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Autore: edoardo811    16/04/2022    2 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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XVIII

Rivelazioni



Camille non credeva di essersi mai sentita peggio. Aveva incontrato le sue sorelle, era stata costretta a combattere con una di loro, aveva visto una di loro morire di fronte a lei e poi aveva perso il controllo.

Di nuovo. 

Non ricordava bene cosa fosse successo. Sapeva solo che quando aveva riaperto gli occhi e si era trovata dentro quel cratere ancora fumante, si era sentita soffocare all’improvviso. La consapevolezza di aver fallito l’aveva travolta, schiacciata. Tutto il suo lavoro, la sua fatica, il suo rimanere calma e controllata… non era servito a niente. Aveva distrutto una prigione intera, mettendo perfino in pericolo i suoi amici.

Era una totale incapace.

E poi… poi era successo quello che era successo con Daniel. Più pensava al suo sguardo, alle sue parole, più sentiva dolore al petto. Non riusciva a credere a quello che aveva visto. E la cosa peggiore era che forse… forse aveva ragione lui. Era un’ingenua a pensare di poter sempre aiutare tutti, anche chi forse non se lo meritava. Allo stesso tempo, però, era più forte di lei: sentiva di doverlo fare, o quantomeno di provare a farlo.

Dopo tutto quello che lei aveva patito… non riusciva a rimanere ferma di fronte a chi aveva bisogno di aiuto. Nessuno aveva mai aiutato lei, conosceva quel dolore, quella sensazione desolante, quella solitudine opprimente e nei limiti delle sue capacità voleva impedire ad altre persone di provare lo stesso.

Non era giusto quello che Lamia aveva patito. Lei non era un mostro, non aveva mai voluto esserlo, ma era stata resa così da qualcun altro. Non era giusto quello che era successo a quelle naiadi, che avevano perso la loro casa per cause fuori dal loro controllo. Non era giusto quello che era successo a lei, a Kiana, perfino a Daniel. Non era giusto che alcuni fossero costretti a soffrire mentre altri no.

E poi, c’era stato l’incidente. Dopo quella volta, il pensiero di aiutare gli altri era l’unica cosa ad impedirle di impazzire per il dolore e per i sensi di colpa. Forse era una stupida, un’ingenua, forse Daniel aveva davvero ragione, ma non le importava. Ne aveva bisogno. Doveva crederci. Non sapeva cosa avrebbe fatto altrimenti.

Ripensò alle parole di Kiana, quando l’aveva chiamata crocerossina. L’aveva fatto per scherzare, lo sapeva, però non aveva tutti i torti. Era davvero una crocerossina.

Anzi, peggio: era davvero un caso disperato.

Perché nonostante Daniel l’avesse ferita, spaventata perfino, lei continuava comunque a desiderare che lui fosse suo amico. Continuava a sperare che lui accettasse il suo aiuto. Voleva ancora… essergli vicino, anche se era palese che lui non volesse avere niente a che fare con lei, non in quel senso, almeno.

Daniel non la voleva. Non l’aveva mai voluta. Potevano essere conoscenti, “amici” fino a un certo punto, ma niente di più. Anzi… ormai dubitava perfino che lui l’avesse mai vista davvero in quel modo. Forse più che una sorta di amica, lei era stata una seccatura che lui aveva deciso di sopportare.

Non appena finirono di montare la tenda, Camille si infilò al suo interno senza dire una parola. Avrebbe voluto rimanere da sola, a piangersi addosso come una poppante, invece Kiana la seguì. L’aveva sentita parlare con Daniel, prima. Non aveva idea di cosa si fossero detti, ma poteva immaginarlo. Non si sorprese quando la vide sedersi vicino a lei.

«Cam… stai bene?»

Le labbra di Camille cominciarono a tremolare. «Avevi ragione, Kiana.»

«Su… su cosa?»

«Su tutto. Su Daniel. Su di me. Sul fatto che sono una crocerossina.» La figlia di Trivia si abbracciò con forza le gambe, tirando su con il naso. «Una… una causa persa. Avevi ragione su tutto.»

«Cam, no.» Kiana l’avvolse attorno alle spalle. «Io non ho ragione proprio su un bel niente. Non sei una causa persa. E non sei nemmeno una crocerossina. Non devi prendere sul serio le idiozie che ti dico. Non c’è assolutamente niente di male in quello che fai e che vuoi fare. Non c’è niente di male in te. È solo che… lo conosci, Daniel, no? Lui… lui è fatto così, lo sai.»

«Nel senso che è un gigantesco stronzo?» domandò Cam.

«L’hai detto tu. Non io.»

Camille riuscì a ridacchiare, imitata da Kiana. La vicinanza dell’amica riuscì a farla sentire meglio. Era felice della sua compagnia. La faceva sentire meno sola e la faceva sentire anche come se a qualcuno importasse davvero qualcosa di lei. La guardò dal basso e si accorse dei suoi occhi che si facevano tristi e smarriti all’improvviso, dopo quella breve risata. Non la stava nemmeno più guardando, ora fissava la parete della tenda con aria angosciata.

«Kiana?» Le toccò una spalla e la ragazza sobbalzò, con uno scatto così veloce che a Cam per poco non scappò un gridolino sorpreso. Ritirò la mano, spaventata, mentre la figlia di Venere tornava a scrutarla con una strana espressione. Sembrava spiritata.

«C-Cam…» le sussurrò. «S-Scusa… ti ho spaventata?»

«N-No…» bisbigliò Camille, con il cuore che batteva all’impazzata nel petto.

Ma come faceva a essere così fifona?

«Stai… stai bene tu, invece?» domandò. «Sembri… preoccupata. È per via di quello che è successo?»

Kiana non rispose. La guardò ancora per qualche istante, mordicchiandosi le labbra, poi abbassò la testa. «Non… non preoccuparti, Cam. Sto bene.»

«Lo sai che puoi parlare con me, Kiana. Sei preoccupata per l’impresa? Per quello che ha fatto Ashley? O… ehm… per Mary?»

La figlia di Venere si irrigidì, segno piuttosto inequivocabile. O almeno, Camille pensò di aver capito che Mary fosse il motivo delle sue angosce, invece Kiana scosse lentamente la testa. «Non… non si tratta solo di questo.»

