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Autore: My Pride    31/03/2022    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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And despite it all Titolo: And despite it all...
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 2039 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent

Rating: Giallo
Genere: 
Generale, Fluff, Sentimentale
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Easter Calendar: 13. X piange e ride contemporaneamente
Uovo di Pasqua: 
"Momento cruciale" || "Pizza"


BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    Jon si soffiò il naso mentre se ne stava avvolto in un plaid per scaldarsi, seduto sul divano con le gambe strette al petto e lo sguardo fisso sulla televisione.
    Era... assurdo. Semplicemente assurdo. Da quando era tornato da quella missione nello spazio e aveva contratto quello stupido virus che aveva amplificato le sue emozioni e alterato la sua temperatura corporea, Jon aveva avuto diverse reazioni in ordine di importanza.
    Prima ancora che si rendesse conto che c'era qualcosa che non andava, aveva sperimentato parecchie cose: aveva pianto tre volte alla vista di una pubblicità di gattini sul grande schermo del grattacielo principale di Vernon Plaza, urlato di rabbia contro un povero venditore di hot dog che aveva cercato erroneamente di rifilare della carne a Damian e riso sguaiatamente come un idiota alla vista di un tizio qualunque che, inciampando nella sua scarpa slacciata, era finito nel laghetto del Centennial Park.
    Quando erano tornati a casa e Damian, con un sopracciglio inarcato, gli aveva chiesto che cosa gli fosse preso e perché si fosse comportato in modo strano tutto il giorno, Jon aveva provato a spiegare che non era colpa sua, che il suo corpo era stato carico da quando era rientrato nell'atmosfera terrestre e che le radiazioni solari faticavano a disperdersi, così alla fine Damian aveva sollevato lo sguardo al soffitto e gli aveva dato dell'idiota per non averlo informato subito; usando il teletrasporto della Lega, erano andati alla Torre di Guardia e avevano sfruttato la tecnologia presente per capire che cosa gli fosse successo, ed era stato a quel punto che il macchinario aveva rilevato un'anomalia nella sua struttura organica e registrato quel virus che, per caso o per fortuna, attecchiva solo alle cellule aliene e non poteva essere trasmesso agli esseri umani.
    Ci erano volute altre tre ore sotto il raggio di controllo dello scanner per isolare del tutto il virus e capirne gli effetti, ore in cui Jon ne aveva nuovamente mostrato sintomi e dato sfoggio a sbalzi d’umore così alterati che era riuscito ad innervosire persino Barry. Durante la scansione, Jon aveva cominciato a parlargli a raffica e a fare battute talmente stupide sulla quantità di cibo che ingurgitava che Clark stesso - imbarazzato e tenuto a distanza per evitare di poter contrarre a sua volta il virus - aveva provato a farlo tacere, mentre Oliver aveva trovato la cosa stranamente divertente quando Jon gli aveva stato chiesto se usasse le frecce per compensare qualcosa.
    Quando avevano capito che quel virus avrebbe perso effetto da solo e Jon era scoppiato a piangere quando si era reso conto di ciò che aveva detto a tutti quanti, nessuno l’aveva biasimato, e Diana stessa, poggiandogli una mano su una spalla, gli aveva assicurato che sarebbe stato meglio in una settimana e che durante quei sette giorni avrebbe fatto meglio a starsene a casa; Jon si era subito alterato - il virus aveva anche quell'effetto, quindi se lo erano aspettato - e si era alzato in piedi per sovrastare la donna con la sua mole, ma lei, per nulla intimidita, gli aveva stretto il lazo intorno al busto quando aveva provato ad attaccarla e lo aveva rimesso al suo posto, il tutto sotto lo sguardo di Damian che, roteando gli occhi, alla fine aveva detto che Jon sarebbe stato sotto la sua responsabilità e che ci avrebbe quindi pensato lui. L’umore di Jon era cambiato così in fretta che la sua espressione era diventata la copia esatta di quella di un cucciolo di golden retriever a cui era stato detto di essere un bravo cucciolo e, con gli occhi luminosi e un sorriso a trentadue denti, si era facilmente liberato dal lazo per volare come un razzo da Damian e stritolarlo in un abbraccio, scusandosi in lacrime quando si era reso conto di aver quasi rischiato di rompergli le ossa.
