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Autore: My Pride    29/04/2022    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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How to be a good father (what you must not do with a teenage son) Titolo: How to be a good father (aka: what you must not do with a teenage son)
Autore: My Pride
Fandom: Superman
Tipologia: One-shot [ 5501 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: 
Clark Kent, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Damian Wayne
Rating: Verde
Genere: 
Generale, Slice of Life
Avvertimenti: What if?, Accenni slash
Blossom By Blossom: "Perché non mi hai chiamato prima?"
Blossom By Blossom: X ha ormai perso le speranze, quando vede Y raggiungerlo porgendogli una mano


BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    Non voleva essere arrabbiato con Jon. No, davvero. Eppure il comportamento di suo figlio stava cominciando a diventare insopportabile.
    Sapeva che avere a che fare con un adolescente non era facile a propri, men che meno lo era affrontare la pubertà del suddetto adolescente se era per metà kryptoniano. Gli sbalzi d'umore erano incrementati e i poteri si sviluppavano a tal punto che i momenti imbarazzanti erano inevitabili, ma quelle erano cose che erano riusciti ad affrontare insieme spazzando via la vergogna del momento. Certo, Clark aveva dovuto ripetere a Jon più e più volte, nel corso dell'anno precedente, che era normale che la sua vista a raggi X si attivasse quando si trovava in stati di eccitazione e gli aveva anche fatto il discorsetto nonostante Jon avesse provato a tapparsi le orecchie e non sentire, quindi quella fase l'avevano superata alla grande.
    Il problema stava cominciando a porsi durante le missioni a cui Jon partecipava in sua compagnia, poiché suo figlio, dall'alto dei suoi quindici anni, aveva cominciato a sentirsi in grado di fare qualunque cosa. Aveva sentito dire che i ragazzi a quell'età si sentivano invincibili, ma Jon, complice anche il fatto di essere in parte kryptoniano, aveva preso un po' troppo alla lettera quelle parole. Così Clark era costretto più volte a tenerlo a bada o a evitare che si gettasse a capofitto nelle azioni più disparate, frenando il suo entusiasmo quando gli sembrava che esagerasse un po' troppo.
    Lo scontro di quel pomeriggio, però, era stata la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Imbottigliato in una riunione straordinaria della Justice League alla Torre di Guardia, Clark ci aveva messo un secondo di troppo per rendersi conto che qualcosa non andava a Metropolis e, scusandosi con i presenti, era volato direttamente nello spazio fino alla Terra, entrando nell'atmosfera come un piccolo meteorite che per poco non si era schiantato al suolo; quando aveva raggiunto la città e aveva visto uno dei robot di Luthor seminare il panico fra le strade, si era subito gettato a capofitto nello scontro... notando la figura di Jon solo in un secondo momento. Lo aveva visto ferito ad un braccio e avevano cominciato a discutere in volo mentre combattevano contro quell'ammasso di ferraglia, ma Clark era rimasto scombussolato nel sentire Jon dirgli di stare zitto e di continuare a lottare. Tutto aveva pensato tranne che il figlio avrebbe risposto in quel modo, anche se non aveva avuto il tempo di dire altro poiché quel robot non aveva dato loro respiro. Così, dopo averlo messo al tappeto e rispedito i resti al mittente, erano volati direttamente sulla cima del Daily Planet, dove Jon si era poggiato a braccia conserte contro il globo per fissare la città sotto di loro. Il suo braccio era già guarito, ma era rimasto uno squarcio nella manica della sua felpa che lasciava intravedere la pelle ancora un po' arrossata.
    Clark trasse un respiro per immagazzinare tutta la calma di cui disponeva, volandogli accanto qualche momento dopo. «Io e te dobbiamo parlare, ragazzo», affermò in tono incolore, soprattutto a causa del modo in cui suo figlio stava accuratamente evitando il suo sguardo.
    «Non c'è niente di cui parlare», replicò difatti Jon, cosa che fece assottigliare un po' le palpebre a Clark.
    «Ti stai comportando come uno sconsiderato, Jonathan».
    Jon non si voltò, ma Clark fu certo che avesse arricciato il naso. «Sto facendo esattamente quello che facevi tu e quello che faceva Conner».
    «È completamente diverso. Sai che non voglio che tu ti lanci a capofitto in queste imprese». Clark gli volò davanti quando Jon distolse di nuovo lo sguardo, costringendolo a fissarlo. «Perché non mi hai chiamato prima?»
    «Perché avevo tutto perfettamente sotto controllo, papà».
    «Per questo sei stato ferito?»