«Che succede? Dimmelo, magari posso…»

Vide Kiana affondare i denti nelle labbra e stringere con più forza il tessuto del sacco a pelo. A quel punto, Camille intuì di aver esagerato ancora una volta. «Scusa» mormorò. «Non… non volevo farmi i fatti tuoi. Parlamene solo se…»

Kiana appoggiò la fronte sulla sua spalla all’improvviso. Camille trasalì per lo stupore. Poi sentì i gemiti. Vide la schiena di Kiana cominciare a sussultare, accompagnata dai suoi singhiozzi soffocati. La figlia di Venere si aggrappò ai suoi fianchi e quello che all’inizio era solo un pianto leggero cominciò a farsi molto più forte e insistente, al punto che Cam pensò che perfino Daniel potesse sentirlo da fuori.

«K-Kiana…» mormorò, cambiando posizione in modo da trovarsi di fronte a lei e ricambiare quell’abbraccio sofferente. Le accarezzò la schiena e si accorse che la sua amica stava tremando come una foglia. Non sapeva cosa le fosse preso, ma non glielo domandò subito. Si limitò a ricambiare il suo abbraccio e ad accarezzarle la schiena con delicatezza.

«I-Io…» mormorò la ragazza in lacrime, tra un singhiozzo e l’altro. «Q-Quando… quando ero nell’hotel… c’era un uomo… lui… lui ha…»

Un lungo brivido le percorse il corpo, facendo sussultare anche Cam di conseguenza. Non aveva mai visto Kiana così. Sembrava terrorizzata.

«Non serve che ne parli, se non vuoi» provò ancora a dire Camille, ma Kiana scosse la testa contro la sua spalla.

«Sto per impazzire, Cam. Ho… ho bisogno di dirlo a qualcuno. Però… però ho bisogno che tu… non lo dica a nessun altro. Va… va bene?»

Cam assottigliò le labbra. Doveva fidarsi davvero tanto per chiederle una cosa del genere. «Non lo dirò a nessuno. Te lo prometto.»

Kiana si separò da lei, asciugandosi le lacrime. Era stravolta. E non appena le raccontò quello che le era successo, Camille capì che aveva ogni ragione di esserlo.

«Kiana…» la abbracciò di nuovo con forza. «Mi… mi dispiace così tanto…» bisbigliò, inorridita da quello che aveva appena sentito. E lei solo quello aveva fatto, ascoltare. Non aveva idea di che cosa potesse provare Kiana in quel momento.

«Sono… sono patetica» singhiozzò Kiana, rannicchiata contro di lei, spaventata come mai l’aveva vista prima.

«No, non è vero.» Camille la accarezzò tra i capelli, mormorandole all’orecchio: «Ti sei liberata da quel… quel maniaco. Hai sconfitto tutti quei mostri, hai sconfitto pure un gigante. Non sei patetica. Sei la persona più forte e coraggiosa che abbia mai conosciuto.»

Kiana singhiozzò di nuovo. Camille la strinse con più forza, cercando di infonderle quanta più sicurezza possibile, ma sapeva che nessun gesto o parola sarebbe riuscito a farla stare meglio in quel momento.

Lasciò che piangesse, che si sfogasse, senza dire più nulla. Voleva farle capire che poteva contare su di lei, che poteva piangere, su di lei, senza nessun timore. Per la prima volta da quando la conosceva, toccò a lei proteggerla e farla sentire al sicuro, e lo fece. Non doveva avere paura di niente, era sua amica e per lei ci sarebbe stata, sempre e comunque.

Passarono ancora diversi minuti, ma alla fine il pianto di Kiana si smorzò. Lentamente, e con delicatezza, le due ragazze si scostarono. La figlia di Venere si passò le dita sotto gli occhi venati di rosso, poi strizzò le palpebre ed espirò a fondo. «Io… io… ti chiedo scusa, Cam.»

Camille fu colta alla sprovvista. «Perché?»

«Perché… perché ti ho mentito. Ho… ho mentito a tutti quanti. Ho sempre cercato di… di sembrare forte, e arrogante e… e di dare quest’impressione di me che non ho paura di niente.» Kiana scosse la testa, incapace di reggere il suo sguardo. «Questa sono io, Cam. Questa è la vera me. La verità è che io… io ho molta più paura di quanto voglia dare a vedere. Io… sono terrorizzata. Ho paura di non farcela, ho paura di… di morire. Sapere che… là fuori ci sono… cose che potrebbero ucciderci solo con il pensiero…» Kiana si strinse allo stomaco. «… credevo… credevo di farcela. Credevo di… di poter dimostrare a mio padre, a mia madre, a tutti quanti che io… non sono quello che pensano. Volevo dimostrare di non essere solo un bel visetto. Ci… ci ho provato in tutti i modi. E alla fine è bastato un pervertito qualsiasi per… per…»

«Kiana.» Camille afferrò entrambe le mani della sua amica, strappandole un altro sussulto. Incrociò di nuovo quegli occhi macchiati di genuina paura e serrò le labbra. Stava per dirle quello che pensava davvero, ma poi esitò.

Invece di dire altro, lasciò andare le mani di Kiana per prenderle il viso caldo e ancora umido per le lacrime. Si avvicinò a lei e appoggiò la fronte contro la sua. Chiuse gli occhi con forza.

«C-Cam? Cosa stai…»

«Shh. Voglio… voglio farti vedere una cosa. Fidati di me.»

Sentì il suono della bocca di Kiana che si spalancava, ma non le disse altro. Camille si concentrò. Non aveva mai provato a fare qualcosa del genere prima di allora, ma sapeva che avrebbe funzionato. Era arrivato il momento di usare l’altro potere che aveva ereditato da Trivia, lo stesso con cui aveva convinto Kyle ed Elias a fare ciò che lei aveva chiesto.

Avvertì il proprio corpo reagire alle richieste della mente, la magia che cominciava a formicolarle nelle vene, agitata ma pronta per rispondere ai suoi comandi. La sentì riversarsi fuori dai palmi e sentì un gemito sorpreso di Kiana, che per poco non le fece perdere la concentrazione, ma si costrinse a rimanere focalizzata su quelle immagini sempre più nitide, e sempre più orribili, che stavano riaffiorando tra i suoi ricordi più dolorosi.

