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Autore: edoardo811    25/04/2022    2 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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XIX

Vecchi amici



Non appena vide le sbarre, Camille pensò che avrebbe potuto dare di matto. Addormentarsi e svegliarsi di nuovo in una cella era di gran lunga l’ultima esperienza che avrebbe voluto ripetere, a parimerito col perdere il controllo dei poteri, poi però si rese conto che quella non era una cella qualsiasi. C’erano una brandina e dei servizi posti ai lati della stanza, dal corridoio proveniva una luce biancastra di lampade al neon, mentre il pavimento di mattonelle di marmo era disseminato di scarabocchi rossi, parole scritte con una grafia così frettolosa e disordinata che per lei furono impossibili da leggere, complice anche la dislessia. 

Poi si rese conto di non essere da sola. Esattamente al centro della stanza, rannicchiato a terra, c’era un ragazzo. E non appena lo vide, Camille sentì il cuore saltarle di un battito: quello era Dante.

Stava scrivendo sulle mattonelle con della sanguigna, borbottando tra sé e sé parole sommesse. Non sembrò accorgersi di lei e a quel punto Camille comprese di non essere davvero lì, ma di stare sognando. Da un lato si sentì sollevata, ma la sensazione sfumò non appena si rese conto dell’aspetto dell’augure. Era spettinato, arruffato, con borse gigantesche sotto gli occhi e lividi sparpagliati sul viso, assieme a tracce di sangue secco. 

La figlia di Trivia soffocò un gemito di sconforto. Kiana non aveva mentito, l’avevano davvero picchiato di nuovo. Come avevano potuto? Come potevano essere così crudeli con lui?! Era un bravo ragazzo, cercava solo di fare la cosa giusta. Non meritava tutto quello.

«Fioriranno… o moriranno?» domandò Dante proprio in quel momento, la sanguigna che strideva sul pavimento. Sbatté le palpebre un paio di volte. «No… germoglieranno? Uccideranno? Ah, dannazione!» Posò la sanguina e si premette le mani sulle tempie. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. «Andiamo, andiamo, stupido cervello! Dammi una mano ogni tanto, solo ogni tanto! Perché deve essere tutto così complicato?!» Cominciò a martellarsi la testa. «Sono morto… sono morto!»

«Dante» sussurrò Camille, angosciata.

Il ragazzo spalancò gli occhi. «Chi ha parlato?!»

Camille sussultò, sorpresa tanto quanto lui. «Riesci… riesci a sentirmi?»

Dante cominciò a guardarsi attorno, muovendo la testa così velocemente da sembrare una trottola. «Oh, no… oh no! Adesso sento anche le voci! Lo sapevo, lo sapevo che non dovevo bere quel caffè al ginseng! Faceva pure schifo!»

«No, Dante, sono io! Sono Camille!»

«Camille?» Dante si ammansì all’improvviso. «Sei… sei davvero tu?»

«Sì, Dante. Sto… sto sognando. Non sono davvero lì» mormorò lei, sollevata del fatto che lui si fosse tranquillizzato. 

«O-Oh. Stai sognando… me? Non… non pensavo di essere così importante…»

Nonostante fosse in un sogno, Camille sentì le guance pizzicare. «Ma… certo che lo sei, Dante. Sei il nostro augure.»

Dante riuscì ad abbozzare un sorriso. «Sono felice di riveder… di risentirti.» 

«Anche… anche io» mormorò lei, imbarazzata come poche volte si era sentita. E non riusciva proprio a capire il perché, di tale imbarazzo. Dante non le piaceva mica.

«Allora, come sta andando il viaggio? Avete trovato Ecate??»

Lo stomaco di Camille si contorse per i sensi di colpa. Quel poveretto si era cacciato nei guai per lei, per loro, per consentirgli di partire per quel viaggio, e ancora non avevano trovato Ecate. Ed era solo colpa sua. Non aveva detto la verità, era partita senza un piano, senza avvertire nessun legame, e si era perfino fatta colpire a tradimento dalla magia di Somnus. Se non fosse stato per Penelope non avrebbero mai trovato la pista nella Valle della Morte. 

Non sarebbe mai dovuta partire. Ancora non riusciva a spiegarsi perché Ecate avesse dato quell’incarico proprio a lei. 

«Non ancora» mormorò, senza il coraggio di guardare Dante in faccia nonostante lui non potesse vederla. «Però… ci stiamo avvicinando. Sento dove la tengono nascosta. Non manca molto. Dovete… dovete resistere ancora un po’.»

«Dovete sbrigarvi!» disse l’augure. Non sembrava arrabbiato, o deluso, soltanto agitato. «Non vi rimane molto tempo!»

Camille drizzò la testa. «Come sai che mancano solo due giorni?»

Dante strizzò le palpebre. «Due giorni per cosa?»

«Per… trovare Ecate. Se non la troviamo entro due giorni… ehm… non so cosa succederà, ma non sarà piacevole.»

«Oh… non mi riferivo a quello, in realtà.» Dante sembrava perfino un po’ imbarazzato. 

La figlia di Trivia si domandò se fosse saggio o meno chiedergli a cosa si riferisse davvero. Sapeva di non avere davvero una scelta. «E allora a cosa?»

Dante cominciò a gesticolare come una marionetta pazza. «Il campo! Qui stanno impazzendo tutti! Ieri mattina quelli della Quinta Coorte hanno scoperto che Ash…» Il ragazzo si interruppe di scatto. Abbassò di molto la voce, fino a ridurla ad un sussurro. «… hanno scoperto che Ashley stava tenendo Marianne prigioniera e si sono imbestialiti! Alcuni centurioni si sono messi dalla loro parte e c’è stata una rivolta, però Ashley l’ha sedata quasi subito e ha fatto rinchiudere tutti i dissidenti nel Carcere Marmentino!»

«C-Che cosa?» rispose Camille, anche lei con un sussurro. 

«Sì! E poi si è proclamata Pontifex Maximus! È completamente andata!»

«No…» Camille pensò di poter svenire dentro al sogno. 

Il Carcere Marmentino, nel Foro di Nuova Roma. Avevano creato una copia identica del carcere originale, ma non credeva fosse mai stato usato davvero. Era lì solo per scopi… storici. O almeno, così aveva creduto. L’idea che tutti i suoi amici della Quinta Coorte fossero stati rinchiusi là dentro la fece inorridire. E non solo, Ashley si era proclamata Pontifex Maximus, la più alta carica esistente. Nemmeno Elias ora contava più quanto lei: adesso era praticamente un’imperatrice. 

«Non dovevamo partire» mormorò la ragazza, con la voce incrinata. «Dovevamo parlare con Ashley. Dovevamo dirle della profezia, dirle tutto quanto! Dovevamo…»

«No, Camille.» Dante fece un passo avanti. «Non sarebbe cambiato nulla. Io conosco Ashley, credimi, non vi avrebbe mai fatti partire. E se dici che adesso mancano solo più due giorni, vuol dire che il nostro tempo era perfino meno di quello che credevamo. Se ne avessi parlato con lei, ti avrebbe impedito di andare e avrebbe cercato di fare tutto da sola. Fidati di me, se abbiamo una possibilità di salvarci tutti, è solo perché voi siete partiti di nascosto.»

Sembrava davvero determinato. Camille avrebbe trovato il modo in cui aveva cercato di rassicurarla perfino carino… peccato che stesse guardando da un’altra parte.

«Ehm… sono qui, Dante.»

