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Autore: Valentyna90    24/04/2022    2 recensioni
Alya Merope Black è la sorella gemella di Sirius. Ha vissuto con lui e con il fratellino Regulus gli anni dell'infanzia a Grimmauld Place, sotto la severa educazione impartita da Orion e Walburga Black, i loro inflessibili e orgogliosi genitori.
Sotto l'influenza dei rigidi dettami della sua famiglia, Alya Merope cresce come degna erede della Casata dei Black, fiera e vanitosa delle sue origini; tutto il contrario di suo fratello gemello Sirius, che le rigetta con disprezzo. Insieme, i due gemelli entreranno a Hogwarts, ma vivranno vite separate. Sirius sarà un Grifondoro, Alya Merope una Serpeverde. Un perenne velo di sdegno e indifferenza li separa.
Ma nella vita della giovane Black c'è dell'altro. Un potere arcano e sconosciuto, che nemmeno lei sa comprendere. La sua mente funziona diversamente rispetto a quella dei suoi coetanei. Soprattutto nei sogni. Qui, in questa parte sospesa dell'esistenza, dove tempo e spazio, realtà e finzione si confondono, la coscienza di Alya Merope viaggia, apprende, conosce. Ma sempre inconsapevole.
Quale sarà il destino della giovane maga?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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GIOIE INATTESE

 

E, di colpo, questa gioia di cui non posso dire nulla se non che è insensata. Ma bisogna accettarla come insensata, ammettere che ogni felicità è insensata, ma viverla intensamente.
- Eugène Ionesco


 

Luglio 1979. Wanstead, Londra.

Un silenzio sonnacchioso premeva sulle ordinate villette a schiera di un placido quartiere, nella periferia di Londra.
I tetti appuntiti svettavano tutti uguali verso il cielo bruno, trapunto di stelle.

Protetta dal manto nero della notte, una volpe temeraria si aggirava tra i confini di quello scampolo tranquillo di città. Furtiva, si intrufolò nel giardino di un'abitazione, affondò il muso sottile e affilato nell'erba, annusando avida il terreno, alla ricerca di qualche scarto di cibo umano da poter smangiucchiare. Ormai ampiamente abituata all'innocente serenità di cui godeva il quartiere, l'animale non parve preoccuparsi del flebile vociare che proveniva dall'interno della villa.

In una piccola, ma confortevole cucina, quattro amici gravitavano seduti attorno a un tavolo in legno, di semplice fattura. Al centro, troneggiava una bottiglia di whisky incendiario.

«Silente ci ha proprio strapazzati...» borbottò James esausto, afflosciato su una delle sedie attorno al tavolo. Con aria distratta, contemplava le calde sfumature ambrate del liquore, all'interno del bicchiere che teneva in mano.

«Per un momento, mi è sembrato di essere tornato a Hogwarts, nell'ufficio della McGonagall, a sorbirmi una delle sue interminabili ramanzine!» sbuffò Sirius ironicamente, aggregandosi alle lamentele dell'amico.

«Be', dovevate prevedere che far librare in aria un'automobile e scagliarla in cielo davanti agli occhi di due poliziotti babbani avrebbe causato qualche spiacevole conseguenza.» osservò Remus, con pacato sarcasmo e un sorrisetto ironico stampato in faccia.

James e Sirius sospirarono insieme, alzando gli occhi al cielo con insofferenza.

Lily, seduta al fianco di Remus - e ben lontana da James - sembrava non prestare particolare attenzione ai discorsi dei tre Malandrini. Al contrario, si mostrava molto più interessata alla danza meccanica e composta delle stoviglie le quali, in completa autonomia, si tuffavano a turno nel miscuglio di acqua e detersivo dentro al lavello. Attorno alle pile di piatti e pentole, orbitava una spugna da cucina colorata, dedita a strofinare energicamente le superfici in ceramica da pulire. Un fresco aroma agrumato si propagò presto nella stanza.

Eppure, nonostante l'allegro spettacolino imbastito dal pentolame, Lily ostentava un'espressione seria, granitica, come se qualcosa l'avesse infastidita.

Nel frattempo, James e Sirius continuavano a intrattenere Remus con i racconti riguardo la loro recente avventura.

«Il fatto è che quei due piedipiatti ci hanno braccato proprio nel momento meno opportuno... Sai, con tre Mangiamorte alle calcagna...» stava spiegando James allegro.

«Io li definirei più dei semplici tirapiedi. Scagnozzi da due scellini, di poco conto. Un vero Mangiamorte non ci avrebbe mai inseguito in groppa ad una vecchia scopa sbilenca.» lo corresse Sirius. «Ad ogni modo, proprio mentre stavamo facendo due chiacchiere con quei due simpatici agenti, ecco sbucare in mezzo al cielo i tre ometti. Non potevamo mica restarcene lì impalati, senza reagire. E la vettura dei poliziotti si trovava proprio nella giusta traiettoria...»

«E come mai la polizia babbana vi ha fermato?» chiese Remus, sospettoso.

«Eccesso di velocità.» rispose James, spiccio.

«A sentir loro, la mia moto correva troppo veloce.» aggiunse Sirius, sorridendo con orgoglio.

«E non indossavamo il caspo

«Casco, Ramoso... si chiama casco.» sottolineò l'amico, sferzando l'aria con l'indice.

James e Sirius rimasero in silenzio un istante, scambiandosi un'eloquente occhiata di intesa. Dopodiché, entrambi esplosero in una fragorosa risata, mentre condividevano il ricordo, a detta loro, esilarante delle facce sbigottite dei due poliziotti babbani.

Remus, seppur divertito, era sul punto di commentare quanto sconsiderato fosse stato il loro comportamento, ma inaspettatamente Lily, che era stata zitta fino a quel momento, lo anticipò. Sul suo volto si era dipinta un'espressione severa, che non presagiva nulla di buono.

«Davvero trovi tutto questo divertente?» sibilò, con gli occhi verdi che dardeggiavano furibondi su James.

La risata dei due Malandrini si spense all'istante, dissolvendosi in un pesante silenzio. L'atmosfera nella stanza mutò con la stessa rapidità di un fulmine a ciel sereno; da distesa e spensierata, divenne tesa, gravida di una tensione densa che poteva essere tagliata con un coltello.

Sirius, che stava per bere un sorso di whisky incendiario, si bloccò col bicchiere a mezz'aria, in allerta. Remus assunse un'aria colpevole, rivolgendo a Lily uno sguardo desolato. James, dal canto suo, ostentava un atteggiamento disinvolto, come se il commento della ragazza non lo avesse toccato minimante, benché fosse rivolto direttamente a lui.

«Sì, Lily. Ed è proprio per questo motivo che sto ridendo.» replicò, allargando le labbra in un irritante ghigno di sfida. Dagli occhi color nocciola, tuttavia, era svanito ogni desiderio di scherzare.

«Davvero maturo da parte tua!» giudicò Lily altera.

«Sai, Lily, ne ho abbastanza delle tue prediche! Non so se l'hai notato, ma non siamo a Hogwarts e tu non sei più un Prefetto. Non sta a te giudicare ciò che faccio!» sbottò James, incapace di mantenere un tono calmo.

Remus, visibilmente a disagio, spostava ritmicamente lo sguardo da James a Lily e viceversa, come se stesse osservando una partita a ping-pong.
Gli occhi grigi di Sirius, invece, erano puntati fissi sull'amico scarmigliato.

«Forse sei tu quello che non ha capito che la scuola è terminata da un pezzo. Credevo avessi superato la fase del bulletto arrogante!» disse Lily, gelida.

«E io che ti fosse passata la voglia di atteggiarti a insopportabile maestrina!» ribatté il ragazzo, con voce acida. «A quanto pare ci siamo sbagliati entrambi.» concluse, con una scrollata di spalle di sufficienza.

Lily scattò in piedi furibonda, gli occhi verdi che scintillavano feroci. Agli angoli delle palpebre, però, erano comparse un paio di lacrime sleali, che donavano alle iridi smeraldine una sfumatura un po' più lucida.

James si avvide del velo di mesta delusione apparso nello sguardo della sua ragazza, ma decise di ignorarlo deliberatamente. Non era nelle sue intenzioni consolarla, né ammettere di essere lui quello in torto.