Quando infine riaprì gli occhi, non era più in quella tenda assieme a Kiana. Erano entrambe in un posto molto lontano, molto diverso e, soprattutto, molto più vecchio. Deglutì, osservando il piccolo parco giochi stagliato di fronte a loro due, occupato da una decina di bambini che stavano giocando con lo scivolo e le altalene. Il cielo era splendente, senza nemmeno una nuvola, e sullo sfondo si poteva scorgere un grosso edificio anonimo e squadrato, di cemento, con le pareti sporche e incrostate e sbarre di ferro arrugginite alle finestre.

Kiana si guardò attorno sbalordita. «Ma… dove diamine siamo finite?!»

«È solo una visione. Non… non siamo davvero qui» spiegò Camille. «Questo… è il mio vecchio orfanotrofio.»

«Che cosa? Ma come…»

«Te lo spiego dopo. Ora guarda.»

Camille indicò un punto di fronte a loro, dove diversi bambini se ne stavano radunati a parlottare tra loro con fare circospetto, come se stessero tramando qualcosa di spiacevole. E lei sapeva esattamente di cosa si trattasse. Si voltarono tutti all’improvviso verso loro due e cominciarono ad avvicinarsi con dei sorrisetti meschini.

«Ma… ma ce l’hanno con noi?» sussurrò Kiana, sempre più sconvolta.

«Non con noi» rispose Camille. «Con me.»

I bambini le raggiunsero. Quello più grande si fece avanti per primo. «Strega! Che ci fai qui? Ti avevamo detto che non potevi più uscire!»

«Ma… ma io…» mormorò Camille, strappando un altro sussultò a Kiana.

«C-Cam? Che cavolo stai facendo?!»

Camille a malapena la sentì. Kiana era un ospite nel suo ricordo, perciò lei avrebbe visto tutto quello che era accaduto quel giorno come uno spettatore esterno, senza poter dire o fare nulla che potesse cambiare il corso degli eventi.

«M-Mi dispiace» disse, mentre i bambini la circondavano. «A-Adesso torno dent…»

Qualcuno la spinse. Camille gridò e cadde a terra, sbucciandosi le ginocchia, mentre gli altri bambini si avvicinavano attratti dal rumore.

«Noi non ti vogliamo qui, strega!»

«Sì, vattene!»

«Strega! Strega! Strega!»

Tutti quanti cominciarono a chiamarla così. Quella parola si conficcò nelle sue orecchie così forte che le sembrò che stessero sanguinando.

Era sempre così, con loro. Tutti i giorni. Una volta Camille aveva bruciato il proprio letto con i suoi poteri, durante una delle prime occasioni in cui si erano manifestati, e da quel giorno avevano iniziato a raccontare le storie più disparate e orribili su di lei. Gli adulti pensavano che avesse usato un accendino e che fosse una bambina piromane e problematica, gli altri bambini invece dicevano che era un mostro, una strega, e che suo padre era scappato dopo che lei aveva bruciato sua madre.  

Da quel giorno non avevano fatto altro che metterla da parte e trattarla in quel modo, spingendola, picchiandola e lanciandole addosso pietre e altri oggetti.

Nessuno l’aveva mai aiutata. Nessun adulto era mai intervenuto per fermare quei bulli e nessun bambino aveva mai avuto il coraggio di prendere le sue parti, per paura di fare la stessa fine.

Era rimasta sola. Abbandonata. Proprio come da suo padre. Gray non era un cognome vero. Gliel’avevano affibbiato all’orfanotrofio, ma non era il suo reale cognome. Non aveva idea di quale fosse quello vero e probabilmente non l’avrebbe mai scoperto.

Quella era sempre stata la sua vita, prima del Campo Giove. Una bambina sola, spaventata, presa di mira dai bulli e osservata dagli adulti come un problema. Una seccatura con cui erano costretti a convivere.

A volte, durante momenti come quello in quel parco giochi, in cui i bambini si accanivano su di lei, si domandava se i responsabili dell’orfanotrofio non sperassero soltanto che una pietra la colpisse troppo forte, in modo che lei non potesse più rialzarsi.

Sarebbe stato un problema in meno. Una bocca in meno da sfamare. Quel luogo, l’orfanotrofio, nemmeno aveva un nome reale. Era semplicemente conosciuto come “Orfanotrofio di Jackson”, perché si trovava nella Contea di Jackson, in Oregon.

Non era una casa, neanche un luogo felice, non ci provava nemmeno a esserlo. I bambini che abitavano lì o erano orfani dei loro genitori, o erano stati abbandonati come Camille. Crescevano soli, incattiviti come animali, accanendosi gli uni contro gli altri e raramente venivano adottati. Qualche fortunato c’era stato, ma Camille non era una di loro

Lei era lì, in quel parco giochi, picchiata e umiliata dagli altri, come sempre. Era a terra e la stavano prendendo a calci, ignorando le sue grida, il suo pianto, le sue suppliche di smetterla. A loro non importava. Erano arrabbiati perché erano soli, come lei, e volevano sfogarsi su qualcuno. Come in ogni altro singolo giorno che Camille aveva trascorso lì. Ogni giorno che aveva passato a piangere ed essere ignorata, ogni giorno che aveva trascorso sperando in un aiuto che non sarebbe mai arrivato.

Accanirsi su quello che per loro era un mostro li faceva sentire meno in colpa, forse.

Questo, almeno, fino a quel momento. Il momento in cui dopo settimane, mesi, anni di abusi ne aveva avuto abbastanza.

I bulli gridarono terrorizzati all’improvviso e corsero via, mentre lei si rialzava in piedi piena di lividi, con i vestiti strappati e il corpo intero circondato dalle fiamme. Urlò furiosa verso il cielo, avvertendo la terra tremare e un calore immenso investirla.

Voleva che pagassero per come l’avevano trattata. Voleva che capissero che non avrebbero mai dovuto farle del male. Voleva che morissero. Puntò le mani verso il parco giochi, verso i bambini che scappavano gridando aiuto, e non desiderò altro che annientarli, farli sparire, fare in modo che non ferissero mai più nessuno.

Il fuoco si liberò in ogni direzione, investendo lo scivolo, i dondoli, le altalene, e schiantandosi contro la parete dell’orfanotrofio mentre un violento terremoto mandava in frantumi tutte le finestre. Un vento fortissimo cominciò a soffiare, lampi squarciarono il cielo sereno all’improvviso, il mondo intero sembrò rivoltarsi contro sé stesso.

