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Autore: MercuryGirl93    14/04/2022    3 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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XIV Anemone
 
Adone, nato dalla corteccia della madre Mirra trasformata in arbusto, diventa un giovane di rara bellezza, appassionato di caccia. Per errore, Amore ferisce la dea Venere con una freccia ed ella s'innamora teneramente e appassionatamente del bell'Adone.
Per il giovane la passione della caccia rimane sempre più forte di quella per la dea: nonostante gli abbracci, le carezze e gli avvertimenti di Venere, egli parte per una battuta di caccia al cinghiale, che infuriato per una ferita, azzanna Adone provocandogli una ferita mortale all'inguine.
Venere accorre in soccorso del suo amato, ma è troppo tardi, così non le resta che trasformare il sangue dell'amato esanime dei fiori rossi dell'anemone, una delle frequenti metamorfosi botaniche della mitologia. *
 
 
Federico si rigirò sul letto un paio di volte prima di realizzare di non avere la minima idea di come ci fosse arrivato.
Si sentiva la testa pesante come un macigno, la faccia bollente, la vista offuscata.
Il suo cervello aveva smesso di funzionare e, in quel momento, si sentiva lo spettro di sé stesso.
-Grazie per averlo riportato – sentì il bisbiglio di sua madre dal corridoio. Simona aveva un tono preoccupato e anche se non poteva vederla riuscì a figurarsela benissimo: le sopracciglia piegate all’ingiù, gli occhi spenti.
Si sorprese nel sentire il sussurro di Annamaria di rimando: -Non l’ho mai visto così, credo stia male. Aveva la fronte che scottava – disse lei con il medesimo tono preoccupato.
Quel pomeriggio, con Anna, stava più che bene. Erano gli ultimi eventi ad averlo sconvolto a tal punto da fargli innalzare la temperatura corporea, in un anomalo stato febbricitante.
Si sentiva ancora confuso riguardo a quello che aveva scoperto, non aveva avuto il tempo di processare correttamente le ultime informazioni che aveva carpito.
Certamente, come aveva sospettato, la donna sgradevole incontrata quel pomeriggio era davvero la zia di Emma, così come la casa visitata era davvero casa di Emma. Il problema era che, a quanto detto, la ragazza che negli ultimi mesi aveva frequentato, baciato, abbracciato, con la quale si era scambiato intime confidenze, era morta.
Al solo pensiero, sentì un fischio sordo alla testa così debilitante da fargli perdere il raziocinio.
-Sarà un malanno stagionale, sta tranquilla – disse la voce di Giancarlo da dietro la porta. Sembrava più calmo, pacato, rispetto a Simona e Annamaria, come se qualunque cosa Federico avesse si potesse spiegare con la ragione.
Il problema era che se le ultime informazioni apprese erano vere, la situazione era ben al di fuori del razionale.
Federico continuò a rigirarsi tra le lenzuola, sempre più confuso e annichilito. Evidentemente, c’era una ragione se nessuno oltre lui aveva mai visto Emma in quella zona, se lei era così lesta a sparire e così brava a riapparire, se nessuno delle sue conoscenze aveva mai avuto occasione di vederla.
Emma era uno spettro, una sua fantasia, una proiezione vivida della sua immaginazione venuta fuori per chissà quale anomala ragione. Dopotutto era così bella e favolistica da risultare spesso irreale, ma mai si sarebbe aspettato che la ragione fosse che in realtà non esisteva affatto.
Non riusciva a spiegarsi neanche per quale motivo la sua fantasia avesse preso le sembianze e il nome di una ragazza realmente esistita, ma morta.
-Allora io vado – fece Annamaria, dall’altra parte.
Aveva ancora il tono preoccupato di prima nonostante le rassicurazioni di Giancarlo. Probabilmente, anche lei aveva chiaro che qualunque cosa fosse successa a Federico era ben al di fuori del semplice malanno stagionale: anche lei aveva sentito che Emma, la ragazza di cui avevano tanto parlato quel pomeriggio, era morta, e anche lei era confusa a riguardo.
L’amica si stava sicuramente riservando il diritto di aspettare prima di saltare a conclusioni avventate su quella situazione: sarebbe andata a casa e ci avrebbe dormito sopra, tentando anche lei di risolvere razionalmente l’enigma che le si era posto davanti.
Ma Federico sapeva che c’era un’unica spiegazione plausibile a tutto: era impazzito. Qualcosa in lui non funzionava più come doveva, al punto da portarlo a immaginare conversazioni sentimentali con uno spettro.
Al solo pensiero si sentì di nuovo male e si addormentò nuovamente, di botto.
 
