in Paradiso»

Dean lo guardò, poi posò lo sguardo sulla casa, sul panorama e poi di nuovo su Castiel. Si morse un labbro e si torturò le mani. Perché era ancora così difficile esprimersi, pensò? Perché non poteva semplicemente fare come aveva fatto mille volte con chissà quante donne? Prese un respiro profondo, tossicchiò e poi gli piantò gli occhi nei suoi. «Vorrei che entrassi anche tu», disse.

«Ma io non—»

Dean sbuffò. «Senti, Cas… non rendere le cose difficili, okay? Vieni dentro… per favore»

Castiel annuì e lo seguì senza aggiungere una sola parola.

 

*****

 

Quando Dean si svegliò, gli ultimi raggi del pomeriggio stavano danzando sulle finestre del cottage. Si stiracchiò e si rigirò sul divano un paio di volte, strofinando il viso sul cuscino ruvido, prima di alzare la testa e guardarsi intorno con un’occhio chiuso e uno semi aperto. I capelli scompigliati gli davano un’aria sbarazzina. 

«Cas?», chiamò in un suono rauco e assonnato. Ricordava che quando si era addormentato l’angelo era seduto sulla poltrona all’angolo della stanza, ma non c’era più. «Cass!», chiamò ancora, inutilmente. Con un grugnito si sforzò di trascinarsi in piedi e si stropicciò gli occhi con le mani, nel tentativo di liberarli dal sonno, poi sbadigliò.

A passo lento girò in tondo nella stanza; era un salottino tutto sui toni del bianco e del legno, con linee morbide e calde, travolte dalla luce del sole, che si univa a una piccolissima cucina composta da mobiletti e pensili, dei fornelli in ghisa e un ampio acquaio di ceramica che si affacciava su una finestrella aperta verso la distesa di lavanda. Al centro della stanza, quasi a dividere gli ambienti, si trovava un bel tavolo da pranzo in un legno grezzo reso lucido da un bello strato di cera, probabilmente ricavato da un vecchio tavolo da lavoro di un fioraio. Dean si guardò intorno corrucciato ancora un po’, prima di accorgersi dal bigliettino lasciato sul ripiano, scritto in una calligrafia disordinata.

«“Torno presto”», lesse ad alta voce.

Con una scrollata di spalle si stiracchiò di nuovo, e vagò in cerca del bagno per darsi una rinfrescata. Trovò un piccolo disimpegno, una specie di tozzo corridoio che dava su un paio di porte laterali e su una porta finestra sul fondo da cui si vedevano un patio coperto, altri filari di lavanda, quello che sembrava un pozzo di pietra tipicamente medievale e le morbide montagne verdeggianti. Osservò un po’ il panorama, poi scelse una porta a caso e si trovò davanti una camera da letto.

