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Autore: Sasita    04/04/2022    3 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. La canzone che ispira questo capitolo, che in realtà inizialmente doveva essere il capitolo decisivo per il rapporto... diciamo fisico tra i nostri due eroi, è di Radio Company. Se qualcuno non lo sapesse, è il duo musicale di cui Jensen Ackles è autore e voce. Nel corso dell'ultima convention, tenutasi a Indianapolis, Misha Collins ha rivelato che la canzone in questione, Watching over me, è stata scritta da Jensen proprio per Castiel. Per cui ho pensato che fosse il caso di rimandare la riscoperta fisica tra Dean e Castiel di un capitolo, per usare questo per l'ultimo tassello che mancava alla serenità di Dean per sentirsi finalmente amato, o meglio meritevole d'amore. Castiel ha passato tutti gli ultimi anni a vegliare su Dean, ma Dean ha passato tutta la sua vita a vegliare su Sam, a vegliare su tutto il mondo a dire il vero, e merita di rendersene conto. Solo così potrà riconoscere il proprio valore, e comprendere che non potrà mai essere una delusione per chi lo ama, sentendosi così finalmente libero di osare. Spero che questo capitolo vi piaccia, e che siate pronti per un bel po' di spice nel prossimo!
 

 

 


CAPITOLO IX
Watching over me

 

Lay it on now 
That I can see
Couldn’t bare to talk 
Without the will  to breathe
Didn’t hear the 
Strength within your words 
And what they mean
You were watching over me

Trying to find the peace 
In always knowing I was never really free
You were watching over me

With the will to look away
When I was falling down
Crawling in the dirt
Is it fair enough to say
That I needed you through the crazy pain

Didn’t hear the strength within  your words
And what they mean
You were watching over me

 

La volta celeste era trapunta di una miriade di piccolissime stelle luminose che riflettevano il loro bagliore lunare sull’acqua placida. Nel buio tiepido sella sera il vento era calato, e la superficie del mare si era distesa, trasformandosi in uno specchio nero appena increspato. Dean era immerso fino alla cintola, con gli occhi fissi sul sottilissimo spicchio di luna calante, mentre Castiel lo guardava dalla riva, in attesa.

«Dove si trova, il Paradiso?», gli domandò il Winchester. l’atmosfera era tanto silenziosa che anche un sussurro era abbastanza udibile. Non che servisse, Castiel avrebbe potuto sentire Dean anche a distanza di anni luce, anche fosse stato solo un bisbiglio. Il suo intero essere era rivolto verso quel magnifico, fragile, straordinario essere umano.

L’angelo ci pensò un po’. «Non è un posto preciso… direi che è come se coincidesse con la Terra, ma è fuori dallo spazio-tempo, come in una piega tra i mondi…»

«E tu puoi… attraversare quella piega e viaggiare dal Paradiso all’Inferno… e anche alla Terra, giusto?», gli chiese.

Castiel annuì, ma Dean non lo stava guardando. «Sì, esatto», confermò.

«Quindi potresti… andare da Sam per dirgli che sto bene…»

«Dean…»

L’uomo scosse la testa e si voltò verso l’angelo, sorridendo nel buio appena rischiarato. «Non era una richiesta… era solo… una curiosità»

«Sì, potrei, ma…», qualunque cosa stesse per dire, Castiel ci ripensò. «…se lo desideri posso farlo»

Dean chinò il capo. «Non lo so… è solo che vorrei… vorrei che non soffrisse per me, che sapesse…», alzò gli occhi sul serafino, sorridendo ancora, «…che sono felice, adesso»

Castiel aggrottò la fronte, facendo un piccolo passo verso la delicata risacca notturna. 

«Non eri felice, prima?»

L’uomo alzò un sopracciglio ed emise una risatina amara, tornando a guardare lontano. «Dipende… forse a volte, non proprio comunque… e penso che lo sapesse, Sam dico… sono sicuro che lo sapesse, e credo sia per questo che mi ha lasciato andare… che ha lasciato che mi arrendessi, sai per— per tornare da te», disse sbattendo piano le palpebre.

L’angelo fremette. Era ancora strano sentir dire a Dean quello che pensava, soprattutto se riguardava lui. Quando si era dichiarato, poco prima di essere risucchiato dal nulla, avrebbe scommesso la sua intera immortalità, tutta la sua vita eterna, che non avrebbe mai potuto neanche sperare di avere da Dean un confronto, una sorta di comprensione. Sapeva che l’avrebbe accettato, ovviamente, ma era convinto che probabilmente non lo avrebbe mai ricambiato. Comunque fosse, era pronto a morire definitivamente pur di salvarlo. Era pronto a smettere di esistere per lui, tanto non aveva senso farlo in ogni caso, se non poteva avere ciò che desiderava di più. E Dean non aveva mai fatto mistero dei suoi desideri, delle sue preferenze. Amava le donne, gli piacevano le donne, lui era un amico, il suo migliore amico, quasi un fratello; niente di più, niente di meno, niente di diverso. 

E Castiel l’aveva accettato. Aveva imparato a fare tesoro di piccoli momenti, di piccoli scambi, di piccole parole e sguardi, e si era rassegnato al fatto che il massimo momento di gioia di tutta la sua esistenza non sarebbe mai potuto essere altro che guardare Dean negli occhi, e dirgli che lo amava, e perché. Dirgli che mai in tutta l’eternità aveva conosciuto qualcuno di speciale come lui, e che mai più l’avrebbe potuto conoscere, perché avrebbe preferito il vuoto, l’annullamento di sé e di tutto, piuttosto che vederlo morire. Ma in realtà la sua era stata una scelta egoista: voleva provare la felicità almeno una volta, e visto che aveva un bersaglio dipinto sulla schiena, tanto valeva provarla in un momento utile. Tanto valeva metterla al servizio della salvezza dell’unica creatura che lui, un angelo del Signore, avesse mai amato. L’unica che l’avesse mai cambiato. 

Ma si era sbagliato eccome. Aveva creduto che la felicità fosse nel dire quello che provava, prima ancora che nell’avere ciò che desiderava. E forse era vero, in parte, perché credendo che non avrebbe mai potuto avere Dean, il solo rivelargli quanto fosse importante per lui gli aveva dato la sensazione di gioia più forte che avesse mai provato fino ad allora. Ma quando Dean gli aveva detto che lo amava a sua volta era stato ancora più felice, più felice di quanto credesse di poter mai essere.