Quando tutto finì Camille si ritrovò dentro un cratere, proprio come nella prigione. Uscì fuori con le lacrime agli occhi, il corpo tremante e le mani insanguinate. Il parco giochi era distrutto, altalene e scivoli erano saltati via, anche una parete dell’orfanotrofio era crollata. Dal fondo della strada proveniva un frastuono infernale di antifurti e sirene, accompagnato dal vociare sconvolto dei passanti che si stavano avvicinando per controllare cosa fosse successo. Anche diverse macchine si erano fermate. Non appena si accorse di tutto quel movimento, Camille fuggì da quel luogo senza più voltarsi indietro, il petto lacerato dal dolore, dalla paura e dai sensi di colpa.

Il ricordo si interruppe così, con lei che correva in lacrime tra i vicoli di Jackson e le sirene della polizia e dei camion dei pompieri che rimbombavano tra le strade della città.

L’immagine sbiadì, lasciando di nuovo posto alla tenda. Camille si separò da Kiana, rendendosi conto di avere la fronte imperlata di sudore e il cuore che martellava con furia nel petto.

«C-Cam…» sussurrò Kiana, con gli occhi spalancati. «Cosa… cos’è successo…?»

Camille mandò giù il groppo alla gola che si era formato alla vista di quelle immagini orribili. «Era… era un ricordo. Di quello che mi è successo tanto tempo fa.»

«Ma… come hai fatto a…»

«Ho manipolato la Foschia. Per… per farti vedere quello che vedevo io.»

La mascella di Kiana sembrò sul punto di staccarsi e cadere a terra. «Tu… tu cosa?!»

«Non… non vi ho detto tutta la verità, prima. Non so soltanto usare la magia, so… so anche manipolare la Foschia.»

Camille si strinse nelle spalle. L’aveva capito poco dopo l’incidente, quello. Alcuni adulti l’avevano trovata ferita e con i vestiti strappati, ma lei si era messa a dire che non aveva bisogno di aiuto, che non dovevano chiamare la polizia, o l’ambulanza, e quelli avevano strizzato le palpebre confusi. Approfittando della loro distrazione era riuscita a fuggire di nuovo; loro non l’avevano inseguita. Si era resa conto che funzionava su tutte le persone che la trovavano, le bastava dire che non l’avevano mai vista e loro si dimenticavano di lei, come per… magia. 

In questo modo era sopravvissuta da sola per molto tempo, tra le stradine di Jackson, allontanando adulti e malintenzionati con semplici parole, fino a quando i lupi non l’avevano trovata e portata alla Casa del Lupo, dove aveva scoperto le sue radici.

«Ecco che hai fatto, quella volta con Kyle» mormorò Kiana. «E anche con Elias!»

La figlia di Trivia annuì, mesta. «Non… sono molto brava, però. È… proprio come con la magia, devo stare attenta quando lo faccio. Sulle persone comuni è semplice, loro non vedono attraverso la Foschia come noi, ma sui nostri compagni è molto più difficile instillare un falso ricordo. Se… calcassi troppo la mano, potrei convincerli per sempre di quello che dico loro. Potrei creare danni permanenti.»

«Ma… perché non me l’hai mai detto?»

«Saresti stata comunque mia amica se avessi saputo che potevo farlo? Magari… avresti pensato che ti ho fatto credere di essere mia amica per tutto il tempo, o che i momenti che abbiamo trascorso insieme fossero solo un falso ricordo creato da me.»

«Ah, sì, tipo tutte le fantastiche volte che abbiamo pulito le stalle?»

«Ehm…»

Kiana ridacchiò. Con quel piccolo gesto, Cam sentì la tensione stemperarsi e realizzò che la sua amica non era affatto arrabbiata, o spaventata. «Non potrei mai pensare questo di te, Cam. Sei stata la mia prima vera amica. Avresti potuto usare i tuoi poteri in così tante situazioni diverse per toglierti dai problemi, ma non l’hai mai fatto. So che non m’imbroglieresti mai.»

Camille riuscì a sorridere. «Grazie… grazie Kiana.»

«E di che?» Anche Kiana le sorrise e la figlia di Trivia si sentì incredibilmente meglio, non solo perché l’aveva accettata per quello che era, ma anche perché sembrava più tranquilla rispetto a prima.

«Anche se forse potresti usare i tuoi poteri per convincere Maxwell di essere un pollo, o qualcosa del genere…»

«Dai, non scherzare…»

«O magari un maiale… ah, no, lo è già.»

«Kiana!»

Quella sollevò le mani. «Ehi, è solo un suggerimento. Fanne ciò che vuoi.»

Camille le diede una spintarella, ridacchiando contro il proprio volere. Ogni volta che Kiana riusciva a farla ridere in quel modo si sentiva in colpa, ma non poteva farci nulla.

«Quei… quei bambini… cosa gli è successo?» domandò poi Kiana, quando il momento di quiete si esaurì.

Camille serrò le labbra. Sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata. Non riuscì a guardare Kiana negli occhi mentre rispondeva: «Non… non lo so. Non ho mai avuto il coraggio di controllare. Se… se scoprissi che qualcuno non ce l’ha fatta io… io…» non terminò la frase. I sensi di colpa tornarono a divorarla ancora una volta.

Quei bambini… erano stati crudeli con lei. Ma questo non giustificava ciò che aveva fatto. Lei voleva, sperava che stessero tutti bene, che fossero tutti cresciuti e che magari avessero anche trovato delle famiglie, lo sperava davvero. Ciò che aveva fatto… non le dava pace. Non le avrebbe mai dato pace.

«Mi dispiace, Cam. Non avrei mai pensato che per te fosse stato così difficile» sussurrò Kiana. «Perché… perché mi hai fatto vedere quelle cose?»

«Perché così siamo pari. Tu mi… mi hai detto quello che ti è successo, quindi io ho fatto lo stesso. Sarà… sarà il nostro segreto.»

Vide Kiana distogliere lo sguardo. All’improvviso, sembrò farsi molto pensierosa.

Camille sentì un groppo alla gola. «Hai… hai paura di me, adesso?»

La figlia di Venere si raddrizzò. La scrutò per quelli che le parvero attimi interminabili, tuttavia la sua espressione non tradì nessuna emozione. Infine, scosse lentamente la testa. «No, Cam. Con tutto quello che hai passato… non posso biasimarti per quello che hai fatto. Avrei fatto lo stesso. Forse pure peggio. E il fatto che tu abbia resistito per tutto questo tempo, di fronte a tutte le ingiustizie che hai subito, mi fa capire che posso davvero fidarmi di te. Sei… sei molto più forte di quanto pensassi.»

