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Autore: Valentyna90    01/05/2022    2 recensioni
Alya Merope Black è la sorella gemella di Sirius. Ha vissuto con lui e con il fratellino Regulus gli anni dell'infanzia a Grimmauld Place, sotto la severa educazione impartita da Orion e Walburga Black, i loro inflessibili e orgogliosi genitori.
Sotto l'influenza dei rigidi dettami della sua famiglia, Alya Merope cresce come degna erede della Casata dei Black, fiera e vanitosa delle sue origini; tutto il contrario di suo fratello gemello Sirius, che le rigetta con disprezzo. Insieme, i due gemelli entreranno a Hogwarts, ma vivranno vite separate. Sirius sarà un Grifondoro, Alya Merope una Serpeverde. Un perenne velo di sdegno e indifferenza li separa.
Ma nella vita della giovane Black c'è dell'altro. Un potere arcano e sconosciuto, che nemmeno lei sa comprendere. La sua mente funziona diversamente rispetto a quella dei suoi coetanei. Soprattutto nei sogni. Qui, in questa parte sospesa dell'esistenza, dove tempo e spazio, realtà e finzione si confondono, la coscienza di Alya Merope viaggia, apprende, conosce. Ma sempre inconsapevole.
Quale sarà il destino della giovane maga?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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NOMEN OMEN

 

 

I sentimenti ci consegnano un nomee con quel nome siamo quel che siamo.
- Mario Benedetti
 

Fine dicembre, 1979. Hogsmeade

La profezia

I fiocchi di neve volteggiavano soavi nell'aria pungente dell'inverno, andando a posarsi sulle strade ciottolate di Hogsmeade. I tetti e i vicoli erano ricoperti da un sottile manto candido, che ben si confaceva all'atmosfera natalizia di cui si era vestito il paesino.

Le vetrine che si affacciavano sulla via principale esibivano orgogliose le loro sgargianti decorazioni. Tuttavia, l'allegria variopinta ostentata dai negozi stonava con la silenziosa desolazione che aleggiava sul villaggio. La paura della guerra, che ancora attanagliava il mondo magico della Gran Bretagna, si era insinuata nei cuori di tutti i maghi e le streghe per bene che dimoravano nella nazione, inducendo i paesani a non abbandonare le loro abitazioni nemmeno in quel periodo di festa che antecedeva la notte di Natale.

Albus Silente passeggiava per i vicoli di Hogsmeade, ammirando con vago rammarico quella vuota e fredda sfilata di decori e colori. La sua lunga veste, di un bel celeste accesso, spiccava in mezzo al biancore che scendeva copioso dal cielo. Il vecchio avanzava attraverso la tormenta di neve con nonchalance, come se non stesse nevicando affatto, benché i passi lesti e decisi suggerivano una certa fretta.

Albus Silente, infatti, si stava recando alla locanda La Testa di Porco, dentro alla quale lo attendeva un appuntamento urgente, sebbene a lui non particolarmente gradito.

Neanche una settimana prima, il Preside di Hogwarts aveva ricevuto, non senza un profondo e sincero rammarico, la lettera di dimissioni da parte del docente di Divinazione, il professor Ghalil. Silente da sempre serbava per il vecchio insegnante una grande stima, oltre ad apprezzare il metodo didattico con cui affrontava l'insegnamento di quella materia così ostica e astratta.

Silente sapeva che trovare un degno sostituto per un docente così valido sarebbe stata un'impresa ardua, tanto da proporre di cancellare Divinazione dal programma di Hogwarts in modo definitivo. Tuttavia, al Ministero della Magia, l'Ufficio dell'Istruzione per i Giovani Maghi aveva irremovibilmente rifiutato la proposta del Preside.

Pertanto, Silente si era visto costretto a cercare al più presto un valido candidato per la cattedra rimasta vuota.
E l'unico nominativo vagamente interessante che era riuscito a trovare era stato quello di una certa Sybill Trelawney, la propronipote di una famosa Veggente.