    «Lo so che hai avuto anche tu le tue batoste, non credo più alla favoletta che tu fossi infallibile», affermò il ragazzo, continuando ostinatamente a fissare le strade e il traffico che sfrecciava sotto ai suoi occhi. «Non sono più un bambino, posso affrontare qualche robot impazzito che scorrazza per Metropolis senza la supervisione di un adulto».
    Clark gemette interiormente. Oh, Rao. Gli adolescenti erano davvero tutti così saccenti, oppure frequentare Damian a lungo andare aveva fatto diventare Jon più irrequieto? «Jon, voglio solo che tu sia al sicuro», gli disse, e fu a quel punto che Jon si voltò davvero verso di lui, sgranando gli occhi.
    «Pensi che io non lo sia?» domandò in un soffio, e Clark disse una cosa che non avrebbe mai creduto potesse uscire dalle sue labbra.
    «Penso che tu creda di essere pronto, quando è evidente che non lo sei affatto».
    Sul volto di Jon comparve un turbinio di emozioni che lasciarono Clark sbigottito, soprattutto sapendo che i poteri di Jon, molto spesso, dipendevano proprio dal suo stato d'animo e da come si sentisse; l'aria intorno a lui divenne carica d'elettricità, e nell'abbassare le braccia lungo i fianchi il punto del globo contro cui era rimasto poggiato fino a quel momento si piegò un po', come se avesse usato una sorta di telecinesi tattile per provocare quella conca. «Stai dicendo che non so fare il mio lavoro?»
    «Sto dicendo che sono tuo padre e che devi ascoltarmi, Jonathan».
    Jon lo fissò per attimi interminabili, gli occhi sempre più ingigantiti dall'indignazione. «Non ti fidi di me?»
    «Non ho detto questo, ma--»
    «...ma mi tratti ancora come se avessi dieci anni!» esclamò, interrompendolo subito. «Se volevi controllarmi non avresti dovuto farmi diventare un eroe!»
    Sollevando entrambe le mani in segno di resa, Clark si avvicinò di qualche centimetro, il mantello che svolazzava pigramente intorno a lui, avvolgendolo. «Calmati, ragazzo», provò, ma riuscì solo a far arrabbiare maggiormente il figlio.
    «Non dirmi di calmarmi!» Jon scattò all'indietro quando il padre tentò di poggiargli una mano su una spalla, flettendo le gambe qualche momento dopo; e, prima ancora che Clark potesse dire o fare qualcosa, il ragazzo infrase la barriera del suono e volò il più ontano possibile da lui, provocando un turbinio d'aria che lasciò Clark destabilizzato per un momento.
    «Jon!»
    Clark tentò di richiamarlo nel ruggito del vento, volandogli anche dietro il più rapidamente possibile, ma lo perse di vista quando superarono la periferia di Metropolis come se fosse letteralmente scomparso dai radar; anche provare a sintonizzarsi sul battito del suo cuore fu del tutto inutile, poiché l'agitazione era tale che i suoi poteri sembravano impazziti al punto di ricordare l'ago di una bussola e Jon, nel corso degli anni, aveva anche imparato come svignarsela senza farsi beccare quando non aveva intenzione di farsi trovare. Ah, dannazione. Lois gli avrebbe sicuramente fatto una strigliata coi fiocchi perché non aveva--
    Fu il suono del suo comunicatore a riportarlo alla realtà e premette distrattamente il pulsante dietro l'orecchio sinistro, sperando che non fosse richiesta la sua presenza. Non aveva esattamente la testa per pensare a qualcos'altro che non fosse il ritrovare quello sconsiderato di suo figlio. «In questo momento sono impegnato, B», disse subito prima ancora che il suo interlocutore potesse parlare, ma alle orecchie gli giunse un curioso sbuffo infastidito.
    «Puoi spiegarmi per quale motivo tuo figlio è appena entrato come una furia nella villa, rompendo le finestre del mio salone?»
    Oh, ecco dov'era andato Jon. Forse avrebbe dovuto immaginarlo. Gemendo interiormente, Clark si ravvivò i capelli all'indietro mentre guardava il via vai sotto di sé. «Scusa, B, vengo subito a prend--»
    «No», venne immediatamente interrotto. «Questa è la cosa più sbagliata che potresti fare». Il tono di Bruce sembrava molto serio, e Clark non era certo di averlo mai sentito cos al di fuori della maschera. «Ne parliamo davanti ad una fetta di devil's food».
    «...vuoi solo una scusa per mangiare poco sano lontano da Alfred».
    «Parole tue, non mie. Ci vediamo tra due ore», tagliò corto, interrompendo la comunicazione prima ancora che Clark potesse dire qualcosa.