E aveva sbagliato di nuovo. Quando le loro labbra si erano sfiorate, bisognose e avide, aveva sentito il potere di tutto il creato dentro di sé. Era come avere dentro un’eternità di albe e tramonti nei luoghi più belli dell’universo, come la nascita delle stelle, come lo sbocciare di miliardi di fiori, come tutta la storia in un istante. Struggente, potente, splendido. Era felicità allo stato puro. 

E Castiel non aveva idea di cosa avesse provato Dean, e non aveva idea di cosa provassero gli umani quando erano felici: era stato umano solo una volta, e aveva provato ben poca felicità in quei momenti. Solo alcuni attimi di lieve contentezza, di eccitazione, di aspettativa. Ma era tutto così mescolato, tutto così confuso. E dopotutto c’era stata molta delusione e poca gioia. Castiel quindi non era sicuro di cosa significasse essere felice per un uomo, e sapeva che Dean aveva avuto una vita anche troppo difficile, che avrebbe meritato molto di più e molto di meglio, ma basandosi sulle sue poche esperienze, non era neanche certo che la felicità a cui si riferiva Dean fosse anche solo somigliante a quella che intendeva lui. Ma dopotutto aveva poca importanza: loro due erano due creature diverse che avevano imparato ad amarsi e che avevano trovato la felicità l’uno nell’altro, per quanto assurdo potesse essere anche solo pensarlo.

«Per me?»

Dean lo guardò ancora. «Io… uhm», si grattò la nuca. «…pensavo che non ti avrei più rivisto se non nei miei ricordi e nei miei sogni e— basandomi sulla mia esperienza i sogni spesso sono delle fregature… mentre il Paradiso era… non lo so, il modo migliore per rintanarmi in alcuni attimi del passato… vivere dei ricordi, trasformarli in sogni tangibili… uhm… pensavo che in Paradiso ti avrei rivisto… anche se non fossi stato tu-tu, ecco…», rise. «A volte ho ancora paura che tutto questo sia il frutto della mia immaginazione, e che tu non sia davvero reale…»

«Lo sono», rispose Castiel d’impulso. «Non avrai…»

«Non mi sono… sì, insomma, non è che sono morto di proposito per raggiungere prima questo posto… cioè, non mi ero arreso a priori… anche se, uhm, beh, sì… ero stanco e tu mi mancavi e non sapevo più come nasconderlo, anche a me stesso… e non ho cercato la morte, ma quando mi ha trovato… l’ho salutata come un’amica, e le uniche due cose che pensavo erano… “almeno rivedrò Cas nei miei ricordi più belli” e “spero solo che Sam mi perdoni se lo abbandono”… per questo ti chiedevo… se…»

Castiel sospirò. «Posso dirglielo, se vuoi…», gli disse.

«Quanto tempo è passato?», domandò il Winchester.

«Dipende»

Dean aggrottò la fronte di nuovo. «Da cosa?»

L’angelo piegò la testa di lato, dissociandosi un attimo. «In totale sono passati circa tre anni…»

«Non capisco… i miei mi hanno detto che loro sono qui in Paradiso, insieme, da quasi quindici anni… io sono qui da appena, quanto? Due mesi?»

«Il tempo in Paradiso scorre in modo diverso rispetto alla Terra, e in modo diverso per ognuno… come ti dicevo, sono passati tre anni per Sam in questi due mesi ma… da ieri sera, invece, non è passato altro che un pomeriggio…»

Castiel guardò Dean intensamente. Lui per primo si stava rendendo conto di cosa significassero le sue stesse parole.

«Il tempo passa più veloce in Paradiso se non sei felice»

«E più lentamente quando invece lo sei…», completò Dean.

«Già», confermò l’angelo con un sorriso beato sul volto. 

«E io sono felice dal momento in cui ti ho… e quindi ora…»

Castiel tentennò. «Passerà più tempo prima che tu possa rivedere tuo fratello, sì… per questo non vorrei che tu potessi… soffrire, all’idea che io potrei scendere sulla Terra e vederlo, e tu no…»

Dean annuì, e gli sorrise di sbieco. Per Castiel era un mistero come tutto quello fosse stato possibile. Come fossero arrivati a quel punto. Era stato convinto per anni che Dean non vedesse in lui altro che un’arma, e pensava che dal momento in cui l’aveva tradito, lavorando con Crowley in sua insaputa, tra di loro si fosse creata una frattura resa sempre più grande dei suoi costanti fallimenti. Era convinto che Dean non l’avrebbe mai visto come Castiel vedeva lui, e soprattutto, era convinto di non avere assolutamente niente a che fare con la sua felicità.

«Ripensavo ad alcune delle volte in cui sei morto o quasi morto…», disse Dean, interrompendo il suo flusso di coscienza. «Come quando April ti ha pugnalato… c’eravate te e Sam, e Sam era svenuto in un angolo, aveva battuto la testa e io… stavo per andare a soccorrerlo ma c’eri tu che… ed è a te che ho dato soccorso, è per te che ho pregato, è te che ho voluto far tornare indietro…»

«Sapevi che Sam non si era fatto male…»

Dean fece spallucce. «Probabilmente sì… non dico che preferissi te a lui… Sam è mio fratello, avrei fatto a pezzi il mondo per lui e sono sempre stato… felice, appagato, contento quando lui è tornato dall’inferno o dal paradiso o da qualunque altro maledetto loop divino cadesse… ma quando tornavi tu, io ero sempre raggiante. Non avevo mai provato una disperazione simile a quella che provavo a perdere Sam, prima di conoscere te, anche solo all’idea di perdere qualcuno che non fosse lui… e lui è mio fratello, ci siamo stati sempre solo noi due per tutta la nostra vita… perderlo era come perdere una parte di me… e perdere te, era esattamente lo stesso… avrei dovuto capirlo allora che eri causa delle mie più grandi delusioni, dei miei più grandi dolori, delle mie gioie più grandi… proprio perché per me eri importante quanto Sammy, ma in modo diverso…»

«Dean—»

L’uomo lo guardò; aveva un’espressione strana, contrita e serena insieme. Le sue labbra erano tese in una linea sottile, gli occhi grandi e lucidi. «Se tu vedi Sam— tu sei parte di me, Cas… non potrei mai soffrire sapendo che tu puoi vederlo, e io no, perché io e te siamo… siamo come… uhm— noi due siamo uniti, il nostro legame profondo, la… la cicatrice che hai lasciato su di me, e il… l’amore che ci lega…», disse a denti stretti, «…mi avvicina alla tua natura e a te… e penso… anche viceversa. Se tu vedi Sam, è come se io lo vedessi…»

Castiel era commosso, ma non sapeva cosa dire. Trovarsi a fare una conversazione simile con Dean Winchester era già qualcosa di surreale di per sé. 