Il colloquio era stato fissato proprio per quel giorno nevoso, a Hogsmeade, alla Testa di Porco.

Giunto davanti all'ingresso, sovrastato dalla sghemba insegna di legno, Silente sfilò da una tasca segreta della sua veste azzurra un orologio da taschino d'oro scintillante e ne scrutò il quadrante. Era in perfetto orario. Allungò una mano verso la maniglia arrugginita della porta e l'abbassò.

Non appena oltrepassò la soglia, il vecchio Preside di Hogwarts fu accolto dal sommesso brusio dei pochi clienti sparpagliati qua e là, per il locale. Certo, non si trattava della stessa clientela che si poteva incontrare a I Tre Manici di Scopa, composta principalmente da marmaglie di manigoldi, maghi e creature semi-umane di dubbia fama e dall'aspetto equivoco.

Molti occhi si levarono dai calici colmi di bevande ambrate - che nulla avevano a che fare con la Burrobirra - per incollarsi incuriositi su Silente, il quale spiccava nel grigiume di quella losca folla sia per l'aspetto stravagante che per il portamento disinvolto, per nulla circospetto.

Il vecchio mago, senza alcuna esitazione, puntò dritto al bancone, dietro al quale stanziava un uomo alto e nerboruto, con il volto nascosto da una lunga e folta barba bianca, i lineamenti incredibilmente simili a quelli di Albus Silente. L'oste era occupato a impartire incantesimi su uno strofinaccio sudicio, affinché pulisse le superfici incrostate dei boccali abbandonati dai clienti sul bancone.

«Buongiorno, Aberforth.» lo salutò Silente, allegro.

«Albus.» grugnì l'altro, senza alzare lo sguardo dallo straccio, «La candidata è già arrivata. L'ho fatta accomodare nella stanza al piano di sopra. Ti avverto, però... quella lì mi sembra piuttosto stramba.» commentò Aberforth, roteando l'indice a mezz'aria, vicino alla tempia.

«Mai incontrato una Veggente che non lo fosse.» ribatté Silente, con tono amabile. «È meglio che mi affretti, allora. Non è cortese fare attendere una signora.»

Così dicendo, si congedò dall'oste e si diresse verso la scala in legno che conduceva al piano di sopra. Il legno dei gradini scricchiolava sotto il peso dei suoi passi, in modo tutt'altro che rassicurante.

Da dietro il bancone, il vecchio Aberforth tornò a concentrarsi sul suo fioco borbottio di formule e incantesimi, volti a dirigere le azioni dello strofinaccio, fingendo di non notare il comportamento sospetto di un cliente, ammantato e incappucciato, il quale sembrava osservare con fin troppo interesse i movimenti di Albus Silente.

Attento a non farsi notare, Aberforth si mise in allerta, determinato a tenere d'occhio, come un segugio, il losco figuro.

Nel frattempo, Silente aveva raggiunto Sybill Trelawney nella stanzetta indicata dal proprietario del pub. Silente convenne dentro di sé che Aberforth non aveva avuto tutti i torti a definire Sybill "stramba". Le sue speranze di trovarsi di fronte a una degna sostituta di Isahia Ghalil svanirono nel momento esatto in cui i suoi occhi azzurri si posarono sulla figura della donna.
Già da una prima occhiata risultava evidente che in lei non vi fosse traccia del Dono della Veggenza, né dell'attitudine necessaria per diventare un'insegnante.

Il colloquio con Sybill Trelawney, perciò, fu assai breve. Deluso, Silente tentò di porre a fine a quell'incontro il prima possibile. Con le parole più pacate e cortesi che riuscì a trovare, il vecchio Preside di Hogwarts comunicò, quindi, alla candidata che non la riteneva adatta ad occupare il posto alla cattedra di Divinazione di Hogwarts.

Silente era giusto in procinto di congedarsi e andarsene, quando un evento del tutto inaspettato lo bloccò.