Lui si voltò e arrossì. «Oh, scusa.»

Nonostante tutto, a Camille venne da ridacchiare, anche se forse fu più una risatina nervosa, o perfino isterica. Anche Dante riuscì a sorridere di nuovo, ma entrambi sapevano che quel momento sarebbe durato molto poco. 

«Cosa… cosa stavi facendo? Cosa sono queste scritte?» domandò Camille, osservando le frasi sul pavimento. Si accorse che erano scritte in latino. Sembravano… versi. 

Dante sospirò. «È sempre Ashley. Vuole… vuole che io trovi il verso mancante della profezia.» Raccolse la sanguigna da terra e la osservò con espressione triste. «Non mi lascerà andare finché non avrà quello che vuole.» Strinse il pastello nella mano e abbassò la testa, affranto. «È tutta colpa mia se siamo in questo casino, Camille. Non vostra. Di certo non tua. Se solo… se solo avessi un maledetto dono funzionante…»

Camille lo guardò sedersi contro il muro. Era come se ci fossero due Dante diversi, il primo era il ragazzo sorridente e sbadato che tutti vedevano all’esterno, il secondo invece era quello che si trovava di fronte a lei, l’augure affranto che davvero teneva al campo e che davvero voleva aiutare i suoi compagni nonostante le difficoltà.

«Dante…» mormorò afflitta. Si avvicinò, non potendo fare altro che rincuorarlo con le parole: «Non è colpa tua. Io li vedo i tuoi sforzi. Ci stai provando più di chiunque altro.» 

«“Provare” non è sufficiente» rispose lui. «Soprattutto non per Ashley. Vuole una profezia completa. Non mi farà uscire finché non l’avrà. Ma non si tratta solo di questo. Se… se fossi in grado di recitare profezie complete… potrei aiutare anche voi con la vostra ricerca. Avrei potuto scoprire io dove si trova Ecate. Avrei potuto… fare così tante cose… e invece…» Non concluse la frase, ma era chiaro cosa volesse dire. La tristezza nei suoi occhi parlava da sé.

La figlia di Trivia sentì di nuovo lo stomaco annodarsi. Avrebbe tanto voluto fare di più per lui, ma non poteva. «Troveremo Ecate, Dante. Te lo prometto.»

«Sì…» L’augure sollevò la testa, riuscendo a sorridere di nuovo. «Non mi serve la preveggenza per sapere che la troverete. Mi fido di te, Camille.»

Quelle parole la fecero sussultare, specie perché aveva incrociato il suo sguardo nonostante fosse incorporea. Adesso più che mai ne era certa: non avrebbe fallito. Non poteva fallire. Troppe persone erano coinvolte e troppe lo sarebbero state. Il campo… il mondo intero dipendevano da lei. 

«Hai… hai detto che il tuo dono non… “funziona”» disse Cam, paralizzata di fronte agli occhi di Dante. Erano marroni e arrossati, come quelli di un cucciolo smarrito. 

Non che a lei piacessero i cuccioli. 

«Cosa… cosa significa?» domandò.

L’espressione di Dante si fece di nuovo buia. Gli scappò un altro pesante sospiro. «Non… non sono stato del tutto onesto con voi. È vero che ho il dono della profezia, ma è… disturbato. Riesco a vedere scorci del futuro, sì, ma è tutto confuso, gli eventi si sovrappongono, si mischiano con parole a caso e il risultato è…» Accennò agli scarabocchi sul pavimento. «… questo.»

Camille osservò i graffiti, e si ricordò anche dei foglietti sparsi di Dante, con tutte quelle frasi che sembravano scritte senza alcun nesso logico. A quel punto molte più cose le furono chiare. E soprattutto capì, ancora una volta, che Dante non era davvero un pigro, o un incapace. C’erano forze più grandi di lui di mezzo. 

«Come… com’è possibile? Perché non funziona?»

Dante scosse la testa. «Non ne ho idea. Forse è opera degli dei. L’ultimo augure con un potere come il mio… per poco non c’ha rovinati tutti. Magari avevano paura che io potessi fare lo stesso.»

«Mi… mi dispiace così tanto…»

«Tranquilla.» Dante le sorrise di nuovo. «Una profezia sono riuscito a trovarla, alla fine. Non era completa, ma è bastata per farci capire cosa fare.»

Anche Camille sorrise, poi però si ricordò delle ultime parole di Lamia, poco prima di essere uccisa da Daniel, e spalancò gli occhi. Anche lei aveva visto quella profezia. Aveva creduto di essere lei la figlia abbandonata. Conosceva l’ultimo verso… e aveva detto che Zeus avrebbe scatenato la sua furia. 

«Dante, ascoltami» esordì, credendo di essere vicina a qualcosa di davvero grosso. Ripeté tutto quello che aveva sentito da Lamia, e a racconto concluso Dante schiuse le labbra, reagendo come se si fosse trovato lui stesso di fronte alla figlia mostruosa di Ecate.

«A-Aspetta… aspetta un momento…» bisbigliò, prima di alzarsi in piedi e cominciare a vagare come uno zombie per la cella, la testa bassa sugli scarabocchi. «I-Io… credo… credo di aver visto qualcosa…»

Una voce provenne fuori dal corridoio all’improvviso, folgorante come una scarica elettrica: «D’Amico? Che stai facendo?»

L’augure si paralizzò e perfino Camille si tappò la bocca. Ashley fece capolino da dietro l’angolo e si fermò proprio di fronte alla cella. Aveva le braccia conserte e uno sguardo così duro e crudele che Camille ebbe un brivido solo a guardarla. Non c’era alcuna traccia dei suoi occhi cristallini e sereni, tantomeno del suo sorriso gentile e luminoso: c’era il volto di una persona cupa, arrabbiata, che scrutava chi stava dall’altra parte delle sbarre come se fosse la causa di tutti i suoi mali. 

Per un momento Camille temette che si accorgesse di lei, ma era solo una paura irrazionale. Tuttavia, si riguardò dall’emettere una sola sillaba, per paura di essere sentita. Ashley non avrebbe potuto farle nulla, ma avrebbe potuto prendersela con Dante, e questa era l’ultima cosa che voleva. 

Il pretore indossava una cotta di maglia, senza nessuna medaglia appesa, e il mantello rosso era sgualcito. Sul viso aveva anche diversi graffi, forse dovuti alla rivolta menzionata da Dante. Il fatto che avesse dei segni significava che era stata ferita, e a Camille venne da domandarsi come fosse possibile. Aveva visto la figlia di Giove affrontare Encelado dentro a una tempesta e uscirne inerme. 

Chi… o cosa era riuscito a ferirla?

«Ti sei messo pure a parlare da solo, Dante?» cominciò lei, la voce più velenosa del morso di un basilisco. «Sei impazzito del tutto?»

«I-Io…»

«Ci sono novità sulla profezia?» Ashley sollevò una mano, da cui alcune scintille cominciarono a crepitare. «O forse ti serve qualche altro incentivo?»

Dante indietreggiò di scatto, sembrando genuinamente terrorizzato. Ora che la vedeva di persona, Camille non ebbe più dubbi: quella non era Ashley. Non era la ragazza che aveva conosciuto tanto tempo prima e di sicuro non era il pretore gentile e di buon cuore che aveva palesato di essere. Nessun leader avrebbe trattato in quel modo un ragazzo come Dante. 