Quelle parole rassicurarono Camille, che riuscì a trovare di nuovo la forza di sorridere. «Anche tu sei forte, Kiana. E non devi preoccuparti di avere paura. Sarebbe strano non averla. Anch’io… ho paura, ma sapere che… che ti fidi di me, mi fa sentire meglio. Sappi che su di me potrai sempre contare. Posso… contare anch’io su di te?»

«Ci puoi scommettere» rispose subito Kiana.

Camille distese il suo sorriso e sollevò il mignolo. «Insieme?»

Kiana intrecciò il mignolo con il suo. «Fino alla fine. Salviamo Ecate e torniamo a casa!»

Il cuore di Camille si colmò di felicità. Con Daniel le era andata da schifo, ma aveva ancora Kiana, la sua migliore amica, e infondo non credeva di poter davvero chiedere di meglio. Se c’era qualcuno che non l’avrebbe mai delusa, o abbandonata, quella era proprio lei. Era fortunata ad averla conosciuta.

«Perché… perché non mi hai mai detto di te e Marianne?» chiese poi, quando si separarono.

Kiana reagì come se l’avesse appena punta con un ago rovente. Distolse lo sguardo da lei, imbarazzata. «Io… non lo so, Cam. Ti vedevo così presa dai ragazzi… avevo paura che se te l’avessi detto… ti avrei messa a disagio. Non volevo allontanarti.»

«Non mi sarei mai allontanata, Kiana» rispose Camille, incredula. «Perché avrei dovuto? Le tue scelte sono tue e tue soltanto.»

Kiana si mordicchiò un labbro. «Non… non si tratta solo di questo. La… la mia famiglia era molto radicale. E mio padre… lui voleva un erede maschio. Voleva qualcuno che potesse portare avanti l’attività familiare. E quando sono nata io… beh, puoi immaginare com’è andata. Mi trattavano come un rifiuto solo perché non ero quello che volevano loro. Mi hanno fatto pesare così tanto il non essere un maschio che ho iniziato a odiare tutto quello che mi rendeva una ragazza. E puoi immaginare cosa significhi tutto questo se sei pure una figlia di Venere.»  

Un brivido la percorse. «E i ragazzi nel campo… loro sono sempre stati dei viscidi con me. All’inizio… non ero molto sicura di cosa mi piacesse davvero, ma poi, quando ho conosciuto Mary, ho capito che lei... lei era… diversa. È sempre stata buona con me e mi ha sempre accettata così com’ero, senza farsi paranoie sul mio aspetto, sul mio comportamento, senza dirmi come dovevo o non dovevo essere. E poi… beh, ecco…» Kiana arrossì e cominciò a balbettare: «I-Insomma… mi sono accorta che lei… mi piaceva davvero, e poi ho scoperto che io piacevo a lei e allora…»

Camille soffocò una risatina. Non avrebbe mai creduto di vedere Kiana, la stessa ragazza che non si faceva problemi a dire parolacce e a sferrare cazzotti, così imbarazzata. «Sì, ho capito.»

Le strinse il braccio con forza, rivolgendole un cenno d’intesa. «Sta’ tranquilla. Non ti giudico per questo. E… e mi dispiace di averti assillata con quei discorsi sui ragazzi. Se avessi saputo che per te era un argomento così delicato non avrei mai…»

«Non preoccuparti. Era divertente guardarti perdere la testa per chiunque.» Kiana batté il pugno contro la sua spalla, con un sorrisetto. «Crocerossina.»

«No. Chiamami pure “caso disperato” se vuoi, ma non sarò più una crocerossina» mugugnò Camille. «Con Daniel ho chiuso. Se lui non vuole saperne niente di me, allora io non voglio più saperne di lui.»

«Nonostante aspettassi di sentire queste parole da molto tempo…» Kiana sospirò. «… non puoi reagire così, Cam. Lo so che vuoi ancora bene a Daniel, e che ancora speri che lui ricambi i tuoi sentimenti. Dovete… dovete parlare. Chiarirvi. Forse le cose non finiranno come vuoi tu, ma… non puoi metterci un taglio netto di punto in bianco in questo modo. Finirai solo con lo stare peggio.»

Camille corrugò la fronte. «Kiana? Ti senti bene?»

«Uh? Perché?»

«Stai… stai difendendo la tua nemesi?»

«C-Cosa?! Daniel non è la mia nemesi! E non lo sto “difendendo”!» Lo disse come se fosse la più grande eresia che qualcuno avrebbe mai potuto commettere. Poteva leggerglielo nella mente: “Difendere quello zombie? Io?! Mai!”

Dopo il divertimento, però, arrivò la realtà dei fatti: Kiana aveva ragione. Camille sapeva di non potersi davvero dimenticare di Daniel, non così all’improvviso. Anche se era stato crudele con lei doveva parlarci ancora, capire cosa gli fosse preso e perché. E poi, se le cose non fossero andate come sperava, avrebbe potuto mettersi il cuore in pace. Non sarebbe stato semplice, ma l’avrebbe superato. Aveva superato ben di peggio, alla fine.

Sorrise di nuovo a Kiana. «Non pensavo che… insomma, che mi avresti… dato consigli di questo tipo.»

«Sono pur sempre una figlia di Venere. Di alcune cose me ne intendo. Anzi, se posso darti un altro consiglio…» Un sorrisetto malizioso illuminò il viso di Kiana. «Dante sembrava molto… felice, quando l’hai abbracciato. Secondo me…»

«S-Smettila con questa storia!» sussultò Camille. «Dante non mi piace!»

«Però sei arrossita.»

La figlia di Trivia si coprì il viso e si voltò da un’altra parte. «D-Dacci un taglio!»

«Non capisco che male ci sia. A me sembra un bravo ragazzo. E sono io a dirtelo. Certo, è un po’ pazzo, ma non lo siamo tutti alla fine?»

Camille fece una smorfia. «Potresti tornare a essere un’anti Venere, per favore?»

«Magari più tardi, adesso dobbiamo parlare del tuo guardaroba. Dimmi, hai visto come ti sei conciata? Come puoi accostare quella gonna a quella giacca?»

«Okay, ora inizi a farmi paura.»