    Cinque giorni, diciotto ore, ventidue minuti e trenta secondi dopo, Jon non ce la faceva più. Aveva davvero tentato di non uscire dall’appartamento che condivideva con Damian e a fare metaforicamente il bravo, ma aveva resistito ben poco e nella tarda mattinata del secondo giorno se l’era filata per gironzolare fra le strade di Metropolis senza una vera e propria meta; era stato Damian, uscito dal suo ufficio per la pausa pranzo, a riaccompagnarlo a casa quando lo aveva trovato a discutere fin troppo animatamente con uno dei dipendenti del Cafè Bistrot all’angolo della strada. Il motivo? Damian non lo aveva esattamente capito, ma a quanto sembrava aveva a che fare con qualcosa che riguardava una miscela di caffè e una discriminazione. Aveva fatto domande? Sicuro. Era riuscito a comprendere ciò che aveva detto Jon parlando a super velocità mentre tornavano a casa? Nossignore. Quindi aveva semplicemente deciso di non indagare oltre e aveva confinato a casa il suo stupido e malato fidanzato. Fidanzato che, in quel momento, stava piangendo come l’idiota che era mentre guardava Doctor Who in televisione.
    A metà del terzo giorno si era persino ammalato e il suo corpo aveva raggiunto i quarantadue gradi ma, essendo un mezzo kryptoniano che si ricaricava come una batteria ad energia solare, suo padre lo aveva rassicurato per telefono che era del tutto normale e che non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente, poiché il suo corpo stava semplicemente tentando di contrastare il virus attirando a sé quante più radiazioni possibili. Jon aveva preso quella spiegazione per buona, ma aveva passato il quarto giorno a letto in preda ai deliri della febbre, con Damian che gli passava una pezza bagnata sulla fronte e gli mormorava parole rassicuranti nel tentativo di calmarlo. Anche se adesso stava meglio e la sua temperatura era scesa di qualche grado, si sentiva terribilmente stupido con quelle emozioni che esplodevano dentro di lui per un nonnulla.
    «C’è ancora una piccola crepa nell’universo, e sta per chiudersi», si sentì dire in tv nello stesso istante in cui la porta dell’appartamento si aprì e Damian comparve sulla soglia, con in mano due scatole fumanti e la giacca sotto braccio mentre tratteneva uno sbadiglio.
    Avendo piena vista del divano, dato che l'ingresso affacciava proprio sul salotto, nel notare Jon raggomitolato là sopra sbatté le palpebre, sfilandosi le scarpe con un gesto secco dei piedi. «J? Ho portato la pizza, cosa stai--»
    «Shhh, è il momento cruciale!» Jon lo zittì immediatamente con più enfasi del dovuto - emozioni amplificate o cuore palpitante per ciò che stava vedendo? Difficile a dirsi - , stringendo il plaid fra le dita così convulsamente che poco ci mancò che lo strappasse, il tutto sotto lo sguardo scettico di Damian che, facendo qualche passo in soggiorno per poter dare un’occhiata, arcuò un sopracciglio nel rendersi conto che Jon stava guardando una serie tv.
    «Ci vuole un mare di energia per questa proiezione, sono vicino ad una supernova». Jon ripeté quelle parole in un mormorio sconnesso, facendo eco alla voce di David Tennant; ci fu una breve pausa, il labbro inferiore di Jon tremò ancor prima che la frase continuasse. «Sto bruciando un sole solo per dirti addio».
    La reazione avrebbe dovuto essere ovvia, eppure a Damian venne quasi un colpo quando Jon scoppiò a piangere così forte che per poco non gli caddero le pizze per la sorpresa, restando interdetto nel vedere il modo in cui Jon aveva cominciato ad asciugarsi convulsamente le lacrime con un angolo del plaid, gli occhi rossi e gonfi come se stesse piangendo da ore. Argh, maledizione. Damian si avvicinò con un sospiro e poggiò le pizze sul tavolino, gettando un braccio intorno alle spalle di Jon nel vederlo singhiozzare e sussultare mentre gli attori in tv si dicevano addio. Aveva riconosciuto lo show, lui e Jon lo avevano guardato anni prima e per quanto si fosse emozionato non aveva avuto quella reazione, ma a quel tempo non aveva nemmeno contratto uno stupido virus alieno che gli provocava tutte quelle sensazioni alterate.
    «Sono stupido? Oh, Rao, sì, sono così s-stupido». Jon tirò rumorosamente su col naso, cercando il fazzoletto per ripulirsi il moccio che gli era scivolato lungo una narice, bofonchiando. «Odio questo stupido virus, non voglio sentirmi così, io non… io…»
    «Jonathan». Damian lo mise subito a tacere, scoccandogli un’occhiata comprensiva. E difficilmente era comprensivo con qualcuno. «Sarebbe potuto succedere a chiunque. A tuo padre, a Manhunter, a tua zia Kara... se hai intenzione di scusarti di nuovo e piangere, non farlo. Non devi».