«A-Ashley…» Dante sollevò le mani. «Ascolta, io…»

«No, Dante.» Il pretore si avvicinò alle sbarre. Era così pallida da sembrare uno degli scheletri di Elias. «Sono anni che continui a ripetermi le stesse cose. “Ascoltami Ashley, dammi ancora un po’ di tempo Ashley, non è così semplice Ashley.” Sono anni che sprechi il mio tempo. Non ti darò altre possibilità. Hai solo più un giorno. Se non mi darai quella profezia entro le prossime ventiquattr’ore…» Ashley indicò con il pollice un punto alle sue spalle. «… farò in modo che al Carcere Marmentino si liberi un posto speciale solo per te. Sono stata chiara?»

L’augure serrò le labbra e annuì mesto, di fronte al sorriso compiaciuto di Ashley. Camille non credeva di essersi mai sentita così furiosa. Almeno, non senza esplodere di rabbia con i propri poteri. Era convinta che se si fosse trovata lì di persona, le cose sarebbero precipitate in fretta.

«Ashley!» 

Qualcun altro arrivò di corsa, affiancando il pretore. Camille riconobbe il bustino d’armatura e la coda di capelli castani che sbucava da sotto l’elmetto di Cassie Collins. Nonostante il viso coperto, la figlia di Trivia si accorse comunque del naso gonfio del centurione, probabilmente un altro risultato della rivolta. «Elias non è ancora tornato» riferì, scattando sull’attenti. 

Ashley fece schioccare la lingua, anche se non sembrava davvero sorpresa. «Non mi dire…» 

Cassie deglutì. «Cosa… cosa facciamo adesso, signore?» 

«Metti insieme una squadra. Voglio i migliori che riesci a trovare. Uomini fedeli, non come quei ratti della Quinta Coorte. Domattina andremo noi a prendere quei tre traditori.»

La figlia di Marte fece un saluto militare. «Sissignore!»

«No, ferme!» gridò Dante, sollevando la testa all’improvviso. «Non potete andare!»

Un sorriso incredulo nacque sul volto di Ashley. «Come, scusa?»

«L’ultimo… l’ultimo verso» bisbigliò Dante, afferrando le sbarre e sporgendosi verso il pretore. «L’ho… l’ho trovato…»

«Che cosa?» Ashley spalancò gli occhi, imitata da Camille. Perfino Cassie schiuse le labbra. 

«“Con la sparizione del Velo Invisibile, affronterete la minaccia più temibile. Al richiamo della…”»

«Fermo, D’Amico.» La figlia di Giove scoccò un’occhiata diffidente a Cassie, che sussultò, poi tese l’orecchio a Dante. «Dillo solo a me.»

Il centurione si schiarì la voce. «Se… se volete io vado…»

«No. Tu rimani. D’Amico, muoviti.»

Dante s’irrigidì. Non sembrava davvero propenso ad obbedire, ma era ovvio che non avesse scelta. Si avvicinò all’orecchio di Ashley e sussurrò in maniera inudibile quello che aveva da dirle, finché la ragazza non sgranò gli occhi. Lo afferrò per il colletto, strappandogli un verso sorpreso. 

«Mi prendi in giro?!» sibilò, ad un millimetro dalle sue labbra. 

«N-No! Lo giuro…»

Ashley strattonò Dante con forza, facendogli sbattere la fronte contro le sbarre in un clangore orribile. 

«Sta’ zitto» rantolò, per poi spingerlo a terra. «Tu e i tuoi stupidi giuramenti.»

L’augure cadde sulla schiena, con un livido sulla fronte. Camille dovette trattenersi con tutto il suo autocontrollo per non chiamarlo allarmata. Spostò la sua attenzione su Ashley, che ora se ne stava nel corridoio con il respiro pesante, furibonda come un toro ferito. Nonostante non fosse lì di persona, il pretore incusse timore perfino in lei. Non l’aveva mai vista così, sembrava sul punto di scoppiare da un momento all’altro. 

«Che ci fai ancora qui?!» tuonò Ashley verso Cassie. «Va’ a fare il tuo lavoro!»

«S-Sissignore!» Cassie fece un altro saluto militare. Da come si allontanò, pareva che non stesse aspettando altro. 

«A-Ashley…» mormorò Dante, rimettendosi in ginocchio. «Ti prego, ascoltam…»

«Chiudi la bocca» lo zittì lei. Alcune scintille sprizzarono dai suoi capelli. «Sei l’essere più inutile che abbia mai conosciuto. Quando mi sarò occupata di questa faccenda, mi assicurerò che tu non possa più far perdere tempo a nessuno.»

Se ne andò senza dire altro. Dante rimase a terra, con la testa chinata. Camille aspettò che i passi di Ashley smettessero di risuonare, poi si avvicinò all’augure. «Dante… stai… stai bene?»

«Camille.» Lui si raddrizzò, voltandosi verso di lei con un’espressione talmente seria che la ragazza fu colta alla sprovvista. Non l’aveva mai visto così prima di allora. «Se Ashley dovesse trovarvi…» Scosse la testa. «Scappate. Non potete batterla. Trovate Ecate…» Si rimise in piedi, tossicchiando, e fronteggiò la ragazza incorporea. «… e tornate tutti interi. Siete la nostra unica speranza.»

Il modo in cui lo disse non ammetteva obiezioni. Non c’era alcuna incertezza nel suo tono, o nei suoi occhi. 

«Cosa… cosa dice l’ultimo verso, Dante?» bisbigliò Camille. 

Le labbra dell’augure si ridussero a una linea sottile. «Fai attenzione Camille. Se ti succedesse qualcosa… non me lo perdonerei mai.»

«D-Dante…» Camille sentì la gola inardirsi. «L-L’ultimo verso, che cosa…»

«Bonam Fortunam.» Dante le sorrise un’ultima volta. «Grazie… per esserti preoccupata per me. Significa molto.»

L’augure sferzò l’aria con la mano, colpendola in pieno, e tutto si fece buio. Poco prima che il sogno si interrompesse, dall’oscurità provenne la risata glaciale di una donna.

 

***

 

Camille si svegliò di soprassalto. Si mise a sedere, gli occhi di Dante ancora impressi nella mente, assieme alla sua espressione severa e angosciata. Strinse i pugni sulla superficie del sacco a pelo, mordendosi un labbro. L’ultimo verso della profezia… Dante l’aveva trovato.

E se aveva deciso di non rivelarglielo, doveva essere qualcosa di davvero brutto.

Un mugugno la portò a voltarsi verso il sacco a pelo di Kiana, dove la figlia di Venere stava dormendo come al solito con la bocca aperta e un rivolo di bava che le scivolava dal bordo delle labbra. Vederla così la fece sorridere, ma non durò a lungo. Quando si sarebbe svegliata avrebbe dovuto raccontare cosa fosse successo ai loro compagni della Quinta Coorte e quella prospettiva la angosciava, soprattutto perché nemmeno lei riusciva a crederci.

Anzi, sì, poteva crederci eccome. Specie dopo aver visto come si era comportata Ashley. Dante non aveva mentito, era… davvero impazzita.

Il cuore di Cam si strinse in una morsa al pensiero dell’augure, di quel sorriso che le aveva rivolto in particolare. Si riscosse quando sentì Kiana russare. Sì, certe cose davvero non cambiavano mai, come il suo sbavare mentre dormiva o il suo russare forte come un camion.