    Sospirando afflitto, e resistendo all'impulso di volare comunque verso villa Wayne per cantarne quattro a suo figlio, Clark si lasciò cadere seduto sul bordo di un edificio e si massaggiò le tempie con entrambe le mani, cercando di fare mente locale. Aveva esagerato davvero? No, lui voleva solo che suo figlio fosse al sicuro e... oh, Rao, accidenti.
    Forse avere a che fare con un adolescente era molto più difficile di quanto avesse creduto


    A Clark era sempre piaciuto considerarsi un buon padre.
    Aveva sempre fatto di tutto per esserlo e per crescere bene suo figlio, ringraziando di avere al proprio fianco una donna come Lois per affrontare insieme quella che molti genitori consideravano una sfida. Inizialmente avevano pensato che, essendo per metà umano, non avrebbe avuto i poteri e non avrebbero dovuto preoccuparsi, anche se Clark era rimasto vigile nell'eventualità che ciò accadesse; quando Lois lo aveva chiamato per dirgli che Jon era volato sul soffitto mentre lei cercava di cambiargli il pannolino, aveva persino inventato un'urgenza in famiglia ed era uscito da lavoro per andare a darle una mano, facendo i conti con un neonato kryptoniano dai poteri instabili. Le cose erano migliorate nel corso degli anni, certo... anche se era stato terribile affrontare lo sviluppo dei poteri di Jon quando aveva cinque anni e stargli accanto nei momenti di crisi era stata l'unica cosa che lui e Lois avevano potuto fare, abbracciandolo e mormorandogli che sarebbe andato tutto bene per sovrastare il più possibile i rumori del mondo.
    A lungo andare gli avevano impedito di usare i suoi poteri finché, per un incidente fatale, non aveva usato la sua vista calorifica e ucciso il gatto di Lois, sentendosi talmente male per quanto aveva fatto che ne era rimasto terrorizzato. E quando Jon era stato rapito da Damian perché credeva fosse una minaccia per qualunque creatura vivente sul pianeta, quello terrorizzato era stato Clark stesso. Era stata una fortuna che le cose tra i ragazzi si fossero risolte abbastanza bene da rendere più stabili i poteri di Jon e Damian come una sorta di partner per sfogare il suo senso di responsabilità verso il mondo che lo circondava, e Clark non avrebbe mai pensato, anni dopo, che quei due sarebbero diventati letteralmente inseparabili.
    Damian aveva davvero aiutato Jon, era stato per lui un catalizzatore per migliorare l'uso dei suoi poteri e renderlo un ragazzo fiducioso nelle proprie capacità, ma adesso che Jon aveva quindici anni stava diventando tutto troppo da affrontare. Forse la verità era che Clark si rifiutava di ammettere che suo figlio stava crescendo e che presto o tardi avrebbe abbandonato il nido. Credeva nelle capacità di suo figlio, ci credeva davvero, ma a volte era davvero difficile pensare che stesse diventando poco a poco un uomo e che non lo avrebbe più visto come un punto di riferimento nella sua vita; Clark faticava a distanziarsi del tutto da Jon - era il suo unico figlio, forse era giustificato? - e si rendeva conto che stava vivendo e subendo dei cambiamenti - la sua voce aveva cominciato a cambiare intorno agli undici anni, l'inizio della pubertà era stata una batosta e Clark aveva sottilmente capito che Jon aveva una cotta, anche se il ragazzo non aveva voluto entrare nei dettagli -, e si sentiva abbastanza a disagio da aver sviluppato inconsapevolmente una sorta di diniego. Per farla breve, Clark era terrorizzato dalla consapevolezza che suo figlio stesse crescendo.
    «Quindi tu e Jonathan avete semplicemente litigato».
    La voce di Bruce lo fece riemergere dai catastrofici pensieri che gli avevano affollato la testa, e si rese conto solo in un secondo momento che stava fissando la sua fetta di torta di mele da ben dieci minuti. La panna si era completamente sciolta, ed era diventato un ammasso bianco e informe che aveva reso molle tutta la crosta inizialmente croccante al di sotto di essa. Si erano incontrati nella solita tavola calda lì a Metropolis - Clark aveva proposto di volare fino a Gotham, ma Bruce glielo aveva severamente vietato perché aveva temuto che si presentasse alla villa per fare due chiacchiere con Jon -, e aveva aspettato l'arrivo di Bruce che era andato fin laggiù col suo jet privato. Essere un miliardario eccentrico aveva i suoi privilegi, certe volte.
    «Non abbiamo esattamente... litigato», disse Clark, affondando con le spalle nella morbida imbottitura della sedia. «Non mi sembra così sbagliato desiderare che mio figlio si tenga lontano dai guai».