«Ovviamente, se vuoi farlo…», tentennò Dean, vedendolo esitare.

«Farò qualunque cosa tu voglia, se ti rende felice…», rispose, «Vuoi che… che vada adesso?», domandò.

«No», disse Dean velocemente, quasi senza lasciargli concludere la domanda. «No», ripetè con più calma, voltandosi verso Castiel, «O almeno, non subito, non voglio che tu te ne vada…»

«D’accordo»

L’uomo guardò la superficie del mare che gli lambiva la pelle attraverso i vestiti, poi si passò una mano sul viso a distenderne i lineamenti e asciugare una lacrima rotolata lungo la guancia, poi posò gli occhi sull’angelo. «Per l’amor del cielo, Cas— puoi smetterla di fare quello che stai facendo ed entrare in acqua anche tu? Grazie tante!», tagliò corto.

Castiel fu colto alla sprovvista da quel repentino cambio di atteggiamento. «Io…»

«Sbaglio o hai detto che farai qualunque cosa io voglia? Voglio che smetti di fare il damerino e ti muovi… che c’è, hai paura di bagnarti le piume?»

L’altro neanche si degnò di replicare, né di camminare nell’acqua salata del golfo. Piuttosto si mosse alla sua velocità angelica, e comparve accanto a Dean, mugugnando per i vestiti fradici.

«Si può sapere che ti prende oggi con questi vestiti?»

Castiel lo guardò di traverso. «Niente», rispose. «Solo che mi sento a disagio»

«Per quale motivo? Ti ho visto coperto di sangue e altre… beh, altri liquidi e melme molto meno profumate dell’acqua di mare, ad essere onesto…»

«Non lo so, non ho mai fatto un bagno in mare, immagino che sia per questo»

«In tutta l’eternità?»

«C’erano cose più importanti»

«Tipo sterminare i figli primogeniti, provocare catastrofi e aiutare Keanu Rives a far fuori qualche demone?»

«Non sono mai apparso in Constantine…»

Dean rise. «Giusto, giusto… te l’ho fatto vedere»

«Sì, e devo dire che non è molto aderente alla realtà come film…», disse Castiel con la fronte aggrottata.

«Uhm?»

«Comunque sì, non mi sono mai avvicinato abbastanza agli umani e alle loro usanze… prima di te, intendo. E in ogni caso è una convenzione piuttosto recente per voi umani, quella di fare il bagno in mare per divertimento»

«Pensa te…», commentò l’altro, «In pratica mi stai dicendo che non sai nuotare…», lo schernì con un ampio sorriso.

«Non serve nuotare quando puoi volare»

«Ouch…»

Dean, tutto vestito come era, si tuffò nell’acqua tiepida e fece qualche bracciata. Castiel lo guardò senza muoversi, aspettando che riemergesse da qualche parte. Ma l’uomo evidentemente aveva altri piani: si fermò a un paio di metri dall’angelo e issò la testa sopra la superficie quanto bastava per guardarsi intorno, poi un sorriso malizioso gli si dipinse sulle labbra. In un movimento fulmineo, inaspettato, si immerse di nuovo, si riavvicinò e poi ruotò su sé stesso, iniziando a battere i piedi nell’acqua fino a coprire Castiel di uno scroscio di schizzi. 

«Dean— ma che— che fai!»

Con le braccia e le mani il serafino cercò di ripararsi, ma finì per perdere l’equilibrio e cadere faccia in avanti nell’acqua, bagnandosi completamente anche il resto del corpo che fino a quel momento aveva salvato dalla tempesta-Dean. Annaspando, con il Winchester che rideva sguaiatamente a poca distanza da lui, Castiel rispose alla dichiarazione di guerra schizzandolo con le mani. Dean non si lasciò cogliere alla sprovvista, e replicò, tra una risata e una boccata di acqua salata, finché entrambi non si immersero nel mare, vicini fino a toccarsi, e trasformarono quel gioco infantile in uno scambio di sguardi divertiti.

Fu di nuovo Dean a fare la prima mossa; fradicio fino alle punte dei capelli, con la salsedine che gli induriva le ciglia, prese Castiel per le braccia seminude e lo tirò a sé, fino a baciarlo. L’angelo sentì un fremito scorrergli dentro, come ogni volta che l’uomo faceva qualcosa che lo sorprendeva, e lo faceva sentire bene. Da quando Jack l’aveva riportato indietro non aveva mai indossato di nuovo il suo tramite umano finché Dean non glielo aveva chiesto, per cui non aveva idea di che effetto avrebbe avuto in Paradiso costringere la sua grazia dentro un corpo tanto limitato. L’arcano era presto stato svelato: il suo tramite poteva trattenerlo, dargli un aspetto umano, non poteva in alcun modo frenare le manifestazioni del suo potere. In Paradiso gli angeli erano come batterie caricate al massimo, e lui, come serafino, era come un reattore nucleare. Non sarebbe certo esploso, e le sue esalazioni non erano assolutamente tossiche, ma il suo potere era incontenibile. 

La cosa non sarebbe stata un problema se non fosse stato per Dean: era l’unico in grado di mettere a repentaglio l’autocontrollo di Castiel. L’unico in grado di accendere la sua grazia in quel modo. L’angelo poteva sentire il potere che gli scorreva dentro lampeggiare fuori di lui, infrangersi su tutto ciò che lo circondava. Ma l’uomo non sembrava farci caso, anzi, ne sembrava del tutto compiaciuto. 

Castiel ricambiò il bacio; la sensazione che le mani di Dean gli procuravano nello sfiorargli la pelle sotto la superficie dell’acqua increspata dai loro movimenti era qualcosa che non avrebbe saputo descrivere. Si abbracciarono sotto il bagliore tenue della luna, gocce di mare gli colavano lungo tutto il viso dai capelli, confondendosi al sapore delle loro labbra umide.

Quando Dean trovò una fessura tra la sua camicia scomposta e i pantaloni e insinuò una mano sotto la stoffa leggera che gli copriva il busto, Castiel fremette e si staccò dal bacio, con gli occhi spalancati. Ma l’uomo lo guardava sereno e determinato, tranquillo, senza osare togliere la mano dal suo torso. Timidamente, con ben meno sicurezza di Dean, l’angelo gli si avvicinò di nuovo e posò le sue mani sui suoi fianchi scoperti dalla gravità marina, che gli sollevava un po’ la maglietta scura. Dean tremò, ma non si mosse. Piuttosto fissò i suoi occhi verdi in quelli blu di Castiel, pur senza riuscire a vederne il colore nel mondo in bianco e nero della notte, e posò la fronte contro quella di lui, prendendo respiri profondi per calmare il suo cuore martellante. 