Per un paio di interminabili istanti di furiosa tensione, i due fidanzati si fissarono vicendevolmente in cagnesco; Lily si sentiva arrabbiata e offesa dal perpetuo comportamento strafottente del ragazzo. James, invece, si era indispettito nel sentirsi rimbrottare dalla fanciulla. In cuor suo, sapeva perfettamente che Lily aveva ragione, ma non riusciva a sopportare il fatto che fosse sempre pronta a puntare il dito contro di lui.

Aprì bocca per esprimere quel pensiero, ma Lily lo zittì, voltandogli le spalle di punto in bianco.

«Esco un attimo in giardino. Ho bisogno di una boccata d'aria.» annunciò secca, allontanandosi dal tavolo, con i capelli rossi che le oscillavano liberi sulle spalle.

Si udì una porta sbattere, e in un attimo l'esile figura di Lily era svanita dalla piccola cucina, lasciando i tre Malandrini in un silenzio gravido di imbarazzo e di malumore.

Immediatamente, gli sguardi di Remus e di Sirius conversero su James, scrutandolo con severità. Era evidente che entrambi si aspettassero che l'amico corresse dietro alla ragazza, cercando di riparare all'offesa e di far pace, ma James non si mosse di un millimetro. Rimase seduto dov'era, continuando a sorseggiare il suo whisky incendiario, tentando di ostentare un atteggiamento indifferente.

«Coda? Che intenzioni ha? Non viene stasera?» chiese con tono brusco, anticipando i rimproveri che stavano per irrompere dalle bocche dei suoi amici.

«Dopo la riunione con l'Ordine, è tornato subito a casa, da sua madre. Pare siano stati avvistati un paio di Mangiamorte aggirarsi nel loro quartiere... Non vuole lasciarla sola.» spiegò Remus, spiccio. «Senti, Ramoso, non pensi di aver un po' esagerato prim...» azzardò incerto.

Ma James lo zittì all'istante, fulminandolo con lo sguardo.

«Non intrometterti, per favore.» disse calmo, ma con l'aria di chi non accetta obiezioni.
I suoi occhi color biscotto vagolarono, poi, su Sirius, il quale non aveva smesso di fissarlo con tacita veemenza, nemmeno per un secondo.

«Anche tu, Felpato... piantala di guardarmi così.» intimò James con voce dura.

Sirius non proferì parola, limitandosi a stringersi nelle spalle, indifferente. Tuttavia, nei suoi lineamenti pronunciati aleggiava evidente una nota di disappunto. James, che faticava a sostenere la delusione inespressa dell'amico, distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi su Remus e sulla ragione che aveva impedito impedito a Peter Pettigrew di raggiungerli in quell'angolo remoto di città.

Sirius ascoltò la conversazione dei due amici distratto, rintanato in un granitico mutismo, giusto il tempo di scolare il liquore che ancora aveva nel bicchiere.
Dopo aver abbandonato il calice vuoto sul tavolo, il ragazzo si alzò e si avvicinò alla credenza che sovrastava il piano dei fornelli. Agguantò un piatto pulito, leggermente sbreccato sul bordo, e lo riempì degli avanzi di carne rimasti dalla cena appena consumata.

Senza dire una parola e col piattino in mano, Sirius uscì dalla cucina, svanendo oltre la soglia sul retro. Attraversò una piccola stanza sgombra e dall'aspetto piuttosto sterile, adibita a rippstiglio. In un angolo, appoggiata contro al muro, bivaccava una grossa motocicletta scura.

Sirius superò il veicolo, puntando celere alla portafinestra in vetro che si affacciava sul cortiletto interno della casa. Affondò la mano libera nella maniglia ed uscì in giardino, accolto dall'aria piacevolmente frizzante della sera, intrisa del profumo dell'erba tagliata di fresco.

Gli occhi grigi e scintillanti del ragazzo abbracciarono attenti l'esiguo perimetro di quel fazzoletto erboso, individuando all'istante la figura di Lily, rintanata in un angolino a scrutare pensierosa i meandri neri del cielo, trapunto di stelle.

Udendo l'acuto cigolio della portafinestra che si rinchiudeva alle spalle di Sirius, Lily si affrettò a levare un braccio all'altezza del viso, asciugandosi gli angoli degli occhi con un lembo della manica.

«Ehi, Felpato.» esordì gentile, ma con la voce incrinata da un pianto malcelato.

«Ehi.» la salutò Sirius a sua volta, fingendo di non essersi accorto delle lacrime della ragazza. «James si stava chiedendo che fine avessi fatto.» mentì.

Lily si accorse subito della menzogna e lo fulminò con lo sguardo seduta stante.

«Sappiamo entrambi che non è così, perciò non provarci nemmeno.» lo rimproverò con tono duro.

Smascherato, Sirius non poté fare altro che abbozzare un vago sorriso di scusa.

«Cos'è quello?» si affrettò a domandare la fanciulla, con gli occhi posati sul piattino che Sirius aveva in mano.

«Un regalo per un'amica.» rispose lui, laconico, guadagnandosi un'immediata occhiata interrogativa da parte di Lily.

Sghignazzando sotto i baffi, Sirius andò a posare il piatto lontano, in mezzo all'erba; dopodiché si allontanò lentamente e senza far rumore, tornando da Lily, dall'altra parte del giardino.

«Ora dobbiamo restare immobili e in silenzio. I movimenti bruschi potrebbero spaventarla.» mormorò sottovoce all'orecchio della ragazza, premendosi le labbra col dito indice.

Lily, sempre più curiosa, obbedì. Vedendo Sirius puntare lo sguardo su un piccolo pertugio che squarciava la staccionata, lo imitò.

I due restarono in attesa per qualche secondo, immersi in un totale silenzio, interrotto soltanto dal flebile fruscio dei fili d'erba, accarezzati dalla brezza notturna.

D'un tratto, l'ombra di un animale emerse dalla sottile apertura. Di primo acchito, sembrava appartenere a un cane di piccola taglia, eppure Lily non ne fu certa. Aguzzò bene la vista, in modo da distinguere con maggior chiarezza il profilo scuro della creatura. Quando si avvide della folta coda di pelo rosso che scivolava leggera in mezzo all'erba, ogni dubbio svanì.

«Una volpe!» esclamò a bassa voce, per non spaventare l'animale. Un sorriso le balenò rapido in viso e Sirius segretamente se ne compiacque.

Entrambi osservarono quell'inusuale ospite peloso avvicinarsi furtivamente al piattino che bivaccava in mezzo al prato. Per un istante, la volpe si bloccò, percependo la tacita presenza di due estranei. Girò il muso appuntito verso Sirius e Lily, guardandoli con diffidenza. Appurata l'innocua immobilità di entrambi gli umani, la fulva creatura riprese il suo cammino, scivolando fluida e silenziosa, fino a raggiungere la prelibata meta.

«Viene qui ogni sera.» spiegò Sirius, senza distogliere lo sguardo dalla volpe, ora intenta a spiluccare con gusto il cibo a lei donato. «È un quartiere pacifico, perciò ha imparato a fidarsi delle persone. In effetti, non credo di essere l'unico ad offrirle qualche gustoso bocconcino.»

«È un gesto molto dolce.» commentò Lily, intenerita dalla scena.

I due ragazzi rimasero muti per qualche istante, in contemplazione della volpe, intenta a spazzolare il contenuto del piattino.

Fu Sirius a rompere il silenzio.

«Non devi prendertela con lui... Con James, intendo.» esordì, con voce dura ed espressione seria.

«Ascolta, Felpato... Io capisco che tu voglia difenderlo perché è il tuo migliore amico, ma...»

Sirius non la fece finire.

«Esatto! È il migliore amico che io abbia mai avuto e che mai avrò, perciò proprio non mi va che gli vengano addossate colpe non sue. L'incidente coi babbani dell'altra notte è una mia responsabilità. Sono stato io quello sconsiderato... James ha solo cercato di proteggermi, come sempre.»

Ancora una volta, un denso silenzio si dilatò nella notte. Lily guardava Sirius confusa, notando il velo di profonda tristezza che era repentinamente calato sul suo volto rabbuiato.

«Regulus... mio fratello... è morto.» mormorò il ragazzo, con un filo di voce.

Lily lo fissò sconcertata, portandosi una mano alla bocca.

