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Autore: Mercurionos    18/04/2022    1 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Capitolo 27 – Sfida alla Disforia, Parte 4 – Anno 2, 37 Termidoro / 1 Fruttidoro
 
“Però…”
Mirk si distrasse dal proprio furore. La voce flebile e tranquilla di Namole la riportò al presente: “quando sei con loro stai bene.”
Lo guardarono stupiti, tutti e tre. Namole si spiegò: “Un po’ mi dispiaceva, l’anno scorso, quando andavi a mangiare con Vegeta, Pump e Radish. Tagoma e io spesso restavamo da soli. Però poi tornavi sempre abbastanza contenta, e ci siamo abituati. Anche con noi stai bene dopo aver passato un po’ di tempo con loro tre. Voglio dire… stiamo bene insieme, come squadra, quando sei di buon umore. E ci fa piacere, anche se, magari, non lo diamo sempre a vedere.”
 
Pump e Radish si sorrisero. Era vero: dopotutto, in Mirk avevano tutti e tre trovato una buona compagnia. Se Pump aveva finalmente trovato un’amica, cosa che per quasi vent’anni le era stata negata, prima su Vegeta, poi su Luud, Radish aveva guadagnato un’avversaria, una compagna decisamente più comprensiva e stimolante dell’altezzoso Vegeta. E Vegeta… mah, è un maschietto pure lui, avrà trovato qualcosa in Mirk oltre al suo disprezzo generale per gli ambienti imperiali.
 
Radish si alzò, come per fare un grande discorso: “Neanche a Vegeta piace questa situazione, è chiaro. Ma ci convive più o meno da quando è nato, no? Di sicuro gli verrà in mente qualcosa, o prima o poi gli passerà, ha sempre fatto così. Noi cerchiamo di non assillarlo, e quando ci vediamo al club facciamo in modo di riempirlo di botte come si deve, così perlomeno si distrae. Dopotutto, la situazione con Freezer non può essere così grave, altrimenti…”
“E con Gladyolo cosa facciamo?” chiese Mirk.
Radish la guardò bieco: “Con Gladyolo non facciamo nulla, ovviamente. Di sicuro è invischiato anche lui in qualche modo in questa faccenda, ma è soltanto un ragazzino, non può combinare molto se non riferire qualcosina a Freezer, e in ogni caso mi fido ancora abbastanza di lui. Come minimo potrebbe pararci il culo se tutto andasse male.”
“O mettere K.O. Vegeta in caso si trasformi nel super ebete della leggenda.” Aggiunse Pump.
 
“Cosa diamine ci fate nella mia stanza?”
Quando Vegeta, ancora un po’ bagnato per la pioggia incessante, spalancò la sibilante porta del dormitorio, si trovò davanti a un manipolo di fastidiosissimi ragazzini intenti a ridere di gusto. Fortunatamente non immaginava che stessero ridendo di lui, perché in tal caso qualcuno avrebbe dovuto rimuovere qualche litro di sangue dalle pareti dello stanzino. Alla fine di una giornata magnificamente tranquilla e priva di pensieri oscuri come quella, Vegeta si riempì come ben potete immaginare di una gioia immensa: avrebbe potuto uccidere qualcuno soltanto con lo sguardo. Il gorgonico saiyan avanzò nello stanzino con meccanico incedere: Pump e Radish non vennero degnati di uno sguardo, oramai facevano parte dello sfondo delle sue giornate, erano ineliminabili; Mirk, invece, non fu risparmiata: “Andatevene nel vostro dormitorio.” Nessun approfondimento, nessuna minaccia. Un ordine, dall’alto, da oltre il principe. Nei suoi occhi nessun bagliore, solo il vuoto.
 
Mirk scattò per andarsene, quasi fece un passo, ma le sue gambe non risposero, tese come blocchi di pietra. Il suo animo voleva fare altro: diresse il fuoco dei propri occhi in quelli di Vegeta, e rabbiose scintille schizzarono tra di loro; le sue labbra si aprirono, lentamente, pronte a vomitare litri di veleno contro al ragazzo con voce ricolma d’ira; digrignò i denti e preparò l’insulto più calzante per il momento, qualche vaga minaccia e un bel, sottile, pungente rimando al trattamento dittatoriale che l’imperatore riservava a tutti loro, e a cui Vegeta non voleva in alcun modo porre rimedio, vista la sua immensa, irrefrenabile fifa, tanto calzante per un vigliacco della sua statura, morale o meno.
 
Ma, fortunatamente intervenne Radish per prevenire il disastro: “Allora, quanti ne hai fatti fuori, oggi?”
Vegeta lo fulminò, non apprezzando il tentativo di tattica distrazione, ma dal tono della sua voce non riuscì a non trasparire una certa vanesia boria: “Sette. Non che sia rilevante, ovviamente.”
“Ma bravo.” Fu il commento di Pump all’allegro sterminio di forme di vita senzienti.
“Come se fosse difficile, per me.” Si vantò il principe, ma per qualche motivo cominciò a massaggiarsi un polso. Quando Radish lo notò, Vegeta smise all’istante, e allontanò lo sguardo dal compagno.
 