Istintivamente, stupidamente, si sentì arrossire. La stanza era grande e luminosa, con il tetto leggermente spiovente che andava a chiudersi su una parete interamente di pietra contro cui era poggiato un bel letto matrimoniale dall’aspetto morbido e fresco, ai piedi del quale si trovava un baule verde, vintage, che faceva insieme da panca e probabilmente da spazio per conservare biancheria. Al lato della porta si estendeva un armadio di legno alto fin quasi al soffitto che conduceva lo sguardo verso una larga finestra ad arco divisa in tanto riquadri da listelli di legno verniciato di bianco e leggermente schermata da lunghe tende semitrasparenti. Ma non erano i classici elementi d’arredo come i comodini, la poltrona dall’aspetto comodo a fianco al letto, il tappeto chiaro accuratamente posato sul pavimento in parquet o il ventilatore a soffitto a farlo arrossire, quanto piuttosto la spropositatamente grande vasca da bagno di ceramica sotto la finestra. Attratto, con la mente che correva a tutte le sue passate notti di divertimento in un misto di imbarazzo e compiacimento, si avvicinò per osservarla da vicino. Era una di quelle tipiche vasche in stile francese, con i piedini, il miscelatore, il tubo e il soffione in ottone dorato, ed era perfettamente a portata di sguardo sia dal letto che dalla finestra, oltre che, si accorse voltandosi per osservare la stanza da quell’angolatura, dall’enorme specchio a muro che rifletteva tutto sulla parete opposta. Le immagini delle sue fantasie, nascoste tanto a lungo nei meandri della sua mente, esplosero tutte insieme, accendendogli un sorriso sghembo sul viso. Vide, come una scena ripresa da una telecamera che scivola sul riflesso nello specchio, la vasca piena d’acqua ormai fredda e bolle di sapone,   delle impronte bagnate sul pavimento, un cumulo di vestiti sulla panca, delle lenzuola scomposte e umide abbandonate qua e là, e infine due corpi nudi inginocchiati sul materasso, confusi in un abbraccio. Fu quando il suo sguardo reale incontrò quello di Castiel nell’immagine riflessa dello specchio, e si rese conto che non era lo stesso Castiel avviluppato a lui sul letto prodotto dalla sua immaginazione, ma quello vero che lo salutava sorridente oltre il vetro della finestra con un sacchetto in mano, che si riscosse dalla sua fantasia e le sue guance si fecero paonazze. Dean sbatté le palpebre, deglutì e si passò una mano sul viso, forzando un sorriso scemo e ricambiando il saluto nello specchio. Poi Castiel fece segno con l’indice verso il lato della finestra, a dire che avrebbe fatto il giro per entrare in casa, e lui si sforzò di comportarsi normalmente, come se non avesse appena dato libero sfogo alle sue fantasie. 

Il portone d’ingresso sbatté, «Ho preso del cibo», dichiarò Castiel a voce alta. 

Dean sorrise, sbucò dalla stanza con solo la testa e un’espressione eccitata a nascondere la sua reale agitazione e incrociò lo sguardo dell’angelo, in piedi davanti al tavolo.

«Pensavo potessi avere fame», continuò Castiel con un sorriso incerto, indicando a braccia aperte il cibo sparso sul ripiano.

Dean annuì e gli mostrò il pollice alzato. «Spero che ci sia anche qualche bella birra ghiacciata»

Il serafino sollevò una cassetta con un’espressione compiaciuta, e Dean schioccò le labbra. «Questo è il mio angelo!», esclamò, godendosi il baluginio luminoso che si accese per un istante sulla pelle di Castiel. «Vado a darmi un lavata e arrivo! Non iniziare senza di me, eh!», scherzò.

Con un passo svelto si precipitò oltre la porta difronte, che era effettivamente quella del bagno, e se la chiuse alle spalle con un colpo deciso. Con tutto il peso franò sul lavandino, poggiando le mani sui bordi e lasciando cadere la testa in avanti tra le spalle con gli occhi persi sul miscelatore, e inveì tra sé e sé. Tutto il suo corpo era invaso da pulsazioni.

Doveva calmarsi, questo era certo. Aveva dentro una confusione che mai aveva provato: eccitazione, euforia, emozione ma anche paura, imbarazzo, incertezza. Se si fosse trovato in un terreno conosciuto, e al posto del suo migliore amico, peraltro un serafino fatto di sei ali, luce e catene di occhi nel corpo di un prestante uomo in impermeabile ci fosse stata una qualunque ragazza, non avrebbe esitato un attimo a mettere in atto le sue fantasie più sfacciate. Dopotutto l’aveva fatto centinaia di volte: era Dean Winchester, prendeva ciò che voleva nel momento in cui ne aveva voglia, e niente e nessuno era mai riuscito a impedirglielo. Ma quella era tutta un’altra storia.