    «E glielo hai detto?»
    Clark sollevò lo sguardo per fissare il volto di Bruce e sbatté le palpebre per un secondo, come se non avesse compreso la domanda. «Certo che gliel'ho detto, ma ha pensato che credessi che non fosse al sicuro».
    «E che tu non lo credevi pronto».
    «Come hai...»
    «Potrei aver vagamente sentito qualcosa mentre Jonathan ne parlava con Damian», affermò Bruce in tono tranquillo mentre tagliava un pezzo della sua torta - come facesse ad ingurgitare tutto quel cioccolato era ancora un mistero -, rendendo fin troppo palese che, in qualche modo, avesse intercettato la conversazione dei due ragazzi.
    «Li hai spiati?»
    Bruce sbuffò sarcastico, il che era una novità bella e buona. «Tuo figlio parlava a voce talmente alta che non ce n'è stato bisogno, Smallville».
    Clark fece per aprire bocca e ribattere, ma incassò maggiormente la testa nelle spalle mentre rimuginava tra sé e sé. Jon era volato via furente, aveva rotto delle finestre per andare alla villa e si era messo a discutere animatamente col suo migliore amico riguardo al loro litigio... sì, forse non avrebbe dovuto meravigliarsi se Bruce aveva sentito gran parte della loro conversazione. «Non capirò mai come tu faccia a sopportare tutto questo», disse infine con un lungo sospiro, ma Bruce, dopo essersi ripulito un angolo della bocca con un fazzoletto, abbandonò la forchetta ad un angolo del piatto e lo fissò con una tale intensità che Clark si sentì a disagio.
    «Non smetto di preoccuparmi per i miei figli nemmeno per un secondo, Clark. Questo lo sai bene».
    «Lo so... e credo nelle capacità di Jon, dico sul serio. Ma non riesco a non pensare che potrebbe farsi male e--»
    «Sono i rischi del mestiere. Per questo devi essergli accanto senza fargli pesare la tua presenza».
    «A parole sembra facile».
    «Quando impari come comportati, lo diventa davvero. Jonathan sta solo attraversando una fase, le cose miglioreranno».
    Clark si scompigliò i capelli con una mano, fissando la propria torta di mele per attimi interminabili. «Mi sembra quasi di non riuscire più a comunicare con mio figlio come prima, Bruce. Era molto più facile quando aveva dieci anni», affermò, ma quelle parole provocarono a Bruce uno strano scoppio di ilarità che lui fissò ad occhi sgranati.
    «Se Damian fosse stato tuo figlio, saresti morto da un pezzo, Smallville».
    «Non è una cosa carina da dire, Bruce».
    «Ma è la verità». Il tono di Bruce suonava vagamente divertito e canzonatorio. «Sei in crisi soltanto perché Jonathan vuole la sua indipendenza. Ha quindici anni, è normale che cerchi di allontanarsi dalla tua ombra, ho avuto a che fare con abbastanza adolescenti da sapere di cosa parlo. Damian è in quella fase da quanto aveva dieci anni e tu non avresti resistito un minuto», scherzò, sollevando un angolo della bocca in un sorriso quando vide l'espressione stranita di Clark.
    «Stai dicendo che non so cavarmela?»
    «Quello che sto cercando di dire», continuò Bruce, «è che sei un buon padre e non devi farti abbattere da questo genere di ostacoli. Per quanto ironico possa suonare detto da me, parla con tuo figlio e ascoltalo, piuttosto che ribattere ad ogni sua parola».
    Clark non avrebbe voluto, ma dalle sue labbra scappò un grugnito piuttosto profondo mentre punzecchiava la crosta della sua torta. «Scusa, Bruce, ma tu non sei esattamente l'esempio di padre che ascolta i figli».
    «Ed è per questo motivo che te lo sto dicendo».
    «Credo di non seguire il tuo ragionamento», ammise Clark, accigliandosi.
    «Clark... occuparmi dei ragazzi mi ha fatto capire una cosa, nel corso degli anni: devi lasciare che tuo figlio faccia le proprie scelte e affronti le conseguenze». Bruce sollevò subito una mano per frenare la replica sicuramente indignata, visto il modo in cui Clark aveva storto il naso. «E con questo non ti sto dicendo di accettare passivamente che lui si getti a capofitto nelle battaglie. Ti sto dicendo di guidarlo in esse, di capire il suo comportamento e di fargli comprendere i limiti e i pericoli che non riesce ancora a vedere. E devi farlo in modo che lui non creda che tu voglia avere il controllo su di lui, ma che tu stia cercando il confronto».