«Mi dispiace.» disse, sinceramente affranta.

«L'ho scoperto una settimana fa. Anche se, in realtà, non ho la più pallida idea di che cosa possa essere successo a quell'idiota... Ho provato a racimolare qualche informazione, ma è stato tutto inutile.» Sirius ostentava un atteggiamento freddo, impassibile, ma Lily avvertì nitidamente la sofferenza di cui erano intrise le sue parole.

«È per questo motivo che io e James siamo finiti nei guai la scorsa notte. Mi ero impuntato che dovevo intrufolarmi a Knocturn Alley, magari sotto le sembianze di Felpato... Quelle strade malfamate pullulano di Mangiamorte e di sostenitori di Voldemort... Speravo di intercettare qualche conversazione che potesse aiutarmi a fare un po' di chiarezza su cosa sia capitato a Regulus.»

«Naturalmente, era mia intenzione agire da solo. Ma James ha intuito subito che stavo tramando qualcosa e mi ha seguito. Mi ha raggiunto alle porte di Knocturn Alley ed è riuscito in qualche modo a farmi ragionare. Stavamo per andarcene, ma tre sentinelle poste di guardia all'ingresso del vicolo ci hanno notato e si sono insospettite... sai, pare che la mia motocicletta non passi inosservata... Così siamo scappati, coi tre manigoldi alle calcagna. Be', il resto della storia la conosci già.»

Sirius si voltò verso Lily, con una strana espressione in volto; sembrava desolato, benché tentasse in tutti i modi di non darlo a vedere.

«Senti» soggiunse un poco accigliato, vedendo Lily pensierosa, «James è una brava persona. Certo, ha la pessima propensione a diventare infantile e permaloso quando si offende, ma non è più il ragazzino avventato che si butta in mezzo ai guai tanto per divertirsi. Ha solo cercato di evitare che io agissi da idiota. Perciò, va' da lui e fate pace! Non mi piace vedervi litigare, soprattutto a causa mia.»

La ragazza annuì comprensiva, abbozzando un vago sorriso. I suoi occhi smeraldini indugiarono a lungo su Sirius, fissandolo con intensità. Il ragazzo si irrigidì un poco, sentendosi perforare da quelle due vibranti gemme verdi che sembravano in grado di scrutargli l'animo.

Poi, senza che Sirius potesse prevederlo, Lily lo abbracciò. Il giovane Black avvertì un lieve sentore di vaniglia avvolgerlo come una carezza, donandogli un'inaspettata, quanto piacevole sensazione di calore e di affetto.

«Non è colpa tua.» mormorò Lily, con voce colma di dolcezza. Sirius la sovrastava di almeno una spanna, perciò la ragazza fu costretta ad affondare il viso nell'incavo tra la spalla e il collo del ragazzo.

Sirius percepì il respiro di lei solleticargli la pelle, provocandogli un inspiegabile brivido in tutto il corpo. Spaventato, s'impose di ignorarlo.

«Invece sì. Te l'ho spiegato... James si è intromesso solo per difendermi. È stata colpa mia.» obiettò ostinato, senza però staccarsi dall'abbraccio.

«No, non intendo questo...» protestò Lily, «Mi riferisco a Regulus.»

Sirius fece il gesto di ritrarsi, mettendosi sulla difensiva; tuttavia, Lily lo strinse ancora più forte.

«Qualsiasi cosa sia successa a tuo fratello, non è stata colpa tua

A quelle parole, Sirius sentì la fredda barriera, che aveva eretto per celare le proprie emozioni e i sentimenti più cupi, sciogliersi come ghiaccio al sole. Annientato dalla sagace tenerezza di Lily, Sirius non poté fare altro che abbandonarsi totalmente in quell'abbraccio che profumava di conforto e assoluzione.

Il profumo di vaniglia divenne più intenso e Sirius permise a quel dolce aroma di inebriargli lo spirito. Avvertì l'intenso desiderio di restare lì, tra le braccia di Lily, per molto, molto tempo. Per l'eternità, persino.
Protetto da quell'abbraccio, i fantasmi della sua famiglia e del suo passato gli apparivano meno spaventosi.

Accortosi di quel pensiero così orrendamente pericoloso, Sirius trasalì, scostandosi rudemente da Lily.

«Si sta facendo tardi. È meglio che rientri.» borbottò cupo, volgendo lo sguardo lontano dalla ragazza.

«Sirius...» lo chiamò Lily, implorante.

Ma lui la ignorò; le voltò le spalle, dirigendosi verso il piatto vuoto, completamente spazzolato dalla volpe, che oramai si era dileguata al di là della staccionata.

«Torna da James.» rimarcò infine Sirius, con tono freddo e definitivo. Ancora si rifiutava di guardarla in faccia.

A Lily non restò che incassare il duro colpo del rifiuto. Sconfitta, se ne andò.

Sirius udì i suoi passi leggeri calpestare l'erba con decisione, mentre si allontanava per raggiungere l'entrata.

Il rumore della portafinestra che si richiudeva prepotente dietro di lui, gli rimbombò in petto forte come uno Schiantesimo.

È giusto così.

Si disse Sirius, cercando di seppellire in profondità quel sentimento insidioso che mai e poi mai si sarebbe permesso di accettare.
 

***
 

Ottobre 1979. Hogsmeade.
 

James Potter si svegliò di buon mattino, ma di pessimo umore. Aveva dormito male, tormentato da ingombranti pensieri di rabbia, frammisti di un sottile senso di colpa. Gli eventi della sera prima ancora lo assillavano con il loro sgradevole ricordo.

Dopo una doccia veloce, James si vestì e scese in cucina, dove lo attendevano un'abbondante colazione e il sorriso caloroso dei suoi genitori.

Uno stormo di caraffe colme di succo di zucca e di vasetti di marmellata svolazzava pimpante attorno al tavolo, posto al centro della stanza.
Oltrepassata la soglia, la testa scarruffata di James intersecò la precisa traiettoria di un bicchiere che stava sfrecciando fuori da una credenza.

«Attento, figliolo!» lo avvertì Fleamont.

James abbassò prontamente il capo, evitando una dolorosa collisione.

«Ogni mattina sempre la stessa storia! La cucina sembra invasa da dei Bolidi impazziti!» brontolò il ragazzo, mentre schivava con agilità una caraffa e un paio di posate che roteavano come ballerine nell'aria.

«È un ottimo modo per mantenere in allenamento i riflessi.» sghignazzò Fleamont, indaffarato ad aiutare la moglie nella preparazione dei toast.

«Buongiorno, Jamie!» cinguettò allegra Euphimia, facendo eco al marito «Siediti pure, tra un minuto sarà pronto.»

James obbedì e si accomodò davanti alla tavola riccamente imbandita. Come al solito, la signora Potter non si era risparmiata con i manicaretti.

Fleamont ed Euphimia lo imitarono poco dopo, la famiglia si riunì attorno al tavolo della colazione.
I due coniugi scrutarono con attenzione quel loro figlio insolitamente taciturno e, a giudicare dalla sua espressione corrucciata, fu subito loro chiaro che qualcosa non andava. Euphimia scoccò al marito una fugace, quanto eloquente occhiata d'intesa, esortandolo tacitamente a sondare il terreno.

«Allora...» esordì cauto Fleamont, mentre imburrava copiosamente una fetta di pane tostato «... Ieri hai conosciuto la sorella di Lily e il suo fidanzato, giusto?»

«Sì.» mugugnò James con tono monocorde, senza distogliere lo sguardo dal proprio piatto di porridge.

«E com'è andata?» insistette Fleamont, prevedendo tuttavia la risposta.

James sospirò accigliato, guardando di sbieco il padre.

«Un disastro.» disse, con voce sepolcrale. «Non credo di aver mai incontrato delle persone più odiose in tutta la mia vita! Sia Petunia, la sorella di Lily, che Vernon, il suo grasso fidanzato, mi hanno trattato come un pezzente per tutta la sera. Mi considerano un buono a nulla solo perché sono un... mago!» si sfogò James, profondamente indignato.

«La cosa, ovviamente, mi ha dato sui nervi e non sono riuscito a nasconderlo. Deve essermi sfuggito qualche commento ironico sul lavoro assurdo di Vernon, e anche sulla sua ridicola automobile!»

