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Autore: edoardo811    04/04/2022    2 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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XVII

Death Valley


 

Si fermarono poco più avanti, tra alcune dune, per permettere a Penelope di riposare. La centaura crollò a terra e si addormentò quasi subito. Aveva un modo buffo di dormire, con la testa a ciondoloni e le zampe piegate di lato. Faceva anche degli strani versi, una sorta di nitrito con tanto di accento californiano.

Nel frattempo i ragazzi montarono la tenda. Uno per volta, Kiana per prima e Daniel per ultimo, la usarono per cambiarsi i vestiti e darsi una ripulita.

Mentre tutti e tre mettevano qualcosa sotto i denti, Daniel e Cam raccontarono a Kiana la loro parte della storia. Daniel cominciò per primo e raccontò di come il gruppo si fosse allargato, ma proprio come con Camille non parlò della donna di oscurità e della sua piccola esperienza vicina alla morte. Non seppe perché, ma qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meglio a tenere quell’informazione per sé. E con Penelope addormentata, non dovette preoccuparsi della sua bocca larga.

«Quindi… adesso hai dei poteri anche tu, zombie?»

Daniel rimase con i denti incastrati nel panino, con gli occhi cangianti di Kiana puntati su di lui. Si scostò dallo spuntino e annuì dopo un attimo di esitazione.

«E… ti sono usciti così? Dal nulla?»

«Ehm… beh… è un po’… complicato…» Daniel si rese conto che anche Camille lo stava guardando. Non gli disse nulla, ma era chiaro che anche lei fosse curiosa di sapere nel dettaglio come avesse scoperto i suoi poteri.

«Sono… usciti fuori quando Elias mi ha scagliato contro gli scheletri. Non so come ci sia riuscito, ho soltanto… pensato che volevo distruggerli e…» Mostrò a Kiana il proprio palmo mentre si ricopriva di oscurità.

La figlia di Venere rimase a bocca aperta per la sorpresa. «Wow.»

Daniel abbassò la mano e si strinse nelle spalle. «E poi è arrivato Jack a tirarci tutti fuori di lì con un salto nell’ombra.»

«Non riesco a credere che quel segugio sia nostro… “amico”» borbottò Kiana.

Malgrado tutto, a Daniel venne da abbozzare un sorriso. «Già… nemmeno io» convenne, mentre guardava Jack intento a innaffiare alcuni cespugli spogli e arbusti che parevano fatti di grissini, anche se probabilmente non lo stava facendo perché aveva a cuore la vita delle piante.

Alla sua storia si accodò quella di Cam, che in effetti Daniel ancora non aveva sentito. La figlia di Trivia parlò del suo incontro con Ruby e un’altra empusa e sorella, Sapphire, che doveva essere la psicopatica coi capelli rosa che aveva proposto a Daniel di diventare il suo spuntino.

Mentre Camille parlava di come si fosse liberata grazie alla magia, spalancò gli occhi.

«Shinji!» gridò, prima di mettersi le mani nei capelli. «Oh miei dei! Mi sono totalmente dimenticata di lui!»

Daniel corrugò la fronte. «Shinji? Vuoi dire quell’uomo giapponese?»

Camille era così devastata che sembrava avesse appena finito di comunicare loro la più terribile delle notizie. «Si chiamava Shinjiro. Mi ha salvata da Lamia e per ripagarlo mi sono dimenticata di lui! Ahhhh sono una persona orribile!»

«Giapponese hai detto?» si intromise Kiana, rivolta a Daniel. «Come… come le creature che hanno affrontato David e Travis?»

«Così parrebbe.»

La figlia di Trivia cominciò a sgranocchiarsi le unghie al posto del panino. «Starà… starà bene?»

Daniel sollevò le spalle. «Beh, se Encelado avesse voluto avrebbe potuto ucciderlo subito, no? Probabilmente l’ha portato in qualche altra prigione.»

«Dobbiamo liberare mia madre. Così anche lui riavrà i suoi poteri e potrà scappare!»

Come al solito, Camille pensava a come salvare la pelle di tutti, mostri inclusi. Daniel scosse appena la testa, ma non disse niente in merito.

«Quindi voi avete rivisto Encelado» commentò Kiana. «Ma che è successo alla prigione? Era già distrutta in quel modo?»

Camille trasalì molto più forte di quanto probabilmente avrebbe voluto.

«Cam? Va tutto bene?»

Dal suo sguardo sembrava proprio che la figlia di Trivia stesse tutto meno che bene: pareva sul punto di vomitare. Tuttavia tenne i nervi saldi e annuì a fatica. Daniel ripensò a come quella piccoletta avesse reagito quando si era resa conto di quello che aveva fatto e immaginò che non volesse più parlarne. Tuttavia, Camille si strinse nelle spalle e tirò un profondo sospiro. «Sono… sono stata io» sussurrò, abbassando la testa. «L’ho… l’ho distrutta io…»

Kiana ridacchiò. «Sì, ok. Dai, seriamente ragazzi, che cavolo è success…»

«Non sto scherzando, Kiana.» Camille si raddrizzò: il suo sguardo era severo come mai l’avevano vista prima. «Sono… sono davvero stata io.»

Aprì i palmi di fronte a loro. Chiuse gli occhi e inspirò: in una mano si accese un fuocherello, l’altra invece si ricoprì di brina sotto gli occhi basiti di Kiana e anche quelli colti alla sprovvista di Daniel.

«Posso… posso farlo da quando sono bambina» spiegò Camille, facendo fatica a tirare fuori le parole. «La magia… è sempre stata dentro di me. Però… ecco…» Abbassò le mani, facendole tornare entrambe normali, e scosse la testa con espressione mesta. «… non sono mai stata brava a controllarla. Posso fare cose semplici, come accendere un fuoco, o creare una lastra di ghiaccio, o anche…»

Puntò il dito contro il panino di Daniel e quello scivolò via dalle sue mani per mettersi a levitare di fronte a tutti loro. Camille lo pilotò per qualche istante, mentre gli altri due ragazzi rimanevano ad osservare esterrefatti. Per un istante Cam sembrò ritrovare il buonumore, forse per via delle loro reazioni meravigliate, ma non passò molto prima che si rannuvolasse di nuovo.

Fece tornare il panino tra le mani di Daniel e sembrò che la brina nelle sue mani le avesse ricoperto il corpo intero, perché rabbrividì. «Ho sempre cercato di usare i miei poteri il meno possibile per… per paura di perdere il controllo. Non… non è semplice, specialmente quando sono… sotto pressione.» Diede un’occhiata a Daniel e avvampò quando vide che lui la stava guardando.