Castiel lo sentiva battere impetuoso. In realtà, era solo un’illusione: le anime non avevano bisogno del cuore, non avevano bisogno di niente a dire il vero. Esistevano e basta, senza fame, né sete, né sonno, né altri bisogni di alcun tipo. Era la natura umana, così legata a certe piccole sfumature terrestri, a tenersi stretta quei tratti così futili, così mortali, eppure così affascinanti. Nel Paradiso di Chuck, gli uomini vivevano i propri ricordi per come erano accaduti in vita, a volte potevano modificarli o crearne di nuovi, riviverli in loop: era normale che le anime conservassero in essi le loro caratteristiche umane, perché erano quelle a rendere il ricordo, per sua stessa natura, reale. Ma quando lui e Jack avevano abbattuto i muri e ristrutturato il tutto, avevano notato che i beati soffrivano senza quelle piccole abitudini a cui erano tanto cari: cosa avrebbero fatto per tutta l’eternità, se non avessero potuto perlomeno simulare la vita? Così Jack aveva fatto sì che ogni anima potesse mantenere le sue peculiarità umane, come il battito del cuore e la fame, il sonno, il piacere. E per far sì che gli angeli ne capissero l’importanza, aveva fatto sì che anche se non ne potevano provare il bisogno, potessero perlomeno comprenderne la piacevolezza. E per farlo aveva concesso agli angeli il dono del gusto, adeguato quello dell’olfatto e della vista, così che potessero usare le proprie capacità angeliche o meno, ma potessero in ogni caso anche sperimentare tutto ciò che era umano. 

Per questo Dean aveva un battito cardiaco accelerato che rispecchiava le sue emozioni, e Castiel poteva percepire nella sua bocca la salinità del mare mista alla calda e umida dolcezza della sua lingua, e non solo insipide e sciatte molecole. Le labbra di Dean sapevano di pane, formaggio e birra, di salsedine e di lacrime, quelle che gli aveva nascosto mentre parlavano di Sam, ma sapeva anche di qualcosa di dolce, come il caramello. Castiel si lasciò inebriare.

Era ancora ai limiti del credibile, per lui, l’idea che Dean potesse veramente baciarlo. Che potesse amarlo. Che potesse desiderarlo. Andava oltre i suoi sogni più sfrenati, ed era ogni istante in più la conferma di quanto potesse avere ancora molto da imparare su sé stesso e su di lui: ogni volta che Dean gli parlava, o lo sfiorava, o lo guardava, Castiel era convinto che quello fosse un momento di felicità massima, per poi sentirsi smentire un attimo dopo, dall’ennesimo tocco, dall’ennesimo sguardo. I baci, poi, erano qualcosa che non riusciva a metabolizzare.

Aveva già baciato altre persone e creature in passato. C’era stata Meg, e April, - e anche Chastity in realtà prima che scappasse dandogli di stronzo -, ma non aveva mai provato nulla. Piacere, forse. Come se farlo gli stimolasse un qualche recettore angelico in grado di produrre una versione celeste delle endorfine, ma mai nulla che fosse paragonabile a quello che provava quando le labbra di Dean sfioravano le sue, bramose e pressanti. Era un piacere che passava attraverso il cuore, figurativamente parlando, che dialogava con tutto il suo essere, che lo trasfigurava. 

La sua presa sui fianchi di Dean si fece più forte; sentì l’uomo gemere sotto al suo tocco, e si rese conto di aver affondato i polpastrelli nella sua carne morbida. I loro visi erano così vicini che se fossero stati liquidi invece che solidi si sarebbero già fusi in un unico fluido danzante. La mano di Dean percorse tutto il torso di Castiel fino alle costole, poi corse dietro la sua schiena, tirandolo a sé, e anche lui gemette. La pelle iniziava ad essere calda al tatto, le labbra turgide e gonfie, e le estremità tese. 

Rimanere vestiti in mezzo al mare si stava rivelando un po’ scomodo dopotutto, ma Castiel non si sarebbe potuto lamentare anche se avesse voluto: tutto ciò che aveva sempre desiderato, e che aveva sempre creduto di dover conservare solo nell’intimità dei suoi sogni, era tra le sue braccia. Anche se tutto il suo essere fremeva per avere di più, lui era felice così, e non avrebbe mai chiesto altro.

Dean, invece, la pensava evidentemente in modo diverso. «Cas…», sussurrò, soffiando il suo fiato caldo tra le labbra di Castiel. «…andiamo a casa», suggerì in un suono roco, gutturale.

L’angelo non se lo fece ripetere due volte. Lo strinse a sé, premette le loro bocche insieme e sbatté le sue ali prima ancora che Dean se ne potesse accorgere, riportandoli in meno di un istante tra le mura del cottage.

«Woah… è stato veloce», mugolò Dean, in preda a quello che sembrava un breve capogiro.

Castiel lo sorresse con le sue braccia. «Scusa…»

«Stiamo bagnando tutto il pavimento», rise l’uomo, come in preda a una strana euforia.

L’angelo si guardò intorno nella penombra rischiarata da una piccola lampada all’angolo del salotto. Era vero: una pozza d’acqua più larga dei loro due corpi abbracciati si stava diffondendo ai loro piedi. «Non importa», disse.

«Sono d’accordo», concesse Dean, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo di nuovo. Castiel si lasciò guidare nel bacio, posando appena i suoi palmi sulle spalle dell’altro, facendo attenzione a non sfiorargli la pelle nuda dove un tempo gli aveva lasciato un’impronta. Gli sfiorò il collo, giocò con le punte dei suoi corti capelli bagnati, intrecciò la lingua alla sua e saggiò con le proprie le labbra dell’uomo, succhiandone piano la superficie liscia per testarne la compatta morbidezza. Dean gemette a quel gesto, e Castiel sentì le sue mani corrergli lungo tutto il corpo, accarezzargli il petto e poi le costole, scendere lungo il suo addome e solleticargli l’ombelico, prima di soffermarsi sulla linea netta dei pantaloni.

L’angelo trattenne il fiato e le loro bocche si staccarono, lasciando che i loro sguardi si incontrassero, fiammanti di desiderio e aspettativa, ma anche di paura. Castiel sentiva il rombo del cuore di Dean nelle orecchie, così come sentiva pulsare ogni centimetro delle sue membra, alla sola vicinanza con il corpo di lui.

Negli occhi di Dean, però, leggeva anche qualcosa di diverso. «Va tutto bene?», gli chiese, scostandosi un po’.