    Clark tacque per attimi che parvero interminabili, assimilando quelle parole come se fossero state energia solare da immagazzinare. Bruce poteva anche non essere il migliore dei padri - o almeno così affermava lui stesso -, ma voleva bene ai propri figli e aveva davvero affrontato l'adolescenza di tutti loro al meglio delle sue possibilità, anche grazie all'aiuto di Alfred. «...ha mai funzionato con Damian?» gli venne comunque spontaneo chiedere, e Bruce, per quanto avesse sorriso accondiscentente, ci mise un secondo di troppo per rispondere.
    «I nostri figli non sono uguali, ma sono abbastanza simili».
    «Non è la risposta che mi aspettavo», ammise Clark, tagliando un pezzo di crostata sotto lo sguardo serio di Bruce.
    «Damian compirà diciassette anni tra cinque mesi, Clark. Lui e Jon sono sempre stati diversi anche a causa del modo in cui sono cresciuti, e mentirei se dicessi che aver imposto delle regole restrittive a Damian è stato facile. Abbiamo dovuto lavorare entrambi sui nostri comportamenti e sulle nostre abitudini, e ci sono stati momenti in cui ce ne siamo davvero dette di cotte e di crude». Bruce tacque un attimo, abbassando le palpebre per mezzo secondo prima di tornare a fissarlo. «Ma siamo riusciti a venirci incontro, in un modo o nell'altro. Ci riuscirete anche tu e Jonathan non appena ne parlerete con calma. Ciò che conta è che tu non perda le speranze e che capisca che tuo figlio ha ancora bisogno di te, anche se non nel modo in cui sei sempre stato abituato. Solo perché sta crescendo non vuol dire che tu non debba essere presente».
    Seppur passandosi una mano fra i capelli mentre raddrizzava la schiena, Clark ripeté più e più volte quelle parole nella propria testa, come a volerle ben imprimere nelle pareti del suo cervello. Per quanto i comportamenti di Jon avessero fatto presa sul suo istinto paterno e lo avessero spinto ai limiti, nelle parole di Bruce c'era sicuramente un fondo di verità: anche se Jon non lo vedeva più come prima, era pur sempre suo padre e il oler affermare la sua dipendenza non significava un attacco al suo stato genitoriale. Lasciargli spazio era davvero ciò di cui aveva bisogno? Forse la verità era che in quanto padre pretendeva un certo tipo di rispetto, ma non ne dava abbastanza a Jon per lasciare che facesse le cose in autonomia.
    «Grazie... Bruce», sospirò infine Clark, abbandonando la forchetta nel piatto ormai vuoto. «Ne avevo decisamente bisogno».
    Bruce fece giusto un breve cenno col capo. «Quando vuoi, Smallville», rimbeccò nel mettere mano al portafogli prima ancora che l'amico potesse dire qualcosa.
    «Vuoi che venga a--»
    «Non c'è bisogno che tu venga a prenderlo», tagliò subito corto Bruce, capendo dove voleva andare a parare. «Lascia sbollire il ragazzo. È alla villa, lì è completamente al sicuro se ti preoccupi di questo. E venire a prenderlo come se fosse un bambino è un altro comportamento che dovresti evitare», gli rese noto, ignorando il modo in cui Clark storse il naso. «Torna a casa e avverti Lois. Dille la verità su quanto è successo o dille semplicemente che Jon passerà il fine settimana con Damian, ma non preoccuparti ulteriormente. Tuo figlio è assolutamente in grado di badare a se stesso».
    Quando si salutarono non ci fu bisogno di dirlo, ma Clark apprezzò molto quelle parole e il modo in cui gli era stata porta metaforicamente una mano. E per una volta fu lui a seguire il consiglio di Bruce.


    Jon aveva deciso di tornare a Metropolis solo nel pomeriggio di lunedì, esattamente dopo la scuola.
    Aveva apprezzato che suo padre non fosse volato fino a Gotham per fargli una scenata e non lo avesse messo ulteriormente in imbarazzo - se lo avesse fatto davanti a Bruce, o peggio Damian, Jon si sarebbe seppellito dall'imbarazzo dopo avergli urlato contro -, ma aveva tergiversato parecchio prima di prendere quella decisione a mente fredda.
    Essersi sfogato con Damian era servito e Damian stesso, capendo come si sentisse, gli aveva dato tutto il supporto di cui aveva avuto bisogno, e forse era stato persino terapeutico sapere che anche lui aveva passato quella stessa fase. Il sentirsi inadeguati, sempre controllati in ogni singola mossa e col timore di deludere il proprio padre, l'essere trattati come un bambino e costantemente tenuti d'occhio senza poter dimostrare il proprio valore... tante piccole cose che, sommate l'una all'altra, avevano rotto la diga che Jon si era sempre tenuto dentro, nascondendo il tutto dietro un atteggiamento solare e scanzonato che alla fine era crollato.
