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Autore: Signorina Granger    12/04/2022    12 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni chiuse
L’Arconia è un elegante condominio dell’Upper West Side abitato da maghi e streghe di diverse età, nazionalità ed estrazione sociale. Dopo l’inaspettata scoperta di un cadavere alcuni di loro si uniranno per indagare sull’accaduto, finendo col riportare a galla i segreti di più di uno dei loro vicini. Del resto, quanti possono affermare di conoscere davvero chi gli abita accanto?
[Dal testo]
“C’è una cosa che non capisco: la gente che non vuole vivere nelle grandi città per colpa della criminalità. Qualsiasi appassionato di true crime sa che non è così. Ammettiamolo: nessuno ha mai trovato 19 cadaveri nel giardino di un palazzo di 15 piani. Magari giusto un paio.
Qui hai gli occhi di tutti puntati addosso, siamo tutti ammassati e accatastati uno sopra l’altro.
Come quelli che, come me, vivono all’Arconia.”
[La storia prende ispirazione dalla serie tv omonima]
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 1
C’è un cadavere nel 14B - I -
 

 
Martedì 14 settembre 2021
Arconia, appartamento 13E, 7.40 pm

 
 
 
Il 14 settembre 2021 era iniziato come un martedì come tanti per gli abitanti dell’Arconia, che stavano vivendo le ultime ore della giornata nell’illusione che si sarebbe anche conclusa allo stesso modo.
Nell’appartamento E del 13° piano James Carter Cross era in trepidante attesa della sua cena: la pizza grondante di patatine fritte e wurstel che aveva ordinato su SmartOwl sarebbe arrivata a breve, e il giovane giornalista stava cercando di ammazzare il tempo dedicandosi alla minuziosa pulizia dei pezzi che componevano la sua collezione di modellini di auto d’epoca.
Stava dando una pulita al modellino in perfette condizioni di una Chevrolet Bel Air turchese – continuando senza sosta a lanciare occhiate al proprio telefono per controllare l’ora ma anche alle finestre dell’open space nella vana speranza che un gufo fattorino potesse presentarsi in anticipo – mentre Sarge, il suo Golden Retriever, lo osservava dal pavimento muovendo senza sosta la lunga coda dorata, soddisfatto dopo aver ricevuto la cena al contrario del padrone.
Ciò che James Carter Cross non sapeva, mentre puliva i suoi amati modellini, era che quello non era affatto un martedì come gli altri. Come non sapeva che non avrebbe mai avuto modo di gustare la sua grassissima pizza piena di patatine fritte.
 
Era passato alla pulizia di una Cadillac Eldorado quando l’equilibrio della serata si spezzò definitivamente: l’assordante campanella dell’allarme antincendio fece trasalire non solo lui e Sarge – che smise di scodinzolare e sollevò immediatamente la testa prima di iniziare ad abbaiare –, ma anche Isla, la sua gatta, che stava sonnecchiando nell’enorme cuscino peloso che le faceva da cuccia.
“Che cazzo…”
James Carter Cross viveva all’Arconia da sette lunghissimi anni, e in quel considerevole arco di tempo non gli era mai capitato di sentire l’allarme antincendio. Ripresosi dal leggero shock il ragazzo appoggiò la macchina al suo posto sulla mensola prima di affrettarsi ad estrarre la bacchetta dalla tasca e appellare il guinzaglio di Sarge, avvicinandosi al cane che ancora abbaiava agitato prima di inginocchiarsi davanti a lui per legarlo al collare:
“Sarge, sta buono. Vieni Isla, andiamo fuori.”
Dopo aver allacciato il guinzaglio al collare di Sarge Carter s’infilò il telefono nella tasca posteriore dei jeans insieme alla bacchetta e prese in braccio la sua gatta, affrettandosi ad uscire dopo aver raccolto le chiavi dalla ciotola dove era solito lasciarle nell’ingresso. Aveva appena messo piede fuori dal suo appartamento quando una tremenda consapevolezza lo assalì: abitava al tredicesimo piano, e ovviamente di prendere l’ascensore non se ne parlava a causa dell’allarme. Dentro i confini del palazzo non ci si poteva Smaterializzare, quindi la soluzione per uscire era una e soltanto una: le scale. Tredici fottutissimi piani di scale.
“Che vita di merda.”

 
*

 
Quando l’allarme antincendio animò l’Arconia Leena Zabini si trovava già nel cortile interno del palazzo, seduta sul bordo della fontana che si trovava al centro del giardino. Teneva una penna in mano e un plico di fogli tenuti insieme da una graffetta in grembo, impegnata a scribacchiare.
La maggior parte dei suoi vicini si trovava nel proprio appartamento per cenare, e quando la strega udì l’allarme sollevò la testa di scatto, riuscendo perfettamente ad immaginarli schizzare fuori dalle porte dopo un attimo di smarrimento e riversarsi sulle scale interne lasciando la cena intatta sul tavolo o sui fornelli.
Un paio di minuti dopo gli inquilini dei piani più bassi iniziarono ad uscire attraverso le due uscite di sicurezza, alcuni con animali al seguito e tutti visibilmente agitati e impegnati a guardarsi attorno preoccupati, forse in cerca di fumo o fiamme che però non trovarono, così come Leena.
Stava indubbiamente succedendo qualcosa di strano, si disse la strega aggrottando le sopracciglia e ripensando alle tre persone che le erano sfrecciate davanti praticamente di corsa una ventina di minuti prima, senza darle il tempo di riuscire a soffermarsi sui loro volti e impedendole quindi di appurare se si trattava di dei vicini o meno.
 
Era decisamente improbabile che ci fosse realmente un incendio e Leena, armatasi di quella consapevolezza, accennò un sorriso mentre gli occhi scuri luccicavano: non vedeva l’ora di scoprire cosa stesse succedendo. Magari le avrebbe anche offerto qualche spunto, perché no.
 
 
Ritrovarsi costretta ad uscire di casa mentre preparava la cena, quella sì che era una vera seccatura. Naturalmente quando aveva sentito l’allarme non aveva esitato a spegnere il gas, afferrare la gabbia del suo barbagianni e precipitarsi fuori, ma quando giunse nel cortile interno e non vide del fumo Eileen iniziò a chiedersi se non avesse interrotto le sue attività serali paurosamente importanti – mentre aspettava che la cena fosse pronta si stava divertendo a commentare e prendere in giro i profili di MagicMatching più assurdi insieme ad Anacleto – per nulla.
Sbuffando, la strega decise di non prendere d’assalto il povero Lester – già assalito da alcuni vicini per avere informazioni sulla situazione – e si spostò invece verso il centro del cortile insieme ad Anacleto, che si guardava attorno dal suo piccolo trespolo chiedendosi il perché di tutta quella gente. E soprattutto, se la sua padrona aveva smesso di sghignazzare alle spalle dei profili altrui, doveva assolutamente trattarsi di qualcosa di grave.
Quando scorse Leena Zabini Eileen si affrettò a raggiungerla, sedendosi vicino a lei sul bordo della fontana prima di appoggiare la gabbia di Anacleto accanto a sé.
“Ciao Leena… Sai che cosa sta succedendo?”
“No, me ne stavo qui a farmi gli affari miei quando è suonato l’allarme… Ma o è partito accidentalmente, perché non vedo fiamme, oppure era il modo più veloce per farci uscire tutti dal palazzo.”
“E perché avrebbero dovuto volerci spingere ad uscire in massa, secondo te?”
Incuriosita da quell’ipotesi Eileen si voltò verso Leena e la guardò con i grandi occhi chiarissimi, uno tendente al verde e l’altro all’azzurro, osservando la vicina stringersi nelle spalle prima di sorriderle allegra:
“Oh, non ne ho idea. Ma non vedo l’ora di scoprirlo.”