Euphimia e Fleamont ascoltavano l'accalorato racconto del figlio in silenzio, condividendo la medesima preoccupazione. James non era mai stato molto bravo a dissimulare le sue emozioni, soprattutto in situazioni in cui si trovava a disagio, oppure di fronte a individui che non gradiva. In più di un'occasione, i suoi vendicativi attacchi di sarcasmo erano stati causa di guai, sia a scuola che nella vita di tutti i giorni.

Dopo aver ingoiato un boccone di porridge, James emise un lungo sospiro. L'iniziale ondata di rabbia e indignazione scemò, cedendo il posto a un vago rammarico.

«Ad ogni modo, al termine della serata, Lily e sua sorella hanno litigato pesantemente. Pare che Petunia se la sia presa per come ho trattato il suo fantastico fidanzato...» James schioccò la lingua, in segno di disgusto, «E Lily si è arrabbiata con me, accusandomi di aver rovinato l'unica occasione che aveva per ricucire i rapporti con sua sorella.»

Il ragazzo afferrò con gesto rude il bicchiere pieno a metà di succo di zucca che aveva davanti a sé, e ne trangugiò il contenuto in un sorso solo.

«Non fraintendetemi... Mi dispiace veramente che Petunia se la sia presa con Lily. Ma, in tutta onestà, non credo che sia stata colpa mia. Quelle due non sono mai andate d'accordo.»

«Capisco che tu abbia le tue ragioni, figliolo... Tuttavia, sarebbe un bel gesto da parte tua cercare di rimediare coi due Babbani.» suggerì Fleamont, con saggezza, spalleggiato dall'espressione di lieve rimprovero che Euphimia aveva assunto.

James si lasciò sfuggire un sonoro sbuffo insofferente.

«Anche se volessi, dubito che ce ne sarà l'occasione. Petunia e Vernon mi hanno chiaramente urlato contro che non vogliono più vedermi... E, francamente, nemmeno io desidero più avere a che fare con quei due!» protestò, mentre scacciava con la mano una delle caraffe volanti, pronta a versare altro succo nel suo bicchiere. Quella, offesa per essere stata trattata alla stregua di una mosca, ronzò lontano dal tavolo, nascondendosi dentro al lavello.

«Cerca di fare uno sforzo, Jamie. Se non altro, per Lily! Ci tieni a lei, no?» intervenne Euphimia.

James annuì sospirando.

«Hai ragione...Vedrò di inventarmi qualcosa.» disse, sbrigativo, lanciando un'occhiata all'orologio appeso alla parete, al di sopra della sua testa, «Devo proprio andare, adesso. Ho una riunione con l'Ordine e sono già in ritardo.»

Dopo aver salutato suo padre e dato un sonoro bacio sulla guancia della madre, James si avviò celere verso l'uscio dell'ingresso. Agguantò uno dei mantelli che penzolava pesante dall'attaccapanni lì accanto, se lo avvolse attorno le spalle e uscì, tuffandosi nel freddo mattutino dell'autunno. Piroettò su se stesso e, con flebile pop, si smaterializzò. L'attimo successivo, James comparve a Hogsmeade, atterrando un poco barcollante in mezzo a una stradina ciottolata, completamente deserta.

Un soffio di vento gelido si insinuò nel vicolo; James si strinse nel mantello, scosso da un'ondata di brividi, immergendo quanto più possibile la testa spettinata nella stoffa del cappuccio.
Un cigolio sinistro fendette il silenzio che permeava quell'area del villaggio. James levò lo sguardo e vide un'insegna in legno, appesa a una staffa di ferro, incrostata di ruggine, che oscillava cullata dalla fredda brezza autunnale. Sulla lignea superficie era raffigurato l'inquietante intarsio di una testa di cinghiale mozza, il cui sangue colava su un panno posto al di sotto di essa.

James fu colto da un secondo brivido, ma stavolta a causa del disgusto.
Quell'insegna raccapricciante apparteneva al La Testa di Porco, un pub dalla dubbia fama, nascosto tra i vicoli più intricati di Hogmseade.

Per motivi che James non riusciva a comprendere, a quanto pareva era proprio quello il locale designato come quartier generale dall'Ordine della Fenice (l'esercito istituito da Albus Silente in contrapposizione alle forze oscure di Lord Voldemort), per la riunione di quel giorno.

Storcendo il naso, James si avventurò dentro all'angusto locale. Prima ancora che i suoi occhi color nocciola potessero abbracciare i perimetri sudici del pub, il ragazzo venne bruscamente bloccato da una bacchetta, minacciosamente puntata contro la sua faccia.

«Giù il cappuccio!» ringhiò il proprietario della bacchetta, ovvero un tizio nerboruto, dallo sguardo truce e celeste, e il volto nascosto da una folta barba bianca, un poco aggrovigliata.

James obbedì e abbassò con prontezza lo scuro copricapo che gli celava in parte il viso.

L'uomo barbuto - il quale assomigliava in modo impressionante ad Albus Silente - lo squadrò da capo a piedi, soppesando l'identità dell'avventore con sospetto. La bacchetta rimase rigorosamente puntata in faccia a James.

«Parola d'ordine.» intimò ancora, con gli occhi azzurri ridotti a due fessure, sottili come lame.

«Non tutti i Boccini hanno le ali.» pronunciò James, scandendo bene ogni parola. Per questioni di maggiore sicurezza, Silente aveva riferito ad ogni membro dell'Ordine una frase o una parola di riconoscimento differente, in modo da depistare eventuali spie sotto mentite spoglie.

Stabilito che James non era un impostore, ma un vero componente dell'Ordine della Fenice, il robusto mago canuto abbassò la bacchetta.

«Sei in ritardo. Gli altri sono di sopra, la riunione è già iniziata.» disse, in modo burbero e spiccio, facendo un cenno con la testa a una consunta scala di legno che portava al piano superiore.

Senza dire una parola, James attraversò la tetra sala del locale, il quale si mostrava vuoto di ogni cliente. Probabilmente, in vista dell'incontro, Silente doveva aver dato disposizioni al rude proprietario di far entrare nel locale soltanto coloro che appartenevano dall'Ordine della Fenice.

James si apprestò a salire i gradini sgradevolmente appiccicosi della scala ed entrò in una stanzetta buia e ristretta, invasa da ragnatele che bivaccavano tra le assi in legno, rose dai tarli. L'acre odore di capra si mescolava a quello della polvere stantia e James, per istinto, accartocciò la faccia in un'espressione di ribrezzo.

Come l'ospite nerboruto del piano di sotto aveva preannunciato, la riunione era già in atto; l'ambiente pullulava dei vari membri dell'Ordine, seduti su piccole seggiole scomode, le teste rivolte all'unisono verso l'unica figura in piedi nella stanza, nonché Albus Silente, avvolto da una lunga e sgargiante veste color porpora, la quale certo non passava inosservata nel grigiore squallido che aleggiava in quel luogo angusto.

Colto dal medesimo disagio che aveva provato a Hogwarts ogni volta che arrivava in ritardo a una lezione, James oltrepassò la soglia il più discretamente possibile, cercando di non farsi notare. Scorse fra la marea di teste la famigliare chioma scura e ordinatamente sbarazzina di Sirius e si affrettò a raggiungerlo.

«Complimenti, Ramoso! Sei quasi in orario.» lo accolse scherzoso l'amico, in un sussurro. James gli rispose con un'affettuosa gomitata nel costato. Accanto a loro c'erano anche Remus e Peter.

A qualche metro di distanza, James intravide il profilo di Lily, la quale non lo degnò neppure di uno sguardo. Il ragazzo finse di non darci troppa importanza.

«Allora, che mi sono perso?» chiese sottovoce, all'orecchio di Sirius.

«Nulla di importante... Silente ha appena cominciato a parlare. Anzi, credo che stesse proprio aspettando il tuo arrivo.» mormorò Sirius divertito, intercettando la velata occhiata allusiva che il Preside aveva fugacemente scoccato all'indirizzo di James.

Appurata la presenza di tutti, lo stregone diede effettivamente inizio alla riunione.

L'incontro si protrasse per diverse ore, partendo con l'opportuna condivisione delle varie informazioni segrete racimolate sulle intenzioni nemiche; in seguito, furono proposti piani di contrattacco, vagliate strategie e organizzati i gruppi e i turni delle nuove missioni.