La figlia di Trivia sapeva che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi, non dopo tutto quello che aveva visto. Uscì fuori dalla tenda, trovando ad accoglierla lo stesso panorama notturno. Erano rimasti ad attendere che Elias si riprendesse, ma poi la stanchezza aveva ricominciato a farsi sentire e sia lei che Kiana erano andate a dormire. A giudicare dal cielo stellato, non doveva essere passato molto tempo da quando si era addormentata.

Di fronte a lei trovò Jack, Penelope e Daniel, i primi due addormentati accanto al fuoco, l’ultimo invece sveglio e vigile, ad accudirlo. Si voltò non appena la sentì uscire. I due ragazzi si osservarono per qualche istante e Camille si sentì a disagio sotto il suo sguardo critico, ma poi lui non badò più a lei. Riportò l’attenzione sul fuoco e le fiamme arancioni gli illuminarono il viso pallido. Era impossibile capire cosa gli stesse passando per la mente. Se era successo qualcos’altro, durante l’assenza delle due ragazze, lui non lo diede a vedere.

Camille osservò il sacco a pelo destinato a Daniel, in cui invece avevano sistemato Elias per non farlo congelare. Erano pur sempre con l’inverno alle porte, e di notte la Valle della Morte non era poi così calda. Il figlio di Plutone era ancora privo di sensi, con gli occhi e le labbra serrate. Pure da svenuto manteneva comunque il suo cipiglio. Camille si domandò se lui avesse idea di quello che Ashley stava facendo nel campo, e soprattutto se lui non avesse mai fatto nulla per farla ragionare.

Lo stomaco che brontolava la portò a distrarsi pensando al cibo. Controllò nello zainetto e trovò un pacchetto di biscotti un po’ sbriciolati, ma ancora validi. Ne addentò uno, sperando che l’ottima pasticceria del Campo Giove riuscisse a farla sentire meglio, poi però si rese conto che non erano biscotti con gocce di cioccolato, ma con uvetta. Per poco non sputò fuori tutto quanto. Odiava i biscotti con l’uvetta. Chiunque avesse inventato quella colossale fregatura si meritava i Campi della Pena, se non il Tartaro. Staccò tutti i chicchi che trovò e poi mangiò il resto; la pastafrolla almeno era buona.

«Hai preso quelli sbagliati?» le domandò Daniel, facendola sobbalzare.

«Ehm… sì…» riuscì a rispondere, pietrificata sotto lo sguardo ora incuriosito del compagno di viaggio.

«Aspetta.» Daniel le lanciò un pacchetto di biscotti dal suo zaino. «Tieni. Così non devi staccare l’uvetta da quelli.»

Camille osservò il pacchetto di Monster Cookies che aveva tra le mani, sbigottita. Erano integrali e con le gocce di cioccolato. «G-Grazie…»

«Prego.» Daniel abbozzò un sorriso, ma non durò molto. Sorrideva così raramente e quando lo faceva era sempre per pochissimo tempo. Aveva sempre quell’espressione severa, arrabbiata, perfino un po’ triste. Ma soprattutto… spenta. Smarrita. Come se non sapesse nemmeno lui a cosa pensare, o a cosa essere. 

Però… però le aveva appena dato i suoi biscotti preferiti. Integrali, con gocce di cioccolato. E lei non aveva mai detto che erano i suoi preferiti. «Come… come sapevi che mi piacciono proprio questi?»

Daniel sollevò le spalle. «Ti piace il cioccolato. E mangi sempre integrale. Ho fatto due più due.»

La figlia di Trivia abbassò il pacchetto. Tutto a un tratto, non aveva più fame.

«Io non ti capisco» disse. «Prima… sei crudele con me. E poi ti comporti… così.» Lo osservò dall’altra parte delle fiamme. «Perché? Perché sei così… caldo e freddo, con me?»

Il ragazzo schiuse le labbra. Sembrò sinceramente spaesato dalla domanda. «Io…»

«Stai… cercando di scusarti con me per quella faccenda con le naiadi?»

«No… sì… cioè… io…»

«Che cosa cerchi di fare, Daniel?» domandò Camille. «Prima… prima mi allontani… e poi cerchi di riavvicinarti. Lo fai sempre. L’hai fatto al campo, quando hai saputo che avevo detto ad Ashley dei tuoi problemi. L’hai fatto in quella prigione, quando… quando non mi hai nemmeno degnata di uno sguardo, e poi sei venuto a consolarmi. E adesso questo. Perché… perché fai così?»

Daniel la osservò senza rispondere, con un’espressione di genuino stupore. Camille sentì lo stomaco attorcigliarsi. «Tu… tu non mi parli. Non mi dici niente. Non so mai se… se sto facendo qualcosa di giusto o di sbagliato, se ti sto dando fastidio oppure no. Se non ti piace quello che faccio, perché non me lo dici e basta?»

Altro silenzio. Il suo compagno la scrutava con la stessa aria smarrita di Dante, peccato che lei fosse lì, in carne e ossa di fronte a lui. Quando ripensò all’augure, il petto cominciò a farle male. Strinse il pacchetto di biscotti senza nemmeno rendersene conto. «Non… non capisco se… mi odi… o mi vuoi bene. Se sei arrabbiato con me oppure no.»

«No, Cam. Io… io non ti odio…» mormorò Daniel.

«E allora perché fai così? Mi sembra… mi sembra che tu mi stia prendendo in giro.» Camille incrociò il suo sguardo. «Che… che cosa sono io, per te? Un’amica? Una conoscente? Una… seccatura? Vuoi… vuoi che sia tua amica, ma senza che mi impicci? Perché… perché se è così…» Abbassò la testa. «Mi dispiace, ma non posso accontentarti. Io non… non voglio solo essere una conoscente che saluti e poi chi si è visto si è visto. Non voglio solo essere… un volto come tanti. Io voglio… voglio essere tua amica. Vorrei… vorrei tanto che tu… che io… che noi…»

Si morse le labbra con forza, con il cuore che martellava nel petto. Aveva detto di voler chiudere con lui, ma sapeva di non poterci davvero riuscire. Anche Kiana le aveva detto di non farlo, non così almeno. E poi… con tutto quello che stava succedendo nel mondo, con tutto quello che ancora dovevano affrontare, non poteva nemmeno essere certa che sarebbero sopravvissuti. Avevano solo più poche occasioni come quella per parlare. Doveva essere sincera, dire tutto quello che aveva da dire e togliersi quel peso dalla coscienza una volta per tutte.

«Vorrei tanto che tu… mi notassi. Vorrei che noi fossimo… qualcosa di più. Perché tu… tu mi piaci Daniel. Mi piaci davvero» disse, con un filo di voce. «Ma tu… tu lo sapevi già… giusto? Dopotutto…» Un sorriso amaro nacque sul volto della ragazza. Si asciugò una lacrima mentre scuoteva la testa. «… solo un cieco non l’avrebbe capito.»

Tornò a guardare Daniel con il viso che bruciava, questa volta però non per l’imbarazzo, ma per via del fuoco e di quel pianto che voleva riversarsi fuori da lei come un torrente. «Dimmi cosa vuoi, Daniel e io… io ti accontenterò. Se non mi vuoi tra i piedi… svanirò non appena avremo salvato mia madre. Se… se mi vuoi come amica, allora dovrai accettare il fatto che mi preoccupo per te. Se… se invece… tu ricambiassi i miei sentimenti… beh, potrei morire per la felicità, ma cercherò di non farlo perché per salvare Ecate dovrei essere viva» disse, riuscendo a ridacchiare tra le labbra tremolanti. «Ma ti prego, Daniel, parlami. Tu… sai cosa vorrei io. Adesso devi dirmi cosa vuoi tu. Non… non riesco più a sopportare questo silenzio. Non riesco a capirti se… se ogni volta che ti parlo… da parte tua c’è solo uno sguardo.»