 
*
 

A saperlo con sette anni di anticipo, che prima o poi avrebbe sentito l’allarme antincendio scuotere il palazzo, col cavolo che Mathieu si sarebbe sognato di andare a vivere al penultimo piano.
Lui e il suo gigantesco alano, che tremava come una foglia da quando avevano sentito l’allarme, si riversarono nel cortile interno oltrepassando una delle due uscite di sicurezza del palazzo prima che Mathieu, semplicemente esausto dopo quell’assurda scarpinata, si affrettasse ad occupare una delle panchine che, ne era sicuro, presto sarebbero diventate particolarmente ambite.
“Sta’ tranquillo Prune.”
Il mago sedette con un sospiro di sollievo, le lunghe gambe doloranti, e sistemò la gabbia della sua civetta Ezdar accanto a sé mentre il povero Prune si guardava attorno terrorizzato senza smettere di tremare, piuttosto agitato sia a causa dell’allarme sia della considerevole calca che stava iniziando a formarsi nel cortile interno.
Mathieu si allungò leggermente in avanti sulla panchina per accarezzare l’alano e tranquillizzarlo un po’ mentre scrutava il palazzo con gli occhi chiari in cerca di fumo o di fiamme, ma niente: sembrava che non ci fosse alcuna traccia d’incendio nell’Arconia.
Che qualche idiota avesse avuto la brillante idea di mettersi a fumare in ascensore, o in corridoio, finendo con l’attivare l’allarme antincendio? Mathieu non ne aveva idea ma tutti attorno a lui sembrarono fare le sue stesse supposizioni, a giudicare dai mormorii nervosi che iniziarono a circondarlo.
 
 
Mathieu si era seduto da una manciata di secondi quando un altro ragazzo alto e biondo uscì dal palazzo tenendo un grosso cane al guinzaglio, con l’aggiunta di una gatta in braccio. Carter oltrepassò l’uscita di sicurezza con un sospiro di sollievo, maledicendo al contempo la sua idea del cazzo di andare a vivere in uno dei piani più alti prima di individuare uno dei suoi vicini e affrettarsi per andare ad occupare il posto libero sulla panchina.
“Ciao.”
Carter si mise seduto con un sospiro esausto, mettendosi Isla sulle ginocchia mentre Mathieu, capendo perfettamente il suo stato d’animo – nonché quello pietoso dei suoi arti inferiori – accennava un sorriso con gli angoli della bocca.
“Ciao. Stanco?”
“Non mi sento più i piedi, cazzo. Se dovessi trasferirmi da qui ricordami di andare a vivere al secondo piano… Ma sbaglio o non c’è nessun incendio?”
“Lo stavo pensando anche io. Forse qualcuno si è messo a fumare dove non doveva ed è scattato l’allarme.”
Mathieu aveva appena finito di parlare quando volse leggermente la testa in direzione del vicino, scoccandogli un’occhiata vagamente dubbiosa mentre l’altro, strabuzzando gli occhi azzurri, si affrettava a sottolineare la sua completa innocenza:
“Ehy, non guardare me, io stavo pulendo mentre aspettavo la pizza!”
Menzionare la sua pizza scatenò una seconda terribile consapevolezza in Carter: mentre Mathieu mormorava cupo qualcosa a proposito della cena che, di quel passo, non sarebbe mai riuscito a preparare e a consumare, l’ex Tuonoalato spalancò orripilato gli occhi chiari prima di affrettarsi ad estrarre il telefono dalla tasca dei jeans:
“Oh, merda… LA MIA PIZZA!”
Non c’era nulla da fare, era costretto a disdire il suo ordine, e quando vide l’emoji del gufetto triste sullo schermo del telefono Carter si sentì sprofondare: che ne sarebbe stato della sua cena?!

 
*

 
Quando Piper Naidoo fece ritorno all’Arconia era esausta, nonché impaziente di mettere piede nel suo appartamento all’undicesimo piano e di sistemarsi sul divano davanti alla tv insieme al suo gatto Bizet, la cena e sua cugina Nia. Tuttavia i suoi piani per la serata, così come quelli di tutti gli altri residenti, erano destinati a non concretizzarsi.
La strega aveva appena varcato l’ingresso ad arco del cortile interno del palazzo quando si fermò, inarcando un sopracciglio perfettamente disegnato e facendo vagare i grandi occhi scuri sul gran numero di persone presenti nel cortile: era la prima volta, da che viveva lì, che le capitava di vedere così tanta gente radunata lì fuori. Per un attimo Piper si chiese se per caso qualcuno non avesse diffuso la notizia del suo imminente rientro e provocando così tutto quell’accalcamento nel cortile, ma ben presto l’ex Magicospino appurò che nessuno le stava prestando particolare attenzione: i suoi vicini erano quasi tutti radunati in piccoli gruppi sparsi per il cortile, mentre qualcuno preferiva stare solo in disparte. Ben presto la ragazza notò anche un secondo particolare: sembrava che tutti avessero portato fuori i propri animali.
Quello era decisamente insolito. Sempre più confusa, la modella si chiese se per caso non avesse scordato una sorta di riunione di condominio esterna con tanto di invito esteso agli animali domestici, ma capì che presto le sue domande avrebbero trovato delle risposte quando scorse sua cugina correre verso di lei tenendo il suo gatto nero stretto tra le braccia. Se dapprima vedere Nia l’aiutò a rilassarsi, quando Piper ebbe modo di osservare l’abbigliamento della cugina sentì una prima ondata di panico invaderla: Nia era struccata, e indossava una tuta. Sua cugina si sarebbe auto-maledetta piuttosto che mettere piede fuori di casa in quelle condizioni – soprattutto, come era solita ripetere la ragazza, per via del loro vicino che aveva in tutto e sembianze di un modello – perciò Piper non ci mise molto a convincersi che doveva essere accaduto qualcosa di molto grave.
Del resto, solo qualcosa di appena meno terribile di una minaccia di morte avrebbe convinto Nia a uscire di casa in tuta. 
“Piper, ho provato a chiamarti due volte!”
“Scusa, ho il telefono in silenzioso e nell’ultima ora ho cercato di usarlo il meno possibile perché era scarico… Che cosa sta succedendo qui?! E perché hai portato fuori Bizet?! E perché indossi la tuta che metti quando passiamo la serata svaccate sul divano?!”
Nia sbuffò sonoramente mentre depositava Bizet tra le braccia della cugina, che accolse il suo amato felino senza però smettere di fissare la minore con gli occhi scuri fuori dalle orbite, indecisa se mettersi a sghignazzare o preoccuparsi a morte.
“Senti, è già abbastanza terribile starmene qui circondata da manzi con questa faccia e questa tuta addosso, vedi di non farmelo pesare! E comunque è suonato l’allarme antincendio, non avevo tempo né di cambiarmi né di mettermi il fondotinta! Ed ecco anche spiegato perché tutti hanno i loro animali.”
“Allarme antincendio?! Sei seria?!”
“CERTO, pensi forse che uscirei con questa faccia se non perché costretta dalla prospettiva di morire abbrustolita?!”
“Ma hanno spento l’incendio? E perché non c’è fumo?!”
“Non lo so, è quello che si chiedono tutti. E i pompieri non sono arrivati, che peccato… Comunque, gli Auror stanno parlando con quelli dell’attico e con il proprietario, ma nessuno ci dice nulla, nemmeno Lester. È tutto molto strano.”
Nia parlò con una stretta di spalle, gli occhi scuri sulla cugina che, Bizet in braccio e la borsa stretta nell’incavo del gomito, osservò brevemente il palazzo buio e insolitamente silenzioso e deserto. Era quasi surreale vedere l’Arconia totalmente svuotato dei suoi abitanti, ma la modella si ridestò dai suoi pensieri quando una seconda persona le si avvicinò, sorridente e nettamente più rilassata rispetto a quanto non fosse apparsa Nia poco prima:
“Mi stavo proprio chiedendo dove fossi finita! Perché non rispondevi al telefono?”
“Era scarico, ho cercato di non usarlo mentre mi sistemavano il trucco e finivano lo shooting… Come mai tu sembri così tranquillo, Jackie?”
Piper scoccò un’occhiata leggermente apprensiva all’amico, che però le sorrise rilassato prima di stringersi nelle spalle mentre chinava lo sguardo sul gatto della ragazza, allungando una mano per accarezzarlo con affetto:
“Non c’è traccia di fumo o di fiamme, mi sembra piuttosto probabile che si tratti di un falso allarme… probabilmente qualcuno si è messo a fumare dove non doveva ed è scattato l’allarme per niente.”
Il tono rilassato di Jackson, che conosceva da quando erano studenti di Ilvermorny, aiutò la stessa Piper a rilassarsi a sua volta, dicendosi che forse non era successo niente di grave. O almeno finchè Nia, in piedi accanto al veterinario, non parlò di nuovo:
“Forse, ma… La Signora Dawson sembra davvero sconvolta. Pensate che possa essere successo qualcosa?”
Poco convinta, Nia si voltò verso la suddetta donna stringendo le braccia al petto, visibilmente nervosa. Jackie e Piper seguirono la direzione dello sguardo della più giovane, osservando brevemente Joanna Dawson in lacrime e stretta dall’abbraccio del marito prima che Jackie, leggermente a disagio, tornasse a rivolgersi all’amica:
“Vi va di andare da qualche parte? Io non sono ancora riuscito a cenare e sto morendo di fame. E poi restando qui non credo che combineremo nulla o riusciremo a saperne di più.”
“Sì, va bene. Spero che non facciano problemi per Bizet, in caso contrario userò la mia vena persuasiva.”
Piper sfoderò il primo sorrisetto della serata mentre Jackson la prendeva sottobraccio, incamminandosi insieme verso l’ingresso del cortile mentre Nia li seguiva trascinando i piedi e sospirando amareggiata:
“Andare a mangiare adesso? In queste condizioni? Povera me, da domani dovrò cambiare quartiere per la vergogna!”
Piper si costrinse a mordersi la lingua pur di non ricordare alla cugina che, per quanto le volesse bene e apprezzasse la sua compagnia e averla come ospite, di fatto lei non viveva affatto né in quel palazzo né nel quartiere in generale. Nia era più che altro un’ospite permanente – talvolta non richiesta –, me le era troppo affezionata per non darle ospitalità nel suo bell’appartamento nell’Upper West Side.
“Non essere ridicola Nia, sei bellissima anche senza trucco!”
Mentre camminava a fianco di Piper Jackie si voltò per indirizzare un sorriso allegro a Nia, che però ricambiò con uno sguardo cupo mentre stringeva le braccia al petto, per nulla convinta da quel complimento:
“Lo dici solo perché sei nostro amico e vieni sempre a farti ospitare da noi quando tua madre ti fa impazzire, o per giocare con Bizet!”
“Ma che dici, io non l’ho mai fatto!”