Aprì il getto d’acqua con un movimento secco, e gettò il viso nell’acqua fredda nell’intento di frenare il suo spirito. Castiel non era una persona qualunque. Non che sarebbe stato più semplice se fosse stato un ragazzo qualsiasi appena incontrato, ma sicuramente non ci sarebbero state tutte le altre variabili che interferivano tra lui e la realizzazione dei suoi desideri. Certo, in una situazione diversa probabilmente non ci avrebbe pensato due volte, sarebbe uscito dal bagno e avrebbe infranto il proprio corpo contro il suo seguendo le sue pulsioni più basse, ma con Castiel… non poteva. Gli aveva detto che lo amava, e sicuramente quello era stato un grande passo avanti, ma non avevano avuto modo di parlare veramente e di confrontarsi. C’erano undici anni di amicizia, un lungo arco se paragonato a tutte le relazioni che Dean avesse mai avuto, e tante cose non dette a frapporsi tra loro, che rendevano l’uomo più nervoso di quanto non fosse mai stato nel trovarsi solo con qualcuno per cui provava qualcosa. Ma a pensarci bene, il punto era proprio quello: è vero, aveva amato Lisa, e aveva provato forti emozioni per molte altre donne, ma quello che provava per Cas era diverso. Una sorta di riconoscimento, di comunione, di amore totalizzante che non aveva neanche capito di provare finché non ci aveva sbattuto la faccia. 

Si spruzzò altra acqua sul viso, lanciò uno sguardo di sfuggita alla doccia in fondo alla stanza. Una nuova valanga di immagini gli apparve dietro agli occhi; due corpi uniti, l’acqua corrente, piccole nuvolette di schiuma sparse qua e là sulla pelle umida e accaldata, lui appoggiato con gli avambracci contro le piastrelle bianche del muro, Castiel… 

Si riscosse, e grugnì di nuovo. Il suo subconscio era chiaramente stanco di frenarsi, ed essersi finalmente liberato del blocco emotivo che gli impediva di usare le parole per esprimere ciò che provava doveva aver tolto il tappo al filtro della sua immaginazione. O magari era il profumo dei fiori che lo stava drogando e inebetendo. Si guardò allo specchio con un’espressione stranita, mista di gioia e ansia, poi prese un respiro profondo e si passò le mani tra i capelli. 

Da quando aveva iniziato a pensarci, si era reso conto di una cosa: aveva sempre trovato Castiel attraente, ma anche spaventoso allo stesso tempo. Lui era un uomo, un umano, fragile e mortale, che poteva essere spezzato con il solo schiocco di due dita, mentre l’altro era una creatura celeste, alta come il Chrysler Building, dotata di piume, ali, molti occhi e molta luce, eterna per natura. Solo quando Castiel era stato umano per un po’ Dean si era lasciato effettivamente andare a qualche emozione in più, e aveva sentito qualcosa di diverso. Aveva sentito dentro di sé una possibilità, ma l’aveva frenata prima ancora che il pensiero si formasse davvero nel suo cervello, e alla fine l’occasione era andata persa. A parte quel fugace, singolo e relativamente breve momento, lui e Castiel non erano mai stati fatti della stessa pasta, almeno fino a quel momento. Dean era mortale, ma l’angelo no; la possibilità che si innamorassero era infinitesimale, eppure era successo, ma viaggiavano su due binari troppo distanti per potersi incrociare. O almeno, Dean l’aveva percepito a volte. Ma adesso lui era morto, eternato dalla stessa condizione di essere un’anima e non più una creatura terrena, e Castiel era un angelo, eterno e immortale per sua stessa fattezza. E a quanto pareva in Paradiso non c’era assolutamente niente di immateriale, anzi, a giudicare dalle risposte del suo corpo alle sue stesse fantasie, si sentiva ben più tangibile di quanto ricordasse di essere mai stato. Non c’era nulla che potesse frapporsi tra loro, se non la sua stessa paura di mettersi a nudo, letteralmente e figurativamente.

«Un passo alla volta…», si disse allo specchio.

La voce di Castiel gli giunse dalla cucina, spaventandolo. «Per cosa?»

«Ma che caz—», tossì. «Niente, stavo… mi stavo ricordando le battute di un film!», mentì.

Ci fu un attimo di silenzio. «“Un passo alla volta, un pugno alla volta, una ripresa alla volta”?», sentì dire poi a Castiel. «È di quel film con le dentiere e quell’attore muscoloso con il naso storto che si prende a pugni con la gente?»

Nonostante tutto quello che succedeva dentro di lui, gli venne da ridere. «Creed», confermò Dean a voce alta. «Te l’ho fatto vedere…»

Quel piccolo scambio così quotidiano, così normale, lo confortò. Si dondolò sui piedi un paio di volte e uscì dal bagno, avvicinandosi al tavolo della sala dove Castiel si era seduto capotavola in contemplazione dell’etichetta della birra davanti a lui.