    Voleva bene a suo padre, era sempre stato il suo eroe sin da quando aveva memoria - e non perché fosse Superman -, ma il suo essere iper-protettivo era estenuante e non gli consentiva di crescere e imparare dai propri errori. Capiva che suo padre aveva paura per lui, Jon non era stupido, ma aveva bisogno di sentirsi rispettato e di essere capito anche quando sbagliava. Stava attraversando una fase della sua vita tutt'altro che facile e l'incremento dei suoi poteri non aiutava a mantenere stabili le sue emozioni, e quell'essere visto ancora come un bambino lo innervosiva in modi che non aveva mai creduto possibili.
    Damian gli aveva detto che era normale. Dopo un lungo abbraccio di cui aveva sentito sinceramente il bisogno, col capo abbandonato sulle cosce di Damian, Jon non aveva fatto altro che lagnarsi di suo padre e borbottare di continuo, e Damian lo aveva lasciato fare e ascoltato con attenzione, spiegandogli che anche lui, anni addietro, aveva avuto dei diverbi con suo padre a causa degli standard che gli imponeva e soprattutto per la poca libertà che gli lasciava, oltre al continuo sentirsi giudicato per ogni cosa che faceva. Quindi, sì, Damian aveva capito perfettamente cosa aveva provato nel sentirsi sminuito in quel modo, per quanto fosse stato costretto a ricordargli di calmarsi quando aveva cominciato a camminare avanti e indietro per la stanza e ad animare tutti gli oggetti che toccava a causa della sua telecinesi tattile.
    Quello era un altro potere che non si era aspettato di avere, a voler essere sincero con se stesso. Anche Damian era rimasto piuttosto scombussolato quando, durante uno dei loro pattugliamenti, nel sentirsi in pericolo Jon aveva creato un campo di forza intorno a sé e aveva fatto letteralmente volare via i criminali che lo avevano circondato. Con quella nuova consapevolezza, lui e Damian si erano concentrati su quel nuovo potere e Jon aveva anche imparato ad usare anche esplosioni telecinetiche proprio come faceva Conner, migliorando persino la propria capacità fisica e la visione dello spettro elettromagnetico. E avrebbe davvero voluto che suo padre capisse questo, che capisse che ce la metteva tutta per essere un bravo eroe e per essere sempre migliore, cosa che non sembrava voler prendere minimamente in considerazione. E la cosa era alquanto snervante.
    «Vuoi che venga con te, J?»
    La domanda improvvisa di Damian lo riportò alla realtà e Jon, che si era poggiato a braccia conserte con una spalla contro la finestra, si voltò a metà verso di lui. Gli aveva detto che sarebbe volato a casa, ma era da ben dieci minuti che stava guardando il giardino senza muovere un muscolo. Accidenti, dov'era finita tutta la spavalderia che lo aveva animato fino a quel momento? Forse era a causa del modo in cui stava tergiversando che Damian gli aveva posto quella domanda?
    Con un sospiro, Jon si sedette sulla cassapanca posta sotto la finestra e si poggiò contro il muro. «Lo apprezzo, ma no», ammise, vedendo Damian avvicinarsi per accomodarsi al suo fianco, sul lato destro. «È una cosa che devo fare da solo».
    «Allora datti da fare». Damian gli diede un pugno sul bicipite a mo' di esortazione prima di gettargli un braccio dietro alle spalle, e lui gli lanciò un'occhiata. Difficilmente Damian gli dava supporto in quel modo così fisico, ma Jon lo apprezzò molto e il suo volto si rilassò, chinandosi alla sua altezza; le loro labbra si unirono in un bacio veloce, appena accennato, prima che Jon si decidesse davvero ad uscire dalla finestra.
    Non ebbero bisogno di ulteriori parole. Si sorrisero e, un po' impacciati, si scambiarono un altro bacio a fior di labbra prima che Jon gli regalasse un ultimo sorriso e si librasse verso l'alto, aumentando gradualmente la velocità prima di sparire dai cieli di Gotham con un boom sonico. E quando tornò a Metropolis, Jon non si meravigliò di trovare suo padre proprio sull'edificio del Daily Planet, seduto esattamente al centro dell'enorme globo dorato.