Di tanto in tanto, James lanciava occhiate furtive a Lily, la quale si teneva a debita distanza, ignorandolo. Era evidente che fosse ancora in collera con lui per ciò che era successo la sera prima.

Al termine della giornata, James e gli altri tre Malandrini uscirono dal vecchio pub esausti e un poco intontiti dalla lunga riunione. Sirius invitò il gruppo a casa sua, offrendo le sue bottiglie migliori di whisky incendiario come rimedio per riprendersi dalle fatiche.

Remus e Peter accettarono la proposta di buon grado. James, invece, si mostrò reticente. Non aveva ancora avuto l'occasione di parlare con Lily...

«Vi raggiungo appena posso.» si congedò, dopo aver spiegato velocemente agli amici la complicata e fastidiosa situazione nella quale si trovava.

Sirius, Peter e Remus si smaterializzarono, quindi, alla volta del placido quartiere a Wanstead, dove Sirius viveva. James rimase nei pressi de La Testa di Porco, la schiena appoggiata al freddo muro di un'abitazione lì accanto, le mani affondate nelle tasche.

Non appena vide Lily sbucare da dietro la porticina di legno del locale, le corse incontro.

«Hai un secondo? È tutto il giorno che aspetto un momento per parlarti.» esordì senza preamboli e con un tono un po' più brusco di quanto non si fosse immaginato nella testa.

Le amiche che gravitavano attorno alla ragazza lo fissarono torve, quasi con minaccia. A quanto pareva, Lily non si era risparmiata nel raccontare loro cosa era successo la sera prima.

Lily rassicurò le amiche, esortandole ad avviarsi senza di lei. Le ragazze acconsentirono a lasciarla da sola, senza però evitare di lanciare a James sguardi poco convinti. La cosa lo indispettì molto.

«Non sapevo avessi bisogno di tranquillizzare le amiche per restare da sola con me!» sbottò, caustico.

«Che cosa volevi dirmi?» tagliò corto Lily, ignorando la frecciatina.

«Desideravo chiederti scusa riguardo ieri sera... Mi rendo conto di non aver dato una buona impressione a tua sorella, né al suo fidanzato...»

«Hai dato una pessima impressione.» precisò Lily, gelida.

«Sì, be'... ecco... Nemmeno loro due si sono dimostrati particolarmente simpatici nei miei confronti...» borbottò James, sulla difensiva, «... ma non è giusto che tua sorella se la sia presa con te a causa mia. Mi dispiace, Lily. Davvero.» concluse, mortificato.

Lily si lasciò sfuggire un sonoro sospiro, guardando il ragazzo con un'espressione indecifrabile. Infilò una mano nella borsa che le pendeva dall'avambraccio e ne estrasse fuori un biglietto di carta rigida. Lo mostrò a James. Al centro, campeggiava una scritta in una calligrafia fin troppo elaborata, tanto da risultare pomposa.

«Questo è l'invito di partecipazione al matrimonio di mia sorella. L'ho ricevuto stamane, per posta.» esordì, con voce spenta, priva di allegria. «In allegato, c'era un secondo biglietto in cui Petunia ha voluto sottolineare con assoluta chiarezza che, per nessun motivo, mi vorrà come sua damigella d'onore. Dopo ieri sera, teme che la nostra... anzi, la mia... stranezza possa metterla in ombra nel suo giorno speciale. Sarò un'invitata qualunque e grazie tante.» spiegò accalorata, con le guance che si imporporavano man mano che parlava, per la frustrazione.

James spostò gli occhi dal biglietto a Lily e viceversa più volte, interdetto.

«Tua sorella non ti vuole come damigella d'onore al suo matrimonio solo perché ieri mi è scappata qualche battutina sul suo fidanzato?» domandò sconcertato, sfregandosi una mano fra i capelli.

«No... Tu sei soltanto un pretesto. Come la cena di ieri sera. Petunia non aveva la minima intenzione di ricucire i rapporti con me. Stava solo cercando una scusa per escludermi dal suo matrimonio!» esclamò Lily, cercando di soffocare la cocente delusione che le ribolliva nelle vene.

James la squadrò lievemente confuso.

«Quindi... non sei arrabbiata con me?» azzardò, esitante.

Lily scosse veemente la testa.

«No. O, perlomeno, non stavolta.» puntualizzò, con un timido sorriso ironico, «Ma è anche vero che, in parte, è a causa tua se mi trovo in questa assurda situazione. Pertanto, dovrai accompagnarmi al matrimonio. Anche se detesti gli sposi!» sentenziò categorica.

«Mi sembra una richiesta più che ragionevole.» concordò James, ridacchiando.

Si sentì sollevato. Lily non era più arrabbiata con lui e, alla fine dei conti, se l'era cavata con poco. James ne fu sinceramente lieto. D'altronde, non ne aveva voglia di mettersi a litigare per colpa di una coppia di Babbani strambi e insopportabili. E, dal quel che sembrava, lo stesso valeva per Lily.

Stemperata l'iniziale tensione, James ritenne opportuno invitare la ragazza all'appuntamento a casa di Sirius, insieme agli altri Malandrini, e Lily accettò più che volentieri. Entrambi sentivano il bisogno di passare una serata rilassante, spensierata.

Prima di smaterializzarsi, però, Lily pose a James una seconda richiesta, decisamente inaspettata.

«Senti, ti andrebbe di fermarti da me... dopo?» chiese, mal celando un vago imbarazzo.

«Mary, la ragazza con cui condivido l'appartamento, è andata a far visita ai suoi genitori in Scozia e non tornerà prima di domani sera. Non mi va di restare da sola.» si affrettò a spiegare, abbassando timidamente lo sguardo.

«Ok, d'accordo.» rispose James, fingendo nonchalance.

I due giovani si scambiarono un sorriso impacciato. Dopodiché, James prese Lily sotto braccio.

Con un debole pop, entrambi svanirono nell'aria fredda dell'autunno.
 

***
 

Metà novembre, 1979
 

Il matrimonio tra Petunia e Vernon Dursley venne celebrato durante una piovosa e fredda giornata di metà novembre. E, quantomeno dal punto di vista di James, si rivelò essere un completo disastro.

Il ragazzo si era ripromesso di approfittare del lieto evento, per cercare di porre rimedio alle offese arrecate ai due sposi. Tuttavia, ogni buon proposito svanì nell'istante esatto in cui James varcò la soglia dell'immenso e pomposo salone, dove ebbe luogo il ricevimento di nozze.

Sin dall'inizio, fu evidente quanto né Petunia né il suo consorte dalla faccia porcina fossero minimamente interessati a risanare il già labile rapporto con Lily e James. Per tutta la durata del banchetto - estenuante, secondo James - i due novelli sposi ignorarono deliberatamente la presenza della coppia, concedendole la medesima attenzione che avrebbero dedicato alla mobilia.

Lily ci restò molto male, afflitta a causa del freddo distacco che sua sorella si ostinava a riserbarle, persino in quel giorno di festa.

James, dal canto suo, non poté fare a meno di provare una silenziosa rabbia cocente. Se da un lato si sentiva lievemente in colpa nei confronti di Lily, dall'altro non riusciva proprio a sopportare che persone grette e ottuse come Vernon e Petunia lo trattassero con tanta sufficienza.

Ma era anche vero che James desiderava essere di supporto a Lily; dopotutto, le aveva promesso che avrebbe tentato in tutti i modi di rimediare alla pessima prima impressione che aveva dato a quella rinsecchita di sua sorella, pertanto si obbligò a mostrare un buon viso a cattivo gioco.

E, per placare la crescente frustrazione che gli ribolliva nel sangue, James decise di affogare ogni suo tacito disagio nel vino babbano generosamente servito a ogni ospite. Una scelta di cui James fu costretto a pentirsi dopo pochi minuti.

Fu un dettaglio, insignificante all'apparenza, ad aver innescato la miccia degli esplosivi eventi successivi, frutto di una reazione a catena inarrestabile.

James era al suo terzo bicchiere di vino e già percepiva la propria testa leggera, come avvolta da una bolla d'ovatta dove i pensieri potevano muoversi liberi, a briglia sciolta, ma in modo un poco disorganizzato. In quel vago stato di ebbrezza, il mondo babbano che gozzovigliava attorno a lui appariva molto più sopportabile.