Daniel rimase ancora in silenzio, con le labbra schiuse. Camille resse i suoi occhi scuri, macchiati di stupore, e attese una risposta, una risposta qualsiasi. Voleva soltanto capire una volta per tutte quel ragazzo. Dopo, avrebbe potuto mettersi il cuore in pace.

E quindi attese. E attese ancora, e ancora, con il fuoco che crepitava, gli sbuffi di Jack e il respiro pesante di Penelope, nella solitudine e nella desolazione di quel deserto.

Ma non arrivò nessuna risposta. Daniel serrò la bocca e abbassò gli occhi, incapace di guardarla ancora. Un pugno nello stomaco le avrebbe fatto meno male.

«Niente?» domandò incredula. «Non… non dici niente?»

Il ragazzo tacque. Non mosse nemmeno un muscolo. Non fece nulla. Niente. Niente di niente. Camille sentì le viscere annodarsi per la rabbia, ma mantenne il controllo. «Va bene. Ho capito. Ecco…» Gli lanciò di nuovo il pacchetto di biscotti. «… tieniteli pure. Non li voglio più. Non voglio più niente da te.»

Daniel prese la confezione al volo e la guardò di nuovo. Ecco un’altra cosa che non era cambiata: quello sguardo maledetto, privo di espressività, privo di tutto. Un paio d’occhi, che lei aveva reputato belli, e un viso con le guance pallide, che lei aveva reputato bellissimo, e nient’altro.

«Sono stata una stupida» disse ancora lei, affondando le dita nella pietra su cui si era seduta. «Scusa… se ti ho dato fastidio, Daniel. Non accadrà più. Te…» Le labbra le tremolarono, gli occhi bruciarono di nuovo; rischiava di piangere ancora, ma si impose di non farlo. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. E di sicuro non sarebbe sembrata ancora più patetica di quanto già non fosse. «… te lo prometto.»

Riportò la sua attenzione sulle fiamme e afferrò un biscotto con l’uvetta, mangiandoselo per distrarsi. Nemmeno il loro saporaccio riuscì a scacciare l’amaro nella sua bocca.

«YAWN

Sia Daniel che Camille sobbalzarono. Kiana uscì dalla tenda proprio in quel momento, ergendosi in tutta la sua statura e stiracchiandosi come un gatto. I suoi capelli erano una criniera disordinata, come se fosse appena uscita da una centrifuga. «Ah, ragazzi… certo che si dorme proprio da schifo lì dentro. Ho male dappertutto. Allora, il nostro amico si è svegliato o…» La figlia di Venere si accorse dei loro sguardi e si interruppe. «Ehm… che c’è? Che avete da guardare? È… per i miei capelli? Mi sono svegliata nel cuore della notte, santi numi!»

Andò a sedersi accanto a Camille, facendo schioccare la lingua. «Tsk… dovreste guardarvi voi due, anziché giudicare… oh, uvetta, buona! Ti dispiace, Cam?» Le fregò il pacchetto di biscotti e se ne caccio due in bocca assieme. «Munch munch glashie mille munch munch…»

Se non altro, la sua presenza molto “scenica” aiutò Camille a non pensare a Daniel. Almeno per quei quindici secondi.

«Allora…» disse proprio la figlia di Venere, mandando giù i biscotti. «Ehm… che si dice di bello?»

Naturalmente Daniel non rispose. Camille invece pensò al sogno che aveva fatto e si strinse nelle spalle. Non sapeva cosa la facesse sentire peggio, quello che aveva visto nel sogno, o il fatto che Daniel non le avesse detto nulla nonostante si fosse aperta in quel modo con lui. Sapeva che doveva concentrarsi di più sulle cose importanti, salvare Ecate, prevenire la fine del mondo e cose così, però allo stesso tempo, egoisticamente, il pensiero che lei per Daniel non significasse nulla le faceva molto più male.

Dovette sembrare davvero angosciata, perché Kiana le posò una mano sulla spalla. «Cam? Tutto ok?»

La ragazza si sforzò di ricacciare indietro un’altra lacrima e annuì. «Ho… ho fatto un sogno. Sarà… sarà meglio che ve ne parli.»

«Cose brutte?» domandò Kiana, con uno strano tono di voce, come se sperasse in una risposta negativa.

Purtroppo, non la ottenne.

«Cose molto brutte.»

«E ti pareva…»

Camille si accorse che Daniel la stava guardando di nuovo, in attesa, e si sentì terribilmente a disagio. Cercò di non guardarlo e raccontò il sogno che aveva fatto.

«Il… Carcere Marmentino?» sussurrò Kiana a racconto concluso. Rimase con il biscotto vicino alla bocca. «David… no…»

«Dobbiamo… dobbiamo continuare a muoverci» disse Camille. «Ashley verrà a cercarci, dobbiamo trovare Ecate prima che…»

«Non avete speranze.»

La figlia di Trivia sobbalzò, mentre a Kiana scappò un gridolino e il biscotto le volò via dalle mani, finendo dritto nel fuoco. Entrambe si voltarono verso il sacco a pelo di Elias, dove il pretore era seduto, gli occhi aperti e le labbra serrate; pareva volerli incenerire tutti con lo sguardo.

«Ben svegliato, Fido» riaprì bocca Daniel, mostrando l’unica emozione che sembrava in grado di provare, ossia la cattiveria. «Dormito bene?»

Elias strinse i denti. «Lasciatemi andare. È un ordine.» La sua voce era profonda, baritonale, con tanto di accento britannico. Ricordava quella di un uomo adulto. Lui stesso, alla veneranda età di diciott’anni, sembrava già un uomo.

«A-Aspetta un secondo!» Kiana era sconvolta. «Tu parli?!»

«Certo che parlo! Come pensi che comunichi con Ashley e i centurioni?»

«Non lo so… scrivendo?»

Il figlio di Plutone corrugò la fronte. Il suo sguardo sembrava dire: “Come ho potuto farmi catturare da questi idioti?”

«Non ve lo ripeterò un’altra volta. Liberatemi, subito!» Nonostante il tono severo, la voce di Elias tradiva alcune vene di agitazione.

«Perché non ti liberi da solo?» suggerì Daniel. «Vuoi forse dirmi che il secondo miglior pretore del Campo Giove non può liberarsi da due nodi ai polsi?»

Elias si irrigidì e scoccò un’occhiata incendiaria a Daniel. «Voi non capite la gravità della situazione. Ashley sa che siete qui. Non ci metterà molto ad arrivare.»

«E come fa a saperlo?»

«Perché gliel’ho detto io.» Elias fece vagare lo sguardo su tutti loro, soffermandosi su Camille per ultima. La ragazza sussurrò, calamitata a quegli occhi così lucenti e particolari. Il ragazzo parlò proprio mentre guardava lei: «Moreau ci ha parlato di una potenziale pista in Alaska. Stavo per partire, ma poi ho percepito la presenza di voi tre.»

«Cosa? E come?» domandò Kiana.

Elias grugnì. «Lo sapete perché questo posto si chiama “Valle della Morte”?»

«Per… le piante e gli animali che… fanno fatica a vivere qui?»