Sotto gli occhi vagamente interdetti del mago, Sybill Trelawney cominciò a manifestare un comportamento decisamente insolito. Di punto in bianco ogni muscolo del suo corpo si irrigidì; gli occhi, schermati dalle spesse lenti dei suoi enormi occhiali, si inchiodarono su un punto indefinito oltre la spalla di Silente, il quale scrutava la strega con aria sempre più attonita.

Poi, tutt'a un tratto, Sybill parlò. Tuttavia, la sua voce parve aver subito un radicale mutamento, suonando aspra e rauca, priva del tono aulico e impostato con cui la donna aveva conversato fino a un minuto prima.

Parole imbevute di solennità e mistero riempirono presto l'angusta stanza:

«Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere il Signore Oscuro... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese... il Signore Oscuro lo segnerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto... e l'uno dovrà morire per mano dell'altro, perché nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive... il solo col potere di sconfiggere il Signore Oscuro nascerà all'estinguersi del settimo mese...»

Dopodiché Sybill Trelawney ammutolì. Sbatté ripetutamente le palpebre e, come se si fosse appena destata da un sonno molto profondo, si guardò intorno spaesata, quasi avesse dimenticato dove si trovasse o che cosa stesse facendo.

Impiegò qualche secondo prima di tornare totalmente in sé.
I suoi occhi stralunati si posarono sulla figura imperiosa di Silente, il quale non aveva smesso nemmeno per un momento di fissarla in silenzio, sbigottito.

Il saggio e vecchio Preside sapeva bene di aver udito qualcosa di vitale e assoluta importanza. Qualcosa che avrebbe potuto cambiare radicalmente le sorti di quella guerra estenuante che si era abbattuta sul mondo magico della Gran Bretagna.

Silente capì subito che ciò che Sybill Trelawney aveva appena pronunciato altro non era che una vera e propria profezia. Sebbene nemmeno la stramba strega sembrasse esserne consapevole.

Con espressione un poco confusa, la donna si rivolse al vecchio mago:

«Mi perdoni, che cosa stava dicendo?» domandò, incerta.

La bocca di Albus Silente si allargò nel suo sorriso più gentile e luminoso.

«Le stavo giusto porgendo le mie più sentite congratulazioni, signorina Trelawney. Lei è assunta. Da gennaio, lei sarà la nuova professoressa di Divinazione, alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.»
 

***
 

Maggio, 1980. Sussex

Il nome

Un sorriso radioso dimorava indelebile sul volto sottile di James Potter. Il suo cuore scalpitava, in preda a una gioia incontenibile.

Lui e Lily avevano appena fatto ritorno dal San Mungo (l'ospedale magico di Londra), dove avevano ricevuto una splendida notizia. Durante una visita di controllo sullo stato della gravidanza, Lily e James avevano finalmente scoperto il sesso del loro bambino.

Avrebbero avuto un maschio.

Non appena aveva udito la Medimaga pronunciare quelle parole, il cuore di James aveva fatto una capriola. Non tanto perché il giovane padre avesse delle preferenze riguardo al genere di suo figlio. Che fosse maschio o femmina per James non faceva alcuna differenza.

Ma la notizia rendeva l'esistenza di quel bambino meravigliosamente reale.
La mente del giovane mago si mise a fantasticare sul futuro e, soprattutto, su quel pargoletto che entro pochi mesi avrebbe avuto l'opportunità di tenere fra le braccia. Per l'intera durata del viaggio di ritorno verso casa, nel Sussex, James non riusciva a smettere di chiedersi quale aspetto avrebbe avuto il suo bambino.

Chissà se mi somiglierà? continuava a domandarsi, fremente di curiosità.

«Finalmente a casa!» esclamò Lily allegra, non appena James aprì la porta della loro dimora.