«Ehi!», lo salutò Dean.

«Ehi», rispose l’angelo. «Dormito bene?»

«Non mi lamento»

Dean scostò la sedia di fronte a dove era seduto Castiel per sedersi, ma ci ripensò e scelse quella al suo fianco. «Che hai preso?», chiese.

«Sono… uhm, baguette con del… formaggio e… carne marinata e… miele, credo? E poi…»

Dean iniziò subito a rovistare nella busta. «Cibo, perfetto, grazie Cas»

L’angelo gli sorrise. «Come stai, Dean?»

«Alla grande», rispose l’uomo, stappando prima una birra per Castiel e poi una per sé. «E intendo… davvero, alla grande»

«Mi fa piacere»

Dean addentò il suo panino e sbirciò in direzione dell’angelo; ci mise un attimo di stupefatta curiosità per rendersi conto che Castiel era nervoso quasi quanto lui.

«E tu?»

Il serafino alzò gli occhi azzurri, aperti e sinceri, colmi di una strana emozione. «Non penso…», chiuse le labbra, se le morse, abbassò lo sguardo sulla baguette fra le sue mani e poi di nuovo su Dean. «Non penso di essere mai stato tanto felice», confessò.

Dentro di sé, l’uomo sentì il suo cuore battere più forte e la testa gli si fece leggera. «Neanche io, Cas»

«Sono— sai… non vorrei, uh, metterti in difficoltà parlando di quello che— di ieri, ecco»

Dean sorrise a bocca piena. «Le difficoltà se ne sono andate tutte insieme su quel palco», gli rispose, mentendo parzialmente. Sicuramente si sentiva più libero e tranquillo, ma non era certo di essere completamente pronto per parlare di tutto quanto aveva dentro, anche se doveva provarci.

Castiel annuì. «Non credevo che fosse possibile»

«Cosa?»

«Che mi ricambiassi…», rispose. «Ero convinto che… tu… sai, che tu…»

Dean addentò un’altro morso. «Che mi piacessero solo le donne?»

«Sì», ammise. «In parte, almeno»

«In parte cosa?»

Il serafino era titubante. «Pensavo che comunque, tu mi considerassi solo un amico»

«Il mio migliore amico, ad essere sincero…», lo corresse Dean, guardandolo di sottecchi e buttando giù un sorso di birra. «E con questo?»

Castiel aggrottò la fronte. «Pensavo che voi umani… gli amici… non sono due cose diverse?»

«Dipende» Dean deglutì, posò la baguette sul tovagliolo e si appoggiò con i gomiti sul tavolo, fissando l’angelo dritto negli occhi. «A volte l’amicizia è diversa dall’amore, a volte sono la stessa cosa, spesso c’è amicizia senza amore… o amore senza amicizia e poi— beh, a volte ci sono entrambe…», disse guardando in alto come in cerca di ispirazione. «È un po’ complicato»

Castiel sembrava confuso. «Tutta questa cosa delle emozioni… è strana per me, per noi… come angelo…»

L’uomo fu colpito da un dubbio improvviso. «Non… non provi… più…?»

Il serafino alzò gli occhi su di lui, con la bocca socchiusa dallo stupore. «No, io, cioè, sì! Io…io ti amo, Dean, assolutamente…»

Inutile quante volte Dean si fosse rigirato nella mente il ricordo di quando Castiel glielo aveva detto, sentirglielo ripetere con tale facilità lo fece sentire di nuovo come se fosse sul punto di svenire.

«Voglio dire…», ringhiò Castiel sottovoce, «…per gli angeli le emozioni sono… diverse, credo. Quando sono stato umano era tutto… più…»

«Intenso?», provò Dean.

Castiel lo guardò. «Al contrario… delicato», disse.

Dean aggrottò la fronte. «Quindi pensi che i sentimenti umani siano meno forti di quelli angelici?»