«Sì…», rispose l’altro, che intanto cercava di armeggiare con i bottoni della sua camicia. 

Castiel strinse gli occhi, lo osservò un attimo, poi gli prese le mani e lo fermò. Sentiva il desiderio di Dean, ne poteva percepire l’odore che si confondeva con il suo. Sentiva il suo corpo che fremeva, il suo respiro spezzato e veloce, i suoi movimenti che andavano con il pilota automatico. Ma oltre a questo, sentiva anche altro: insicurezza, timore, esitazione. L’angelo percepiva con ogni fibra del suo essere che Dean lo desiderava, ma sentiva anche il dubbio che lo pervadeva. E per quanto lui avesse sognato e immaginato, nell’intimità della sua mente, di fare a Dean e con Dean cose che non aveva mai neanche lontanamente provato con nessuno, di mettere in pratica tutto quello che aveva imparato guardando PizzaMan e i tanti altri filmini e video che aveva trovato (non poi tanto) casualmente nel computer dell’uomo, non voleva assolutamente, in alcun modo, forzargli la mano.

«Non c’è fretta, Dean», gli disse, carezzandogli i palmi con i pollici.

«Io… Cas, io non—»

Castiel gli diede un bacio leggero come una carezza. «Facciamo così…», suggerì tenendogli strette le mani tra le sue. «…ora io vado a prendere qualcosa da mangiare e tu… beh, mi aspetti, e magari, se ti va, scegli un film da vedere…»

Dean non era convinto. Anzi, sembrava alquanto contrariato. «Cos’è una specie di tortura? Un giochino che hai imparato nelle tue incursioni nel mio computer?»

Castiel arrossì. «Io— veramente non…»

Ma Dean rise. «D’accordo, hai ragione… non c’è fretta e poi… questi vestiti iniziano a prudere, forse è il caso che mi faccia una doccia», disse, dandosi uno sguardo eloquente. «Potrei avere voglia di Nachos, che dici? Oppure pizza! O Hamburger… oppure… no, ci sono, pizza con Nachos e chili, guacamole, panna acida e tantissimo cheddar… ecco, perfetto!», concluse, con un luccichino gioioso negli occhi. 

Castiel gli sorrise beato, annuì, e lo guardò mentre Dean gli dava le spalle e spariva dietro la porta del bagno.

 

 

*****

 

Quando Castiel gli apparve davanti alla porta di Casa, Sam quasi ebbe un infarto. 

«Cas!», soffiò, lasciando cadere il sacchetto della spazzatura che teneva in mano. «Tu— tu eri morto! Che cosa…»

Senza pensarci due volte, il gigante dai capelli lunghi strinse l’angelo in un abbraccio fraterno.

Castiel lo ricambiò per qualche istante, poi si allontanò. Si era dato un contegno dopo aver lasciato Dean al cottage, in Paradiso. Era andato a recuperare gli indumenti sulla spiaggia e con uno schiocco di dita si era dato una ripulita, prima di scendere sulla Terra per portare a termine quello che sentiva essere un compito importante, fondamentale, da svolgere perché Dean fosse effettivamente felice. «Sono qui per dirti che Dean sta bene», disse con una certa sonorità. 

«Dean… tu… cosa..?», Sam lo guardò con gli occhi lucidi. La ruga tra le sue sopracciglia si approfondì e la sua bocca si strinse in un’espressione dolorosa. 

«Sam, Dean è in Paradiso, con vostra madre, vostro padre, Bobby e Charlie e… e me. Sta bene, è felice, è… appagato. Voleva che tu lo sapessi…»

Sam si portò la mano al viso, stringendo il pollice e l’indice all’attaccatura del naso. Fu inutile, le lacrime gli comparvero al limitare delle palpebre, e iniziarono a rotolare giù lungo le guance. Si passò il palmo sulla pelle ruvida dove una leggera barba incolta iniziava a mostrare i primi fili bianchi. «Ti ha chiesto lui di…», chiese senza finire la frase.

«Sì… e no. Voleva che sapessi che sta bene, che non devi soffrire per lui, che non devi… piangerlo. Lui ti aspetterà per tutto il tempo che ci vorrà… e gli dispiace»

Sam ormai era un fiume in piena. Incapace di stare dritto, si lasciò cadere seduto sui gradini del suo portico. «Lui… cosa?»

«Di averti abbandonato, di essersi arreso»

«Non deve, non deve sentirsi in colpa lui— ha sempre vegliato su di me, io non… grazie, Cas», disse poi, rialzandosi di scatto per abbracciare il serafino. «Grazie»

«Siamo una famiglia», rispose Castiel. «E tuo fratello ti ama molto, tu questo lo sai… non poteva essere completamente felice se non… se non sapendo che tu sei sereno. Vi rincontrerete presto… beh, presto se paragoni la vita umana all’eternità, ovviamente… e lassù vi aspetta un’eternità senza mostri e senza pericoli e…»

«Sam!», la voce di Eileen giunse da dentro Casa. «Sei caduto nella spazzatura?»

La testa della cacciatrice comparve oltre lo stipite. «Sam… Castiel?»

«Eileen», la salutò l’angelo.

«Ma tu eri…?»

«Jack»

«Oh… Dean, vieni, vieni a conoscere lo zio Castiel…», disse la donna. 

Castiel si sentì sciogliere alla vista di un piccolissimo bambino che compariva, timido e schivo, dietro le gambe di Eileen. Lei lo prese in braccio, poi scese i gradini e passò accanto a Sam, che stava ancora piangendo, e gettò le braccia al collo di Castiel. 

«Che succede?»

«Dean», rispose Sam, provocando la risposta automatica di suo figlio, che si girò verso di lui. «Lui sta bene, è in Paradiso, è felice…»

Eileen si staccò da Castiel e posò a terra il bambino, per accorrere ad abbracciare suo marito. Il piccolo Dean, immobile in quella strana scena, alzò gli occhietti verdi su Castiel, guardandolo dal basso nella sua buffa salopette di jeans giallo canarino. Alzò una manina chiusa e stese il suo piccolo indice verso l’impermeabile. Cas si piegò sulle ginocchia, portando il viso all’altezza del bambino, e poi lo imitò, alzando l’indice per portarlo sul suo piccolo nasino.

«Boop», gli fece, facendolo scoppiare a ridere.

«Cas…», lo chiamò Sam. «Posso… posso darti qualcosa da portare a Dean, tu puoi…?»