Come James, anche la fanciulla dai capelli rossi sfoggiava un sorriso gioioso; gli occhi verdi brillavano di pura felicità, seppur adombrati da un sottile velo di stanchezza. Si trovava in quel periodo della gravidanza in cui bastavano pochi passi per renderla esausta. La pancia era aumentata considerevolmente e Lily non smetteva di accarezzarla con orgoglio e dolcezza.

Superato il disimpegno, la donna puntò dritto al salotto e, in particolare, al comodo divano che la invitava a godersi un meritato riposo.

In seguito al loro matrimonio, organizzato in fretta e furia all'inizio dell'anno, Lily e James si erano trasferiti a casa dei genitori del ragazzo. Si trattava di una sistemazione momentanea, i novelli sposi prevedevano di trasferirsi in una casetta tutta loro il prima possibile. Tuttavia, alcune complicazioni avevano rallentato i loro progetti.

La principale, fu la triste dipartita dei Potter, scomparsi neanche un mese dopo il matrimonio di James. Entrambi i coniugi erano morti, dopo aver contratto una brutta forma virale di Vaiolo di Drago, la quale aveva portato via con sé prima Euphimia, e poi Fleamont, a pochi giorni di distanza l'una dall'altro.

L'improvvisa perdita dei genitori fu per James un duro colpo; l'ennesima ferita con cui fare i conti, in quel mondo devastato dalla guerra.

Eppure, James non permise al dolore di sopraffarlo. Non questa volta. A dispetto dell'intensa sofferenza che albergava nel suo animo, il ragazzo trovò la forza di reagire.
La consapevolezza che presto sarebbe diventato padre aveva destato in lui un profondo senso di responsabilità. Aveva giurato dentro di sé che sarebbe stato un punto fermo, un porto sicuro per Lily e il bambino che portava in grembo, esattamente come lo erano stati Euphimia e Fleamont per lui.

Per questo motivo, James non poteva concedersi il lusso di abbattersi. Doveva dimostrarsi forte, per la sua nuova famiglia.

Fortunatamente, la vicinanza di Lily fu per il giovane mago di enorme conforto. Benché il loro rapporto si mostrasse ancora altalenante, pieno di bisticci e di qualche incomprensione, la futura nascita del bambino aveva reso Lily e James indissolubilmente uniti.

La gravidanza procedeva serena, priva di complicazioni e ciò riusciva a tenere accesa in James una timida, ma assai potente scintilla di speranza.
A discapito dei cupi eventi che stavano dilaniando il mondo intorno a loro, James, Lily e il loro futuro figlioletto sarebbero stati felici. O, perlomeno, il ragazzo avrebbe dato tutto se stesso per garantire alla sua famiglia quella agognata felicità.

Su questo rimuginava James, prima che la voce di Lily lo strappasse via dai suoi pensieri.

«Ora che sappiamo che sarà un maschietto, possiamo cominciare a pensare al nome.» propose la fanciulla, seduta comodamente sul divano del salotto. Con le mani accarezzava delicatamente la rotondità del suo ventre, fissandola come se si trovasse di fronte a un tesoro meraviglioso.

Nello sguardo smeraldino della moglie, James lesse la stessa gioia che albergava nel suo cuore da quando aveva appreso la notizia al San Mungo.
Attraversò rapido il salotto e andò a sedersi accanto a Lily, cingendole teneramente le spalle con un braccio.

«Qualche idea?» chiese, rivolgendo alla ragazza un sorrisetto d'intesa. James intuì che la mente di Lily doveva essersi messa subito all'opera, alla ricerca del nome da dare a loro figlio, ancor prima di aver lasciato l'ospedale.

«Mmm...» mugugnò Lily, fingendo di ponderare la questione, «... Potremmo chiamarlo Fleamont, come tuo padre.» suggerì timidamente.

James sorrise, ma scosse energico la testa.