    Jon si massaggiò dietro al collo, fissando le spalle rigide di suo padre e il modo in cui lo sguardo sembrava perso sul via vai che brulicava in città fra le strade, come se stesse ascoltando il mondo intero. Lui, invece, aveva allontanato da sé tutto il resto e si era concentrato solo sul battito del cuore del genitore, incassando un po' la testa nelle spalle mentre continuava ad osservarlo; non lo aveva mai visto così... arreso. Appariva davvero stanco, fiacco, e Jon si chiese se ciò fosse dovuto al suo comportamento. Ma avevano sbagliato entrambi, non era forse così?
    Battendosi le mani sulle guance, Jon si fece coraggio e gli volò incontro, arrivandogli proprio alle spalle senza dire una parola per una manciata di secondi che gli parvero secoli. Non era certo che suo padre si fosse accorto della sua presenza, così trasse un sospiro mentre perdeva quota. «Ciao», disse solo, e fu a quel punto che Clark raddrizzò la schiena e si voltò, con gli occhi sgranati e l'espressione di chi sembrava non dormire per giorni.
    «Jon, io...»
    «Fammi parlare, papà», lo interruppe subito, lasciandosi cadere al suo fianco con le mani poggiate sul bordo dell'edificio. Nessuno dei due parlò per molto tempo, almeno finché Jon, giocherellando con la zip della sua felpa, non sollevò infine lo sguardo verso il padre. «Lo sai che ti voglio bene. E so che ti preoccupi perché sono tuo figlio, ma ho bisogno dei miei spazi, lo capisci?» domandò, e Clark ricambiò il suo sguardo.
    «Lo capisco, ragazzo. E mi dispiace se ti è sembrato che non mi fidassi di te».
    Jon si morse il labbro inferiore, massaggiandosi un braccio. «Forse l'altro giorno ho esagerato un po' anch'io... ma a volte mi sento soffocare», gli disse a mezza bocca, sentendosi persino un po' a disagio per averlo detto, ma doveva mettere le cose in chiaro sin da subito, o non sarebbero arrivati da nessuna parte. E sentire suo padre sospirare lo fece irrigidire un po'.
    «Mi spiace, Jon. Sono stato duro con te e non ho cercato di capire come ti sentivi», ammise infine Clark. «Però, quando ti ho visto combattere da solo, ho pensato--»
    «Capisco che tu abbia paura, papà, davvero», tagliò corto Jon nel fissarlo con attenzione. «Ma dovresti anche capire che solo se sbaglio posso imparare e crescere. Dovresti darmi fiducia, credere nelle mie capacità». Si passò una mano fra i capelli, ravvivvando all'indietro i ciuffi ribelli. «Mi sono allenato per questo, per renderti orgoglioso. E mi fa male pensare che tu non--»
    Fu a quel punto che Clark si alzò, volandogli davanti per poggiargli entrambe le mani sulle spalle e interrompere immediatamente il filo del discorso di suo figlio. «Io sono orgoglio di te, Jon. Non dubitare mai di questo».
    «Allora perché mi sento come se tu mi vedessi ancora come un bambino?»
    La domanda di Jon lo spiazzò per un attimo, tanto che Clark sgranò gli occhi e si ritrovò a fissarlo attentamente in viso. I lineamenti del volto del figlio erano duri, come se avesse serrato la mascella per evitare di dire qualcosa, e anche il modo in cui si era irrigidito faceva benissimo capire che non si sentiva a suo agio. Per un momento Clark quasi temette di aver perso le speranze, di non riuscire più a far capire a Jon che voleva cercare di essere un buon padre, perché l'ultima cosa che voleva era che dinanzi a loro si innalzasse un muro comunicativo che lo avrebbe escluso una volta per tutte, senza dargli la possibilità di capire davvero come si sentisse suo figlio; ma, visto che Jon era tornato e gli aveva teso una mano, potevano cercare di capire l'uno i punti di vista dell'altro e venirsi incontro.
    «Ho le mie colpe. Pensare che tu stia cambiando, che tu stia crescendo e stia giustamente trovando la tua identità, è disorientante anche per me». Clark sospirò. Dirlo apertamente aiutò anche lui, perché era vero. Era rimasto nella bolla emozionale che l'aveva accompagnato fino a quel momento, che aveva creato una sorta di illusione in cui lui si era crogiolato senza accettare la crescita di Jon, e il risultato di quel suo impuntarsi si era riversato su di loro come un fiume in piena. «Ma avrei dovuto capire prima come ti sentivi, ragazzo. Sono consapevole di quanto siano maturate le tue capacità».
    Jon aveva ascoltato con attenzione, ma alla fine scosse la testa. «A volte mi sembra che non sia abbastanza. Che tu abbia troppe aspettative». Incassò la testa nelle spalle, palesemente a disagio. «Persino la gente che salvo si aspetta che io sia la tua fotocopia... ma io non so te, papà».