 
*

 
Quando aveva sentito l’allarme Bartimeus si stava preparando la cena, ma non era riuscito né ad ultimare né tantomeno a gustare il delizioso gumbo con gamberi(1) che aveva sognato per tutto il giorno: dopo l’iniziale stordimento il mago era corso a prendere Jam, la sua amatissima tartaruga, ed era uscito dal suo appartamento del sesto piano dopo aver arraffato chiavi, bacchetta e telefono. Sotto alle scarpe che aveva infilato a tutta velocità, senza nemmeno allacciarle, figurava una delle tante paia di calzini colorati facenti parte della sua eccentrica collezione. Quelli del giorno erano di un’accesa tonalità turchese, cosparsi da uova fritte.
Ed era proprio la sua cena che Bartimeus stava amaramente rimpiangendo mentre, seduto sul bordo della fontana del cortile interno accanto ad un ex compagno di scuola con ben due tartarughe in braccio, cercava invano di capire che cosa fosse successo e che cosa avesse spinto lui e tutti gli abitanti del palazzo a lasciare le proprie dimore.
“Sto cercando di non pensare alla cena meravigliosa che ho lasciato al sesto piano, ma non mi riesce molto bene. Sto morendo di fame.”
Gabriel, seduto accanto a lui stando leggermente proteso in avanti e con i gomiti appoggiati sulle gambe divaricate, smise di ascoltare distrattamente le assurde teorie sull’origine dell’allarme antincendio partorite da due ragazze che avevano occupato il lato opposto della fontana per voltarsi verso il vicino, annuendo mesto mentre cercava senza successo di allontanare l’immagine della cena che non aveva fatto in tempo a consumare.
“Anche io. Tu cosa stavi cucinando?”
“Il gumbo con i gamberi. Tu?”
“Le quesadillas alle verdure grigliate...”
I due sospirarono simultaneamente, ciascuno impegnato a pensare alla propria cena negata prima che Moos accennasse cupo in direzione di una dei loro numerosissimi vicini, impegnata a discutere animatamente con un Auror ad una decina di metri di distanza e tenendo un cane al guinzaglio.
“Forse non dovremmo parlare di cibo, ma Naomi ci sta mettendo un’eternità!”
“Lo so. E non sembra nemmeno troppo contenta, quindi immagino che non le stiano dicendo nulla.”
E infatti la strega, quando un paio di minuti dopo si congedò dall’Auror, si incamminò verso di loro a passo di marcia e con un’espressione molto poco allegra sul viso, piazzandosi davanti ai due prima di incrociare le braccia al petto e parlare seria:
“Ok, gli Auror non mi hanno detto un bel niente, solo che è successo qualcosa di grave e che ci terranno fuori ancora per un po’. Ora, considerando che non so quando potremo rientrare e che sto per azzannare uno di voi, propongo di andare a mangiare qualcosa da qualche parte.”
“Approvo. Sicura di volerti far vedere in giro con quelle, però?”
Gabriel accennò alle pantofole – rosa con le nuvolette – di Naomi, che chinò lo sguardo su di esse prima di strabuzzare gli occhi chiari e imprecare a bassa voce per poi affrettarsi a Trasfigurarle in delle scarpe con un incantesimo. La strega gettò un’occhiata furente a quelli che considerava “amici”, fulminandoli con lo sguardo mentre Moos e Gabriel le sorridevano a mo’ di scuse:
“Potevate anche dirmelo prima, mi ero scordata di averle! Sono andata a rompere le scatole agli Auror con queste, che figura di merda!”
“Ma noi pensavamo che te ne fossi accorta e che fossi semplicemente molto… disinvolta e sicura di te. Con i vostri animali come facciamo, comunque?”
Gabriel scivolò dal muretto della fontana accennando alle due tartarughe che Moos stringeva e al grosso Golden Retriever tenuto al guinzaglio da Naomi, che gettò una rapida occhiata a Sundance, il cane, prima di stringersi nelle spalle:
“Inizierò un’eterna arringa, stordendoli e prendendoli per sfinimento finchè non accetteranno i nostri piccolini.”
Sei proprio un ottimo avvocato.”
Moos le sorrise con affetto e Naomi ricambiò, prendendolo sottobraccio quando anche lui si fu alzato:

“Lo so Moos, ti ringrazio. Ora muovetevi, crepo di fame e ho lasciato l’anatra sul tavolo. Capite cosa si prova?!”
“Lo capiamo benissimo.”
 
Naturalmente ciò che Gabriel e Moos non potevano affatto capire, si disse Naomi mentre seguiva i due verso l’uscita del palazzo carica di amarezza, era l’irritazione di aver dovuto interrompere non solo la cena, ma anche un momento assolutamente clou della versione britannica di Love Island.
Naomi Leigh Broussard non aveva idea di che cosa fosse successo nel palazzo quella sera, ma di una cosa era sicura: di qualunque cosa si trattasse, le aveva proprio rovinato la serata.

 
*

 
Naturalmente Carter aveva provato con tutte le sue forze ad impicciarsi, ma non era riuscito a ricavare assolutamente niente dal povero portinaio, finendo col cedere ai morsi della fame e decidere di andare a mangiare qualcosa: dopo aver convinto Lester a tenere Isla per lui il ragazzo aveva lasciato l’Arconia in compagnia di Sarge, il suo amatissimo Golden Retriever, che gli trotterellò accanto sul marciapiede scodinzolando entusiasta per quella passeggiata improvvisata.
Ancora profondamente in lutto per la sua pizza, Carter non aveva nemmeno avuto bisogno di fermarsi a riflettere prima di incamminarsi insieme a Sarge verso il ristorante dei dintorni che preferiva, deciso a porre un freno ai dolorosi crampi che gli stavano ormai attanagliando lo stomaco. In fin dei conti, non mangiava da ben quattro ore.
Di norma un Golden Retriever non sarebbe stato ben accetto, ma Carter era un cliente abituale e dopo aver pregato, implorato, promesso lautissime mance e aver usato l’adorabile muso di Sarge come asso nella manica il ragazzo riuscì a far sì che il cane, fortunatamente estremamente mansueto, venisse accettato dal maître di sala. Che però, poco dopo, gli comunicò che disgraziatamente non avevano nessun tavolo libero.
Scenari catastrofici iniziarono subito a prendere vita nella mente di Carter, che già si figurò intento a vagabondare solo e sempre più affamato e sofferente per le strade dell’Upper West Side, alla disperata ricerca di un tavolo libero che non avrebbe mai trovato.
Stava per gettare la spugna e arrendersi alla prospettiva di morire di fame quando, gettando una disperata occhiata casuale nella sala che si estendeva davanti ai suoi occhi, scorse il biglietto d’oro che gli avrebbe assicurato la cena. Ad uno dei tavoli centrali della sala sedeva una ragazza, una bellissima ragazza sola che stava leggendo il menù. Le bellissime ragazze sole erano la sua specialità, e Carter, certo che avrebbe impiegato all’incirca un minuto per convincerla a condividere il tavolo con lui, si affrettò a sfoderare un largo sorriso prima di fare cenno nella sua direzione:
“Come sono sbadato, la mia, emh, la mia amica è già arrivata! Vede, è quella lì.”
“Lei… Lei deve cenare con quella signorina?”
Quando il maître di sala seguì la direzione indicatagli da Carter e scorse la ragazza interessata sembrò piuttosto perplesso, fissando il ragazzo con sguardo stralunato mentre lui, vagamente offeso, annuiva: cos’è, pensava che non potesse cenare con una ragazza così bella?! Roba da non credere, lui avrebbe potuto cenare letteralmente con chiunque.
 