«Potrebbero… sembrare “forti” se visti dall’esterno ma… credetemi, non è una cosa che vorreste davvero. Quando sei consapevole che con le tue sole mani potresti… distruggere una prigione intera o…» esitò di nuovo. «… insomma, fare chissà che altro… diventa davvero difficile convivere con il proprio potere. Hai sempre paura di rischiare di fare del male a qualche innocente. Ti sembra di essere una bomba ad orologeria pronta a esplodere in qualsiasi momento. Sei… sei un pericolo.» La sua voce si incrinò. «Un pericolo per tutte le persone a cui vuoi bene.»

«Cam…» mormorò Kiana, quando si rese conto che non avrebbe aggiunto più nulla. «Perché non ce l’hai mai detto?»

Camille si abbracciò le gambe, appoggiando il mento sulle ginocchia. «Non volevo spaventarvi.»

Kiana si avvicinò a lei e le avvolse un braccio attorno alle spalle. «Scherzi? Spaventarci, uno scricciolo come te?»

Nonostante la tristezza evidente, Cam riuscì comunque a sorridere. Appoggiò la testa sulla spalla di Kiana e chiuse gli occhi. «Se… se vi facessi del male non potrei mai perdonarmelo.»

«Non succederà, Cam. Hai perso il controllo, ma sono certa che non accadrà di nuovo. Io mi fido di te.»

Camille si irrigidì. Annuì con un po’ di incertezza, mentre alcune lacrime le scivolavano lungo le guance. Gemette e si voltò, affondando il viso sulla spalla di Kiana. Si lasciò andare in un pianto sofferto, mentre Kiana la stringeva con più forza e le mormorava parole di incoraggiamento. Per tutto il tempo che Daniel passò a guardarle, non riuscì a fare altro che pensare a quello che invece Camille aveva detto dopo aver distrutto la prigione: era successo di nuovo.

Aveva già perso il controllo in passato, invece. Quella non era stata la prima volta. Cam lo sapeva. E anche Daniel, adesso, lo sapeva.

Quella piccoletta stretta tra le braccia ben più grosse di Kiana cominciò ad assumere tutto un altro aspetto agli occhi di Daniel. Anche lei era pericolosa. Molto, molto più pericolosa di quanto avrebbe mai potuto pensare. Forse tanto quanto Ashley ed Elias.

“Potrebbe essere un problema.”

Daniel serrò le palpebre, avvertendo un lieve dolore alla tempia.

“Un… problema? E perché? Anzi… per chi?”

«Quindi… è per questo che non hai voluto usare la magia, nelle stalle?» domandò Kiana.

Camille annuì senza staccarsi da lei. Un sospiro scappò anche dalle labbra della figlia di Venere. «Ti chiedo scusa, Cam. Io… non immaginavo che la cosa ti spaventasse così tanto. Mi dispiace di averti chiesto di usarla.»

«Non preoccuparti.» Camille si separò da lei e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Non… non potevi saperlo. Non hai fatto nulla di male.»

Kiana assottigliò le labbra e annuì, ma non disse altro. Tutt’un tratto pareva diventata una competizione tra loro due per chi fosse più triste.

«C’è dell’altro. Ho… fatto un sogno, prima di svegliarmi nella prigione.»

Camille raccontò che aveva visto Ecate, che le aveva detto che avevano solo tre giorni di tempo per salvarla, cosa che corrispondeva anche con quello che Alexandre aveva detto a Kiana. Ma la parte più sorprendente per Daniel fu quando Cam menzionò la donna fatta di oscurità. Non appena sentì parlare di occhi di diamanti brillanti e sorriso bianco come perle, gli sembrò che l’aria gli fosse stata risucchiata dal corpo.

Però… da come la descrisse, non sembrava la stessa donna che aveva visto lui. Parlò di un’aura malvagia, di potere immenso, di una voce fredda e tagliente. E soprattutto parlò di un vestito lungo, con le spalle scoperte e ricoperto di stelle. Non era lo stesso che aveva visto Daniel: la donna nel suo sogno non aveva alcun abito elegante ma un mantello coperto di piume e cappuccio. E soprattutto era stata gentile con lui.

«Mia madre… ha anche detto un’altra cosa. Ha parlato di… di qualcosa che si sta aprendo. Ma… non so a cosa si riferisse» proseguì Camille.

«Periboia ha detto qualcosa di simile» rifletté Kiana. «Ha parlato della “terra che si apre per rigettare fuori il male”.»

Un brivido percorse il corpo di Daniel. Non seppe perché, ma sentì che avrebbe dovuto sapere che cosa significasse tutto quello, la donna di oscurità, la terra che si squarciava, perfino la Notte Eterna. Gli sembrava che la risposta alle sue domande fosse lì, a portata di dita, ma era come se ogni volta che lui provava ad avvicinarvisi quella sgusciava di qualche centimetro più in là, rimanendo sempre fuori dalla sua portata.

«Tu non hai sentito nulla?»

Daniel trasalì, rendendosi conto che Camille lo stava guardando. «Quel dio… non ti ha detto nulla, Daniel?»

«Chi, Fatum? No.» Daniel fece una smorfia. «Solo dove vi avrei trovate… e qualche frase criptica sul fatto che mi aspetta un destino peggiore della morte. Nient’altro.»

«Quel tizio farà un figurone alle feste…» borbottò Kiana.

Camille ormai aveva mangiato più unghie che panino. «Non… non può trattarsi di Ga… della “Madre Terra”, giusto? Non può essere lei la padrona, è stata sconfitta pochissimo tempo fa!»

«Vent’anni» mugugnò Daniel.

«È comunque troppo poco per una dea come lei. Ha dormito millenni! Ed è scoppiata in mille pezzi, non può essersi già riformata!»

«Nessuno vuole convincerti del contrario, Cam» chiarì il ragazzo. «Ma direi che a questo punto nessuna ipotesi può essere esclusa.»

Kiana si stritolò le tempie tra le mani. «Mi sta scoppiando il cervello…»

«A chi lo dici…» Camille chiuse la discussione con un lunghissimo sospiro. «È… è anche per questo che dobbiamo trovare mia madre. Mi servono… ci servono risposte. Dobbiamo capire chi sta tramando alle nostre spalle e io devo capire perché lei mi abbia dato un potere così grande solo per lasciarmi da sola al Campo Giove, senza nessun fratello che potesse insegnarmi a controllarlo. Ho bisogno di sapere… che cosa devo fare, come controllare i miei poteri per fare del bene e non del male.»