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo, poi cominciarono a ridere insieme. Camille non pensava di averne così bisogno, ma quella risata, quel piccolo momento trascorso assieme a un’amica, la fece sentire molto meglio, specie dopo quello che si erano appena raccontate. Kiana aveva messo a nudo la sua coscienza e lei aveva fatto lo stesso. Adesso erano unite anche nel dolore, insieme si sarebbero fatte forza, e insieme avrebbero trovato Ecate e salvato il mondo.

La classica lista delle faccende domestiche di un semidio.

Kiana si stravaccò sul sacco a pelo, con un sospiro esausto. «Sono distrutta. Penso che mi metterò a dormire. Svegliatemi quando…»

«Ragazze!»

Entrambe sobbalzarono. Quella era la voce di Daniel, e sembrava preoccupato.

«Oppure no, non svegliatemi» borbottò Kiana, afferrando la lancia che era rimasta nella tenda assieme a loro. Anche Camille afferrò la daga e insieme si precipitarono fuori.

Trovarono Daniel in piedi accanto al fuoco, con Penelope rannicchiata dietro di lui che gemeva spaventata: tutt’attorno al loro accampamento, c’erano uomini con i volti di un candore innaturale, con le ossa che baluginavano sotto i lembi di pelle scoperta dalle uniformi strappate e sgualcite.

«Scheletri!» gridò inorridita.

«Ah, magnifico…» borbottò Kiana.

Camille si ricordò quello che aveva raccontato Daniel e deglutì. «Ma… ma se questi scheletri sono qui allora…»

Una massa di oscurità si generò dal suolo all’improvviso, torreggiando su tutti loro. Come richiamato da lei, Elias fuoriuscì da essa e li scrutò con i suoi occhi scintillanti.

«Elias…» sibilò Daniel. Cam lo vide stringere con forza i pugni, mentre i suoi palmi cominciavano a mandare pennacchi di fumo nero come la notte. Le ombre generate dalla luce delle fiamme e della luna si animarono in risposta al ragazzo e, proprio come nella prigione, Camille le vide cominciare ad affluire verso di lui, riversandosi nelle sue mani.

Anche Kiana se ne accorse, perché sussultò: «C-Che sta facendo?»

Prima che potesse risponderle, Elias sguainò un gladio di Ferro dello Stige lungo almeno un metro. Fece un cenno agli scheletri e quelli si avvicinarono a loro, brandendo coltelli da caccia, spade e baionette. Alcuni di loro avevano uniformi da soldato, forse della guerra di secessione, altri invece parevano dei cowboy usciti da un film di Sergio Leone, con stivali, speroni, cappelli e cinturoni.

Le due ragazze sollevarono le armi, mentre Daniel si irrigidiva.

«Elias, a-ascoltaci…» mormorò Camille, schiena contro schiena con Kiana, la daga sollevata tra le mani tremanti e puntata verso gli scheletri. «So che… che credete che siamo dei traditori, ma…»

«Perché lo stai facendo, Elias?» sbottò Kiana, con voce carica di rabbia. «Ashley sta torturando Dante e Marianne! Ha fatto iniziare una caccia all’uomo senza eguali solo per catturare qualcuno che sta cercando di salvarvi! Si può sapere perché la stai assecondando?!»

«Perché è il suo cagnolino» ringhiò Daniel. «Lui obbedisce agli ordini della padroncina senza fare storie. E se fa il bravo, lei lo premia. Vero, Fido?»

Un profondo grugnito provenne dal figlio di Plutone, che però rimase in silenzio, imperterrito.

«Elias…» ci riprovò Camille. «… non siamo vostri nemici. Devi credermi. Sappiamo dove si trova Ecate. Posso sentirla, è qui da qualche parte, oltre questo canyon! Ti prego, lasciaci passare. Puoi… puoi venire con noi, se non ti fidi. Potremmo… potremmo perfino unire le forze! Per favore, Elias, non dobbiamo combatterci tra di noi!»

Gli scheletri continuarono ad avvicinarsi. Camille si ritrovò a sussurrare disperata: «Elias, ti prego, noi…»

La voce di Daniel, profonda e cavernosa, la costrinse ad interrompersi: «Ora basta. JACK

Il suo grido si smarrì lungo il canyon, rimbombando tra le pareti, affievolendosi nella notte. Ci fu un attimo di silenzio, in cui anche gli scheletri rimasero fermi. Poi, in lontananza, risuonò un boato: «BAU!»

Prima che chiunque potesse fare qualsiasi cosa, dall’oscurità era apparso il segugio infernale con le fauci spalancate, impossibile da capire se fosse la sua espressione giocosa oppure quella aggressiva. Forse era un misto di entrambe. Balzò in mezzo agli scheletri e cominciò ad attaccarli: staccò la testa di uno con un morso e tirò una zampata ad un altro, scaraventandolo via.

Subito dopo fu il caos: i non morti soffiarono adirati e si fiondarono all’attacco, alcuni su di lui, altri sulle ragazze, altri due invece puntarono Daniel e Penelope.

Camille allontanò uno di loro con un colpo di daga, mentre da qualche parte imprecisata provenivano le grida spaventate di Penelope e le urla furibonde di Daniel. «Levatevi di mezzo!»

Nella periferia del suo campo visivo, Camille scorse alcuni dei proiettili di luce nera di Daniel, che sibilavano nell’aria producendo suoni simili a frustate. Tre scheletri si piazzarono di fronte a lei, costringendola a distogliere l’attenzione da quello che stava succedendo altrove.

Rotolò per schivare un affondo di baionetta e azzoppò uno di loro, scattò verso un altro e lo decapitò con un colpo secco, infine mozzò il braccio dell’ultimo, rendendolo inoffensivo, ma dopo quei tre ne apparvero altri. Alle sue spalle provenivano i versi furiosi di Kiana, anche lei impegnata nel combattimento.

Gli scheletri attaccarono da ogni lato. Camille realizzò ben presto che non importava quanti ne mutilasse, o abbattesse: quelli continuavano a combattere. Se non avevano più un braccio usavano l’altro, se non li avevano entrambi cercavano di mordere, se erano senza testa andavano a riattaccarsela, per poi ricominciare imperterriti.

Un colpo di baionetta la ferì alla spalla, facendola gridare. Indietreggiò con una mano premuta sulla ferita, mentre gli scheletri la circondavano. Si sentì impotente. Non riusciva a credere che le cose potessero finire così, sconfitta, o peggio, per mano di quegli scheletri… anzi, per mano di Elias. 

«Cam! Resisti!»