«Idioti. Si chiama così perché è il punto del paese che si trova esattamente sopra il regno di mio padre. A sud della valle c’è l’Averno.»

«L-L’Averno?» bisbigliò Camille. «Non… non è un punto d’accesso per gli Inferi?»

«Sì. Il Bacino di Badwater. Il punto più basso in assoluto di tutti gli Stati Uniti. Il Lago D’Averno si è trasferito lì, proprio come la porta di Morfeo a New York, o l’ingresso che tutti conosciamo a Los Angeles. Siete nel mio territorio. Credevate davvero di poterci scorrazzare senza che me ne accorgessi?»

Camille inorridì. Quindi, per tutto il tempo… avevano proseguito sotto gli occhi di tutti. O, quantomeno, di quelli di Elias. Per tutto il tempo… erano stati ad un passo dagli Inferi, in tutti i sensi. Il pensiero le fece accapponare la pelle.

«E tu hai detto ad Ashley che eravamo qui, proprio come un bravo cagnolino» concluse Daniel, l’unico che non sembrava affatto turbato da tutto quello.

Il figlio di Plutone sembrava un toro imbizzarrito pronto a esplodere proprio come Ashley nel sogno di Camille.

«Aspetta un momento, Elias» si intromise Kiana. «Se Ecate si trova nella Valle della Morte, perché non hai sentito anche la sua presenza?»

«Ecate è qui?» domandò il pretore, ora sembrando solo confuso. «Dove?»

Kiana e Camille si scambiarono uno sguardo.

«Come non detto…» borbottò la prima.

«Forse… forse Clizio maschera la sua presenza» suppose Camille, mentre si mordeva le unghie per la tensione. «Se Ecate ha detto che solo io posso sentirla, allora deve essere così e basta.»

Nessuno sembrava avere teorie migliori. Di sicuro non Daniel, che pareva tutto fuorché interessato alla vicenda. Quando Camille si rese conto di essere rimasta a guardarlo, trasalì e distolse lo sguardo.

Elias riprese la parola: «Sentite, lads. Ashley mi ha detto che se non vi avessi riportato al campo entro questa notte, ci avrebbe pensato lei a voiE quando vi troverà, perché vi troverà, se la prenderà anche con me per aver fallito. Se siamo fortunati, ci ucciderà tutti subito. Se siamo sfortunati, prima ci porterà nella Principia per divertirsi con noi come ha fatto con D’Amico e Moreau, poi ci ucciderà.»

«Non… non puoi dire sul serio!» sbottò Kiana.

Elias non rispose. Si limitò a guardarla dal basso, mantenendo il contatto visivo senza muovere nemmeno un muscolo. La sicurezza di Kiana vacillò secondo dopo secondo, finché non abbassò le spalle. «Oh, cavolo… dici sul serio…»

«Avete visto cos’è in grado di fare Ashley.» Il figlio di Plutone si dimenò dal sacco a pelo, senza risultati. «E immagino abbiate saputo cosa sta succedendo in tutto il paese. Sono stato in alcune città, mentre vi cercavo. La situazione è precipitata. I mortali sono nel panico, stanno scoppiando rivolte dappertutto. I morti dicono che presto verrà indetta la legge marziale.»

«I… i morti?» sussurrò Camille con un filo di voce, credendo di aver sentito male. In realtà, sperava di aver sentito male tutto.

Lo sguardo di Elias le fece capire che invece aveva sentito benissimo. «Sì, Gray, i morti. Sono ottime fonti di informazioni. Dovresti saperlo, dopotutto…» Le rivolse una strana smorfia. «… sei riuscita a controllare i miei scheletri, “regina dei fantasmi”. O forse dovrei dire “principessa”.»

In qualsiasi altra circostanza, sentirsi chiamare “principessa” da Elias sarebbe stato un sogno che diventava realtà, per Camille. In quel momento, invece, la cosa le incusse solamente una forte inquietudine, oltre che il desiderio di non sentire mai più per il resto della sua vita le parole “principessa” e “fantasmi” inserite nella stessa frase.

«Ho… ho solo avuto fortuna…» bisbigliò lei, incapace di sostenere ancora la vista di quelle monete lucenti che aveva al posto delle iridi. «Non ho idea di come si controllino i morti. Né di come si possa comunicare con loro.»

Udì lo schiocco della sua lingua. «Sì, certo. In ogni caso, presto l’esercito verrà schierato in tutto il paese, e potete stare certi che troveranno anche il Campo Giove. Alcuni mortali si sono già avvicinati troppo. Siamo riusciti a tenerli lontani, ma ne arriveranno altri. L’unica possibilità che tutti quanti abbiamo per salvarci la pelle, è lasciare che sia io a portarvi da Ashley. Quando vedrà che vi ho catturati, potrò convincerla a non farvi niente se ci direte dove hanno nascosto Ecate. Vi lasceremo sotto sorveglianza nel campo, in attesa di processo, e nel frattempo noialtri cercheremo Ecate e la libereremo. È l’unico modo per evitare il peggio.»

«Oppure possiamo andare avanti e trovare Ecate da soli» replicò Daniel, con un’alzata di spalle. «O, ancora meglio, potremmo aspettare che Ashley ci trovi e dare una bella lezione anche a lei. Proprio come abbiamo fatto con te.»

Il figlio di Plutone gli lanciò un’altra occhiataccia e Daniel per tutta risposta sogghignò di nuovo. Sembrava che infastidire Elias fosse l’unica cosa a dargli un briciolo di soddisfazione. Camille rimase uno spettatore silente di fronte a loro. Ripensò a quello che Dante le aveva detto nel sogno: non potevano battere Ashley. E, bene o male, era la stessa opinione che anche Elias aveva. Allo stesso tempo, però… fino al giorno prima non era nemmeno sicura che loro potessero battere lo stesso Elias, eppure c’erano riusciti, e anche in brevissimo tempo. O meglio, Daniel c’era riuscito.

Se Daniel avesse combattuto contro Ashley con la stessa irruenza con cui aveva combattuto contro Elias… che cosa sarebbe successo?

Il solo pensiero le faceva accapponare la pelle. La forza inarrestabile e l’oggetto inamovibile. Una tempesta potentissima che si scagliava contro un muro di oscurità indistruttibile.

E non stava nemmeno considerando sé stessa in tutto quello. Non era brava con i suoi poteri, questo era senza dubbio il suo difetto più grande, ma aveva visto i risultati di quando erano stati sprigionati al massimo. O almeno, credeva che fosse il massimo.

Se avesse imparato a controllarli al meglio… avrebbe potuto affrontare Ashley?

Strinse i pugni. Ma a che cavolo stava pensando? Ashley era pur sempre una semidea. Che fosse impazzita o meno, non doveva vederla come una nemica. Quel tipo di pensiero era proprio ciò che i loro veri nemici volevano. Volevano che si dividessero, che si combattessero tra di loro. Prima c’era stato l’attacco per spaventarli, poi la faccenda della talpa, ora quello. Volevano instillare panico e dubbi nella Legione, e ci stavano riuscendo.

Tutto a un tratto, le tornarono in mente le parole di Ruby: «Divide et impera, come dite voi. E voi sarete molto divisi

«No» affermò all’improvviso, drizzando la testa.

Kiana inarcò un sopracciglio. «No?»