«No…», rispose Cas, «…forse, credo, siano più… mescolati»

L’uomo annuì, guardò un attimo il cibo davanti a lui e bevve un altro sorso di birra, poi posò lo sguardo su Castiel con le labbra assottigliate in un’espressine pensosa. «Sai, Cas… noi umani siamo un casino… penso che tu l’abbia capito ormai. Siamo confusi, e ottusi, e bloccati da tante stronzate che ci raccontiamo fin da bambini e poi ci sono… beh ci sono i traumi, e a volte le emozioni, si… beh, si confondono, si mescolano… per tanto tempo ho pensato che tu… uhm, che fossi solo un amico ma poi… sai, soprattutto nell’ultimo periodo, prima che— quando abbiamo litigato, ho iniziato a pensare— e poi te ne sei andato e io… insomma—», le parole faticavano ad uscire, così si schiarì la gola e riprovò. «Sei morto molte volte», disse. «Più di quante ne potevo sopportare. E ogni volta… ogni volta è stato peggio. Quando Lucifero ti ha ucciso e sei stato via… quanto? Due settimane? Sono diventato… autodistruttivo. Bevevo, ero cattivo, riversavo sul ragazzo e su Sam tutta la mia frustrazione e non riuscivo neanche a… a dire che eri morto— il solo pensiero mi tormentava…», bevve di nuovo. «…è da allora che ho veramente iniziato a intuire qualcosa ma non— ho schiacciato il pensiero in fondo, l’ho nascosto, mi sono raccontato che mi mancavi perché eri il mio migliore amico…» 

Dean schioccò le labbra e alzò le sopracciglia in un’espressione sprezzante. «Poi sei tornato, poi abbiamo litigato, poi fatto pace, poi abbiamo litigato di nuovo… insomma, lo sai da solo, è la storia della mia vita…», rise senza gioia. «E poi abbiamo scoperto di Chuck, e tutto mi è sembrato perduto, ho pensato: “è tutta una farsa, siamo solo pedine, non posso comandare ciò che sento, è solo un gioco”… ma tu mi hai detto che di tutto quello che era successo e sarebbe potuto succedere, eri certo che una cosa almeno fosse reale, e che quella cosa fossimo noi…»

«Dean», lo interruppe Castiel. «Sapevo che eravamo reali… ti ricordi quando ero sotto l’influenza di Naomi?»

L’uomo annuì e ridacchiò. «Stavi per farmi fuori una volta per tutte…»

«Sei stato tu», disse, «Sei stato tu a rompere la connessione… Naomi mi aveva ordinato di ucciderti e io non rispondevo del mio corpo… era lei a controllarlo io ero… ero nel suo ufficio che cercavo di riprendere il controllo ma non… non riuscivo e poi… mi è arrivata la tua voce— hai detto, “ho bisogno di te”… e io l’ho seguita, e sono tornato da te… tu hai rotto la connessione»

Dean sorrise. «Lo sapevo, in realtà… o meglio, l’avevo capito. Dopotutto hai lasciato un esercito di angeli… per un solo uomo, per me…»

«Se è per questo sarei stato pronto a bruciare tutto il Paradiso, l’Inferno e la Terra, per te…»

L’uomo lo guardò di sottecchi, poi sospirò. «Quando ero più giovane sapevo che sarei morto con la pistola in mano…», iniziò. «…sapevo che la mia vita sarebbe finita più o meno come era iniziata, nel dolore. E sapevo che non potevo aspirare ad altro e che… presto o tardi, una pallottola o una zanna mi avrebbero preso e, boom, chiuso. Ed effettivamente è successo più di un paio di volte…», scherzò. «…sono tornato in vita più volte di quante mi piaccia ammettere, e ogni volta sono tornato con una speranza nuova… sapevo che la vita perfetta, che “il sogno americano”, non erano per me… o per Sammy, e che in ogni caso mi avrebbe aspettato un futuro burrascoso come tutta la mia vita, ma ho iniziato a pensare, sai… che forse meritavo anche un po’ di serenità e che… che magari l’avrei trovata con qualcuno… qualcuno come me— qualcuno che capisse la mia vita…», disse.

Castiel lo guardava in silenzio, con uno sguardo tra la contemplazione e l’ascolto sul viso. Dean distolse lo sguardo e lo fissò sul vuoto davanti a sé: se si fosse concentrato sul viso dell’angelo non sarebbe riuscito a dire quello che voleva.