«Posso portare solo ricordi con me… messaggi, pensieri… niente di fisico»

Sam annuì, strinse la mano ad Eileen e le lanciò uno sguardo. Le sue guance erano rigate di lacrime di gioia. «D’accordo», si allontanò dalla moglie e si avvicinò a Castiel. «Puoi… posso— vorrei raccontargli di quello che ho fatto in questi anni, e vorrei… vorrei sapere di lui»

L’angelo si sentì leggermente in imbarazzo, ma non lo diede a vedere. «Per Dean non sono passate che poche settimane», disse.

«Come? Ma all’inferno…»

«L’inferno è studiato come un luogo di tortura, il tempo passa più lentamente lì per tutti… ma in Paradiso… il tempo passa più veloce quando… si aspetta qualcuno», disse, raccontando una mezza verità, «E più lentamente quando si è completi, felici…»

«Ma tu… hai detto che Dean è felice», controbatté Sam.

«E lo è», confermò Castiel, mentre il piccolo Dean giocava con la cintura del suo impermeabile correndogli intorno. «Ma ti aspetta, ti aspetterà per tutto il tempo… ma posso comunque mostrarti qualcosa, se vuoi…», disse allungando due dita per toccare la fronte dell’uomo.

Sam lo guardò. Scrutò Castiel da testa e piedi e il suo sguardo si assottigliò, un sorriso gli piegò le labbra. Si passò una mano sul viso, poi scosse la testa. «No… sarà lui a dirmi tutto quando vorrà, se vorrà…», disse. «…ma io vorrei farti avere qualcosa da mostrargli, se puoi»

«Certo»

 

*****

 

Quando Castiel tornò al cottage, Dean lo stava aspettando seduto sul divano con le gambe incrociate e i piedi appoggiati al tavolino da caffè. 

«Mi sono reso conto che in questo posto non c’è la tv…», disse voltandosi lentamente verso l’angelo con un’espressione seccata. «…e che tu non hai bisogno di uscire o impiegare del tempo per andare chissà dove a prendere chissà cosa per cena»

«Dean…»

«Quindi mi piacerebbe capire… perché mi prendi per il culo, Castiel?»

L’angelo aprì la bocca per replicare, poi distolse lo sguardo e si diresse verso il tavolo della cucina per appoggiare il grosso sacchetto pieno di vaschette di diverse dimensioni. 

«Non ho fatto niente del genere, Dean»

«A me sembra proprio di sì…», replicò l’altro schioccando le labbra e alzandosi dal divano. «…ti aspetto da almeno un’ora e, beh, almeno che tu non sia andato in un altro universo a prendere… qualunque cosa tu abbia preso», disse facendo un cenno con la mano al sacchetto abbandonato, «…non capisco come un angelo, un serafino anzi, il braccio destro di Dio nonché il custode del Paradiso abbia bisogno di assentarsi tanto a lungo per svolgere un compito così semplice»

«Dean…»

«Cos’è? Hai cambiato idea? Forse non è l’amore fisico quello che vuoi da me? Eh? Pensi di poter scombussolare la mia vita, mettere in discussione tutto ciò in cui credo… anzi, in cui credevo, e poi evitare tutto il resto? Cos’è, non sono abbastanza angelico per te?»

«No, Dean, non è que—»

Dean assottigliò lo sguardo e gli si fece più vicino. «Oppure ora vuoi raccontarmi cazzate sul… non so, il sesso degli angeli magari, e qualche stronzata biblica sul fatto che voi splendenti creature di luce siete fatti come Ken di Barbie o che lo siamo noi anime…», aveva le mani sui fianchi e l’espressione dura, arrabbiata. «Beh, sappi che non ci casco perché l’ultima volta che ho controllato…», continuò muovendo il capo di lato e piegando le labbra in un sorriso al contrario, «beh almeno nel mio caso era tutto al posto giusto e tu… mi pare di ricordare anche che almeno una volta tu abbia fatto sesso…»

Castiel arrossì. «Non volevo correre, per te… non voglio che tu sia… spinto a fare qualcosa che non ti senti pronto a—»

«Oh ma sta’ zitto, Cas!», lo interruppe Dean roteando gli occhi, «Ti ho dato dimostrazione di reticenza per caso, sulla spiaggia? Ti pare che abbia esitato a… beh, a baciarti?», disse alzando un braccio per indicare Castiel con una mano, e poi facendolo ricadere lungo disteso al suo fianco.

«Sono anni che giriamo intorno a questa cosa, Dean… ed è passato quanto, due ore a confronto?, da quando hai preso coscienza di— e comunque, non è niente di tutto questo», disse imperativo. «Non ti sto evitando… io ho solo—»

«Se non mi stai evitando perché te ne sei andato dicendomi una stronzata? E anche stamani… sei scomparso, per far cosa? Oh, giusto, prendere dei panini e delle birre… molto credibile, davvero, uhm»

L’espressione di Dean era dura, contrita, le sue labbra erano una linea sottile e tutto il suo corpo esprimeva distacco.

«Non ti sto evitando, Dean», riprese Castiel, stavolta mettendo molta più potenza nella voce. «E a te sarà anche sembrato di non esitare, ma a me è sembrato che tu lo facessi e io non vorrei mai metterti in una situazione di obbligo, di farti sentire in dovere di fare qualcosa solo perché credi che io lo voglia, e soprattutto…»

«Soprattutto se—»

Castiel lo fulminò con lo sguardo. Una luce azzurra baluginava nelle sue iridi celestiali. «Sto parlando io», lo fermò. «E sto dicendo che soprattutto non ho fatto niente di tutto ciò che dici, e mi pare abbastanza evidente che tra noi due quello che ci ha impiegato del tempo a fare i propri passi sei tu, quindi perdonami signor Winchester se ho pensato di evitarti un brutto risveglio…»

«Tu hai solo paura»

«Io paura? E di cosa dovrei averne?»