“Sì, perché?”
“Oh, nulla signore. Prego, mi segua. Il cane resta qui, però, se permette.”
Subito il maître si ridestò, facendogli educatamente cenno di seguirlo prima che Carter, controvoglia, si trovasse costretto ad allungare il guinzaglio di Sarge ad un cameriere: cercò di non soffermarsi sullo sguardo implorante del cane, accarezzandogli rapido la testa per salutarlo e promettergli di tornare presto da lui.

“Va bene, ma dategli qualcosa per favore. Scusa piccolo, papà torna presto.”
Carter si affrettò a seguire il maître verso il tavolo del suo “appuntamento” costringendosi a non voltarsi neanche una volta verso Sarge, certo di non essere in grado di reggere di fronte alla vista del suo sguardo ferito.
 
 
Che serata difficile. Davvero una serata tremenda. Come si poteva scegliere tra le lasagne e gli spaghetti? No, era una decisione impossibile. Forse avrebbe dovuto prenderli entrambi.
Si stava giusto convincendo di quanto la sua idea fosse splendida e assolutamente geniale quando scorse il maître di sala avvicinarlesi con la coda dell’occhio. Prevedendo una seccatura, la strega ebbe appena il tempo di sospirare prima che quello potesse raggiungerla e posizionarsi accanto al suo tavolo:
“Signorina? Il signore dice di dover cenare con lei.”
 
Avrebbe tanto voluto scoppiare a ridere e mandare il suddetto “signore”, chiunque fosse, a farsi un bel giro, ma si costrinse a tacere mentre voltava lentamente la testa di lato, pronta ad adocchiare il suo fantomatico “appuntamento”. Quello che vide la lasciò senza parole.
 
Il deficiente del 13E
 
Carter era giunto abbastanza vicino alla ragazza che aveva scorto poco prima quando si rese conto di come avesse un’aria decisamente familiare. In un primo momento si chiese se per caso non gli fosse capitato di uscirci in passato e di averlo poi rimosso, ma quando un paio di grandi e gelidi occhi verdissimi lo trafissero e la ragazza parlò capì dove aveva già avuto modo di incontrarla.
“Il Signore dice così?”
Mentre Niki lo fissava attentamente, gli occhi chiari fissi sul suo viso, Carter restò quasi a bocca aperta: era certo che fosse lei per via della voce, che aveva già avuto modo di sentire un paio di volte, e dell’impermeabile nero che giaceva sullo schienale della sua sedia, ma mai avrebbe scommesso di ritrovarsi nello stesso posto della sua misteriosissima vicina. Mentre la guardava attonito, rendendosi conto di non averla mai vista senza occhiali da sole e con i capelli in mostra da quando si era trasferita, Niki distolse improvvisamente lo sguardo e agitò pigramente la mano destra, come invitandoli a fare in fretta.
“Che si sieda, allora.”
 
Un minuto dopo Carter sedeva accanto alla “vicina del 13B”, così era solito chiamarla da settimane visto che non era nemmeno del tutto certo di come si chiamasse.
“Io sono Carter, comunque.”     Il ragazzo prese il menù accennando un debole sorriso alla sua nuova commensale, che allungò una mano verso il cestino del pane per prenderne una fetta prima di parlare senza guardarlo.
“Sì, lo so chi sei. Ti hanno sbattuto fuori dal palazzo, avevi fame e volevi cenare, qui era tutto pieno e quando mi hai vista hai pensato di poterti sedere. Mi hai riconosciuta?”
Questa volta Niki si voltò verso di lui, scrutandolo con attenzione mentre Carter, al contrario, scuoteva la testa.
“Oh, non direi, non subito. Tu come…”
“Sono Niki.”
La strega addentò pensierosa la fetta di pane, masticando lentamente mentre fissava assorta il lampadario sopra di loro. All’udire quel nome qualcosa di a lungo sopito nella memoria di Carter si smosse, ma il ragazzo non riuscì a ricollegarlo a nulla di concreto e così, spinto dalla curiosità, tornò a rivolgersi alla ragazza senza smettere di guardarla:
“Niki…”
Lasciò naturalmente la frase in sospeso affinché lei la completasse fornendogli il suo cognome, ma Niki non gli diede quella soddisfazione, chiudendo il menù prima di iniziare a frugare nelle tasche del suo impermeabile nero alla ricerca di qualcosa.
“Niki.”
Era chiaro che non volesse dirgli il suo cognome, e Carter decise di lasciar perdere mentre la osservava con attenzione, certo che in qualche modo il suo viso gli fosse familiare, e non solo perché vivevano sullo stesso piano. Del resto gli era capitato di incrociarla in rarissime occasioni, e sempre con gli occhiali da sole addosso. No, doveva averla già incontrata altrove.
Carter si costrinse a concentrarsi e ad osservarla meglio, soffermandosi sulle labbra carnose, gli occhi grandi e i lunghi capelli scuri pettinati all’indietro. Anche vedendola a mezza figura era evidente che fosse molto magra, e le braccia e il busto esili erano fasciati da un’aderente maglia a collo alto bianca a costine verticali.
“Senti, posso chiederti quanti anni hai? Perché credo che tu possa essere stata del mio stesso anno, ad Ilvermorny…”
“27.”
“Davvero?”
Carter parve sorpreso da quella risposta, e fu semplicemente la peggior reazione possibile. Niki, che si era infilata una sigaretta tra le labbra e stava per accenderla con uno zippo d’argento estratto da una tasca, s’irrigidì e posò lentamente gli occhi verdi su di lui prima di sibilare qualcosa col tono più minaccioso che Carter avesse mai udito da molti anni a quella parte, da quando aveva tentato di dire a sua nonna che non si sarebbe presentato al pranzo della domenica successiva per una gita tra amici:
“Forse non dimostro 27 anni?”
Temendo sinceramente che potesse affatturarlo o prenderlo per il collo al di sopra del tavolo Carter, faticando a trovare abbastanza saliva per deglutire, si affrettò a scuotere la testa mentre si ritraeva d’istinto sulla sedia, allontanandosi leggermente da lei.
“Oh, no, è solo che… credevo che potessimo essere stati compagni di classe, ma evidentemente mi sbaglio. Sei sicura che qui si possa fumare?”
Niki non rispose, limitandosi ad accendersi la sigaretta con lo zippo – che a Carter sembrò riportare un’incisione sulla base, senza però riuscire a leggerla – prima di riporlo nuovamente nella tasca dell’impermeabile che sfiorava il pavimento.
Un attimo dopo, in risposta ai dubbi di Carter, un cameriere si avvicinò timidamente alla strana coppia, ricordando con un mormorio alla ragazza che lì dentro non si poteva fumare. Niki tuttavia non si scompose affatto, non si scusò e neanche accennò a volerla spegnere, limitandosi ad afferrare il telefono appoggiato davanti a lei sul tavolo prima di digitare rapidissima qualcosa e mostrarlo al cameriere senza battere ciglio o voltarsi.
Sempre più curioso e stranito, Carter guardò il ragazzo irrigidirsi prima di balbettare delle scuse e schizzare via, ritornando un attimo dopo con un posacenere di vetro che sistemò davanti a Niki sotto lo sguardo attonito del giornalista.
“Quindi… posso fumare anche io?”
La domanda portò Niki a guardarlo di nuovo, restando perfettamente impassibile mentre si allontanava la sigaretta accesa dalle labbra, parlando prima di esalare una nuvola di fumo e appoggiare di nuovo il telefono, capovolto, sul tavolo:
“No. Non hai sentito? Qui non si fuma. Tu bevi vino, Carter Cross?”
“Preferisco la birra.”
“Allora devo ancora comprendere la tua utilità qui. Dimmi come vi hanno fatti uscire, io ero già fuori e me lo sono perso.”
 