Anche i due ragazzi interruppero la loro gara di sguardi per voltarsi verso di lei. Camille mandò giù il groppo alla gola, poi si alzò in piedi, ergendosi nel suo imponente metro e sessanta. «No» ripeté, guardando prima Daniel, poi Elias. «No a entrambe le cose. Non affronteremo Ashley. E non ci faremo nemmeno portare da lei.» Osservò tutti loro, uno ad uno. «Ma non capite? Stiamo facendo il gioco dei nostri nemici. Ci... ci stanno facendo combattere tra di noi. Ci stanno… dividendo…»

Tutto a un tratto, fu come se un altro tipo di nebbia fosse appena scomparso da di fronte a Camille. Spalancò la bocca, osservando il vuoto, il rumore della legna che scoppiettava a riempirle le orecchie.

«Cam?» Kiana si avvicinò per pungolarla al braccio «Stai… stai bene?»

La figlia di Trivia inclinò la testa verso di lei. «Hai… hai visto dei greci sotto attacco, giusto?»

«Sì…»

«E… e allora… perché, se siamo senza confini, il Campo Giove è stato attaccato solo una volta?»

«Ehm…»

«E se non fosse stato un vero attacco? Dante ha detto che cercavano le sue profezie, ma se invece… invece avessero avuto un altro scopo?» La figlia di Trivia osservò Elias dall’alto. «L’attacco… era per valutare le nostre difese. Clizio ha detto che… che i pretori ci hanno salvati. Hanno capito che tu e Ashley eravate i più pericolosi. E adesso che tu sei qui, e Ashley sta per lasciare il campo, assieme a un gruppo dei migliori legionari… e adesso che una coorte intera è fuori uso...»

«Miei dei…» Kiana spalancò gli occhi. «Il campo rimarrà sguarnito!»

Camille serrò le labbra, incrociando il suo sguardo angosciato.

«Quindi… Ashley ci rovinerà tutti» concluse Daniel, con un altro sorrisetto. «Ah, l’ironia…»

«Ti sembra il momento di scherzare?» sbottò Kiana. «Non l’hai mai fatto in vita tua, devi proprio cominciare adesso?!»

Il sorriso svanì dal volto di Daniel. «Scusa tanto» bofonchiò, per poi gettare altra legna in quel fuoco che ormai era più alto di Camille. Le fiamme lanciarono sfumature arancioni sui suoi occhi scuri, nei quali rimase ancora quel pizzico di malizia che non li aveva più lasciati da quando Elias si era risvegliato. Era come se, in qualche perverso modo, Daniel trovasse divertente tutta quella situazione così disastrata.

«Elias» proseguì Camille, sforzandosi di ignorare il suo compagno di viaggio – e il suo stomaco che continuava ad annodarsi imperterrito ogni volta che lo guardava. «Devi tornare indietro. Devi dire ad Ashley che sta commettendo un errore.»

Elias serrò le palpebre e scosse la testa. «Non posso farlo, Gray. Non posso tornare al campo senza di voi.»

«Elias, ascolta…»

«No, tu ascolta» Ia zittì il pretore. «Al momento la situazione è questa: da una parte c’è Ashley che vuole tutte le nostre teste, dall’altra abbiamo isteria di massa, mostri che attaccano città e che minacciano di invaderci il campo e dulcis in fundo la fine del mondo. Qualunque cosa io faccia, non servirà a niente. Le cose sono messe così male che probabilmente me ne starei più al sicuro negli Inferi che qui. Negli Inferi. Capisci cosa voglio dire?»

L’idea che gli Inferi fossero un luogo sicuro in qualsiasi modo era così assurda da far perfino ridere. Peccato solo che in quel momento le risate fossero l’ultima cosa di cui Camille aveva bisogno. Anzi, dopo quelle parole, l’unica emozione che riusciva a provare era una rabbia accecante. Affondò le unghie nei palmi. «Vuoi davvero mollare tutto così? E che ne sarà del campo? Che ne sarà di tutti i nostri amici?! Sei il nostro pretore, Elias, devi fare qualcosa! Non puoi…»

«Ci penso io.» Kiana le posò una mano sulla spalla. L’amica la tranquillizzò con un cenno del capo, che la lasciò stupita, dopodiché posò i suoi occhi cangianti su quelli del pretore. Andò ad accovacciarsi di fronte a lui, l’espressione stoica come un muro di marmo. «“Che razza di pretore è uno che esegue ciecamente gli ordini dell’altro?” Questa frase ti dice niente?»

Elias sussultò, apparendo genuinamente sorpreso. «E tu… tu come…»

«Hai sempre svolto ogni lavoro che Ashley ti ha assegnato senza fare storie» lo interruppe Kiana. «Ogni volta che c’era da sporcarsi le mani, Ashley mandava te. Te la sei perfino presa con Dante, uno che non potrebbe difendersi nemmeno se lo volesse. Lui era tuo amico. E tu l’hai aggredito solo perché era quello che voleva Ashley.»

Il figlio di Plutone sembrò colpito da quell’ultima parte, ma resse comunque lo sguardo di Kiana. Anche Camille si rattristì al pensiero di Dante che veniva torchiato da Elias, soprattutto se accostava tutto quello all’immagine di lui ferito che aveva visto nel sogno. E, soprattutto, se pensava a come nonostante i suoi problemi, nonostante le sue difficoltà, lui avesse comunque cercato di fare sempre la cosa giusta per tutti loro.

«Perché, Elias? Perché l’hai fatto? Qual è il senso di avere due pretori, se tanto è solo uno a comandare?» Kiana non sembrava arrabbiata. Aveva un tono di voce fermo, deluso perfino. «Ti ha ricattato con qualcosa? Ti ha minacciato? O c’è dell’altro?»

Elias non rispose. Distolse lo sguardo da lei e rimase chiuso in quel silenzio ermetico.

«Elias. Elias!» lo chiamò Kiana. Tutto a un tratto, divenne lei quella furibonda. Lo strattonò per il colletto della camicia. «Pretore Crowe! Hai appena detto che Ashley ci farebbe tutti fuori! Che ti farebbe fuori! È una maledetta psicopatica, eppure tu l’hai aiutata! Perché l’hai fatto?!»

Camille sobbalzò quando Kiana alzò la voce in quel modo. Meno male che voleva pensarci lei. «K-Kiana, calmati…»

«Io non mi calmo, Cam!» gridò la figlia di Venere. «Quella stronza ha fatto del male a Mary! Ha imprigionato tutti i nostri amici, e lui l’ha aiutata! Avrebbe potuto fermarla, e invece l’ha aiutata. È colpevole tanto quanto lei!»

«Credi che non lo sappia?!» tuonò a quel punto Elias, facendo sobbalzare Camille per la seconda volta. Riportò gli occhi su quelli di Kiana, i denti stretti in un’espressione di pura rabbia, in cui però la figlia di Trivia riuscì anche a scorgere un velo di tristezza, per non dire di dolore. «Credi… che non sappia che quello che ho fatto è sbagliato? Credi che ne vada fiero?!»

«Non ne ho idea, Crowe. Sei tu quello che deve decidersi ad aprire quella maledetta bocca» replicò Kiana, senza battere ciglio. Aveva detto a Camille di avere paura, ma in quel momento sembrava tutto fuorché spaventata. «Perché hai aiutato Ashley se sapevi che quello che faceva era sbagliato?»

«Perché anche lei era mia amica» sibilò Elias. «Quando l’ho conosciuta era una brava persona. Ci siamo sempre guardati le spalle. Ma poi… poi è cambiata. E quando le cose sono… scappate di mano… non ho avuto il coraggio di dirle di smetterla. Io… non volevo fare del male a Dante. Non volevo fare del male a nessuno.»