«La troveremo, Cam» affermò Kiana con decisione. «Troppe persone dipendono da quest’impresa. Non possiamo deluderle. Mary…» Sussultò. «C-Cioè, v-voglio dire… cioè…»

Un sorrisetto nacque sul volto di Daniel. E ovviamente lei se ne accorse subito. «C-Che hai da sorridere tu?!»

«Non posso sorridere adesso?»

«Non sorridi mai! Perché devi farlo proprio ora?!»

«Kiana, calma!» Ora fu Camille a posarle una mano sulla spalla, anche lei faticando a trattenere un sorriso. «Non preoccuparti, aiuteremo anche Mary. È una promessa.»

«O-Okay…» mormorò Kiana, angosciata. «È solo che… lei si è messa nei guai per noi… non… non riesco ad accettare il modo in cui l’hanno trattata. Come se lei fosse un mostro, o peggio. Non è giusto…»

«Ashley la pagherà» sibilò Daniel. «Questa è una promessa che ti faccio io.»

Questa volta Kiana incrociò il suo sguardo e annuì, anche se sembrava incerta. Nello stesso momento, Camille abbassò la testa con espressione buia. «Anche Dante è finito nei guai per colpa nostra…»

«Ragazze.» Entrambe sussultarono. Daniel si sporse verso di loro, stanco di sentirle parlare in quel modo. «Sia Marianne che Dante conoscevano i rischi che correvano e sono comunque andati fino in fondo. Adesso noi dovremo fare lo stesso. Tutto chiaro?»

«Sì, hai ragione» annuì Camille, riscuotendosi.

«Veloce e dritto al punto» commentò anche Kiana, prima di abbozzare un altro sorriso. «Così mi piaci, zombie.»

Daniel fece una smorfia. Diede l’ultimo morso al panino, poi si ripulì dalle briciole. Penelope stava ancora sonnecchiando e non sembrava vicina a svegliarsi. Un silenzio tombale scese nel loro piccolo accampamento, consumato solo dal respiro buffo di Penelope e dal rumore di Jack che saltellava tra le dune, felice come una contadinella alla ricerca di nespole.

Il ragazzo chiuse gli occhi. Senza nient’altro che potesse distrarlo, finì con il ripensare a tutti i suoi problemi, cosa in cui in fin dei conti era diventato piuttosto bravo. Ciò che continuava a tormentarlo maggiormente era quel maledetto nome con cui l’avevano chiamato.

Vacuo. Perché proprio quel nome? Che cosa significava?

Pensò a come si fosse sempre comportato con le altre persone. Gli sembrava di non sentire mai… nulla. E anche la sua vita prima del campo era una gigantesca immagine sbiadita. Che i nemici si riferissero a quello, quando lo chiamavano “vacuo”? Ma come facevano loro a sapere del suo passato?

Chi diavolo era la padrona e perché Sapphire aveva detto che avrebbe dovuto conoscerla?

E Fatum… perché l’aveva cercato? Il dio del destino avverso… perché era andato proprio da lui?

Sollevò una mano di fronte a sé e fece apparire di nuovo l’oscurità dal suo palmo. Stando a Fatum, sarebbe stata proprio quell’oscurità la causa di tutto il dolore e la sofferenza di cui gli aveva parlato. Ripensò al suo scontro con Lamia. L’aveva annientata in pochissimo tempo, proprio con quell’oscurità, senza nemmeno sapere che cosa avesse fatto di preciso. Aveva soltanto agito seguendo l’istinto e i suoi poteri avevano fatto tutto il resto. Era a quello che Fatum si era riferito?

Gli venne da pensare agli incubi che faceva, alle voci che sentiva e che gli ordinavano di distruggere il Campo Giove. Si era sempre chiesto come diamine avrebbe potuto fare una cosa del genere, anche se l’avesse voluto. Beh, ora che aveva scoperto i suoi poteri quell’idea non sembrava più così irrealizzabile.

Sentì l’oscurità smuoversi dentro di lui non appena ebbe quel pensiero e rabbrividì. Il Campo Giove… quel luogo non gli era mai sembrato una “casa” vera e propria. E Ashley… l’aveva sempre visto come un problema, come spazzatura da buttare via. Per non parlare di Elias o…

Daniel scrollò la testa. Ma che diamine stava pensando? Lui non avrebbe distrutto proprio un bel niente. La donna di oscurità aveva parlato chiaro: se voleva ottenere risposte sul suo passato, avrebbe dovuto salvare Ecate e di conseguenza il campo.

“Salvare… Ecate?”

Una sensazione di vertigini assalì Daniel all’improvviso.

“No… io devo… devo…”

Si premette una mano sulla tempia e mugugnò molto più rumorosamente di quanto avrebbe dovuto.

«Daniel? Va tutto bene?»

Daniel drizzò la testa e si accorse degli sguardi perplessi di Camille e Kiana.

«S-Sì, sì…» mugugnò lui, per poi dare loro le spalle. «Mi faccio anch’io una dormita. Svegliatemi quando dobbiamo ripartire.»

Si sdraiò sul sacco a pelo senza aspettare una risposta. Nonostante fossero nel deserto, un brivido gelato gli attraversò la spina dorsale.

 

***

 

La luce delle torce mandava un bagliore fioco su quell’immenso salone scuro, dalle piastrelle di marmo nero lucido. Le pareti erano ammassi di ombre che si plasmavano e continuavano a cambiare forma, come se fossero creature viventi pronte a trascinare nell’oscurità chiunque fosse stato abbastanza stupido da avvicinarsi. 

L’odore di incenso era così forte da essere nauseante, l’aria era rarefatta, rendendo quasi impossibile respirare. 

Una voce profonda provenne dal fondo del salone: «Daniel.»

Il ragazzo sentì la propria pelle accapponarsi. Conosceva quella voce: era quella che continuava a ripetergli di uccidere i suoi compagni.

Un nugolo di oscurità si mosse dal punto in cui era provenuta la voce. In mezzo alle ombre, Daniel intravide un trono di ossidiana vuoto. O almeno, pensò che fosse vuoto. Poi si rese conto che invece era proprio l’oscurità ad esserci seduta sopra. Ed era proprio l’oscurità a parlare: «Che cosa stai aspettando, Daniel? Perché non hai ancora svolto il tuo lavoro?»

Daniel sentì la bocca piena di sabbia. La paura gli stritolò il cuore, impedendogli di parlare. Non si era mai sentito così smarrito, fragile, insignificante. Era certo che, qualunque cosa ci fosse di fronte a lui, avrebbe potuto disintegrarlo con il pensiero. 