Emma portava un anemone viola tra i capelli raccolti e correva nel prato verde, facendo ondeggiare al vento uno dei suoi ampi vestiti colorati.
-Avanti, pigrone, corri! – urlava in direzione di Federico.
Senza avere contezza di come fosse arrivato in quel posto insieme alla sua Emma, la assecondò, correndo nella sua stessa direzione. Come un bambino, si lasciò andare all’idea di poter giocare insieme a lei, per una volta, abbandonando i freni inibitori e le preoccupazioni che spesso gli impedivano di sentirsi davvero spontaneo.
-Ma quale pigrone! – bofonchiò ridendo, una volta raggiunta la ragazza.
Emma si sedette sul bordo di un piccolo laghetto limpido. Ancora ansante per la corsa, immerse i piedi nell’acqua fredda, rabbrividendo al contatto. Federico si sedette proprio di fianco a lei.
-Ma poi per quale motivo sei venuto anche tu? – domandò lei, senza guardarlo. Gli occhi verdi erano puntati in un punto indefinito davanti a sé, a scrutare l’ignoto.
Federico le carezzò un braccio candido. -Che intendi?
-Non ti ricordi? – proseguì lei, piegando un angolo della bocca. Il viso tondo e punteggiato di lentiggini sfuggente allo sguardo di lui. -Ti ho lasciato.
Fino a quel momento, Federico non aveva pensato a quel piccolo particolare e, il fatto che lei glielo schiaffasse in faccia in quel modo, lo rattristò ed inibì. Smise di toccarla, anche se il suo desiderio era avere tutto il contatto possibile con il corpo di lei, come un bisogno fisiologico.
-Ricordo – commentò, amaro.
Gli dispiaceva veramente che lei fosse così poco delicata da ricordarglielo.
A quel punto Emma si voltò nella sua direzione e, nel farlo, gli scivolò il fiore dai capelli, cadendo giusto nelle mani di Federico.
-Ma che ti aspettavi – proseguì, osservando come lui accarezzava i petali colorati. -Siamo troppo diversi, io e te.
Federico fece spallucce, un po’ contrariato. -Credevo non fosse importante.
-Ti sbagli! – lo punzecchiò lei, con un’aria saccente che non le aveva mai visto addosso e che, certamente, non le si addiceva. -Come credi che io possa amarti o stare con te, se sono morta?
Fu a quel punto che Federico sentì nuovamente piombargli addosso il peso di quella verità, schiacciandolo nuovamente sotto ad uno stato di confusione, tristezza.
Si svegliò di colpo sul suo letto, emettendo un piccolo verso lamentoso.
Era ancora spossato e malaticcio, i vestiti incollati addosso per il sudore.
-Tesoro, come stai? – disse sua madre entrando nella camera pochi secondi dopo, quasi come se fosse stata in allerta per un suo eventuale risveglio tutto il tempo.
Federico si strofinò il viso ancora bollente. -Mi sento una pezza – ebbe la forza di dire.
Non sapeva dire quanto avesse dormito, ma ciò di cui era certo era che quel sonno non era affatto stato riposante, per nulla. Sognare Emma in maniera così vivida e sentirla ripetergli la verità che stava ancora realizzando con fatica gli aveva stancato le membra, rendendogli pesante anche il sonno.
Era ancora confuso sul motivo per il quale la sua mente gli stesse giocando quel brutto scherzo.
Simona si sedette al capezzale del figlio.
-Hai avuto la febbre stranamente alta – gli disse, ravvivandogli i capelli con un gesto della mano. -E dire che ieri mattina scoppiavi di salute.
Non se la sentì di rispondere; semplicemente, non aveva niente da dirle. Il suo malessere psicologico era stato tale da farlo ammalare anche fisicamente, ma la madre non poteva saperlo. Simona, dopotutto, non sapeva di Emma, non gliene aveva mai parlato.
-Annamaria è stata molto dolce, ti ha praticamente trascinato fin qui da sola – proseguì la donna, carezzando il viso del figlio. Fece una risatina: -Tranquillo, tuo padre mi ha detto che non è la tua ragazza, non ti chiederò nulla.
-Ciao fratellone – fece ingresso nella stanza la piccola Alberta, saltellando allegramente verso il capezzale del fratello.
-Ciao piccola – le sorrise, sforzandosi di apparire sereno.
La bambina lo studiò attenta. -Stai proprio male Fede! – sentenziò la bambina, per poi allungare una manina paffuta verso di lui: -Ecco, ti ho portato questa.
Alberta svelò che il piccolo regalino non era altro che una delle sue caramelle alla frutta.
Federico la accettò di buon grado, cercando di dimostrarsi il più entusiasta possibile per non far preoccupare la sorellina piccola.
Fu in quel momento che realizzò che la sola altra persona ad aver visto veramente Emma, oltre lui, era proprio Albertina: avevano trascorso qualche pomeriggio insieme, avevano giocato insieme.
Con uno slancio quasi disperato afferrò la bimba per le spalle, facendola trasalire per lo spavento.
-Alberta, ti ricordi di Emma? – chiese con disperazione, scuotendola leggermente.
La bambina, colta di sorpresa, aveva gli occhi spalancati. -Chi? – soffiò confusa.
-Federico! – intervenne Simona, anche lei sorpresa dallo slancio del figlio nei confronti della sorella. -Le fai male, lasciala!
-Emma! – proseguì Federico. -Ti ricordi? Avete giocato insieme qui, con le bambole!
-Non mi ricordo – borbottò dispiaciuta la bambina, sporgendo il labbro inferiore.
A quel punto Simona intervenne, strappando la piccola dalla presa di Federico. -Va’ a giocare, tesoro.
Albertina, come sempre, ubbidì e saltellò via. Non sembrava per nulla sconvolta dalle domande del fratello, anche se lo stesso Federico si era reso conto dell’ingiustificata aggressività usata nei confronti della sorellina piccola. Non voleva certamente spaventarla, era semplicemente disperato.
L’ultima speranza di essersi sbagliato, di aver frainteso, era proprio in Albertina, la quale, tuttavia, pareva confusissima dopo aver sentito il nome di Emma, come se non avesse la più pallida idea della persona a cui si riferiva il fratello.
La reazione della piccola tarpò definitivamente le ali a Federico.
-Ma che ti è preso? – chiese Simona bonariamente, una volta che la figlia piccola fu abbastanza lontana da non sentire.
Federico, a quel punto, scoppiò in lacrime.
In un attimo il suo viso fu rigato di lacrime mentre le sue spalle venivano scosse da singhiozzi. Sentiva di avere molti meno anni di quelli che aveva in realtà, come se in un attimo fosse tornato ad essere un bambino.
-Mamma – chiamò disperato. -Sto diventando pazzo.
Simona guardò il figlio sconvolta e incredula.
Pur non sapendo quale fosse il motivo di un simile dolore, lo abbracciò e non chiese nulla, cullandolo tra le sue braccia fino a quando lui non si addormentò nuovamente.
 