Sospirò profondamente. Tutto a un tratto, sembrava davvero dispiaciuto. «Ho fatto quello che ho fatto perché volevo aiutarla, perché speravo che… che se l’avessi fatto, lei sarebbe tornata come prima. Rivolevo solo la persona che ho conosciuto…» Abbassò la testa. «Mi… mi dispiace. Sono stato un pessimo pretore.»

Kiana rimase in silenzio. Anche Camille per un istante non seppe cosa dire. Se le avessero detto che un giorno Elias avrebbe avuto quell’espressione così mesta, lei non c’avrebbe mai creduto: non assomigliava nemmeno lontanamente all’augure severo e autoritario che tutti conoscevano. Ma adesso sapevano la verità. Ashley non l’aveva minacciato, non l’aveva ricattato, e allo stesso tempo lui non era mai stato d’accordo con lei. Semplicemente, le voleva bene. E soprattutto rivoleva la sua vecchia amica.

«Puoi ancora aiutarci, Elias» disse, accovacciandosi di fronte a lui. «Devi parlare con Ashley. Convincila a tornare indietro. Se è davvero tua amica, deve ascoltarti. Possiamo salvare Ecate, ma devi fidarti di noi.»

Gli occhi di Elias non si staccarono dai suoi. La sua espressione abbattuta mutò, facendosi più assorta, ma poi scosse di nuovo la testa. «Ashley… Ashley non mi ascolterà mai. Mi dispiace. Però…» aggiunse, prima che Camille si demoralizzasse. «… posso tornare al campo mentre lei non c’è, imbastire le difese e liberare la Quinta Coorte. Se davvero i nostri nemici vogliono attaccare, ci sarà bisogno di tutto l’aiuto possibile. Il Campo Giove non deve cadere per nessun motivo.»

La figlia di Trivia si strinse nelle spalle. Quell’idea era comunque meglio di niente, anche se avrebbe di gran lunga preferito non avere Ashley alle calcagna.

«Com’è che hai così tanta paura di Ashley?» domandò Daniel con uno strano tono di voce. Era rimasto in silenzio per tutto quel tempo, accanto al fuoco, la luce delle fiamme che lo faceva sembrare uno spettro.

Le braccia di Elias fremettero; aveva stretto le mani a pugno dietro la schiena. «Non ho paura di nessuno, García. E non ha senso che ti spieghi perché non posso convincerla, perché tanto non capiresti. Nessuno di voi capirebbe. Posso solo dirvi che lei non si fermerà di fronte a niente e a nessuno. Non volete trovarvi sulla sua strada. E adesso liberatemi. Non c’è più tempo da perdere.»

Camille si scambiò uno sguardo coi suoi compagni. Daniel fece schioccare la lingua e si girò di nuovo verso il fuoco, Kiana invece sollevò le spalle. La figlia di Trivia avrebbe voluto fare altre domande a Elias, soprattutto perché la sua ultima frase ricordava un po’ la stessa cosa che le aveva detto Dante. Era come se Elias e l’augure sapessero qualcosa riguardo Ashley che però loro non sapevano. Ma infondo, erano stati amici. Avevano completato insieme un’impresa. Chissà quante altre cose sapevano gli uni degli altri, cose che forse loro non avrebbero mai scoperto.

Però Elias aveva ragione, non c’era più tempo da perdere. E in ogni caso, non sembrava desideroso di parlare ancora con loro. Camille si inginocchiò dietro di lui e tagliò i lacci che gli legavano i polsi con la daga. Elias si rialzò massaggiandosi e si voltò verso di lei: ora che era di nuovo in piedi la sovrastava di almeno trenta centimetri, facendola sentire insignificante. La ragazza deglutì, sentendosi vulnerabile sotto a quegli occhi così profondi. Fece per indietreggiare, ma il pugno di Elias si strinse attorno al suo polso all’improvviso. Vi furono dei fruscii alle loro spalle, Kiana e Daniel che estraevano le armi forse, ma Camille non poté voltarsi per controllare. Elias la tirò a sé e chinò il capo su di lei, sezionandola con lo sguardo.

«Lasciala andare!» ordinò Kiana. Ostentò sicurezza, ma la sua voce tremolò.

Elias non l’ascoltò. Rimase concentrato soltanto su Camille, che dal canto proprio non mosse più un muscolo, forse per lo stupore, forse per la paura. La daga le era caduta dalla mano quando il ragazzo le aveva stretto il polso; era disarmata e alla sua mercé. L’aura di invincibilità di Elias era riapparsa quasi dal nulla, risucchiando via ogni suo desiderio di ribellarsi.

Deglutì, con le gambe che tremolavano, guardandolo come una preda braccata dal lupo. Si accorse però che il suo sguardo non era severo, o arrabbiato, anzi: era quasi come… se la stesse rivalutando. Elias serrò le labbra, poi si infilò la mano libera sotto il colletto, per sfilarsi una collana che Camille prima non aveva notato, un cordino a cui era appeso uno strano ciondolo.

«Hai potere sui morti. Come me. Pochi lo possiedono. Per qualcuno è un dono, per qualcun altro è una maledizione» esordì lui, gli occhi conficcati nei suoi, la voce così profonda che la fece fremere. «Per me, è un monito.»

Le prese la mano con un tocco così delicato che non sembrava nemmeno più il suo e gliela girò, invitandola a scoprire il palmo verso l’alto. Camille si lasciò guidare da lui e dalla sua presa ferma e calda, consapevole di essere diventata più rossa di un peperone. Elias le posò la collana sul palmo, poi chiuse entrambe le mani sulla sua, facendole stringere le dita sopra il ciondolo aguzzo e freddo.

«Se dovessi trovarti in difficoltà…» proseguì. «… piantalo a terra. So che non è molto, ma mi sembra il minimo che possa fare.» Le lasciò la mano e fece diversi passi indietro, allontanandosi da lei. «Più avanti c’è un’oasi sicura dove potrete fermarvi per la notte, se vi può interessare. La proprietaria è una mia amica, ditele che vi ho mandato io e lei vi farà rimanere. Buona fortuna Gray. Trovate Ecate.»

Camille abbassò la mano, realizzando che lui stava per andarsene. «Devi liberare Dante» disse all’improvviso, con tono severo. «Lui era tuo amico. Devi liberarlo. E chiedergli scusa. E poi devi chiedere scusa anche a Marianne e alla Quinta Coorte.»

Elias non rispose. Si limitò ad annuire, gli occhi di nuovo velati di tristezza. Chissà cosa gli stava passando per la testa. Svanì con un salto nell’ombra subito dopo. Il sibilo leggero del vento fu l’unico suono a riempire il silenzio che scese con la sua sparizione. Camille scoprì il palmo: in mezzo a esso si trovava il ciondolo di Elias, bianco e appuntito, poco più piccolo di una punta di lancia.

Kiana sbirciò da sopra la sua spalla. «Ehm… che cavolo è?»

«Un dente di drago» mormorò Camille, incredula.

«Ah, sì, certo…»

«Serve per evocare gli scheletri» spiegò Cam, alzando gli occhi. «Ma hai mai aperto un libro, tu?»

«Sì… certo…»

La figlia di Trivia scosse la testa. E poi il caso disperato era lei. Mise il dente nella tasca della giacca e osservò il cielo stellato.

«Forza. Andiamo a dare un’occhiata a quest’oasi.»

   
 
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