«Ho visto Sam e Eileen e ho pensato… “ecco, ecco cosa voglio”… e quando Chuck ha confermato che lui non aveva previsto niente di tutto ciò per loro… per… per tutti noi, intendo… i sentimenti, le emozioni… che su questo noi eravamo… sfuggiti ai personaggi, per così dire, ho iniziato a capire… più o meno… e ho pensato che se tutto fosse andato bene, magari, avrei potuto andare in pensione, sopravvivere e… andare, non so, su una spiaggia a godermi il resto degli anni, con Sam… e con te», continuò. «Poi Chuck… lui ci ha mostrato il futuro, beh, quello che lui voleva farci vedere almeno… e se l’avessimo ucciso, uhm… secondo lui se l’avessimo sconfitto, insomma, alla fine il mondo sarebbe andato nel caos… lo stronzo non immaginava che avessimo Jack pronto a prendere le redini dell’universo, idiota…», rise, «…e in ogni caso non lo sapevamo neanche noi, quindi quel prospetto sembrava anche troppo reale… ma, insomma, lui ci ha mostrato il futuro e in quel futuro tu… tu non c’eri— avevi dovuto prendere il marchio di Caino ed eri impazzito e io avevo dovuto… chiuderti nella gabbia Malak’ e…», fece una pausa per raccogliere le idee.

«Oh, Dean—»

Lui gli piantò di nuovo gli occhi sul viso. «E… avevo perso la luce. Ero pronto ad arrendermi, non vedevo più un motivo per combattere, per il futuro, per… quella spiaggia. Ero con Sam, ma non aveva… senso, senza di te e, ricordo vivamente… in quel futuro dicevo che avevo pensieri suicidi, così come li aveva Sam dal momento che anche Eileen era morta e… ci arrendevamo, entrambi», disse. «…credo di non aver capito in quel momento, ma quel… quella vista mi è rimasta dentro, e quando sei morto davvero… ho capito— tutti i propositi, tutti i desideri di andare in pensione, tutto quel parlare di farla finita con la caccia, con le stronzate, con le cose pericolose… sono andati a puttane. Volevo soffocare il dolore nel lavoro, sapevo di nuovo che sarei morto con una pistola in mano, nessuna seconda occasione, nessun ritorno di fiamma… o almeno, lo credevo perché ti credevo morto, per sempre, definitivamente…»

«Dean—»

«No, non serve che ti scusi… ho capito, non importa, in ogni caso doveva andare così comunque…», disse. «…mi ero arreso, Cas», continuò. «Sam… Sam forse l’aveva capito, forse è per questo che mi ha lasciato andare, io… quando ho capito che stavo morendo, quando—», chiuse forte gli occhi per sopprimere il dolore che affiorava a quel ricordo, così tragico e liberatorio allo stesso tempo. «…non volevo lasciare Sam, razionalmente, ma… non vedevo più la luce nella mia vita, non vedevo più… te», soffiò. «E immagino di averci messo fin troppo tempo a capirlo, ma è stato in quel momento che ho chiuso il cerchio… tu hai sacrificato tutto per me e io… beh alla fine io ho sacrificato la mia stessa vita, per te… ho abbandonato Sam a chissà quale dest—»

«Sam sta bene», lo interruppe Cas tutto d’un fiato. «Sam ha… ha intrapreso un lavoro più organizzativo, di supporto ad altri cacciatori. Ha sposato Eileen, lei aspetta un figlio… stanno bene. Lui non piange dalla tua pira… sa che ti rivedrà in Paradiso, lo sento pregare… non devi, non devi preoccuparti per lui»

Tutta l’aria uscì dalle labbra di Dean, che si rese conto in quel momento di avere gli occhi pieni di lacrime. «Io… grazie, grazie di avermelo detto»