«È davvero un pensiero dolce da parte tua, Lily. Ma credo che, se fosse ancora vivo, nemmeno mio padre approverebbe questa scelta... Lui detestava il suo nome! Diceva sempre che era troppo strano e che per questo, quando era piccolo, gli altri bambini lo prendevano in giro.» spiegò, mentre una nota di malinconia gli incrinava la voce.

Lily annuì, comprensiva. Restò qualche secondo in silenzio, in contemplazione del giardino fiorito che si intravedeva oltre la finestra del salotto.

«Se fosse stata una femmina, probabilmente avrei seguito l'esempio di mia madre, scegliendo il nome di un fiore... Ho sempre adorato Primrose... Ma non mi sembra molto adatto per un maschietto.» ironizzò la ragazza, giusto per stemperare la lieve tensione che percepiva nel marito.

«No, direi proprio di no.» ridacchiò James, «Credo che per stavolta dovrai rompere la tradizione della tua famiglia.»

James ammutolì di colpo. Ancor prima di terminare la frase, un ricordo gli aveva attraversato la mente, come un fulmine a ciel sereno. Quelle parole gli suonavano così terribilmente famigliari... Aveva già avuto una discussione simile, anni prima. Su nomi e tradizioni di famiglia.

Con Alya.

James chiuse gli occhi e per un istante s'immerse nella malinconia di quel ricordo. Nella sua testa, rivide Alya distesa accanto a lui sul manto erboso della loro piccola radura, all'interno della Foresta Proibita, accoccolata fra le sue braccia, mentre gli annunciava convinta la sua intenzione di non attenersi alle tradizioni della sua austera famiglia riguardo la scelta nome che avrebbe dato a un suo ipotetico figlio.

E, in un flebile sussurro, Alya aveva confessato a James e alla notte che li circondava che lei quel nome lo aveva già scelto, e che si celava tra le pagine di un libro babbano che la Serpeverde conservava in segreto, come un preziosissimo tesoro.

James rammentò di aver frugato fra le pagine di quel libro, a lui caro tanto quanto lo era per Alya, desideroso di scoprire di che nome si trattasse. Lo aveva trovato, infine, scribacchiato in mezzo all'intestazione del romanzo. Gli occhi color biscotto del ragazzo si erano soffermati a lungo su quelle poche lettere, le quali rivelavano l'identità di un ragazzino babbano con cui Alya aveva fatto amicizia quando era ancora una bambina.

James percepì il proprio cuore accelerare il ritmo dei suoi battiti, mentre con la memoria ripercorreva i movimenti della sua mano, intenta a scrivere accanto a quel nome, una breve frase la quale custodiva il suo più recondito desiderio, che ora, come James sapeva bene, mai più avrebbe potuto realizzarsi.

Il senso di rimpianto divenne talmente intenso che il ragazzo si sentì mancare il fiato. Si costrinse a riaprire gli occhi e di tornare, così, alla realtà. I contorni intricati e oscuri della Foresta Proibita e della sua radura si dissolsero, inghiottiti dalla luce del sole che inondava il salotto di casa sua.

James si obbligò a scacciare dalla mente il ricordo doloroso dei momenti felici trascorsi insieme ad Alya, cercando di concentrarsi su Lily, ancora seduta accanto a lui, totalmente ignara dei tormenti che imperversavano nel cuore del marito, e sul figlio che aspettavano.

Tuttavia, il nome che James aveva letto nel libriccino babbano di Alya gli si era impigliato nei pensieri, indelebile...

«Harry...» mormorò James, sovrappensiero.

Lily sollevò la testa, per guardare il volto del marito.

«Harry?» ripeté, incuriosita.

«Ehm... sì... è il nome di un bambino babbano.» rispose James laconico, stringendosi nelle spalle. La domanda di Lily lo aveva colto alla sprovvista. In effetti, il ragazzo si era talmente immerso nei suoi nostalgici pensieri che nemmeno si era accorto di aver pronunciato quel nome ad alta voce.

«Non mi hai mai raccontato di aver avuto un amico babbano, da bambino...» osservò Lily, dubbiosa.