Alcune risate si levarono nel salone, provenienti dai punti più disparati. Dalle ombre iniziarono ad apparire alcune figure che si avvicinarono a lui. Ne contò quattro.

«Vacuo, da che parte stai?» disse una di loro. Aveva una voce maschile graffiante e divertita. «Sei con i vincenti, o con i perdenti?»

«Non hai più molto tempo» mormorò la seconda, che invece sembrava una ragazza, con tono flebile, quasi triste.

«Secondo me l’hanno già traviato» si intromise la terza ombra, con voce molto più roca e anche ovattata, come se a parlare fosse un vecchietto con qualcosa di premuto sopra la bocca. «Percepisco una certa riottosità in lui. Sarebbe stato più opportuno lasciare che…»

La voce al fondo del salone si sollevò così forte da far sfarfallare le luci delle torce: «Metti forse in dubbio il mio controllo su di lui?» 

L’ombra misteriosa emise un sussulto. «N-No, certo che no, madre. Ma Moros, lui…»

«Di lui me ne sono occupata personalmente. Non ci intralcerà più. Quanto al Vacuo…» Due luci si accesero in mezzo alle tenebre sul trono. «… lui obbedisce soltanto a me. Vero, Daniel?»

Daniel rimase immobile, a osservare quelle luci, quei due diamanti brillanti che lo scrutavano con insistenza, leggendogli nell’anima. «S-Sì» bisbigliò contro il proprio volere. 

«Allora fa come ti ho detto, Daniel. Devi…»

«Daniel! Daniel!»

«Ehi, zombie! Sveglia!»

La stanza cominciò a tremare. Le ombre si dissolsero, anche le luci sul trono scomparvero, mentre le voci di Kiana e Camille lo chiamavano con sempre più insistenza.

 

***

 

«Accidenti, zombie. Sei l’unica persona che conosco che più dorme e più sembra stanco» fu il commento molto gentile di Kiana non appena riaprì gli occhi. 

«Va tutto bene, Daniel?» domandò Camille, più apprensiva. 

Daniel non aveva idea di che aspetto avesse, ma a giudicare dalle reazioni delle sue compagne non doveva essere dei migliori. «Sì, sì…» mentì. 

Kiana gli passò lo zainetto. «Dai, prendi le tue cose. Stiamo per partire.» 

Il ragazzo si accorse di Penelope di nuovo sveglia, intenta a prendere i borsoni. Gli rivolse un sorriso timido non appena si accorse di lui. La mano di Camille gli apparve di fronte al naso. «Sei… sei sicuro di stare bene?» gli domandò. 

«Sì, certo» ripeté Daniel, rimettendosi in piedi senza accettare l’aiuto della ragazza.

«Hai… fatto qualche incubo?»

Daniel le scoccò un’occhiata stranita. Che razza di domanda era quella? 

«Nessun incubo» rispose, stanco di tutta quella preoccupazione. Le passò accanto. «Dai, non perdiamo altro tempo.»

«S-Sì, scusa…» 

Non ci misero molto a ripartire. Penelope disse di stare meglio, ma Daniel continuò a dubitarne. D’altra parte, farsi trasportare da lei era l’unico modo. Potevano saltare nell’ombra assieme a Jack, ma non aveva idea di come ordinargli di farlo, visto che sembrava agire per conto suo tutte le volte – ancora si domandava come diamine avesse fatto a trovare Kiana – e comunque non sapevano nemmeno dove andare, quindi non aveva una destinazione precisa da dirgli. L’unica che conosceva quel posto era Penelope. Lei promise solennemente che si sarebbe fermata al primo cenno di cedimento e lui fu costretto a crederle. 

Procedettero ad altissima velocità sopra delle dune di sabbia immense. Se non fosse stato per il profilo delle montagne che si stagliava in lontananza, Daniel avrebbe creduto di essere nel deserto del Sahara.

La sua pelle si arricciò all’improvviso, mentre attraversavano una lunga stradina battuta costeggiata da zolle steppose, i primi accenni di vegetazione più pronunciata che si vedevano dopo tanto tempo. Spostò lo sguardo verso alcune dune lontane, che sorgevano a malapena dal terreno, e assottigliò le palpebre.

La strana sensazione cominciò a svanire non appena quelle dune diventarono un puntino indistinto alle sue spalle. Per un attimo pensò di chiedere alle sue compagne di viaggio di fermarsi e andare laggiù a controllare cosa ci fosse, ma alla fine decise di non farlo. Non c’era altro tempo da perdere.

Si stava facendo ormai sera quando si lasciarono alle spalle quel deserto in miniatura e raggiunsero una piazzola di terra battuta circondata da una staccionata, oltre la quale si trovava un paesaggio molto diverso rispetto a quello da cui erano appena arrivati.

C’era una passerella di legno che non sembrava avere fine, costeggiata da zolle di terra e sabbia con cespugli che apparivano sporadici. Un cartello affisso vicino all’inizio della passerella recitava: “Salt Creek Trail.”

Penelope si fermò vicino al cartello per far scendere Camille, che aveva chiesto di lasciarle dare un’occhiata.

«Questo è l’unico corso d’acqua rimasto nella valle» spiegò loro, dopo una rapida lettura. «Una volta era un lago, ma si è prosciugato… più di diecimila anni fa!» Lo disse come se fosse la cosa più incredibile del mondo.

Kiana fischiò. «Accidenti!»

«Sì, okay…» borbottò Daniel.

Camille si rabbuiò. «Potreste almeno fingere che vi interessi.»

«Ah-ah.»

«Sì, okay.»

Un sospiro esausto provenne dalla ragazza. «Stupida io che ancora ci provo…»

«Direi di attraversare questo posto e fermarci per la notte» stabilì Kiana, mentre attraversavano la passerella. «Sono stanca morta.»

«A chi lo dici» fece eco Camille. «Non avrei mai pensato che cavalcare fosse così estenuante. Senza offesa, Penny.»

Penelope ridacchiò. «Non mi hai offesa, tranquilla! Noi centauri non siamo abituati a trasportare le persone, quindi so di non essere molto comoda. Cercate di resistere ancora un po’.»

«Senza di te non saremmo mai arrivati fin qui» rispose Cam, dandole qualche pacca sul braccio. «Non potrò mai ringraziarti abbastanza.»

Daniel percepì Penelope sussultare, quindi intuì che si fosse imbarazzata, o che fosse perfino arrossita.

«Non… non serve che mi ringraziate» mormorò. «Mi basta sapere di essere stata d’aiuto.»

«Certo che lo sei stata!»