    Jon lo guardò tra le lacrime, sbattendo le ciglia per liberarle dalle goccioline che avevano appannato i suoi occhi «Sei così carino con me, D…» mormorò, con il labbro inferiore che gli tremava ancora. «Tu lo bruceresti un sole per me, D? Lo faresti?»
    «Bruciarne uno implicherebbe che potremmo doverci dire addio, J. Sarebbe più facile chiedermi se per te ucciderei», affermò con una vaga nota ironica che Jon non colse, visto il modo in cui i suoi occhi si illuminarono improvvisamente.
    «Sei un tale cliché. Mi piace». L’umore di Jon cambiò con la stessa facilità con cui solitamente si cambiava i calzini, tanto che, gettando il plaid sullo schienale del divano, si mise a cavalcioni su Damian con le mani sulle sue spalle, strusciandosi un po’ su di lui. «Mi eccita un sacco».
    Damian sbuffò ilare. «È il virus, J», gli rese noto, fissando le labbra martoriate di Jon. Le aveva raschiate tutto il tempo con i denti ed erano screpolate in più punti e, per quanto sentisse bene quanto Jon si fosse eccitato davvero, non era del tutto in sé e non aveva intenzione di fare qualcosa.
    «No, non lo è. Voglio farlo».
    «Anch’io, ma non adesso».
    «Perché? Scommetto che anche il sesso sarebbe amplificato».
    «Allettante, Jonathan. Ma non approfitterò del tuo stato emotivo alterato».
    Jon lo guardò per un lungo istante e assottigliò le palpebre, come se fosse pronto ad urlargli addosso imprecazioni che in circostanze normali non sarebbero mai uscite dalla sua bocca; persino il suo corpo era diventato bollente ma, contro ogni aspettativa, scoppiò a ridere mentre le lacrime avevano ricominciato a colargli lungo le guance, cercando di darsi un contegno con le spalle  scosse da sbuffi di risa e singhiozzi e parole che suonavano vagamente come qualche scusa.
    Con un sospiro, Damian gli strinse un braccio intorno ai fianchi e lo tenne contro di sé, ma Jon non riuscì a smettere. Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo, il suo corpo e il suo cervello ormai non rispondevano più ai suoi comandi e ogni cosa sembrava essere l’esatto opposto di quella che avrebbe dovuto essere, e quella reazione ne era stato un risultato fin troppo palese, dato che non c'era assolutamente niente da ridere. E Damian aveva una strana pazienza immensa se non si era ancora stancato di quegli sbalzi d’umore che Jon non riusciva minimamente a controllare.
    Dal canto suo, a Damian faceva male vedere Jon in quello stato. Sembrava una stupidaggine, un virus assolutamente idiota che non faceva altro che rendere le emozioni di qualcuno più forti del normale e provocava giusto un po' di febbre, ma il problema era proprio quello. Vivere con il corpo pronto a scattare come una molla e tutte le sensazioni caricate a mille non doveva essere per niente facile, e Jon aveva resistito fin troppo. Per uno come lui che esternava facilmente ciò che provava, che non aveva paura a mostrarsi arrabbiato, felice, intimidito o spaventato, ritrovarsi ad avere le emozioni amplificate era troppo anche per lui. E tutto ciò che poteva fare era soltanto stargli vicino, essere paziente e aiutarlo quando ne aveva bisogno.
    «...s-sono così s... s-stanco, D», riuscì a balbettare Jon tra quel pianto e quello scoppio di ilarità improvviso, strozzandosi un po' con la sua stessa saliva mentre tentava di deglutire e tirare su col naso, con gli angoli degli occhi lucidi per le lacrime e le risate. No, decisamente non doveva essere facile.
    «Ancora pochi giorni, J», sussurrò di rimando Damian, carezzandogli la schiena per cercare di calmarlo. E allungò una mano verso il plaid per sistemarlo sulle spalle di Jon, stringendo a sé quest’ultimo per dargli conforto per quanto possibile e coccolarlo fra le proprie braccia.
    Ancora pochi giorni e sarebbe andato tutto bene
.





_Note inconcludenti dell'autrice
E torniamo con un altro ovetto di Pasqua (prima di Pasqua qui avremo rotto un sacco di uova) con una storia scritta per l'iniziativa #EasterAdventCalendar indetta sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
La malattia è completamente stupida e inventata, era solo un pretesto per scrivere allegre sciocchezze fluffuose in cui Damian si occupava di un Jonno completamente instabile a livello emotivo. Ovviamente ci sono dei riferimenti all'episodio 13 "Doomsday" della seconda stagione di Doctor Who (nuova serie) perché io sono pessima e volevo dare una stilettata nel cuore a chiunque abbia visto quel determinato episodio e si sia commosso o abbia apprezzato quella determinata parte qui citata
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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