Castiel annuì con un sorriso gentile. Dean lo guardò e per un attimo i suoi occhi si posarono sulla sua mano abbandonata sul tavolo, a pochi centimetri dal suo gomito. Fu un impulso, uno slancio di un momento, ma senza pensarci ci posò sopra la sua. Al tocco della sua pelle fu percorso da un fremito, e vide chiaramente il bagliore fugace che emise il tramite dell’angelo; una luce dorata si diffuse su tutto il suo corpo e lo attraversò come un’onda. Dean combatté con tutto sé stesso contro l’istinto di spostare la mano, e la lasciò lì, immobile, incapace di fare qualunque movimento. I suoi occhi verdi sfiorarono tutto l’angelo davanti a lui, dall’attaccatura dei suoi capelli scuri alle iridi azzurre, e poi alle loro mani poggiate l’una sopra all’altra, per tornare su e soffermarsi sulle sue labbra leggermente chiuse. Si inumidì le proprie con la lingua, e sentì il cuore pulsare rumoroso nelle tempie.

«Se fossi tornato prima… se non fossi stato così… vigliacco», si incolpò Castiel, diventando cupo tutto d’un tratto.

«No…», rispose Dean, scuotendo la testa. «Non avrebbe potuto funzionare comunque… io ero un uomo, mortale, destinato a invecchiare e morire… e tu… tu sei una creatura divina, sei un angelo, sei… eterno—»

«Avrei…», Castiel mosse gli occhi veloce davanti a sé, guardando a destra e a sinistra a intermittenza, perso nei suoi pensieri. «Avrei potuto…», poi li fissò in quelli di Dean, umidi e spalancati. «Avrei potuto rinunciare alla grazia, sarei potuto essere… umano, come te, come Sam o Eileen»

Dean scosse la testa. «Non avrei mai potuto permettertelo—»

«E io non avrei dovuto permettere che tu morissi!», rispose Castiel.

L’uomo rise, e una lacrima gli scivolò sulla guancia. Se la pulì con la mano libera e poi, in una spinta di coraggio, strinse le dita intorno alla mano dell’angelo, che ricambiò la stretta. In meno di un secondo, le loro falangi erano intrecciate, e Dean sentiva delle scosse elettriche partire dal minuscolo lembo di pelle in cui il pollice di Castiel sfiorava il dorso della sua mano. Deglutì. «Siamo entrambi due imbecilli, un mix di egoismo e autoannullamento…», esordì Dean, pensoso. «…non riesco a ricordare quante volte mi hai proposto di accompagnarmi in una missione suicida, e viceversa, e quante volte ci siamo impediti l’un l’altro di sacrificarci a vicenda, per poi farlo lo stesso, con la consapevolezza che facendolo… avremmo distrutto l’altro… tu l’hai fatto», lo accusò senza rabbia. «…te ne sei andato, mi hai lasciato dopo esserti tolto un peso dal petto e non mi hai dato modo di risponderti, di… metabolizzare— avrei voluto che avessi avuto il coraggio di dirmelo prima…»

«…avrei comunque attirato il Vuoto, mi avrebbe comunque portato via, e non ti avrei salvato, nel farlo, non avrei fatto un sacrificio utile…»

Dean aggrottò la fronte. «E cosa sarebbe successo se io avessi avuto un’epifania, avessi aperto gli occhi e avessi scatenato la tua felicità, inconsapevolmente?»

«Immagino che sarebbe stato ancora peggio… non ho idea e non oso pensare… ma se io non avessi avuto la mia grazia, se fossi stato umano, il Vuoto non avrebbe potuto prendermi… se non fossi stato tanto egoista da cercare a tutti i costi di riavere i miei poteri… forse avremmo…», chiuse gli occhi. «…ma mi sentivo inutile, un fallimento— ero convinto che tu non vedessi in me altro che un’arma, e non volevo che… tu mi avevi allontanato quando ero umano, come spazzatura—»

«Era solo per Sam… o meglio, per Gadreel, lui… io… ho commesso un errore, okay? Non ho mai pensato che fossi inutile quando eri umano, anzi io… per un momento ho pensato che non essendo più un gigante di luce immortale forse… cioè non l’ho pensato, ma l’ho sentito, non so se abbia senso… ma quando ti ho accompagnato a casa di quella tua collega, e ti ho detto di toglierti quell’orribile panciotto e di sbottonarti un po’ la camicia… l’ho sentita l’attrazione e ho sentito… una possibilità… e ti assicuro che mi ha spaventato a morte, ma forse…»

«La storia non si fa con i “se” ed i “forse”», lo interruppe Castiel notando il sudore che gli imperlava la fronte. 