«Allora… sono io a ringraziare voi. Per avermi accettata in squadra.» Penelope si voltò e li scrutò tutti e tre con la coda dell’occhio, sorridendo gentile. «Sono rimasta sola per quasi tutta la vita. Sono… felice di avere dei nuovi amici.»

«Davvero sei sempre rimasta sola?» domandò Kiana. «Niente amici, o famiglia, o… ehm… compagni?»

«Vivevo in un branco, come quasi tutti i centauri» spiegò Penelope, prima di esitare. «Ma sono scappata tanto tempo fa… loro… non erano gentili con me.»

Kiana si irrigidì all’improvviso. Abbassò la testa dopo un lungo istante e annuì sommessamente. «Capisco.»

«Oh, non preoccuparti!» la rassicurò Penelope, per via del suo tono smorto. «Ormai è acqua passata! Stare da sola mi ha fatto bene, e adesso che vi ho conosciuto non potrei essere più felice!»

La figlia di Venere non sembrò nemmeno sentirla. Rimase con le spalle abbassate, in silenzio.

Lo scalpiccio degli zoccoli sul legno fu l’unico rumore che per diverso tempo rimase ad aleggiare nell’aria; Jack era scomparso di nuovo, ma l’aveva già fatto prima, quindi Daniel non era troppo preoccupato per lui.

Si guardò attorno, facendo vagare lo sguardo su quel paesaggio molto più verde e rigoglioso rispetto ai deserti attraversati fino a quel momento. Doveva essere per via di quel piccolo fiumiciattolo che scorreva a filo con la passerella di legno su cui si trovavano. Non poteva essere profondo più di qualche centimetro, a tratti si interrompeva perfino in pozzanghere frammentate, però quella poca acqua era bastata alle piante abituate al clima secco.

Un’altra strana sensazione cominciò a farsi strada dentro di lui man mano che procedevano. Non era come quella che aveva avvertito nel deserto, però: era perfino peggiore.

La sensazione che qualcosa stesse per andare storto da un momento all’altro.

Forse era figlio di un dio veggente, perché non appena ebbe quel pensiero qualcosa emerse dal fiumiciattolo, emettendo un grido agghiacciante. Penelope si arrestò di colpo e si impennò per lo spavento, per poco non rovesciandoli tutti, mentre dal fiume emergevano altre figure, sollevandosi con delle esplosioni di acqua salata e sporca.

Daniel rimase pietrificato per lo stupore. Erano delle naiadi. O almeno, credeva fossero naiadi, era difficile capirlo viste le condizioni penose in cui si trovavano. Avevano tutte la pelle avvizzita e biancastra, cadaverica, che cadeva a brandelli in tutti i sensi della parola. I capelli, pochissimi, erano ridotti a ciocche sfuse e sparpagliate in maniera disordinata sui crani che avevano le stesse sembianze di dei mandarini schiacciati. I vestiti erano laceri, ridotti a poco più che stracci, mentre i volti erano prosciugati, con le guance incavate, gli occhi arrossati, le labbra quasi inesistenti a fare da contorno a pochi denti marciti.

Penelope indietreggiò spaventata, mentre un verso sorpreso proveniva da Kiana: «Ma che diamine…?»

«A… cqua…» gemette la naiade più vicina a loro, sollevando un braccio. Cominciarono a muoversi tutte insieme per chiudere le distanze, avanzando passo tremante dopo passo tremante. Sembrava che dovessero tutte quante crollare a terra prive di forze da un momento all’altro. Nonostante le naiadi fossero di solito pacifiche, l’immagine di quel piccolo esercito di cadaveri viventi che si avvicinava a loro aveva del raccapricciante.

«Sono… sono tutte…» provò a dire Camille.

«Mezze morte» concluse Kiana al posto suo, lo sguardo magnetizzato a quelle creature ripugnanti che si facevano sempre più vicine.

«Disidratate» corresse Cam, anche se parve farlo solo per nascondere il proprio nervosismo. «Deve essere per via del lago che si è prosciugato…»

«Ma… non avevi detto che è successo diecimila anni fa?»

«Sì, ma le ninfe sono immortali. Devono aver resistito solo con… aspetta, ma quindi mi stavi ascoltando?» domandò Camille, e Daniel non capì se fosse più stupita o infastidita.

«Ac… qua…» ripeté la ninfa. «Vi… prego…»

«A-Aspettate.» Camille scese da Penelope e cominciò a trafficare nel proprio zainetto.

«Che stai facendo?!» sbottò Daniel, incredulo. «Andiamocene da qui!»

«Ma non possiamo abbandonarle!»

Camille tirò fuori la sua borraccia, ma Daniel la raggiunse prima che potesse farci qualsiasi stupidaggine avesse in mente. Gliela strappò di mano con un gesto secco. «Quella ci serve!»

«Acqua…» gemette la naiade più vicina. Allungò la mano verso la borraccia ma Daniel la allontanò con uno spintone, rispedendola nel fiume.

«Levati dai piedi!» gridò, prima di puntare il palmo che si stava ricoprendo di oscurità verso tutte le altre. «Levatevi tutte dai piedi!»

Le naiadi sibilarono adirate, ma smisero di avvicinarsi.

«D-Daniel!» Camille lo costrinse ad abbassare il braccio. «Smettila! Così le spaventi!»

«Lasciami!» Daniel si scostò dalla presa di Camille. All’improvviso, si sentì furibondo con lei. «Ma si può sapere che cosa ti passa per la testa? Non lo vedi che sono spacciate?! Non c’è niente che tu possa fare per loro!»

Camille sussultò, ma non distolse gli occhi dai suoi. «Magari… magari posso usare i miei poteri, creare del ghiaccio e…»

«E cosa? Cosa?! Vuoi creare un lago di ghiaccio grosso come la valle?!»

«Ehi, voi due!» li chiamò Kiana. «Dateci un taglio, o…»

«Almeno io ci provo a fare qualcosa!» gridò allora Camille. «Non me ne sto ferma a guardare gli altri che soffrono come fai tu!»

«Già, come tua sorella. La stessa che se non fosse stato per me ti avrebbe staccato la testa. Anche lei soffriva, giusto?»

La ragazza sussultò. Alcune lacrime cominciarono a scivolarle dagli occhi. «Sei crudele…»

Daniel serrò la mascella. «Sarò crudele quanto vuoi, ma almeno non sono un ingenuo che crede di poter salvare tutti.» Le gettò la borraccia. Camille la prese al volo, reagendo come se le avesse appena passato una granata inesplosa, dopodiché Daniel le diede le spalle.

Stava per tornarsene in groppa a Penelope, che assieme a Kiana era rimasta ad osservare la scena in silenzio sbigottito, quando la voce di Camille provenne di nuovo da dietro di lui: «Perché fai così?!»