    Io non sono te, papà. Quelle parole rimbalzarono nella mente di Clark più e più volte, roteando come una trottola che non aveva intenzione di fermarsi. Ecco un altro problema su cui Clark non si era mai soffermato: ciò che Jon avrebbe potuto provare nel ritrovarsi un giorno a dover camminare nelle sue scarpe. Tutti quei poteri, tutte quelle responsabilità... erano troppe per un ragazzo di soli quindici anni che già sentiva sulle spalle il peso del mondo.
    «Mi dispiace, Jon», disse infine. «Ho sottovalutato come ti sentissi e ho sminuito i tuoi gesti, senza rendermi conto che stavi cercando di dimostrarmi che sei assolutamente in grado di gestire ciò che comporta essere quello che siamo». Suonava sincero mentre osservava il figlio, con le mani ancora stabili sulle sue spalle. «E io stesso so bene chi sei. Sei mio figlio ma, prima di tutto, sei Jonathan Samuel».
    In silenzio, con l'unico suono fra loro proveniente dalle strade sottostanti e dai clacson lontani, si squadrarono entrambi con estrema attenzione, senza avere il coraggio di pronunciare ancora una singola parola; Clark vide persino Jon mordersi il labbro inferiore e guardare altrove per un momento, ma fu proprio a quel punto che il figlio gli gettò le braccia al collo e si strinse contro di lui, sussurrando qualche parole che suonò vagamente come un ringraziamento.
    Col cuore più leggero, Clark sorrise e ricambiò, avvolgendogli un braccio intorno ai fianchi come se non volesse lasciarlo andare. Lui e Jon avrebbero sempre avuto le loro divergenze, ci sarebbero stati sempre momenti in cui sarebbero stati in disaccordo e in cui avrebbero discusso, ma lo avrebbero fatto con una diversa visione delle cose e con la consapevolezza che avrebbero provato ad ascoltarsi entrambi. Restarono così per attimi interminabili finché, col sole che cominciava a calare oltre l'orizzonte, non si misero entrambi a sedere sul bordo dell'edificio, godendosi la brezza che si innalzava fra le strade e faceva schioccare i loro mantelli.
    «Potremmo andare a mangiare qualcosa», buttò lì Clark, e Jon, al suo fianco, sbuffò ilare prima di guardarlo di sottecchi.
    «Non accetto nient'altro che non sia comprato da Big Belly Burger, papà».
    Clark rise di gusto. «Tua madre mi ucciderà per tutte le calorie che ti farò ingurgitare, lo sai?»
    «Ma almeno sarà una gran bella serata», prese in giro, facendo scuotere la testa al padre che, ridacchiando ancora, gli scompigliò i capelli con una mano. Ma concordò comunque su quella tappa da Big Belly, gettando una breve occhiata a Jon quando sentì un messaggio e lo vide affrettarsi a tirar fuori il cellulare.
    Clark notò con la coda dell'occhio lo schermo lampeggiare con la scritta “Dami ♥”, ma non disse niente. Si limitò solo a sorridere, stringendo maggiormente a sé il corpo del figlio per lasciare che poggiasse la testa contro la sua spalla mentre rispondeva al messaggio e riponeva nuovamente il cellulare in tasca.
    Sì. Sarebbe stata una gran bella serata.
 




«Quindi... tu e Damian, eh?»
«Ohw! No, no, no! Non ne parleremo stasera!»
«Va bene, va bene! Non sta sera»
«...»
«...»
«Ti voglio bene, Jonno»
«... anch'io, papà»





_Note inconcludenti dell'autrice
Le ho quasi finite, ma anche questa storia è stata scritta per l'inziativa #blossombyblossom
indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom  
Ed eccolo qui, il terrore dei terrori di tutti i genitori: avere a che fare con un figlio adolescente ribelle! In realtà inizialmente era una storia in tre parti (quando l'ho cominciata avevo già abbozzato le parti successive con un altro prompt), ma alla fine ho deciso di incorporare tutto in un unico capitolo perché... mi sono lasciata prendere troppo la mano e sono andata un po' oltre. Sono davvero pessima, non ho il dono della sintesi
In ordine, le tre parti si intitolavano esattamente così: Can't figure it out (l'iniziale confronto tra Jon e Clark),
Deal with it (in cui Bruce faceva capire a Clark cosa aveva sbagliato) e Father & Son (dove Clark e Jon parlavano e chiudevano il cerchio di apertura della storia stessa)
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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