Carter restò in silenzio a guardarla per una manciata di secondi, assolutamente certo di averci già avuto a che fare in passato ma incapace di ricordare dove. La cosa assurda era che solo quella mattina non avrebbe scommesso nemmeno un centesimo sulla possibilità di ritrovarsi seduto allo stesso tavolo con la sua vicina, quella che si faceva vedere di rado all’interno del palazzo e con cui nessuno sembrava mai aver parlato.
Quando si rese conto di essere, probabilmente, il primo tra gli abitanti dell’Arconia ad averci scambiato più di due parole Carter si lasciò sfuggire un piccolo sorriso compiaciuto. Adorava essere il primo a sapere le cose.

 
*
 

Visto e considerato che di tornare nel suo appartamento non se ne parlava, Mathieu decise di approfittare dell’uscita fuori programma per portare Prune, ancora molto agitato a causa della gran quantità di gente che aveva attorno, a fare una passeggiata. Certo prima doveva liberarsi dell’impiccio di Ezdar, la civetta col peggior carattere del mondo, e della sua gabbia, quindi il ragazzo si avviò verso l’ingresso con l’obbediente alano al seguito, che gli stava quasi incollato alle gambe camminando a testa bassa.
“Lester, visto che mi sembra evidente che non ci sia nessun incendio, potrei almeno lasciare Ezdar nell’ingresso? Non posso andarmene in giro per l’Upper West Side con una civetta.”
Mathieu sollevò con fare eloquente la gabbia del rapace, guardando il portinaio – più nervoso che mai e impegnato a torturarsi il capello della divisa – annuire prima di sospirare stancamente:
“Sì, se rimangono nelle gabbie potete entrare e lasciarli sul bancone.”
Sembrava che qualcuno dei suoi vicini avesse già avanzato la stessa richiesta, perché quando Mathieu riuscì a varcare l’ingresso del palazzo superando un Auror vide due ragazze, una alta e dalla pelle scura e l’altra più minuta con lunghi e lisci capelli neri, depositare sul bancone della portineria la gabbia di un barbagianni senza smettere di parlottare fittamente a bassa voce.
Le due, che Mathieu era sicuro di aver già visto in giro per il palazzo ma senza avere idea di dove vivessero, lo superarono per uscire senza guardarlo o smettere di parlare, entrambe dotate di forti accenti britannici. Il candese sistemò la gabbia della sua civetta vicino a quella del barbagianni – stando ben attento a tenerla a distanza dal trasportino di un magnifico gatto del Bengala visibilmente scontento di essere stato lasciato lì –, che guardò curioso il “nuovo vicino” mentre Ezdar, invece, scoccava la peggiore delle occhiatacce in direzione del padrone.
“Non rompere Ezdar, non è colpa mia se ci hanno fatti uscire. Vieni Prune.”
Mathieu strattonò dolcemente il guinzaglio dell’alano, che intuendo di star andando a passeggiare sembrò tranquillizzarsi un poco e seguì il padrone scodinzolando mentre altri due condomini facevano il loro ingresso nel palazzo con animali al seguito: uno dei due reggeva tra le braccia il trasportino di un Blu di Russia, l’altro la gabbia di un gufo che, come Ezdar, non sembrava affatto entusiasta di essere stato rinchiuso.
 
Il padrone del gatto, un ragazzo asiatico dai corti capelli neri, si stava lamentando a proposito della lezione notturna di Astronomia che avrebbe perso per colpa di quel fastidiosissimo inconveniente mentre l’altro, salutato Mathieu con un sorriso quando l’altro li superò, gli sorrise allegro, apparentemente per nulla infastidito dalla particolare situazione in cui si trovavano. Certo Orion aveva dovuto interrompere la molto promettente partita a scacchi che stava giocando e vincendo online, ma non se ne era fatto un cruccio e non aveva esitato ad abbandonare il tablet sul divano prima di correre a rinchiudere Arthur nella sua gabbia per portarlo fuori dall’appartamento del nono piano dove vivevano.
La parte difficile, al massimo, era stata farsi nove piani di scale a piedi.
 
“Di che ti preoccupi Kei, posso fartela io, la lezione di Astronomia!”
“Senza telescopio?!”
“Pf, so tutto a memoria, non serve. Forza, andiamo a farci un giro a Central Park, così staremo più tranquilli.”
“Va bene, ma strada facendo prendiamo qualcosa da mangiare, sto morendo di fame.”



Cinque minuti dopo, lasciati gli animali nell’ingresso, i due attraversarono il cortile interno per lasciare l’Arconia e incamminarsi verso Central Park, che distava meno di dieci minuti a piedi dal palazzo. Dopo essersi fermati strada facendo per prendere due giganteschi tacos a testa e placare così la loro fame i due iniziarono a discutere delle possibili cause che potevano aver spinto gli Auror a volerli fare uscire tutti dal palazzo, vagliando persino le ipotesi più assurde.
“Non lo so, credo proprio che far scattare l’allarme fosse il modo più veloce per farci uscire tutti, se si fossero messi a bussare ad ogni singola porta, beh, ci avrebbero messo ore viste le dimensioni del palazzo.”
Orion parlò dopo aver staccato un grosso pezzo di taco con un morso, masticando pensieroso mentre Kei, accanto a lui, annuiva stringendo il suo tra le mani.
“Ma perché volerci far uscire tutti?”
“La presenza degli Auror e la loro reticenza a parlare non promette bene.”
 
Probabilmente Orion aveva ragione, ma Kei non rispose mentre tornava a guardare dubbioso la sua cena improvvisata, sperando ardentemente che il vicino si sbagliasse.
 
*

 
“Come sarebbe a dire che non avete posto?!”
“Beh, che non abbiamo posto, Signorina.”
Il maître di sala guardò le due streghe inarcando un sopracciglio con aria scettica, chiedendosi che cosa esattamente non fosse chiaro nell’espressione “non abbiamo posto”. Leena sospirò, profondamente amareggiata, mentre alle sue spalle Eileen gemeva sommessamente con lo stomaco che non voleva saperne di smetterla di brontolare.
“Ma è tipo il terzo posto tutto pieno che troviamo, la prego!”
Mentre Eileen faceva del suo meglio per impietosire l’uomo Leena scrutò la sala davanti a loro cercando qualcuno che avesse già finito di cenare e che si stesse attardando perdendo tempo e soprattutto facendo perdere a loro la cena. Gli attenti occhi scuri della strega finirono con l’indugiare su uno dei tavoli circolari al centro, in particolare su una delle due persone che lo aveva occupato.  Colta da una splendida idea, Leena si accostò immediatamente alla vicina, indicandole il bel ragazzo biondo in questione:
“Lo vedi quel ragazzo? Quello figo e biondo? È uno dei nostri vicini, no?”
“Quello? Oh, sì, vive molto in alto se non sbaglio e ha un bellissimo Golden Retriever!”
Un largo sorriso si fece strada sulle labbra di Eileen, che ripensò adorante al suddetto cane prima di cogliere lo sguardo eloquente della vicina e spalancare gli occhi chiari:
“Stai pensando di…”
“O questo, o la fame. A dire il vero noi, emh, siamo con loro.”
Leena si stampò il sorriso migliore del suo repertorio sulle labbra mentre accennava in direzione del tavolo, portando il maître a voltarsi, scettico. Quando però adocchiò Niki e Carter l0uomo strabuzzò gli occhi, voltandosi di nuovo verso le due per osservarle dubbioso:
“… Voi due siete con quei due signori? Ne è assolutamente sicura?”
“Beh, certo, non ho le traveggole!”
Il maître non parve molto convinto, ma poiché il cliente aveva sempre ragione dopo aver gettato un’ultima occhiata dubbiosa alle due streghe si decise ad avvicinarsi, non con poca reticenza, al tavolo. Fermatosi accanto a Niki, l’uomo sospirò prima di parlare:
“Chiedo scusa per il disturbo, ma ci sono due Signorine che dichiarano di conoscervi e di dover cenare con voi.”
Niki smise di parlare con Carter, la sigaretta accesa ancora stretta tra le dita della mano destra, per voltarsi con estenuante lentezza verso il maître, squadrandolo torva prima di parlare in un sussurro appena percettibile:
Spero vivamente che sia una pessima barzelletta.”
“Temo proprio di no, Signorina.”
Mentre Niki sibilava un’imprecazione – o almeno suonò esattamente come tale, anche sé Carter né il maître compresero la lingua – il ragazzo si voltò per guardare con i suoi occhi le due fantomatiche Signorine, sorridendo e accennando un saluto con la mano quando riconobbe due delle loro numerose vicine:
“Ehy, ma sono due nostre vicine! Sarebbe crudele impedirgli di cenare, vista la situazione attuale.”
Carter tornò a guardare Niki, che sospirò rumorosamente e alzò gli occhi verdi al cielo prima di annuire seccata e agitare pigramente la mano libera:
“Bene, le faccia accomodare. Ma se si presenta qualcun altro che dichiara di conoscermi e di dover cenare con me, gli dica che sono morta. E già che c’è, mi faccia portare un’altra bottiglia per favore.”
 