Il ragazzo si fermò di scatto. Camille continuò a gridare con quella sua vocina incrinata forse per la rabbia, forse per la tristezza, forse per entrambe: «Perché ti comporti in questo modo?! Come puoi essere così insensibile?!»

Un sorrisetto nacque sul volto di Daniel. «Insensibile?» Si voltò di nuovo verso Camille, che trasalì. Marciò verso di lei con passo pesante finché non si ritrovò a scrutarla dall’alto con i pugni contratti. «Va bene, Cam. Vuoi che aiuto queste bastarde a smettere di soffrire?»

Si voltò verso una naiade e puntò il palmo verso la sua testa. Un dardo di luce nera le trapassò il cranio uccidendola sul colpo. Decine e decine di urla terrorizzate si alzarono come uno tsunami, mentre le altre ninfe si gettavano nel fiume per non fare la stessa fine. Daniel spostò lo sguardo su tutte loro e all’improvviso gli sembrò di vedere delle ombre nere al loro posto. Digrignò i denti e l’oscurità formicolò dentro di lui.

Ne colpì altre due. Una morì sul colpo, l’altra invece venne solo ferita alla spalla. Ne avrebbe colpite anche altre se Camille non si fosse frapposta con la forza, urlandogli di smetterla.

«Volevi che le aiutassi? Questo è l’unico modo!» tuonò lui.

Puntò la mano verso l’ultima ninfa rimasta, ma qualcosa lo colpì alla guancia. Piegò la testa, colto alla sprovvista, la pelle che bruciava. Poi si voltò lentamente verso Camille, che stava ancora tenendo alzata la mano con cui l’aveva appena schiaffeggiato. Aveva gli occhi zuppi di lacrime e i denti stretti tra loro in un’espressione di puro dolore.

I due compagni si osservarono per quelle che parvero eternità. Daniel vide le dita fumanti di Cam e sentì la schiena formicolare. La figlia di Trivia sembrava di nuovo sul punto di esplodere, ma a lui non importava minimamente. Poteva provarci, a usare la sua stupida magia su di lui: avrebbe avuto una brutta sorpresa.

«Avevi… avevi ragione, Daniel» disse invece Camille, asciugandosi le lacrime e distogliendo lo sguardo da lui. Tirò su con il naso e mormorò affranta: «Fai schifo come amico.»

Non aggiunse altro. Gli diede le spalle e si incamminò spedita lungo la passerella, continuando ad asciugarsi le lacrime, la borraccia ancora stretta in una mano. Daniel rimase con gli occhi conficcati sulla sua schiena, in silenzio.

«Cam! Cam!»

Soltanto quando la chiamò, Daniel si ricordò che lì c’era anche Kiana.

«Maledizione!» sbottò la figlia di Venere. «Penelope, va con lei.»

«E-Eh? E voi…»

«Ora, Penelope.» Kiana saltò giù dalla groppa. «Sbrigati, prima che faccia qualche stupidaggine.»

«V-Va bene…» Penelope trotterellò via, lasciandola sola con Daniel.

«Si può sapere che problema hai?!» gli sibilò quando Penelope fu abbastanza lontana.

Daniel alzò gli occhi al cielo. Ecco che ricominciavano. «Non ho nessun problema» replicò, gelido, prima di rimettersi a camminare. «Forza, diamoci una mossa prima che…»

Le dita di Kiana si serrarono attorno al suo braccio. Prima che lui potesse dimenarsi, quella lo trascinò all’indietro, costringendolo a voltarsi verso i suoi occhi cangianti. «Ma ti importa di qualcosa? Qualunque cosa? Possibile che tu non ti renda mai conto di nulla?!» Kiana lo lasciò andare. Il suo sguardo arrabbiato sembrò trasformarsi in uno deluso. «Almeno provi delle maledette emozioni, ogni tanto? Oppure per te è tutto un osservare gli altri con quell’espressione annoiata come se ogni cosa fosse una seccatura? Come se ogni cosa esistesse solo per darti noia?»

Il ragazzo rimase in silenzio, con le labbra schiuse. Non si era affatto aspettato una domanda del genere. Non capì nemmeno se Kiana si aspettasse una risposta seria oppure no.

La figlia di Venere sospirò, alzando le mani al cielo. «Senti. Se io scoprissi di non piacerti affatto, lo capirei. Non sono stata sempre… gentile, con te. Lo ammetto. E capirei anche se mi dicessi che odi il campo, odi la Quinta Coorte, Ashley e tutti gli altri. Sul serio, lo capirei. Perché ci sono passata anch’io. Tutti ci siamo passati. E tutti quanti abbiamo avuto bisogno di aiuto, ad un certo punto. Mi sta bene però che tu non lo voglia. Non siamo tutti uguali, e se tu vuoi stare solo, per i fatti tuoi a odiare il mondo, a me va bene. Okay? Non verrò a implorarti in ginocchio di uscire fuori dal tuo buco nero di rabbia. Ma Camille…»

Kiana puntò il braccio verso la passerella ormai avvolta nella penombra. «… lei non è così. Lei ti vuole bene, per qualsiasi stupido motivo, lei vuole davvero aiutarti, vuole esserti amica. E io… io sono stanca di guardarla sprecare le proprie forze dietro qualcuno a cui, chiaramente, non importa niente dei suoi sentimenti. Perché… perché se esiste qualcuno, una sola persona in questo bidone di pianeta che davvero, davvero non si meritava quel trattamento che le hai appena riservato… quella è proprio Camille.»

«Ma hai visto anche tu cosa stava cercando di fare, no?» disse Daniel. «Pensava che la nostra acqua avrebbe aiutato quelle naiadi. Erano già tutte morte! Camille cerca sempre di aiutare tutti, ma non può farlo!»

«E allora, qual è il problema? Ti da così fastidio che possa esistere qualcuno di gentile in questo mondo? Qualcuno che ogni tanto prova a fare del bene? O pensi che dovremmo essere tutti come te? “Quelle naiadi sono rimaste disidratate per diecimila anni, sono già morte, perché dovrebbe importarmi qualcosa?” È così che ragioni tu, vero? “Nessun altro ha fatto niente per loro, perché dovrei pensarci io?”» Kiana abbozzò un sorrisetto. «Sei un maledetto sociopatico, lo sai?»

«Ma ti senti quando parli?!» domandò Daniel. «Ti rendi conto, vero, che se continuerà così Camille si farà ammazzare? Già oggi c’è andata vicino, cosa pensi che sarebbe successo se io non fossi stato lì?»