Tre scheletri finirono catapultati a terra, mentre Kiana si faceva largo urlando furiosa pur di raggiungerla. Dimenò la lancia con incredibile maestria, usando l’asta per stordire i nemici e poi sminuzzarli con la lama.

«Tornatevene sotto terra!» sbraitò, sferrando un calcio nello stomaco a uno di loro e scaraventandolo contro gli altri tipo palla da bowling.

Gli scheletri che avevano circondato Cam si voltarono verso la nuova minaccia e nel giro di poco tempo fu Kiana ad essere circondata. Stava combattendo come una furia, sola contro tutti, ma erano troppi anche per lei.

Uno di loro arrivò alle sue spalle e sollevò un coltello. Non appena Camille vide la lama scintillare nella notte, puntata alla schiena della sua amica, inorridì: «FERMI!»

Il suo urlo risuonò tra le colline, così forte che la terra sembrò tremare. Le fiamme sfarfallarono, come se anche loro avessero reagito alla sua voce, e tutti gli scheletri si arrestarono all’improvviso, all’unisono. Lo zombie cowboy che stava per pugnalare Kiana si fermò con il coltello a un soffio dalla sua schiena. La figlia di Venere se ne rese conto e gridò per lo spavento. Lo scacciò via con un’altra pedata allo stomaco e quello stramazzò a terra con un sibilo infastidito, tuttavia quando si rimise in piedi non attaccò; rimase fermo, proprio come tutti gli altri.

Venti volti spettrali, con gli occhi vacui e la pelle semitrasparente non mossero più un solo muscolo – o osso – e se ne restarono a guardare Camille, che solo in quel momento realizzò di aver puntato la mano verso di loro.

«C-Cam?» Kiana deglutì. «Che… che sta succedendo?»

«N-Non lo so…» bisbigliò la figlia di Trivia, tanto spaventata quanto sorpresa. Aveva gridato loro di fermarsi… e si erano fermati. Non aveva idea di come fosse possibile, perché avrebbero dovuto ascoltarla? Lei non era mica…

«Oh miei dei.» Camille spalancò gli occhi. «T-Trivia… Trivia è anche la dea dei morti…»

«La “Regina dei fantasmi”» bisbigliò Kiana, sconvolta tanto quanto lei. «A-Aspetta un momento! Quindi adesso puoi anche controllare i morti?»

«G-Giuro che non lo sapevo!»

«Ma quanti poteri hai?! Danne uno anche a me!»

«Te li darei anche tutti se potessi…»

Kiana la affiancò, lo sguardo fisso su quel piccolo esercito di non morti obbedienti. «Ehm… e adesso che si fa?»

«Non lo so» mormorò Camille, prima di schiarirsi la gola. «Andate… andate via, per favore. Tornate… ehm… sotto terra, grazie.»

Gli scheletri si guardarono tra di loro. Sembravano confusi tanto quanto Camille, finché uno di loro non alzò le spalle e cominciò a sprofondare nel suolo come se si stesse immergendo in un lago. Nel giro di poco tempo, tutti quanti lo imitarono.

«Okay. Questo è davvero forte. E inquietante, anche» commentò Kiana.

Non appena l’ultimo scheletro si fu ritirato, Cam riuscì a respirare di nuovo correttamente. Prima che le due ragazze potessero cantare vittoria, però, il rumore di un’altra colluttazione le fece voltare entrambe. Accanto al fuoco videro Jack che faceva la guardia a Penelope, ringhiando verso il punto in cui alcuni scheletri dovevano essersi ritirati nel suolo. Il segugio pareva un po’ arruffato, ma stava bene, la centaura invece sembrava solo spaventata. Poco più distante, invece…

Camille spalancò gli occhi. Daniel ed Elias stavano combattendo furiosamente, il primo circondato dalle tenebre, il secondo con il gladio di Ferro dello Stige. E le cose si stavano mettendo davvero male.

Per Elias.

«Che succede, Elias?!» rantolò Daniel proprio in quel momento, avventandosi sul pretore. «Ti senti perso senza la tua padroncina?!»

L’oscurità sulle sue braccia si plasmò assumendo la forma di due lame affilatissime, perfino più lunghe dello spadone di Elias. Il figlio di Plutone indietreggiò, ferito e sanguinante in più punti, incalzato dai brutali attacchi di Daniel. Provò a difendersi con il gladio, era uno spadaccino di gran lunga migliore di Daniel, ma la sua tecnica e la sua bravura non poterono nulla contro la forza bruta del suo avversario, che lo disarmò con un colpo secco sul piatto della spada.

L’oscurità su una delle braccia di Daniel assunse una forma tondeggiante come quella di una mazza, con la quale colpì con forza Elias allo stomaco. Il pretore emise un grido con la sua voce baritonale e venne scaraventato a terra, sulla schiena. Provò a rialzarsi sui gomiti, mentre Daniel marciava verso di lui.

«Ci hai sempre guardati tutti dall’alto» gli disse. «Tu e Ashley ci avete sempre trattati come insetti. Adesso, però, lei non è qui per proteggerti. Sei da solo, Fido.»

Premette un piede sul petto di Elias, per tenerlo immobile, e sollevò un braccio, dove la lama di oscurità tornò a plasmarsi. Il figlio di Plutone non provò nemmeno a opporsi. Daniel digrignò i denti. «Adesso, tocca a me guardarti dall’alto.»

Camille non aveva mai visto Daniel così arrabbiato. Anzi, l’aveva già visto invece. La sua espressione, la sua voce, la sua irruenza, erano le stesse di quando aveva attaccato quelle naiadi. Lo sguardo di Cam cadde sulla lama di Daniel e un brivido le percorse la schiena. Un istante dopo, stava correndo verso di lui. «Non farlo!»

Daniel trasalì come colpito da una scarica elettrica. Si voltò verso di lei e la ragazza avvertì il desiderio impellente di scappare il più lontano possibile da lui. Il suo sguardo, l’oscurità che gli vorticava attorno, la sua espressione furibonda, ogni cosa di lui era terrificante. Non sembrava nemmeno più in sé. Quello non era Daniel. Non il Daniel che credeva di aver sempre conosciuto.

Smise di correre e si fermò a una decina di metri da loro. Alzò le mani e incrociò il suo sguardo, con le gambe che tremavano. «F-Fermo, Daniel. Non ucciderlo.»