Sognò Emma, questa volta mentre danzava a casa sua durante la festa data da Marco. Nessuno dei presenti pareva notarla e lei, dal canto suo, sembrava non volersi fare notare, presa com’era da sé stessa.
Solo agli occhi di Federico era luminosa.
Emma lo guardò con gli occhi verdi lucidi e allungò una mano nella sua direzione. -Balla con me – sussurrò con un sorriso allegro.
Tuttavia, ancor prima che Federico potesse accettare l’invito, venne strappato da quel sogno e sprofondò nuovamente nel silenzioso buio.
 
Vide di nuovo Emma, in camera sua, stesa sul suo letto a leggere un libro.
Federico si sentiva ormai una pezza, come se ogni volta che il suo inconscio gli proponeva l’immagine di lei, lui perdesse un po’ della sua energia vitale. Ogni volta che la vedeva si sentiva sempre più nostalgico, poiché la sua consapevolezza che lei non fosse reale era ormai diventata una dolorosa certezza.
-Sei stanco- disse lei, sorridendogli. Aggiustò con una mano le pieghe del suo vestito bianco mentre con lo sguardo lo invitava a raggiungerla.
Federico, invece, voleva tenerla lontana, perché qualunque fosse la ragione di un simile scherzo della sua testa, stare con lei era meraviglioso e non voleva torturarsi ulteriormente.
Era meglio porre distanza tra sé stesso e quella vivida fantasia.
 