Mentre un esasperatissimo maître si allontanava dal tavolo per recuperare la bottiglia richiesta dopo aver fatto cenno ad un cameriere di passaggio di apparecchiare il tavolo per altre due persone Leena e Eileen si avvicinarono ai due vicini, sorridendo sollevate:
“Non so come ringraziarvi, rischiavamo di vagabondare in cerca di una cena per un’altra mezz’ora e non so se avremmo retto… Io sono Leena, comunque.”
Leena sorrise a Niki mentre allungava la mano destra, guardando la vicina voltarsi e osservarla brevemente prima di stringerla portandosi al contempo la sigaretta alle labbra con l’altra mano.
“Niki.”
La presentazione suonò quasi come un tiepido brontolio, ma Leena non ci fece molto caso mentre sedeva accanto a lei, impaziente di mettere finalmente qualcosa sotto i denti e gettando invece un’occhiata piuttosto perplessa alla sigaretta accesa:
“Ma si può fumare qui?”
“No, di norma no. Se vi dà fastidio smetto.”
Niki parlò senza guardarla e allungando la mano verso il posacenere per picchiettarci sopra la sigaretta e far cadere un po’ di cenere dall’estremità accesa mentre Eileen sedeva di fronte a lei e Leena, chiedendosi come fosse riuscita a farsi accordare il permesso di fumare dal personale di sala quando i tavoli accanto sembravano visibilmente scontenti, si affrettò a scuotere la testa mentre apriva un menù.
“No, per me non è un problema, fumo anche io.”
“Io sono Carter.”
Il ragazzo sorrise alle due, stringendo la mano che Eileen gli porse mentre altri due posti venivano aggiunti al tavolo. Il cameriere indugiò anche per informarli che finchè non avessero ricevuto gli ordini delle due nuove ospiti avrebbero lasciato quelli del tavolo in sospeso, provocando un gemito sommesso da parte di Carter e l’ennesimo, sonoro sbuffo da Niki, che afferrò con un gesto brusco il cestino del pane vuoto per allungarlo al cameriere:
“Che cosa deve fare una ragazza per mangiare delle lasagne?! Mi riempia questo. E voi sbrigatevi a decidere, vi prego.”
La richiesta risuonò più come un ordine considerevolmente minaccioso e Leena e Eileen si affrettarono a gettarsi nella lettera del menù, decise ad impedire alla loro misteriosa vicina di usarle come pasto.

 
*

 
Quando era stato fatto partire l’allarme antincendio Esteban non si trovava nel palazzo: in effetti era uscito per portare il suo cane a spasso una ventina di minuti prima, e quando aveva fatto ritorno insieme a Mocio, il suo Bobtail, si era imbattuto in una gran folla di vicini riversati nel cortile interno. Chiedendo in giro ragazzo ci aveva messo ben poco a capire che i vicini erano stati costretti a lasciare i propri appartamenti e che erano rimasti in attesa di poter tornare nel palazzo senza che nessuno fosse esplicito sulle ragioni che li tenevano all’esterno.
Per nulla invogliato a rimanere nel cortile gremito e certo che non avrebbe portato a nulla Esteban aveva deciso di continuare la passeggiata insieme a Mocio, uscendo di nuovo dal palazzo e dirigendosi verso Central Park.
Aveva quasi raggiunto l’ingresso del parco più vicino al palazzo quando gli sembrò di scorgere due dei suoi vicini – che gli capitava di incrociare in ascensore o nell’ingresso di tanto in tanto – camminare qualche metro più avanti rispetto a lui ed entrare nel parco. Desideroso di saperne di più sulla situazione attuale Esteban affrettò leggermente il passo e costrinse così Mocio a fare altrettanto, anche se il grosso e pelosissimo cane non sembrò entusiasmarsi particolarmente mentre seguiva trotterellando il padrone sul marciapiede, attraverso delle strisce pedonali e infine varcando l’ingresso del parco buio e illuminato dai lampioni che costeggiavano i viali.  
Esteban vide i due vicini sedersi su una delle panchine più vicine, affrettando ulteriormente il passo per raggiungerli con Mocio che sbuffava al seguito: avrebbe dovuto prevedere la fregatura quando il padrone lo aveva portato a fare il secondo giretto consecutivo.
 
“Chiedo scusa, voi vivete all’Arconia, vero?”
Esteban si fermò accanto alla panchina e parlò accennando un sorriso mentre Kei e Orion smettevano di conversare e si voltavano verso di lui tenendo dei tacos in mano. Gli occhi scuri di Orion indugiarono prima sul cane, così peloso da rendere impossibile a chiunque scorgergli gli occhi, e poi sul suo padrone, un ragazzo alto, sorridente e con mossi capelli scuri. Infine, mentre accanto a lui Kei si sforzava di non farsi scappare apprezzamenti sul bel ragazzo che avevano davanti, Orion annuì con un sospiro cupo:
“Stasera vorrei dire di no, ma sì.”
“Io sono Esteban, vivo al 12° piano… Ero uscito a portare fuori il mio cane e quando sono tornato tutti erano nel cortile, ho sentito qualcosa sull’allarme antincendio. Voi sapete qualcosa?”
“Purtroppo niente di più, gli Auror non hanno detto un bel niente se non al padrone di casa. Ho visto uno di loro parlare con il Signor O’Hara, prima.”
“Ci sono anche gli Auror?”
Quel dettaglio non poi così minuscolo o irrilevante gli era completamente sfuggito, e il giornalista guardò i due vicini con gli occhi scuri leggermente preoccupati mentre Mocio si avvicinava ad Orion e a Kei per annusare con enorme interesse i loro tacos farciti.
“Sì, ne abbiamo visto qualcuno, vero Orion? Ciao bello!”
Kei sorrise al cane e lo accarezzò mentre Orion, accanto a lui, annuiva dondolando lentamente la gamba destra accavallata sulla sinistra e osservando pensieroso gli alberi che avevano davanti e che presto, con l’incombere dell’autunno alle porte, avrebbero cominciato a tingersi di rosso e arancione.
“Sì. Kei, attento, il pelosone ti mangia il taco.”
Mocio, comportati bene! Scusate, deve avere fame.”
Esteban sospirò e strattonò dolcemente il guinzaglio del Bobtail per chiedergli di lasciare in pace Kei, che però sorrise al cane e spezzò un pezzo di tortilla fatta con farina di mais per allungarlo a Mocio tenendolo sul palmo della mano. Mocio l’annusò, facendolo subito sparire e ricompensando il ragazzo con una leccata sulla mano mentre Kei sorrideva, divertito:
“Non c’è problema. Lo hai chiamato Mocio?!”
“Sì, mi sembrava appropriato.”         
Esteban sorrise, abituato allo sconcerto che il nome del suo cane era solito scatenare. In fondo però, quando Mocio era cucciolo e solo un ammasso di pelo bianco e grigio, non era riuscito a farsi venire in mente nulla di più azzeccato.
“È carino. Oh, io sono Kei, lui è Orion.”
“Io vivo al nono, lui al settimo. Sei fortunato ad essere uscito con il tuo cane prima dell’allarme, o ti saresti dovuto fare più di venti rampe di scale. Per una volta non invidio quelli che vivono molto in alto.”
Esteban non ci aveva riflettuto, ma finì col dover dare ragione ad Orion: mentre si chinava per accarezzare il muso pelosissimo di Mocio dovette riconoscere di aver avuto una splendida quanto provvidenziale idea quando aveva deciso di fare una passeggiata prima di cena.