Daniel assottigliò le labbra e allontanò il piede da Elias per fronteggiarla. L’oscurità della notte affluiva nel suo corpo, diramandosi come in scie e scie di rovi, le lame erano ancora presenti al posto delle braccia e aveva pure una sorta di armatura di tenebre che continuava a ribollire e ad agitarsi in protezione del torace. Il viso era scoperto, pallido sotto la luce della luna, l’espressione durissima e le iridi degli occhi nere come pozze di petrolio.

«Vuoi che lo lasci in vita?» le domandò. «Ci ha attaccati lui per primo. È per colpa sua e di quel suo stupido compare se siamo stati divisi la prima volta. Vuole impedirci di trovare Ecate. Non è nostro amico.»

«N-Non puoi dire sul serio, Daniel!» disse Camille. «È un semidio proprio come noi! Siamo tutti dalla stessa parte!»

«Davvero? Non mi pare proprio che lui e Ashley la pensino come te.»

«D-Daniel, ascolta. Se salviamo mia madre, Ashley sarà costretta a riammetterci nel campo. Ma se uccidi Elias… diventerai davvero un nemico. E accuseranno anche noi di complicità. Ti prego… ti scongiuro… non lo fare.»

Il ragazzo la esaminò ancora per diversi istanti, stoico, impossibile capire che cosa stesse pensando davvero.

Kiana apparve accanto a Camille all’improvviso, le nocche bianche da quanto forte stava stringendo la lancia. Fece un passo avanti e si frappose tra loro due, come per proteggerla. Camille si rese conto che era la stessa cosa che aveva fatto solo pochi giorni prima, quando l’aveva difesa da Maxwell, nelle stalle.

Sembrava passato così tanto tempo… come avevano fatto a ridursi così? Lei, Kiana e Daniel non sembravano nemmeno più le stesse persone. Tutto era cambiato così velocemente che non le sembrava vero. Lei aveva perso il controllo, aveva scoperto di poter controllare i morti, Daniel aveva imparato a controllare l’oscurità e perfino Kiana sembrava diversa, aveva ammesso le sue paure e la cosa, in qualche modo, la faceva sembrare perfino più coraggiosa. Da dietro di lei, Camille riuscì a scorgere il suo sguardo determinato. Stava osservando Daniel senza alcuna paura, senza dire o fare nulla. Era quasi come se gli stesse dicendo qualcosa semplicemente con quegli occhi, quell’espressione. E qualunque cosa fosse, Daniel sembrò capirla, perché rilassò le spalle e l’oscurità cominciò a dissiparsi attorno a lui.

Non appena Camille pensò che fosse tutto a posto, però, Daniel si mosse di scatto. La ragazza gridò spaventata, mentre lui sferrava un calcio in faccia a Elias, che nel frattempo aveva di nuovo provato a rialzarsi sui gomiti. Il pretore stramazzò a terra con un grugnito e non si mosse più.

Daniel si voltò di nuovo verso di loro ed entrambe le ragazze sussultarono. Kiana sollevò la lancia, i denti stretti; Camille si sentiva il cuore in gola, mentre una goccia di sudore freddo le scivolava lungo la fronte. Dopo un altro breve istante, Daniel diede loro le spalle e tornò a sedersi accanto al fuoco senza dire nulla. Jack abbaiò felice e andò a stendersi accanto a lui, scodinzolando così forte che i sassolini sobbalzavano ogni volta che la coda sbatteva a terra.

Un lungo sospiro scappò da Kiana e Camille intuì che Daniel l’aveva spaventata tanto quanto aveva terrorizzato lei.

«Stupido zombie…» mugugnò, prima di voltarsi verso di lei e accennare con la testa a Elias. «Forza, occupiamoci di lui.»

Camille si riprese dallo stupore, o almeno, ci provò, e annuì.

Kiana trovò una corda da arrampicata nei borsoni che Mary aveva dato loro e la esaminò con attenzione. «Mary… ti piacciono le corde, eh?» Un sorrisetto nacque sul suo volto, per poi svanire alla rapidità della luce quando si accorse che Camille la stava guardando. Diventò più rossa di un pomodoro. «E-Ehm, c-cioè… e-ecco, possiamo usare questa.»

La figlia di Trivia decise di dimenticare quello che aveva visto, e sentito. 

Non era mai stata così vicina a Elias prima di quel momento. Non l’aveva nemmeno mai sfiorato. Era… strano, per non dire perfino inquietante, vederlo così, privo di sensi, esanime. Aveva sempre emanato un’aura dura e perfino di invincibilità, con quel suo fisico possente, il suo cipiglio e il portamento rigido e autoritario. In quel momento invece era fragile e vulnerabile.

Quando finirono di legarlo, arrischiò un’occhiata verso Daniel, che stava attizzando le fiamme, e deglutì. Aveva annientato Elias, il pretore, uno dei loro leader in un niente. In effetti, perfino Lamia era stata sconfitta subito da lui. Era… era sempre stato così forte?

Che altro poteva fare, veramente?

Il fuoco crepitava nel silenzio della notte. Camille alzò lo sguardo verso quel cielo buio, le cui stelle ricordavano parecchio l’abito della donna di oscurità, e deglutì. Avevano solo più due giorni per trovare Ecate.








Salve gente. Era da un po' che non lasciavo una nota al fondo del capitolo. In realtà non ho molto da dire, voglio solo cercare di fare il punto della situazione. Questo capitolo forse ha deluso un po' di aspettative, visto il finale dello scorso, magari vi aspettavate botte da orbi, invece ho voluto dare un po' di spazio a Camille e il suo passato, e mentre che c'ero, chiudere alcune parentesi che sono state aperte in scorsi capitoli. Spero che l'introduzione del potere di Camille vi sia piaciuta, così come il suo dialogo con Kiana, mi rendo conto che è stato lungo ma c'erano tante cose da dire. Spero anche che lo scontro vi sia piaciuto, per quanto breve, sarò sincero, dopo la Spada del Paradiso e L'Elisir di lunga vita, la mia voglia di scrivere combattimenti è calata drasticamente ahaha (ma non c'è niente da ridere, sigh...), cercherò di rimediare in futuro, tanto questo è lungi dall'essere l'ultimo scontro che vedremo. Non odiatemi, pls. 

E scusate per la frase trash di Kiana alla fine, pure io sto odiando me stesso per averla messa.

Grazie per aver letto, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e alla prossima!

   
 
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