Mirk, ignorata e dimenticata, superò il principino con uno scatto. Tremava come un vulcano poco prima dell’eruzione. Oppure come una foglia, non ne fu tanto certa. Non appena ebbe oltrepassato la soglia della stanza, svanì nel corridoio a folle velocità, e non si fece più vedere. Radish sospirò: la minaccia era cessata.
Vegeta non si voltò, né fiatò, non seguì la ragazza con lo sguardo perché sapeva quanto poco dovesse interessargli. Invece, intimidatorio, si piazzò davanti a Namole. C’era nell’aria un debole rumore, ma no, non era una discoteca in lontananza, bensì il petto tamburellante del ragazzo dai capelli giallognoli, pieno di brividi e terrore. Si era marmorizzato sul posto, una sudaticcia e tremolante statuetta di sale.
“Levati dalla mia sedia.” Disse Vegeta al ragazzo, gelido.
Poco mancò che Namole morisse su quello sgabello. Si alzò di scatto, e corse fuori dalla porta all’inseguimento di Mirk, svanendo anch’egli nel corridoio poco illuminato.
 
I giorni che seguirono non furono piacevoli per nessuno, al N.I.S.B.A., sia per i conoscenti di Vegeta, che per gli altri pochi fortunati. La pioggia nata nel fine settimana e pian piano cresciuta in un minaccioso acquazzone non pensò ad altro che a tuffarsi dai cieli per giorni interi. Le albe che tanto splendenti infiammavano le verdi pianure attorno alla Capitale nascosero la propria luce dietro alle nubi sempre più tetre e veloci, che da mattina a sera bombardavano il terreno di pioggia e saette, in una frenetica danza di tempesta. La breve passeggiata che portava dalla torre dei dormitori ai bastioni dell’accademia, alle aule e ai club diventò più che un fastidio, in particolare per tutti coloro che non volevano rinunciare alle attività all’aperto. Ma se da una parte c’erano coloro che volevano a tutti i costi disputare qualche partita di Palla-Base-Goal, dall’altra c’erano i pochi matti che si divertivano a misurarsi sotto la pioggia durante le ore del club di combattimento.
 
Gipeto decise di sospendere le attività del club per tre giorni. Quando lo annunciò alla 2.A.0, Vegeta si mise a ridacchiare sommessamente, poi sempre più forte; dal fondo della classe salirono risate e scherni, e Vegeta le usò per alimentare ancor di più la sua risata malsana, fino a quando non fece concorrenza ai tuoni che rullavano all’esterno della struttura. In un altro momento, in un altro contesto, forse soltanto un mese prima, Radish avrebbe partecipato alla collettiva ilarità, ma il ghigno che in quell’occasione stava squarciando torcendo l’espressione apatica di Vegeta lo spaventò. I suoi occhi scivolarono verso Pump, e sì, non era l’unico ad esser rimasto colpito dai singhiozzi squilibrati del principe. Gipeto dovette gridare per riportare l’ordine nell’aula, tra schiamazzi e tuoni, ma la rabbia calma del rapace, evento di per sé più che raro, calmò in fretta i bollenti spiriti.
 
In quei giorni non pranzarono neppure assieme a Gladyolo, né a Dylia e Bueno. Così, i tre saiyan restarono da soli. Qualche volta si univano a loro Namole e Mirk, anche se non parlavano se non direttamente interpellati, ma anche se avessero voluto intrattenere una conversazione, Vegeta fuggiva dalla mensa prima di tutti gli altri, via attraverso il corridoio, e fuori, sotto la pioggia. Sui campi dei club c’era sempre qualcuno nel piovoso pomeriggio, e su quello della sezione A c’era sempre Kiwi, come al solito accompagnato da un manipolo di soldatelli grossi quanto rozzi provenienti dalle altre classi.
 
Ma nonostante la pioggia, il buio e l’ululato incessante del vento, bastava un singolo lampo, una singola folgore non troppo lontana per fermare gli impeti di quei pochi scavezzacollo: l’ombra di Vegeta era una sagoma ben nota ai più, e anche molto poco difficile da confondere con altro. La lunga striscia di nero che sgorgava dai suoi piedi un istante prima del rombo del tuono, la sottile, dritta ombra, con quelle sue caratteristiche punte in cima, quella forma si cicatrizzò presto negli occhi dei fedelissimi del club di combattimento. A dire la verità, bisogna dire che quei pochi forse affrontavano il freddo e la tempesta anche per poter vedere il principe dei saiyan, forse anche per il folle proposito di volersi misurare con lui.
E Vegeta era estatico di poter spaccare il muso a un paio di ignari e arroganti cani dell’esercito. Si convinse di esserne felice.
 
Senza preavviso, senza segnali né arbitri, alcuni gli si paravano davanti con un balzo.
Sfidare un saiyan è un gesto eroico, negli occhi dei combattenti cresciuti sotto la dottrina dell’Impero. Ma sfidare Vegeta, e ancor di più il suo sguardo di un’oscurità abbacinante sotto la pioggia, circondati di tempesta, non è altro che segno di stupidità e avventatezza, e il principe godeva di ogni secondo di tale ignoranza.
Non si tratteneva, poiché sapeva che ognuno in quel gruppetto di pazzi era sufficientemente robusto da resistere ad almeno uno dei suoi pugni fulminei. O, perlomeno, di questo essi erano convinti. Dopotutto, esistevano le medical machine. Chi non sveniva sul colpo strisciava per metri nel fango, e poco dopo avrebbe potuto risollevarsi ammaccato e sanguinante. Ma l’esperienza era un vizio affascinante, il dolore ipnotico e irresistibile: chi riusciva a rialzarsi si propelleva con la propria rabbia e, perché no, anche con un buon carico di pregiudizi sulla razza saiyan. I commenti non esattamente educati sul lignaggio di Vegeta non fecero che alimentare la pazzia del principe, e, ogni volta, egli rincarava la dose.
 
Grazie per aver letto, e Buona Santa Pasqua!
Non perdetevi assolutamente l’ultima parte di “Sfida alla Disforia”!
   
 
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