«Quindi l’hai trattata come spazzatura per questo? Perché sei preoccupato per lei?»

Daniel esitò. «Sì… no… cioè…»  

«Se davvero sei preoccupato per lei, allora puoi aiutarla in mille modi diversi. Calpestare i suoi sentimenti e sputarci sopra non è uno di questi.» Kiana abbassò lo sguardo e Daniel si rese conto che anche lei stava piangendo. «Ma non lo capisci, Daniel?» sussurrò, scuotendo la testa e strizzando le palpebre per cacciare via le lacrime. «C’è bisogno di persone come Cam in questo mondo. Se tutti fossimo come te… o anche me… varrebbe davvero la pena combattere per proteggerlo?»

«Che… che significa “anche te”?»

«Non ha importanza.» Kiana tornò ad osservarlo negli occhi, senza alcun timore. Di solito Daniel era sempre rimasto indifferente al suo aspetto, ma in quel momento… c’era qualcosa di diverso in lei. Nonostante la voce incrinata e le lacrime, aveva un’aria molto più sicura, minacciosa e determinata di quanto l’avesse mai vista. Perfino durante la battaglia al Campo Giove non era sembrata così decisa. Pareva pronta a combattere e perfino a morire pur di difendere quella piccoletta lagnosa.

«Io non lo so quello che vuoi. Non posso saperlo. E non sono nemmeno sicura che tu lo sappia davvero. Ma ti posso dire una cosa: prova a fare ancora una volta uno scherzo del genere e ti assicuro che te la farò pagare cara. Non mi interessa dei tuoi stupidi poteri, nemmeno quelli ti serviranno a qualcosa. Hai la mia parola: ferisci ancora una volta Cam in quel modo…» Kiana lo puntellò al petto all’improvviso, facendolo sussultare. «… e ti farò a brandelli, Daniel.»

Gli passò accanto senza dire più nulla. Il fatto che non l’avesse chiamato con quello stupido soprannome lo toccò molto più forte di quanto avrebbe potuto immaginare. Si voltò e la guardò mentre si metteva al seguito delle altre due. Una strana fitta di dolore lo colpì al petto, improvvisa e letale, da mozzare il respiro.

Rimase immobile, nella passerella solitaria, con l’oscurità che calava lentamente ricoprendo ogni cosa e le sue compagne ormai distanti che procedevano in quel viaggio schifoso nel cuore della Valle della Morte.

«Mi… dispiace…» sussurrò.

La testa gli si abbassò contro il proprio volere e un lungo sospiro si librò dai suoi polmoni, ma nemmeno quello bastò per placare la stretta opprimente che l’aveva assalito allo stomaco.

 

***

 

Si accamparono una volta superato il Salt Creek Trail, sulla cima di alcuni pendii scoscesi che formavano un luogo chiamato Mustard Canyon. Forse si chiamava così per via del colore delle rocce, ma era difficile capirlo visto che ormai non c’era quasi più luce, fatta eccezione per quella delle stelle e della luna.

Camille non gli rivolse più la parola, Kiana neppure, però almeno lei continuò a guardarlo di tanto in tanto, forse per assicurarsi che lui non facesse del male a Cam, o magari perché si aspettava che si facesse avanti per scusarsi; non accadde nessuna delle due cose.

La figlia di Trivia accese un fuoco con i suoi poteri e qualche sterpaglia rinvenuta in giro, ma non vi rimase vicino a lungo. Quanto la notte si infittì e la stanchezza ebbe la meglio, sia lei che Kiana si ritirarono nella tenda, lasciandolo ad accudire il fuoco assieme a Penelope.

Nemmeno la centaura gli aveva più detto nulla, però il suo silenzio era molto meno pesante rispetto a quello delle sue compagne di viaggio. Rimase sdraiata sulla pancia dall’altra parte del fuoco, la luce arancione delle fiamme che gettava ombre baluginanti sul suo viso color cioccolato e facendo sembrare i suoi capelli rossi accesi anziché castani.

Daniel sollevò lo sguardo. Il cielo si era schiarito quando era calata la sera e se c’era una cosa veramente bella in quel luogo arido e desolato, era che lì si potevano scorgere le stelle in tutta la loro interezza.

L’inquinamento luminoso non era presente nemmeno al Campo Giove, perciò il cielo stellato si poteva scorgere bene perfino là, tuttavia la presenza di San Francisco poco distante in qualche modo influiva comunque; lì, invece, non c’era proprio nulla che potesse rovinare la distesa meravigliosa di stelle su quel manto nero e senza fine. Fu soltanto quando rimase a guardarle, concentrandosi su di esse senza alcuna distrazione, che cominciò a sentirsi meglio, al punto da credere che tutti i suoi problemi fossero scomparsi.

Aveva sempre amato la notte, le stelle, e soprattutto odiato il sole e il caldo, ma in quel momento la sensazione di benessere che quello spettacolo gli stava trasmettendo era indescrivibile. Gli sembrava di essere al sicuro, guardandole, come protetto da una bolla. In un certo senso… gli sembrava di essere a casa. Era assurdo, perché “casa” di certo non era la Valle della Morte, però quel tetto sulla sua testa lo faceva sentire come se “casa” potesse essere qualsiasi cosa: finché ci sarebbe stato quel cielo, ci sarebbe stata casa.

Quel viaggio doveva averlo fatto impazzire, era chiaro.

Adesso che era fermo, poteva riflettere meglio su quello che aveva fatto a quelle naiadi. Non aveva idea di che cosa gli fosse preso all’improvviso, sapeva solo che ad un certo punto si era stancato di sentire Camille parlare e si era sentito pervaso da una rabbia accecante. Si guardò i propri palmi, deglutendo. E se… se anziché quella naiade, avesse colpito Cam?

Le parole di Kiana risuonarono nella sua mente. Gli importava davvero di qualcosa? Perché era lì?

Che cosa voleva davvero?

Daniel sospirò pesantemente. Si era fatto le stesse domande così tante volte da aver perso il conto. Non sapeva perché avesse accettato di partire per l’impresa. Non sapeva perché avesse scelto di combattere, non sapeva nemmeno chi fosse. Un orfano che vagando senza meta si era trovato in un campo di ragazzi che ammazzavano mostri come passatempo, mostri che lui non aveva mai visto in vita sua se non dopo averne scoperto l’esistenza.

A tutte le domande di Kiana avrebbe potuto dare la stessa identica risposta: «Non lo so.»

«Stai… stai bene, Daniel?» La voce di Penelope interruppe i suoi pensieri. Si accorse che lei lo stava guardando con aria angosciata. «Sembri… giù.»