«No, infatti…», concordò Dean, tornando a guardare le loro mani unite. «…quello che è stato è stato. Adesso siamo qui… entrambi eterni… tu perché sei immortale, e io perché sono morto… e… beh, sì, io ti amo», disse, non senza un certo sforzo. «E forse non te lo dirò mai abbastanza e sicuramente non te lo dirò spesso, perché per me è difficile… usare le parole, ma spero di riuscire sempre a dimostrartelo»

«Già lo fai…», gli sorrise Castiel, dando una strizzata alle sue dita.

Dean annuì. «So che ci sono stati alti e bassi, che sono stato freddo e austero e meschino… vorrei mettere tutto questo alle spalle, senza dimenticare niente però… ogni attimo insieme mi ha… mi ha reso quello che sono adesso. Tu hai illuminato la mia vita e…», una folgorazione lo colpì mentre parlava, e scoppiò a ridere. «Sì, beh, immagino che il mio subconscio sapesse tutto questo molto prima di me…»

Castiel aggrottò la fronte. «Che…?»

Dean si perse nel ricordo offuscato che stava cercando di tirare fuori dalla nebbia. «Ti ricordi quando Chuck ci ha tolto la fortuna? Io e Sammy siamo finiti da Garth, c’era quel locale per i combattimenti tra mostri e…»

«Sì, tu e Sam avete ridotto il Bunker a un disastro… c’era pasta per terra in cucina e…»

«Esatto! Ecco, Garth mi ha sistemato le carie… a quanto pare, uno dei bonus dell’essere i favoriti di Chuck era non avere mai nessun problema fisico… avrei dovuto immaginarlo considerato quello che mangiavo—», pensò con un’espressione compiacente.

Castiel continuava a guardarlo con un sopracciglio alzato. «Sì, insomma, quando Garth mi ha addormentato ho fatto un sogno stranissimo, eravamo io e lui che ballavamo su una sorta di palco, poi lui è sparito e io mi sono messo a ballare da solo… con una lampada»

Lo sguardo eloquente di Dean fece intuire a Castiel che il racconto era finito, ma evidentemente non l’aveva capito. «Una lampada», ripetè senza inflessione.

«Sì… una lampada, una luce… ti ho detto che tu hai illuminato la mia vita, hai cambiato la prospettiva l’hai… stravolta, tu sei, inoltre, letteralmente fatto di luce… eri tu la lampada»

«Io ero una lampada? Dean… non sono una lampada»

L’uomo roteò gli occhi. «Era un indizio… evidentemente non ero ancora pronto per personificare quel sogno, e poi io e te eravamo distanti, avevamo litigato… Rowena era morta, Jack era morto e tu ti eri fatto sfuggire l’occasione di chiudere l’inferno e tutto era contro di noi e… insomma, lo sai… te ne eri andato, e io da bravo coglione che sono - che ero - ti ho lasciato fare e quando siamo stati da Garth ero ancora arrabbiato e comunque non ero pronto ad ammetterlo come pensiero razionale, forse… ma la lampada eri tu, sei sempre stato tu…»

Castiel ci pensò un attimo, poi lo guardò e sorrise.

«Ero pronto a “scaldarmi”, sai? Dopo il Purgatorio, ero pronto forse… se avessimo avuto più tempo… se il Vuoto non ti avesse preso, le tue parole, forse…»

«Mi dispiace che sia andata così»

Dean gli sorrise, e strinse la mano più forte. «A me no. Sam è sulla Terra e sta bene, con Eileen, e io sono in Paradiso, con te, e non sono mai stato meglio. Questo posto poi è una figata… molto meglio della spiaggia con i cocktail con l’ombrellino che mi ero immaginato…»

Castiel rise. «Che ne dici di vedere la spiaggia che c’è qui?»

Il volto dell’uomo si illuminò, e sulla faccia gli si dipinse un’espressione bambinesca, euforica. «Diamine sì!»




 

   
 
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