 
*

 
“Che cosa pensate che sia successo nel palazzo?!”
“Magari qualcosa a che fare con la droga!”
“Ma non possono sbatterci fuori e perquisire gli appartamenti senza consenso o un mandato, è assurdo!”
“Magari non devono perquisire tutti gli appartamenti, forse solo quelli di qualcuno ma per qualche motivo ci hanno fatti uscire tutti!”
I piatti giacevano vuoti sul tavolo circolare, fatta eccezione per la coppa da dessert di Carter, che stava raccogliendo le ultime cucchiate di mousse al cioccolato mentre lui, Eileen e Leena discutevano con interesse dell’allarme antincendio, tirando fuori le teorie più disparate.
“O magari una bomba nel palazzo…”
Le parole di Leena fecero quasi andare la mousse di traverso a Carter, che tossicchiò e le chiese in un sussurro di non dirlo neanche per scherzo e di abbassare la voce: erano passati pochissimi giorni dall’anniversario dell’attentato di Ground Zero, e di solito in quel periodo tutti diventavano molto sensibili sull’argomento, in città.
“O forse è morto qualcuno.”
I tre si voltarono verso Niki, che non parlava da qualche minuto e stava armeggiando con il suo telefono, i grandi occhi verdi contornati da trucco nero fissi sullo schermo luminoso.
“Oh, non fate troppo caso a me, sto cercando di stabilire un nuovo record a Candy Crush…”
“Pensi che sia morto qualcuno?”
Il nervosismo trapelò chiaramente dalla voce di Eileen, mentre Carter – indeciso se spaventarsi ed emozionarsi per l’ipotesi – si limitava ad osservare la vicina e Leena, gli occhi scuri improvvisamente sognanti, pensava a quanti spunti le avrebbe potuto offrire la cosa per la sua fanfiction.
Finalmente Niki sollevò lo sguardo dallo schermo del telefono, indugiando brevemente sul viso pallido di Eileen prima di stringersi nelle spalle e alzarsi in piedi spostando la sedia senza far rumore:
“Beh, è possibile. Vado in bagno.”
La strega si allontanò senza aggiungere altro, infilandosi il telefono nella tasca posteriore dei jeans a vita alta prima di prendere la felpa nera che aveva lasciato sullo schienale della sedia, sopra al lungo impermeabile.
 
I tre la guardarono dirigersi verso il bagno per una manciata di secondi, prima di tornare a guardarsi l’un l’altro. A spezzare il silenzio fu Carter, che allontanò la coppa di vetro vuota prima di asserire qualcosa con tono neutro:
“Beh, ho sempre pensato che la tizia del 13B fosse strana. Ora so per certo che è così. Quando torna dal bagno muoviamoci a pagare e ad andare, sono curioso di vedere cosa sta succedendo all’Arconia.”
Nel parlare il mago si tastò istintivamente la tasca dove di solito teneva il portafoglio, sbiancando quando si rese conto che la tasca era vuota. Mentre Leena e Eileen lo guardavano perplesse, Carter iniziò a frugare nervosamente in tutte le tasche della giacca prima di sibilare un’imprecazione e colpire frustrato la superfice del tavolo davanti a sé:
Merda. Nella fretta di uscire ho lasciato il portafoglio a casa!”
Le parole del ragazzo fecero prendere consapevolezza di non aver preso il portafoglio prima di uscire di casa insieme ad Anacleto anche in Eileen, che si portò una mano a coprire le labbra rosee e carnose mentre spalancava inorridita gli occhi eterocromi:
“Cavolo, anche io! Leena, ti prego, dimmi che tu hai dei soldi.”
La spagnola si voltò verso l’amica per guardarla implorante, ma l’ex Corvonero si strinse nelle spalle, serafica:
“Non guardate me, io ero scesa per starmene un po’ in pace in giardino, non programmavo di mangiare fuori e ho solo le chiavi!”
“MERDA! Ci conviene pregare che la stralunata abbia il portafoglio, altrimenti dovremo passare la notte a lavare piatti per saldare il conto.”
 
 
Quando Niki uscì dalla porta del bagno si diresse a passo spedito verso il suo tavolo, fermandosi accanto alla sedia e esitando prima di riprendere posto quando scorse i falsissimi sorrisi plastificati che Eileen, Carter e Leena le stavano rivolgendo. Gli occhi chiari della strega indugiarono sospettosi su tutti e tre i volti, prima che Niki raccogliesse l’impermeabile dallo schienale della sua sedia per infilarselo e prendere una seconda sigaretta dal pacchetto lasciato in una delle tasche.
“Che cazzo avete fatto?”
In fin dei conti non era rimasta lontana dal tavolo abbastanza a lungo da permettere a quei tre di combinare casini. O no?
“Ecco, ci siamo resi conto di, beh… non avere soldi a portata di mano, li abbiamo tutti lasciati a casa. Perciò ci chiedevamo se tu potessi…”
Carter sorrise amabile, pregando mentalmente che il suo fascino colpisse come al solito e che la vicina non li mandasse a quel paese, costringendolo all’imbarazzantissima prospettiva di dover chiamare suo fratello maggiore per chiedergli aiuto.
Fortunatamente Niki sospirò e mormorò qualcosa su quanto l’Arconia si rivelasse sempre di più, giorno dopo giorno, un gigantesco agglomerato di idioti con pavimenti pulitissimi, ma estrasse comunque il portafoglio dalla tasca, con gran sollievo dei presenti.
La strega sfilò una banconota da 500 dollari dal portafoglio e la mise sul tavolo prima di fare cenno ai tre di alzarsi e seguirla, impaziente di uscire per tornare all’Arconia. Eileen e Leena, entrambe con gli occhi fuori dalle orbite, guardarono prima lei e poi la banconota mentre la spagnola, deglutendo a fatica, indicava il prezioso pezzo di carta:
“S-scusa, non vuoi il resto?!”
“Muovete il culo.”
Niki si allontanò dal tavolo infilandosi in testa un berretto verde e senza aspettare i tre vicini, che la seguirono rapidi verso l’uscita mentre Carter asseriva di dover recuperare Sarge prima di uscire.
“Chi diavolo è Sarge?”
Niki si voltò verso Carter mentre tirava fuori gli occhiali da sole, pronta ad infilarli e guardando il vicino terrorizzata, temendo che potessero spuntare dal nulla altri vicini mentre il ragazzo, invece, sorrideva allegro:
 
“Il mio cane, credo che tu lo abbia già visto in giro.”
Carter sorrise quasi automaticamente nel rivedere il suo amatissimo cane, facendosi consegnare il guinzaglio da un cameriere mentre Eileen e Leena, alle sue spalle, adocchiavano il Golden Retriever prima di lanciarsi in una serie di complimenti e commenti stucchevoli sul cane e su quanto fosse carino.
Anche Niki, invece di infilarsi gli occhiali scuri come suo solito, osservò brevemente il cane, che si stava godendo le coccole del padrone. All’improvviso un sorriso del tutto inaspettato comparve sul bel viso della strega, che si chinò su Sarge e allungò entrambe le mani per accarezzargli la testa e grattargli le orecchie:
“Ma è bellissimo! Ciao cucci cucci cucci!”
 
Paralizzati dall’improvviso cambiamento drastico generatosi nei modi, nel tono e nell’espressione – fino a quel momento perennemente seria – della strega, Carter, Eileen e Leena la guardarono attoniti coccolare Sarge prima che Eileen sussurrasse qualcosa con tono dubbioso e vagamente spaventato al tempo stesso, incapace di distogliere gli occhi chiari dalla figura alta e longilinea della vicina china sul Golden Retriever:
“Ma… Ma è la stessa persona di prima?!”
“Shhh, fate silenzio, prima che l’incantesimo si spezzi!”
 