Un verso di scherno scappò dalla gola del ragazzo. «Davvero? Da cosa l’hai dedotto?»

Si pentì di averle risposto così nel momento esatto in cui quelle parole uscirono dalla sua bocca. «Scusa» mormorò, prima di massaggiarsi le palpebre esausto. «Sto bene, comunque. Non preoccuparti per me. Non serve.»

«Mi… mi fa piacere.»

Daniel rimase con lo sguardo conficcato sulle fiamme, distratto dallo scoppiettio della legna. «Ascolta, Penelope…» cominciò a dire. «… sei… sei davvero sicura di voler rimanere con noi?»

«Perché mi fai questa domanda?» chiese lei, stupita.

«Perché… più ci avvicineremo a Ecate e più correremo rischi. Non so se potremo proteggerti se le cose si mettessero male. Tu non c’entri con questa storia, non devi farti male, o peggio, per noi. Non ci devi niente.»

«Ma… se non salvate Ecate, tutto il mondo sarà in pericolo, giusto?»

«Beh, sì, però…»

«Allora rimarrò con voi.» La determinazione nella sua voce fece drizzare di nuovo la testa di Daniel. Incrociò lo sguardo di Penelope, che gli rivolse un cenno con il capo. «Per la prima volta… nella mia vita, sento di fare parte di qualcosa, Daniel. E poi… io mi fido di te. Mi fido di voi. So che correremo pericoli, ma sono pronta. Anch’io voglio aiutarvi.»

Daniel schiuse le labbra, per poi scuotere la testa con un sorriso mesto. «Hai visto anche tu quello che ho fatto, no? Non puoi fidarti di me, Penelope. L’hai detto tu stessa. Ho un’aura “malvagia”.»

Penelope scosse la testa con insistenza. «No, Daniel. Tu mi hai salvata. Mi hai accolto nel tuo gruppo. Quando hai saputo che le tue amiche erano in pericolo ti sei precipitato per salvarle. E… anche quando ti sei accorto che io non riuscivo a trasportarvi, ti sei preoccupato per me. Anche adesso ti stai preoccupando per me. Non sei malvagio. Però… penso che tu sia turbato. E arrabbiato.»

Il viso di Penelope era improvvisamente diventato una maschera severa, qualcosa che cozzava di molto con l’immagine di lei timida e spaventata a cui li aveva abituati tutti. «Io… non so perché tu sia così arrabbiato, Daniel. E non… non devi nemmeno dirmelo, se non ti va. Però penso… penso che se c’è qualcosa che ti turba, dovresti parlarne con le persone a cui vuoi bene. Io non ho mai avuto nessuno, sono sempre stata sola. Non so cosa significhi… avere qualcuno con cui parlare. Tu però hai delle amiche. Sei fortunato.»

«Non credo proprio di averle più…» rispose Daniel, avvertendo l’ennesimo nodo allo stomaco.

«Secondo me sì. Devi solo… parlare con loro. Puoi ancora aggiustare le cose, Daniel. Sei una brava persona. Non lasciare che… che la tua rabbia ti renda qualcosa che non sei.»

Il ragazzo rimase in silenzio, in parte per lo stupore, in parte perché davvero non sapeva cosa dire. Aveva decisamente sottovalutato Penelope: quella creatura era molto più intelligente di quanto il suo aspetto indifeso avrebbe potuto lasciar trasparire.

«Ma… è questo il punto, Penelope: io non lo so che cos’ho. Non lo so perché sono arrabbiato, o perché sono… così. Io…» Daniel si guardò di nuovo i palmi, prima di scuotere la testa sconsolato. «… io non lo so. So solo che a volte mi… mi vengono questi pensieri e…»

Daniel esitò. Avvertì un lieve dolore alle tempie. Strizzò le palpebre e un altro mugugno gli scappò dalle labbra.

Che… cosa stava dicendo? Non riusciva più a ricordarlo.

«Forse… forse è di questo che devi parlare con loro, allora. Forse c’è bisogno di… cercare più a fondo. No?» suggerì Penelope, interrompendo il suo silenzio.

«Sì…» Daniel abbassò le mani, sollevato dal fatto che lei non avesse notato il suo tentennamento. «… può darsi.» Incrociò di nuovo lo sguardo di Penelope e riuscì ad abbozzare un tenue sorriso. «Ti… ti ringrazio, Penelope. Avevo… avevo bisogno di parlare con qualcuno.»

La centaura si illuminò. «Prego! Ora però… ehm… posso farti una domanda?»

«Sì, certo.»

«Cosa… cosa vuol dire che hai una “cotta” per me?»

Il sorriso svanì dal volto di Daniel, mentre le guance iniziavano a bruciare ma non per via del fuoco. «N-No, ascolta, io non ho nessuna cotta! È stata Kiana con le sue stupide insinuazioni che…»

Un rumore improvviso lo fece interrompere: sembrava un rumore di passi. Si voltò di scatto, verso un anfratto buio dove la luce delle fiamme non arrivava. «Jack? Sei tu?» domandò. Si aspettò una delle sue cannonate di abbai, invece non arrivò niente del genere. Al contrario, il rumore di poco prima si ripeté, però amplificato di dieci volte. Realizzò che non erano solo passi: era come un rumore di ciottoli che sfregavano tra loro.

Ciottoli… o denti. 

«Ragazze!» urlò, alzandosi in piedi. Sguainò il pugnale, mentre decine di figure sbucavano fuori dalle tenebre, illuminate dalla luce sanguigna delle fiamme: scheletri.

Daniel serrò la mascella, mentre alle sue spalle proveniva il rumore di Kiana e Camille che si precipitavano fuori dalla tenda. «Che succe…» Kiana si interruppe, accorgendosi dei nuovi arrivati.

«Scheletri!» gridò Camille.

«Ah, magnifico…» fece eco la figlia di Venere.

«Ma… ma se questi scheletri sono qui, allora…»

Anche la riflessione di Camille non trovò conclusione: si trasformò in un verso di sorpresa nel momento in cui un’ombra si sollevò di fronte a loro tre, eruttando fuori una figura imponente, che li scrutò dall’alto con quei suoi occhi che sembravano lucenti monetine d’oro.

Non appena lo vide, Daniel avvertì tutta l’oscurità gettata su di lui dal cielo notturno ribollire, come se reagisse al suo stato d’animo. 

Si affondò le unghie nei palmi, prima di ringhiare con quanto odio avesse in corpo: «Elias…»







Piccola parentesi per alleggerire un po' la tensione dopo questo capitolo un po' edgy e dark, ecco come mi immagino Jack in versione "contadinella":

   
 
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