Lily si era momentaneamente allontanata, alla ricerca di Petunia, nella remota speranza di condividere con la sfuggente sorella qualche scampolo di conversazione. James se ne stava in disparte, appoggiato con la schiena contro la parete, il calice di vino rigorosamente in mano, cercando di non dare troppo peso al fatto che tutti gli altri invitati lo stessero ignorando alla stregua di un cane randagio, indesiderato.

Quando percepiva l'irritazione serpeggiare fra i suoi pensieri, il giovane mago buttava giù un altro sorso di vino.

Fu in quel solitario frangente che James avvertì nell'aria un profumo che ebbe l'istantaneo potere di paralizzarlo.

Lavanda.

Capire da dove provenisse quell'aroma delicato e inconfondibile non fu facile. Forse emanava da qualche rametto nascosto tra le vistose composizioni floreali disseminate per tutto il salone, a mo' di ornamenti; oppure, si era trattato della scia di un'eau de toilette, lasciata da una delle ospiti del ricevimento. Ma questo poco importava.

James, completamente annientato, sentì il fiato mozzarsi in gola. Il ricordo di Alya, che fino a quel momento era rimasto sepolto nei meandri oscuri della memoria, affiorò di colpo in superficie, investendo il ragazzo con la stessa violenza di un'onda anomala.

Il corpo reagì istantaneamente, lanciando gli inequivocabili segnali di pericolo; un dolore pulsante si espanse dentro al petto, all'altezza del cuore, lacerato dal ricordo che la fragranza floreale aveva crudelmente suscitato. Le mani cominciarono a tremare, la fronte si imperlò di sudore freddo.

Sopraggiunsero anche le vertigini e James ebbe l'orrenda sensazione che la sala si stesse inesorabilmente restringendo addosso a lui, pronto a schiacciarlo come un insetto.

Devastato da quella sleale sofferenza, che da tempo credeva di aver superato, James boccheggiò, annaspando come un annegato alla disperata ricerca di ossigeno. Doveva andarsene, il prima possibile, via da quell'insulsa folla babbana e da quell'insopportabile cicaleccio. E, soprattutto, lontano da quello spietato profumo di lavanda che sembrava perseguitarlo.

James sentì urgente il bisogno di uscire, di prendere una boccata d'aria. Tuttavia, non ebbe nemmeno il tempo di compiere un passo che la voce di un individuo sconosciuto lo bloccò.
Era un babbano; uno degli amici di Vernon per l'esattezza. Forse, si trattava addirittura del testimone dello sposo. James non lo ricordava. E nemmeno gliene importava. Voleva soltanto andarsene e rimanere da solo con i suoi tormentati ricordi.

Eppure, qualcosa nell'espressione di quel tizio lo irritava a tal punto da non riuscire ad ignorarlo. Una sfumatura di scherno e di disprezzo, che James riconobbe all'istante.
Come un segugio, il giovane mago s'immobilizzò, quasi annusando l'aria, intrisa del tipico sentore di guai in arrivo.

«Ehi, tu!» proruppe il babbano, con indosso un ghigno sghembo, che non presagiva nulla buono. «Sbaglio o sei il ragazzo strambo che sta insieme alla sorella della sposa?» domandò senza alcuna cortesia, con voce strascicata. A quanto pareva, James non era l'unico ad aver alzato il gomito.

Il mago, tuttavia, non concesse nessuna risposta. Restò zitto e immobile, in allerta.

«Vernon ci ha parlato molto di te...» una fastidiosa risatina sfuggì dalla bocca del babbano, «... Ha detto che sei una sottospecie di prestigiatore da strapazzo.»

James, imperterrito, rimase muto, ma dietro le lenti rotonde dei suoi occhiali, gli occhi si erano assottigliati in due fessure minacciose.

L'amico di Vernon, soddisfatto che l'offesa da lui escogitata aveva centrato il bersaglio, decise di rincarare la dose.

«Allora, ti va di mostrarmi qualche stupido trucchetto?» lo schernì sprezzante, «Magari il classico coniglio che sbuca dal cappello...»

Tutto accadde in un secondo. James si fiondò sul babbano così velocemente che quello non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase. Impietrito, ammutolì, avvertendo il freddo tocco di un oggetto acuminato premere sul collo. Erroneamente, ipotizzò che si trattasse di un coltello, invece di una bacchetta magica. Ma ciò non rendeva l'arma meno pericolosa.

Con gli occhi iniettati di sangue e la mente annebbiata dai fumi dell'alcol - a dal tormentato ricordo di Alya - James fissava furibondo il babbano.

«Vedrai di quali bei trucchetti sono capace!» sibilò a denti stretti, ponderando dentro di sé quale incantesimo scagliare sul malcapitato.

«JAMES!» lo chiamò qualcuno dietro lspalle, con tono indignato e sbigottito al tempo stesso, «Ma che diavolo stai facendo?»

Il ragazzo impiegò un paio di secondi prima di realizzare che la voce apparteneva a Lily. Totalmente accecato dalla rabbia e dalla disperazione che il ricordo di Alya ancora gli provocava, James percepiva il mondo assai distante da lui, come se di colpo fosse calato un velo invisibile che lo separava da ogni altro individuo presente nella sala.

«James! Abbassala subito!» gridò ancora Lily, quasi implorandolo.

Il ragazzo riuscì miracolosamente a racimolare un poco di buon senso e ubbidì. Abbassò celere il braccio e ripose la bacchetta, nascondendola dentro una tasca del suo smoking. Tuttavia, nemmeno per un istante, distolse lo sguardo dal babbano, minacciandolo con eloquenza, benché in silenzio.

«V-Vernon ha ragione... Sei soltanto un buffone!» balbettò insolente il babbano, massaggiandosi il collo.

James fece il gesto di avanzare verso di lui e quello scappò via a gambe levate, come una lepre.

Dopo essere tornato vagamente in sé, il giovane mago si voltò verso Lily, pronto a sorbirsi l'immancabile ramanzina riguardo il suo sconsiderato comportamento. Solo in quel momento si avvide che molti degli invitati che gravitavano lì intorno lo stavano fissando sconcertati. Fra quelli, spiccava Petunia, immersa nel suo vaporoso abito da sposa, così pieno di fronzoli e pizzi da farla assomigliare ad una gigantesca nuvola di zucchero filato, dotata di mani e piedi. Le guance le erano diventate di un rosso pomodoro assai acceso, le labbra si erano strette in una smorfia di disgusto, come se avesse addentato un limone molto aspro.

«James, ma che diavolo ti è saltato in testa?» chiese Lily, furiosa.

«Quello lì meritava una lezione.» replicò il ragazzo, con voce fredda.

«Una lezione? E per cosa?»

Lily sembrava esasperata. Aprì bocca per parlare, ma James la anticipò.

«Senti Lily, ne ho abbastanza. Lasciami in pace per una volta!» sbottò rude. Girò i tacchi e se ne andò, dileguandosi tra la folla, che ancora persisteva a scrutarlo sbigottita.

James puntò dritto all'uscita, determinato a scrollarsi tutti quegli sguardi fastidiosamente giudicanti che si sentiva appiccicati addosso sulla schiena. Giunto finalmente in giardino, assoporò avido l'aria umida e fredda della sera. I pensieri parvero acquietarsi, sebbene l'animo seguitava a dibattersi in preda ad un'angoscia, a quanto pareva, mai dimenticata.

Il ricordo di Alya non era ancora sbiadito; spietato, continuava ad assillare James, rendendolo inquieto. Tristezza, rabbia e senso di colpa erano riemersi repentini e il mago non si era dimostrato capace di gestire le proprie emozioni.

Per un attimo, rivolse lo sguardo alle stelle che tempestavano il cielo. Gli occhi si posarono inevitabilmente su una porzione ben precisa, molto cara a James. Da qualche parte, lontano nell'universo, un astro emanava la sua luce, benché non fosse visibile all'occhio umano.

James sospirò, annichilito da una profonda nostalgia. Era così assorto dai suoi tristi pensieri che non si accorse dei passi decisi e arrabbiati che avanzavano verso di lui, lacerando la quiete della notte.