Dean fece spallucce. «Dimmelo tu, visto che sai tutto… ora sei tipo la seconda creatura più potente dell’universo, no? Forse ero un bel bocconcino quando io non ero che un uomo e tu un angelo spezzato, ma adesso che sei una specie di supernova volante…»

Castiel lo guardò con gli occhi spalancati, la rabbia che gli ribolliva nel petto mista a un altro sentimento. Più Dean parlava, più lui sentiva dentro di sé il bisogno di sbatterlo contro il muro e zittirlo una volta per tutte. «Non mi sorprende che dopo tutto questo tempo tu ancora non abbia capito assolutamente nulla di te stesso, di me e di tutto quanto… io sono caduto per te, Dean. Sono caduto in ogni modo possibile. E tu… tu mi vieni a dire che pensi che abbia intenzione di fare un passo indietro? Che io— sono venuto io a cercarti, stupido idiota, e sei stato tu a dirmi che avevi bisogno di tempo, quindi, scusami se ho pensato che stessi facendo come sempre il passo più lungo della gamba solo per compiacere qualcun altro invece di pensare a cosa vuoi tu…»

«Beh ma hai sbagliato», gli rispose Dean, stizzito e anche sorpreso dalla veemenza delle parole di Castiel. «Perché io non voglio compiacere proprio nessuno, e tutto ciò…», disse gesticolando con le mani nello spazio tra lui e l’altro, «è esattamente quello che io voglio… ma mi pare che sia tu a non volerlo più»

Castiel roteò gli occhi e si portò una mano alla faccia, strofinandola con vigore. «Stamani sono andato all’headquarter per dire che avrei preso un periodo di “ferie”», disse mimando le virgolette con le mani, «e a dare gli “incarichi” agli altri angeli perché tengano il Paradiso “sotto controllo” per me adesso, e per dire loro che “in generale” d’ora in avanti avrò bisogno di essere affiancato in questo “lavoro” perché… beh, perché per me non sei uno da una “botta e via”…», disse, continuando con le dita in aria come ogni volta in cui era nervoso. «…e mi piacerebbe, se tu lo vuoi ovviamente, poter passare del tempo insieme piuttosto che sparire e starmene rintanato sul trono per tutta l’eternità, okay?»

Dean era interdetto.

«E stasera…», proseguì l’angelo, con un tono esasperato, «…beh, sapevo che qualunque cosa avessi fatto con te, qualunque cosa fosse “successa”… tu comunque non saresti stato completamente concentrato su te stesso perché hai… questa “tendenza” a pensare sempre al bene degli altri, prima che al tuo e così… beh, sì, ho fatto quello che ritenevo giusto, ovvero esaudire il tuo desiderio perché Sam potesse essere sereno e tranquillo e vivere… “in pace” e—»

Dean lo interruppe. «Sei andato da Sam?»

«Sì, genio…», lo apostrofò Castiel con sarcasmo. «…e te lo avrei detto non appena entrato qui dentro se tu non avessi iniziato questa inutile tirata come sei solito fare… visto che hai l’abitudine autodistruttiva di rovinare tutto ciò che hai di buono per paura… di cosa? Di perderlo? Di rimanere ferito? Siamo in Paradiso!», gli disse in tono di ovvietà, avvicinandosi al suo viso con le palpebre calate duramente sulle iridi azzurre fiammeggianti. «…non c’è niente che possa ferirti se non te stesso»

Dean mosse gli occhi sui suoi piedi, poi di nuovo su Castiel. Spostò il peso da una gamba all'altra, con i muscoli del viso che fremevano. «I-Io… mi dispiace, Cas… sono…», guardò a destra e a sinistra, in imbarazzo, poi fece un passo indietro, per sedersi sul bracciolo del divano, e si passò una mano sul viso e poi sul collo, grattandosi la nuca. «…sono un coglione e… hai ragione»

Castiel alzò un sopracciglio, colmando la distanza tra di loro fino a torreggiare sull’uomo, seduto in una posizione abbandonata. «Su cosa?»

«Sul fatto che ero… titubante…», svelò incapace di alzare lo sguardo. Le sue parole colpirono il silenzio come un macigno, e Dean sentì Castiel sospirare e lo vide mentre stava per fare un passo indietro, ma lo fermò, prendendogli una mano per trattenerlo dove era. «…non perché non voglio tutto questo… perché credimi…», soffiò una breve risata, «…lo voglio eccome, con tutto me stesso ma… sono fottutamente terrorizzato. Non ho mai… provato niente del genere, prima e h-ho paura che sia… troppo, troppo per me, che non sono ancora— tu mi guardi, e io vedo nei tuoi occhi il modo in cui mi vedi e io… non riesco a vedermi in quel modo e poi tu sei… e io…», grugnì. «Ho fatto sesso con molte donne, Cas… ma l’amore con poche. E ho provato attrazione per molte, molte persone, a volte nascondendolo anche a me stesso e mi sono innamorato, qualche volta, ma… quello che provo quando— accanto a te, beh è qualcosa di diverso, e di… spaventoso», disse con un sospiro. I suoi occhi erano umidi ma duri. «E poi non so neanche da che parte iniziare…», ammise. Poi tossicchiò e indicò brevemente la camicia di Castiel con un cenno del capo. «…Non ho mai sbottonato una camicia da quel lato, non so se mi spiego…»

L’espressione dell’angelo si addolcì. Gli si avvicinò, facendosi spazio tra le sue ginocchia aperte, fino ad essere ad un solo palmo da lui, completamente immerso nel suo spazio personale. Dean lo guardò dal basso, sentendosi colpevole, ed ebbe l’istinto di distogliere lo sguardo ma Castiel gli prese il viso con la mano libera, intrecciando le dita dell’altra a quelle dell’uomo, e gli sollevò la testa delicatamente. «Neanche io, Dean… ma vorrei tanto impararlo insieme a te, un passo alla volta»

Dean annuì e le sue palpebre tremarono chiudendosi sulle sue iridi verdi; si lasciò andare al tocco della mano di Castiel, abbandonando la guancia nel suo palmo come se quel tocco fosse tutto ciò che poteva trattenerlo dal cadere a terra. Sentiva il cuore battergli nel petto, e si sentiva leggero, rincuorato. «Ho paura di deluderti come ho deluso tutti, Cas», disse.

«In tal caso, lascia che ti mostri una cosa…»

L’uomo aprì gli occhi con un espressione confusa, mentre Castiel si piegava sulle ginocchia per mettersi alla sua altezza, guardandolo come per chiedere il suo permesso. Dean prima annuì, poi lo fermò quando vide che stava per imporgli le dita sulla sua fronte: nell’attesa si era cambiato, e adesso indossava una maglietta bianca e una felpa blu, lasciata aperta, sopra a un paio di pantaloni del pigiama a quadri che aveva trovato nell’armadio in camera. Si abbassò la felpa e arrotolò la manica corta della t-shirt per rivelare la pelle della spalla. 

Castiel tentennò. «Sei sicuro?»