“Chi è il mio nuovo vicino preferito? Sììì, ovvio che sei tu! Lo sai che sei bellissimo?”

 
*

 
“Ho mangiato così tanto che l’ascensore potrebbe non reggerci tutti e tre insieme…”
Lo vedi che uscire in tuta non è poi stata tutta questa tragedia? Qui c’è gente che va in giro conciata in modo ben più assurdo e nessuno ci fa caso.”
Piper camminava a passo spedito sul marciapiede tenendo il braccio allacciato a quello di Jackie mentre Nia li seguiva tenendo Bizet in braccio, diretti verso l’Arconia dopo essersi trattenuti a lungo a cena. La ragazza sussurrò qualcosa a proposito di come fosse facile parlare per la maggiore, visto che aveva ancora trucco e capelli perfetti grazie allo shooting, ma Piper non ci fece caso e tornò invece a rivolgersi a Jackie, sospirando mentre gli appoggiava la testa sulla spalla:
“Spero davvero che ci facciano finalmente rientrare, sono così stanca che potrei mettermi a dormire su una delle panchine del giardino, e non scherzo.”
“Povera cara, è stato sfiancante farsi fotografare?”
Jackie abbassò lo sguardo sull’amica con un sorrisetto divertito sulle labbra, non accennando a voler farlo sparire quando l’ex compagna di Casa lo colpì piano sul braccio e gli lanciò un’occhiata torva: se c’era una cosa che non le era mai andata a genio era sentire la gente minimizzare il suo lavoro, e anche se sapeva che Jackson non faceva sul serio ci tenne comunque a rimarcare quanto certi giorni fossero davvero sfiancanti:
“Non prendermi in giro Jackie, hai idea di quanti cambi d’abito io abbia dovuto fare in tempi assolutamente da record? Per non parlare delle corse da un posto all’altro sui tacchi alti!”
“Hai ragione, non oso nemmeno pensare a che cosa significhi spostarsi su quegli affari.”
“Così va meglio. Tra l’altro, mi piacerebbe tanto sapere perché due paia di Jimmy siano misteriosamente scomparse da un paio di settimane…”
Mentre i tre varcavano l’ingresso del palazzo Piper voltò il capo per scoccare un’occhiata eloquente in direzione della cugina, che però fece spallucce e sfoderò un sorriso angelico prima di suggerire che forse Bizet aveva finito col giocarci e a lasciarle in giro.
 

 
Naomi, Gabriel e Moos avevano fatto ritorno nel cortile interno da una decina di minuti insieme alle tartarughe Jam e Dorothea e al cane Sundance, e i tre ex Serpecorno – le menti molto più lucide poiché la fame era stata finalmente saziata grazie ad una cena molto abbondante – stavano discutendo ogni teoria possibile sulla strana piega che aveva preso quel martedì così apparentemente comune.
“Vi dico che è assolutamente impossibile che fosse un’esercitazione, ci avrebbero fatti rientrare da un’eternità!”
“Naomi ha ragione. Secondo me è per una qualche perquisizione.”  Gabriel sorrise a Sundance e allungò una mano per accarezzargli la testa mentre Moos, che sedeva accanto a lui tenendo Jam e accarezzandogli distrattamente la testa con l’indice e il medio uniti – la tartaruga, che non apprezzava particolarmente la compagnia di umani che non fossero il padrone, stava gettando occhiatacce a destra e a sinistra, scontenta per tutta quella gente che le stava attorno mentre Dorothea, in braccio a Naomi, faceva altrettanto – gettava un’occhiata preoccupata a due Auror che stavano discutendo tra loro dopo essere usciti dall’edificio e a quello che stava invece parlando con il proprietario del palazzo a qualche metro di distanza.
“Credo che sia più grave.”
 
 
 
Leena, Eileen, Carter, Niki e Sarge fecero appena in tempo a rimettere piede nel cortile prima che uno degli Auror – paurosamente attraente, ma Eileen si impose di non fare commenti di alcun tipo sul suo aspetto vista la tensione nell’aria – richiamasse l’attenzione dei presenti su di sé, schiarendosi la voce prima di parlare dopo essersi piazzato davanti alla fontana.
 
“Scusate per il disagio e per l’attesa signori, ma temo di avere brutte notizie. Abbiamo trovato un corpo in uno degli appartamenti del palazzo.”
“Che cosa?!”
“Un morto?!”
Carter trasalì, Eileen strabuzzò gli occhi, Leena iniziò a frugare freneticamente nella sua disordinatissima borsa alla disperata ricerca di carta e penna per scriversi un appunto.
Mathieu, seduto sul muretto accanto a Prune, gettò un’occhiata vagamente perplesso al curioso gruppetto mentre Sarge si guardava attorno scodinzolando allegro e Niki, sbuffando piano, si avvicinava la piccola fiamma dello zippo al viso parzialmente coperto dagli occhiali scuri per accendersi la sigaretta, illuminandolo fiocamente per qualche breve istante.
 
“Ve l’avevo detto che era schiattato qualcuno, fessacchiotti.”
 
 

Orion, Kei ed Esteban scelsero quell’esatto momento per fare ritorno all’Arconia, fermandosi davanti all’ingresso insieme a Mocio prima di notare le facce tese, angosciate e in alcuni casi quasi terrorizzate dei loro vicini.
“Ehy, che succede? Come mai tutte queste facce da funerale?”
Sorridendo allegro, Orion parlò guardandosi attorno mentre Mathieu, seduto vicino all’ingresso senza smettere di accarezzare il collo del suo alano, sbuffava piano:
“È morto uno dei vicini.”
“Cosa?!”
Esteban spalancando inorridito gli occhi scuri, finendo però col constatare che se le cause della morte non erano chiare, cosa molto probabile vista la presenza degli Auror e il volerli tenere fuori dal palazzo per tutto quel tempo, avrebbe anche potuto scriverci un gran bel pezzo.
Kei assestò rapido una gomitata ad Orion, suggerendogli caldamente di non usare mai più l’espressione “facce da funerale” dentro i confini del palazzo mentre l’ex Tuonoalato, resosi conto della tremenda gaffe, spalancava inorridito gli occhi scuri:
Oh merda!”
 
 
“Ma… Ma chi è morto?! Che appartamento era?!”
Dom esitò prima di rispondere ad una delle domande con cui i condomini iniziarono a tempestarlo con maggior intensità, scrutando le persone a lui più vicine prima di parlare con tono piatto:

“Il 14B.”

Le reazioni furono più o meno quelle che si aspettava, forse leggermente forzate in qualche caso. Ma avrebbe presto avuto modo di parlare con tutti loro, quindi non se ne curò particolarmente: era sicuro che in tanti, tra i presenti, non avessero apprezzato poi così tanto il defunto e che Montgomery non fosse stato in cima alla lista dei vicini preferiti di molti.
 
“Il 14B… Porca Priscilla!”
Dopo aver fatto un rapido collegamento Leena si portò le mani alla bocca, inorridita mentre ripensava ad un recente episodio che aveva coinvolto lei e Montgomery Dawson. Eileen e Carter la guardarono incuriositi, ma la strega non rispose, la gola improvvisamente secca e gli occhi scuri fissi su Dom mentre le ultime parole che lei e il vicino si erano scambiati le tornavano in mente.
Poteva solo pregare che nessuno le avesse udite.
 
 
 
 
 
Ed è così che la mia vita solitaria all’Arconia è finita per sempre. Per lo meno quella sera conobbi quello che sarebbe presto diventato il mio vicino prediletto.
Naturalmente sto parlando di Sarge.
 
 
 
 (1): Piatto tipico della cucina creola della Louisiana 
 

 
 
……………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Buongiorno!
Le sentite le campane in lontananza perché non sto pubblicando qualcosa a ridosso della mezzanotte? Beh, io sì.
Naturalmente non è un capitolo molto lungo e i personaggi non appaiono un granché, ma non volevo farvi aspettare molto per poter iniziare a leggere di loro e questo è il capitolo che tecnicamente avrei allegato alla Selezione, quindi spero che nessuno se la prenda per la lunghezza ridotta.
Non ho domande per voi per il momento quindi vi saluto, a presto spero! (Anche altrove per chi partecipa anche ad altre mie storie)
Signorina Granger
   
 
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