«Hai una vaga del guaio che hai combinato?» la voce furibonda di Lily colse il ragazzo di sorpresa, facendolo sussultare.

James si voltò, pronto a rimarcare il suo desiderio di essere lasciato in pace; non gli importava di ciò che era successo fra lui e quella canaglia di un babbano. In effetti, da quando era stato travolto da quel profumo maledetto, riallacciandosi alla struggente immagine di Alya, un infido senso di vuoto si era riacceso nel cuore del ragazzo, lasciandolo indifferente a qualsiasi altra cosa che non fosse il suo tacito dolore.

Ma Lily, la quale naturalmente non poteva indovinare quali fossero i pensieri che stavano tormentando James in quel momento, né il motivo che lo aveva spinto a comportarsi in un modo tanto sconsiderato, non aveva la minima intenzione di retrocedere.
D'altronde, anche lei soffriva e sentiva dentro di sé il bisogno di sfogare la sua frustrazione.

Furente e afflitta per l'ennesima - e, forse, definitiva - litigata con la sorella, Lily vomitò su James tutta la rabbia e la tristezza che le ribollivano nel sangue. Le parole si trasformarono in urla. Le urla in accuse. Suoni taglienti, intrisi di sdegno e delusione, con cui la ragazza descrisse James come un egoista, un immaturo, incapace di crescere e di comportarsi come un adulto.

«Sapevi quanto questa giornata fosse importante per me! Mi avevi promesso che avresti cercato di far pace con Vernon...» la voce di Lily suonava spezzata, le lacrime le solcavano il viso, «... E, invece, cosa fai? Minacci con la bacchetta uno dei suoi amici solo per un'insulsa frecciatina! Non ne potevi proprio fare a meno!»

James la ascoltava in silenzio, senza battere ciglio, impassibile. La sua espressione era rigida e imperscrutabile. Le parole furiose di Lily gli giungevano alle orecchie indistinte, ovattate, come se provenissero da un luogo assai lontano.

«Speravo davvero che tu fossi cambiato! Che fossi maturato! E invece sei rimasto tale e quale al bulletto arrogante e sbruffone che eri Hogwarts. Sempre pronto a lanciare fatture su chiunque osa darti fastidio!»

«È questo ciò che pensi di me?» la interruppe lui, con tono straordinariamente calmo.

«Sì.» rispose Lily, arrabbiata.

«Bene.» disse James, snervato. «Allora è finita. Ho chiuso.» sentenziò definitivo.

Vide Lily trasecolare, disorientata. La rabbia che l'aveva condotta fin lì sfumò in un baleno, cedendo il posto alla sorpresa. Ma James non se ne curò. Non le diede nemmeno il tempo di ribattere.

«Lily, io sono esausto. Non ne posso più di questa ridicola festa, di tua sorella, di Vernon e di... te.» quella parola gli scivolò fuori dalla bocca sleale, a stento se ne accorse, «Ad essere onesti, sono stufo di ascoltare tutte le tue recriminazioni, i tuoi continui rimproveri su come devo o non devo comportarmi. Mi sembra evidente che non stai bene con me, in questa relazione... Non sei felice.»

James sospirò e, in quella brevissima pausa, guardò Lily negli occhi.

«Be' nemmeno io lo sono. Sono sempre arrabbiato. E stanco.... Ma non mi sento felice. Per niente. Perciò, basta così. Sarà meglio per entrambi se la chiudiamo qui.» disse, con voce amara, ma sincera.

E senza concedere a Lily il turno per ribattere, James le voltò le spalle, accennando ad una piroetta.

Ci fu un pop e in una frazione di secondo James si smaterializzò, il suo profilo spettinato scomparve definitivamente dal giardino.
 

***
 

La notizia della rottura tra James e Lily fece un gran scalpore, soprattutto tra i tre Malandrini, i quali proprio non si capacitavano come il loro amico avesse potuto prendere una decisione così drastica.

Tuttavia, i tentativi di Peter, di Sirius e di Remus di farlo ragionare si rivelarono del tutto inutili. James si mostrò sordo ad ogni consiglio, ben convinto della scelta presa.

Anche Lily, d'altronde, sembrava essere d'accordo. Da quando James se l'era vigliaccamente svignata dal matrimonio di Vernon e Petunia, non lo aveva più cercato, né aveva tentato di mettersi in contatto con il mago.

A quanto pareva, aveva accettato la situazione.

Così, perlomeno, ipotizzava il ragazzo, dal momento che non aveva più avuto occasione di incontrare la fanciulla. Nemmeno alle riunioni indette dall'Ordine della Fenice. Lily non partecipò agli incontri per un'intera settimana. Il che, certo, era da considerarsi strano. Fino ad allora, Lily non aveva mai mancato una riunione.

Tuttavia, James parve non farci troppo caso.

Da quella fatidica sera, sentiva i sentimenti come congelati, in modo irreparabile. Tutta colpa del maledetto profumo di lavanda che James aveva percepito al matrimonio di Petunia e Vernon Dursley. O, per meglio dire, era stato l'intrinseco risveglio del ricordo di Alya a provocare nel ragazzo un tale annichilimento delle emozioni.

James credeva di aver superato quel lutto segreto, di cui soltanto lui e i suoi genitori erano a conoscenza. Si era convinto di aver voltato pagina, di essere finalmente pronto di affrontare la vita che lo attendeva senza Alya.

Ma, a quanto pareva, si era sbagliato.

Il dolore era sopravvissuto. Latente, era rimasto lì, sepolto nelle profondità del suo animo ferito, in attesa di erompere inarrestabile al primo accenno di un ricordo, distruggendo senza pietà ciò che James si era così faticosamente costruito.

L'apatia tornò ad accompagnare i suoi passi. La sofferenza dilaniante e acuta che lo aveva colpito quando Alya era morta, si era risvegliata, lacerandogli il cuore. E, da quello squarcio, un viscido senso di vuoto era sgorgato, insinuandosi in ogni parte del suo essere. Dal giorno del matrimonio babbano, James aveva percepito che qualcosa dentro di lui si era irrimediabilmente incrinato e il ragazzo non fu più in grado di sentire niente.

I giorni fluirono, consumandosi in una totale indifferenza.

Passò una settimana. Una sera, dopo cena, James si congedò dai genitori e, proponendosi di controllare lo stato degli incantesimi di protezione che custodivano la casa, uscì in giardino.

Avvolto in un pesante mantello di scura stoffa, il giovane mago varcò la soglia dell'ingresso, tuffandosi nella notte.
Una pioggia scrosciante si era abbattuta su quella zona del Sussex, per un'intera giornata; anche se ormai l'acqua aveva arrestato la sua insistente caduta dal cielo, la terra del cortile dei Potter ne era ancora zuppa, l'erba era imperlata di gocce che scintillavano timide, irradiate dalla luce pallida della luna.

James perlustrò rapido il perimetro attorno all'abitazione, battendo i denti per colpa della gelida umidità che gli era penetrata nelle ossa.

Tuttavia, ultimata l'ispezione, il ragazzo si attardò nel rientrare dentro casa. Sentiva il bisogno di restare nella più completa solitudine, perciò decise di concedersi qualche altro minuto in giardino.

Incurante dell'aria fredda che gli solleticava la pelle scoperta del viso e delle mani, James si afflosciò su una delle sedie a dondolo presenti nella sua veranda e si mise a contemplare assorto la nera vastità della volta celeste.

I suoi occhi color nocciola cominciarono presto a dissezionare meticolosi le varie porzioni del cielo, percorrendo le invisibili strade tracciate dalla luminosità delle numerose costellazioni, che sovrastavano da secoli il mondo sotto di loro.

Man mano che penetrava il cielo con lo sguardo, James avvertiva il vuoto che lo attanagliava espandersi dentro di lui, inesorabile.

D'un tratto, gli occhi interruppero la loro tacita ricerca, indugiando vibranti su uno scampolo oscuro, trapunto di stelle sparse. Il ragazzo percepì il proprio cuore saltare un paio di battiti, consapevole che tra i densi e atri meandri di quella piccola parte di universo, si celava una stella il cui nome ancora gli provocava una nostalgia infinita.

L'agonia del suo animo si acuì e James si lasciò sfuggire dalle labbra un lungo e triste sospiro.

Ho fallito... A quanto pare, senza di te non sono proprio in grado di guardare avanti...