Dean annuì, prendendo un respiro profondo e socchiudendo gli occhi lentamente. L’angelo lo guardò con un mezzo sorriso e poi posò il suo palmo e le sue dita sulla carne morbida e calda dell’altro. Una scossa attraversò tutto il corpo di Dean, che si sentì come lacerare per un breve istante, poi sentì il fuoco invadergli la gola e arrivare fino agli occhi, che si fecero brillanti di luce azzurra sotto le palpebre serrate. D’improvviso il dolore scomparve, e apparve una casa bianca; la vedeva esattamente come se si trovasse lì davanti. C’era un portico con qualche scalino, un bel giardino e qualche alberello, la facciata era fatta di lunghi listelli di legno smaltato. Sam scendeva le scale con un sacchetto della spazzatura in mano, poi lo vedeva e si lanciava in un abbraccio. Dean comprese che ciò che stava vivendo era il momento in cui Castiel aveva rivisto suo fratello. Ne percepì l’affetto, ne sentì l’abbraccio commosso. Come in un sogno sentì quello che lui e Sam si erano detti, poi comparvero Eileen e un bimbetto e Dean non si accorse che la sua anima aveva iniziato a piangere nel momento in cui aveva sentito chiamare il figlio di Sam con il suo nome. Poi Castiel aveva imposto le dita su suo fratello, che a quanto pare aveva un messaggio per lui.

Nella sua testa esplosero le immagini e percepì con violenza l’amore che Castiel aveva provato nel ricevere quei ricordi da Sam. Erano bambini, lui e Sam giocavano, Dean gli cantava una ninna nanna, poi correvano insieme in un prato, poi erano in un motel e lui gli stava preparando l’ennesima brodaglia di fagioli. I ricordi scorrevano veloci gli uni sugli altri, e in ognuno di essi c’era una triade di sentimenti che li pervadeva: stima, affetto e gratitudine. Dean vedeva e sentiva il modo in cui Sam lo vedeva, come il fratello maggiore su cui contare, come un padre, come un amico, come la sua unica sicurezza, come un esempio. E nella percezione di Sam si mescolava quella di Castiel, abbandonato completamente all’adorazione più completa.

Tutta la sua vita gli scorse davanti, vista dagli occhi di Sam; rivide le loro corse in macchina, percepì la tristezza di averlo deluso, percepì la gioia di averlo reso felice, la contentezza di aver fatto qualcosa per cui il suo fratellone era fiero di lui. Rivide l’arrivo di Castiel, e si vide negli occhi di Sam e si sentì liberato: Sam sapeva, e aveva saputo ben prima di lui, anzi forse l’aveva sempre saputo a differenza sua, ma questo non aveva cambiato niente, anzi, l’aveva reso ancora più fiero. Proseguendo sul viale dei ricordi, Dean si vide morire: e nel sentire il dolore di Sam sentì, ancora più forte, la disperazione di Castiel. In suo fratello percepiva tristezza, cordoglio ma anche serenità, consapevolezza, attesa, comprensione. Le emozioni di Sam erano quanto mai confuse con quelle dell’angelo in quella scena; Castiel sembrava spezzato, disintegrato, come se a morire fosse stato lui. E per quanto strano potesse sembrare, si riconobbe in quella sensazione di vuoto, in quella disperazione cocente, quel senso di morte interiore: era la stessa cosa che aveva provato Dean quando era stato Castiel a morire. 

Poi la scena cambiò, e vide la sua pira, sentì le preghiere di Sam a Jack perché vegliasse su di lui, e sentì anche suo fratello rivolgerglisi direttamente, per dirgli che capiva, che andava tutto bene, che si sarebbero rivisti presto. Vide Sam guidare la sua baby, incontrarsi con Eileen, baciarla: li vide scegliere una casa, appendere le armi al chiodo, andare prima da Jody e le ragazze, poi da Garth e tutti i loro amici ancora vivi, con delle buste in mano per invitarli al loro matrimonio, li vide sposarsi, sentì la sua gioia, sentì le preghiere di Sam ogni sera, in cui gli raccontava di come la sua vita stesse percorrendo, di come sperava che Dean fosse fiero di lui. Poi vide Eileen con un grosso pancione e il viso tutto rosso per lo sforzo, con Sam che le teneva forte la mano mentre lei spingeva, circondata da infermieri e ostetriche in un lettino d’ospedale. Sentì forte l’emozione di Sam nel sentire il primo vagito di suo figlio, e fu come se quell’emozione fosse anche sua, come se fosse stato lì. Lo sentì dire alla dottoressa che si chiamava Dean, e poi lo vide crescere, fare i primi passi, e sentì Sam e Eileen raccontagli le storie della buonanotte: parlavano tutte di suo zio, dell’eroe che aveva salvato il mondo, del suo angelo custode Castiel, e di tutte le loro avventure, seppure un po’ romanzate. 

E Dean percepiva nelle sue parole la stima che suo fratello aveva per lui, l’affetto, il modo in cui faceva ogni passo nella consapevolezza che lui ne era fiero. 

L’uomo era già abbastanza sopraffatto, ma Castiel non aveva finito di mostrargli ciò che doveva; evidentemente, anche Eileen gli aveva recapitato un messaggio, mostrandogli la propria gratitudine per aver sempre protetto Sam, per averlo reso l’uomo che era. Tutto nella mente della donna diceva che era merito suo.

Quando Castiel abbassò la mano dalla spalla di Dean, liberandolo dalla visione, lui si accorse di essere rotto dal pianto. Non delle semplici lacrime, non degli occhi gonfi di gocce salate che non volevano scendere: ma un vero e proprio pianto liberatorio, di quelli che non si era mai veramente concesso se non nell’intimità della sua stanza, e a volte in realtà neanche in quel caso. I singhiozzi gli rompevano il respiro, le lacrime gli ruzzolavano in lunghe autostrade salate sul viso arrossato. Si aggrappò a Castiel con entrambe le mani, e lui lo strinse a sé, lasciando che affondasse il viso nella sua camicia stropicciata. Posò il capo sul suo, tenendolo forte, e lasciò che tirasse fuori tutto ciò che aveva dentro.

Mai Dean si era sentito tanto libero come in quel momento. Mai si era sentito amato come in quel momento. Mai, sicuramente, si era sentito capace di affrontare qualunque timore con la stessa forza, sicurezza e consapevolezza che quelle lacrime gli stavano dando, trascinando fuori da lui ogni stilla di odio, di delusione, di avversione che poteva ancora avere per sé stesso.

La strada era ancora lunga perché potesse vedersi nello stesso modo in cui le persone che lo amavano lo vedevano veramente, e forse non ci sarebbe mai arrivato del tutto, ma non importava. Era amato, e poteva amare. 

Per cui gli sembrò del tutto naturale quando, tra il pianto e i “grazie” che mugugnava contro il petto di Castiel, le sue mani si mossero da sole per liberargli i bottoni dalle asole.



 

   
 
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