Continuava ad agitarsi inquieto nel letto, preda della febbre e di quelle immagini così belle e reali di Emma.
Federico spalancò gli occhi di scatto, come colto da una scossa elettrica, quando il tocco familiare di una mano delicata gli si posò sulla fronte.
Ancora una volta, si ritrovò davanti Emma, lo sguardo preoccupato, le mani gelide, il suo profumo di gelsomino. Nel buio della camera riuscì perfino a distinguere il rosso delle sue labbra e la costellazione di lentiggini sulle sue guance piene.
-Sei bollente – sussurrò lei, continuando a toccargli il viso sudato, come a volergli dare ristoro.
Federico era ormai esausto, non aveva la forza di scacciarla. -Ti prego, basta – implorò la sua testa, affinché facesse sparire Emma una volta per tutte.
-Basta cosa? – bisbigliò lei, confusa. -Che ti prende?
Con un sospiro, Emma si alzò e afferrò il bicchiere d’acqua sulla scrivania, per poi farglielo bere. Gli sostenne amorevolmente la testa, carezzandogli il collo e lui bevve avidamente.
Aveva la gola arida e non se n’era neanche accorto fino a quando lei non lo aveva incentivato a bere.
-Ti lascio stare per qualche giorno e guarda come ti ritrovo – scherzò lei, alla fine, spostandogli i capelli incollati alla fronte.
Federico non rispose, si limitò a guardarla, serio.
Emma, dal canto suo, continuò a sorridergli serenamente. -Cos’hai, si può sapere?
-Perché mi torturi così? – le chiese, con un nodo in gola. Sapeva di non riferirsi espressamente a lei ma al suo inconscio, ma stanco com’era non poteva fare a meno di chiedere una tregua da quel trambusto.
-Torturarti? – Emma inclinò la testa, interrogativa. -Volevo solo parlare con te.
Federico sospirò, chiudendo nuovamente gli occhi. - E di cosa vuoi parlare?
-Di quello che è successo l’altra sera – Emma continuò ad accarezzargli il viso. -Però forse non è il momento giusto, non sapevo stessi male.
-Preferisco non parlare più di nulla, con te – disse lui. Se non avesse tenuto gli occhi chiusi altre lacrime gli avrebbero rigato il viso. -Vorrei solo che mi lasciassi in pace.
Emma si irrigidì di colpo, ma non scostò la mano dalla sua guancia. -Sei ingiusto.
-Ingiusto?
-Sì – confermò lei. -Non ho mai detto di non tenere a te, avevo solo bisogno di spazio e di tempo per pensare.
Federico rise, sopraffatto e triste. Quella conversazione era così reale che se non avesse saputo la verità, probabilmente ci sarebbe cascato di nuovo.
-Vorrei che tu sparissi – la pregò, questa volta guardandola negli occhi.
Emma lo guardò con un viso di pietra, senza esternare alcun tipo di sconvolgimento o esitazione per quelle parole dure celate dietro un tono disperato. Si chinò verso il suo viso e posò le labbra sulla sua fronte, in un lungo bacio silenzioso.
Federico chiuse gli occhi a quel contatto. Anche se sapeva che lei fosse irreale, il fatto non cancellava cosa provasse davvero. Amava una ragazza morta che aveva sempre immaginato.
-Va bene – sussurrò lei, vicinissima al suo viso. -Voglio solo che tu stia bene.
Emma si alzò dal letto con un po’ di esitazione, come se a dispetto di ciò che aveva dichiarato non volesse davvero andarsene via.
Neanche Federico voleva lasciare andare un così bel sogno in quel modo, ma non aveva altra scelta per raggiungere un po’ di pace mentale.
Chiuse gli occhi, arreso, e quando pochi secondi dopo li riaprì Emma era già sparita, forse calandosi giù dalla finestra, o forse definitivamente dalla sua testa.
 
L’Anemone rappresenta l'effimero e l'abbandono, un amore tradito una speranza mal riposta, viene regalato quando si vuole far notare a qualcuno di essere trascurati; soprattutto in amore, ma non solo, anche un amico può usare questo fiore per dimostrare il proprio sentirsi abbandonato.
 
*Fonte: www.grechigiardini.it

Buongiorno carissimi lettori! Ormai sto quasi finendo di scrivere la storia, mentre per quanto riguarda la pubblicazione dei capitoli credo che proseguiremo per tutto il mese di Maggio. Spero che la storia continui a piacervi: non esitate a darmi feedback di qualsiasi genere, ci tengo molto a sapere che cosa ne pensiate. 
A presto! 
   
 
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