Sussurrò arreso, con lo sguardo fisso all'insù, rivolto al cielo. James interrogò a lungo la stella remota e invisibile allo sguardo, la implorò disperato, supplicandola di salvarlo dall'oblio che lo stava divorando, di suggerirgli cosa dovesse fare di quella vita che, senza di lei, gli appariva inutile, priva di scopo e di significato.

Ma sia il nero cielo che il remoto astro che vi dimorava restarono muti, indifferenti alle pene del giovane mago afflitto. O, perlomeno, così credette James.

All'improvviso, un flebile pop squarciò la densa quiete della notte. James, riscuotendosi all'istante da suoi intricati pensieri, scattò in piedi con un balzo, con la mano levata davanti a sé, la bacchetta sguainata, stretta fra le dita.

Scorse il profilo sottile di una figura ammantata avvicinarsi con cautela all'ingresso del cancello. James rimase immobile, senza agire. L'istinto gli suggeriva che non si trattava di un nemico.

Lentamente, il ragazzo si avvicinò ai battenti in metallo che cingevano il giardino, andando così incontro all'inaspettato visitatore. Non aveva la minima idea dinchi potesse essere.

Ma ogni ogni dubbio venne spazzato via quando, da sotto il nero cappuccio, si intravidero alcune ciocche di capelli rosso scuro. Era Lily.

La ragazza abbassò il copricapo di stoffa, mostrando apertamente il viso. I suoi occhi verdi e brillanti si inchiodarono prepotenti sul volto di James, il quale l'accolse con un'espressione vagamente spaesata. Non si aspettava una sua visita.

«Posso entrare?» domandò, senza perdersi in inutili saluti.

James annuì e con un lieve gesto di bacchetta, aprì il cancello con un incantesimo.

«Non ti pare un po' tardi per le visite? Inoltre, girovagare a quest'ora, da sola, potrebbe essere rischioso...» esordì il ragazzo, con un'ombra di rimprovero nella voce.

Una vaga agitazione iniziò a imperversargli nelle viscere. Lui e Lily non si erano più né visti né parlati da quando James aveva deciso - in modo assolutamente poco elegante - di troncare con la loro altalenante relazione. Non era in vena di ascoltare ramanzine o altre noiose recriminazioni quella sera.

«Non mi importa dell'ora. Devo parlarti di una cosa importante e non potevo aspettare...» replicò la ragazza, con una strana voce.

La mente di James cominciò a lavorare veloce, arrovellandosi sulle possibili ragioni che avevano condotto Lily a casa sua, di notte. Cercò indizi nell'espressione di lei, ma il volto gli apparve imperscrutabile. Notò soltanto un livido pallore e ampie occhiaie attorno agli occhi smeraldini, i quali si mostravano un poco gonfi e arrossati. Sembrava che la ragazza avesse pianto.

James sospirò, in preda ad un'insidiosa frustrazione. Già si immaginava l'ennesima discussione su quanto il suo insolente atteggiamento al matrimonio della sorella avesse inasprito ulteriormente il già labile rapporto fra Lily e Petunia.

Oppure - e qui il suo cuore saltò un battito per il senso di colpa - la ragazza aveva sofferto per la fine del loro rapporto. Tale ipotesi avrebbe spiegato anche l'insolita assenza della giovane strega alle riunioni dell'Ordine.

Ma allora perché Lily si era presentata lì, nel suo giardino, in quell'ora così tarda?

James non riuscì a trovare una risposta. Ad ogni modo, non aveva voglia di discutere, qualsiasi fosse stata la questione che Lily teneva in serbo.

«Senti, Lily, di qualsiasi cosa si tratti, penso sia meglio rimandare a domani. È tardi, sono stanco. Stavo giusto per rientrare in casa e andarmene a dormire. Questo non è proprio il momento adatto per...»

Ma Lily non sembrava nemmeno ascoltarlo. Lo fissava impassibile, il volto irrigidito in un'espressione inspiegabilmente contrita.

«James io... aspetto un bambino.» disse di punto in bianco, interrompendo il flusso di scuse del ragazzo.

James ammutolì. Lily fece altrettanto. Un grave silenzio si dilatò fra loro, che a entrambi parve assordante.

E, in quel fatale istante, James avvertì strato di gelida tristezza, nel quale gli si era cristallizzato il cuore, andare in frantumi, disgregandosi in tanti minuscoli pezzettini. Un nuovo dirompente calore si insinuò tra le crepe, la cui luce si riverberava nell'animo in subbuglio del ragazzo.

I suoi occhi color nocciola si allacciarono a quelli verdi di Lily, scrutandoli con stupore.

«Aspetto un bambino.» ripeté la ragazza in un sussurro, le cui parole si sciolsero in placide lacrime silenziose.

James si accorse che quelle lacrime erano diventate anche le sue. Per istinto, attirò Lily a sé e la abbracciò.

Per un breve attimo, levò lo sguardo color biscotto verso il cielo, mentre dalla memoria affiorava il ricordo di una voce lontana...

James... tu sarai padre.

Con tali parole Alya aveva esalato il suo ultimo respiro, un attimo prima di morire.

E in quelle parole, James seppe di aver ricevuto la risposta che aveva tanto ricercato tra le stelle mute che trapuntavano il cielo di quella notte.

Commosso, strinse Lily a sé, con un amore rinnovato. Il vuoto, che fino a un momento prima lo aveva annichilito, si riempì di una nuova e potente luce, intrisa di speranza.

Sarò padre, ripeté dentro di sé, nutrendosi della felicità che tale consapevolezza gli donava.

E, immerso in quella gioia inattesa e insensata, James si sentì di nuovo vivo, più di quanto mai non fosse stato.

Nota dell'autrice:

Eccomi qua, dopo una lunga assenza di due settimane. È la prima volta che impiego così tanto tempo per scrivere un capitolo, ma questo mi ha dato parecchie difficoltà.

Ho perso il conto delle volte in cui ho iniziato, cancellato e riscritto le prime frasi. Ammetto che tutt'ora non sono del tutto convinta del risultato finale, ma ho deciso comunque di pubblicarlo. La considero una versione "beta", soggetta a revisioni e migliorie.

In ogni caso, ditemi cosa ne pensate. Necessito dei vostri preziosi feedback per capire l'effetto che suscita.

Ma cosa accade in questo capitolo, in teoria di passaggio, ma così bello denso di emozioni (o almeno spero!)?

Nella parte iniziale, ho voluto soffermarmi sul point of view di un personaggio che finora non avevo mai trattato, ovvero quello di Sirius.
Fin dall'inizio si intuisce che la relazione fra Lily e James non è tutta rosa e fiori (spero che i fan della Jily mi perdoneranno). Anzi, nasce per entrambi come ripiego, in sostituzione ad un amore che entrambi non hanno la possibilità di vivere. James è ancora legato al ricordo di Alya (come si evince dalle scene presenti verso la fine del capitolo); Lily, invece, non ha mai superato del tutto la sua cotta per Sirius.

Un sentimento che, nella prima scena del capitolo, si scopre corrisposto in fondo, sebbene Sirius non sia in grado di ammetterlo. Dopotutto, è troppo leale a James per "soffiargli" la ragazza (sebbene sia evidente che tra i due le cose non funzionino). Inoltre, bisogna contestualizzare anche la drammatica situazione che Sirius sta vivendo. Alya, suo padre e, infine, Regulus sono morti... sembra quasi che la sua famiglia sia sotto l'effetto di una maledizione. Sirius stesso si sente "pericoloso". Perciò si ostina a tenere Lily a distanza. Con James la considera più al sicuro.

Ormai credo abbiate capito quanto mi piacciano le storie d'amore tragiche 😅.

Ma voi cosa ne pensate di questa ship (Lily+Sirius) un po' controversa e decisamente non convenzionale, che mi è uscita in questa strana ff? Sono curiosa xD 

Comunque, non mi dilungo ulteriormente e vi lascio alla lettura.
Aspetto i vostri feedback e impressioni sul capitolo, per me sono preziosissimi!

Buona lettura e al prossimo aggiornamento ❤!

P.s. Comunque siamo davvero agli sgoccioli. Secondo la mia scaletta, mancano soltanto 2 capitoli, più l'epilogo.



 

   
 
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