«Si tratta di una vicenda accaduta moltissimi anni fa. Non ne ho ricordo quasi.» mentì James, con prontezza. Certo non avrebbe potuto spiegarle che in realtà era stata Alya ad aver conosciuto un bambino babbano di nome Harry, durante la sua infanzia.

«Harry...» sussurrò ancora Lily, esaminando la melodia prodotta da quel nome, «Harry Potter... mi piace... E suona molto bene, non trovi?» disse, infine, con un sorriso entusiasta dipinto in volto.

James annuì, tentando di nascondere il miscuglio di commozione e nostalgia che gli era appena esploso nel cuore.

«Sì... Suona molto bene.»

«Allora è deciso.» sentenziò Lily, con voce allegra. «Nostro figlio si chiamerà Harry. Harry Potter
 

***
 

Inizi di agosto 1980. Lestrange Manor

La scelta

Le fiamme di un fuoco scarlatto si dibattevano agitate dentro le marmoree fauci del camino, in una delle numerose stanze del Maniero dei Lestrange.

Un silenzio gravido di attesa aleggiava sul lungo tavolo di legno scuro che campeggiava al centro della sala, attorno al quale una ventina di loschi figuri, tutti rigorosamente ammantati da abiti color nero pece, sedevano muti e rigidi come fusi.

Di tanto in tanto, gli occhi dei Mangiamorte presenti saettavano ansiosi sull'unica sedia vuota, attenti allo stesso tempo a non intercettare lo sguardo cremisi della sagoma di colui che sedeva a capotavola, proprio davanti al camino.

Il bagliore fulvo delle fiamme balenava sul viso glabro e serpentesco del mago, il quale brillava pallido e perlaceo nell'oscurità.

Lord Voldemort ostentava un'espressione impassibile, che rendeva indecifrabile qualsivoglia pensiero gli attraversasse la mente. Tuttavia, tutti i suoi fedeli servitori sapevano bene quanto poco apprezzasse il ritardo agli incontri da lui stabiliti.

Eppure l'Oscuro Signore sembrava calmo, per nulla irritato dal tardivo arrivo di uno dei suoi seguaci. Si mostrava, invece, completamente assorto nei suoi oscuri e misteriosi pensieri, mentre con le dita lunghe e bianche della sua mano sinistra accarezzava distratto il corpo spesso e squamoso di un enorme serpente, le cui spire apparivano interminabili, attorcigliate immobili sul tavolo, di fronte al suo pallido padrone; le dita della mano destra, invece, tamburellavano soavi sulla lignea superficie del tavolo, unico indizio che rivelava la recondita impazienza del mago.

D'un tratto, la porta della stanza si aprì. Sulla soglia apparve un giovane uomo, poco più che un ragazzo, dall'aspetto mingherlino, reso ancora più esile sotto i pesanti strati di stoffa dei vestiti e del mantello che gli cadeva pesante sulle spalle.

«Crouch» lo accolse l'Oscuro Signore, con voce alta e melliflua, «Sei quasi in ritardo. Mi auguro tu abbia novità.»

«Ottime novità, mio signore.» sottolineò fiero il ragazzo, mentre penetrava nella stanza a passo discreto, ma deciso.

Le labbra sottili, quasi inesistenti di Lord Voldemort si curvarono in qualcosa di simile a un sorriso.

«Bene... Molto bene... Accomodati qui, dunque, accanto a Piton.» disse, indicando con la sua mano pallida il posto vuoto alla sua destra.

Crouch prese il posto che gli era stato assegnato. Una volta assiso, gli occhi degli altri Mangiamorte si incollarono su di lui, colmi di curiosità e aspettativa.

«Ebbene, amici miei, credo sia giunto il momento di spiegare la ragione che mi ha spinto a riunirvi qui, stanotte, al mio cospetto.» esordì Voldemort con voce chiara e solenne, mentre con lo sguardo scarlatto abbracciava la platea di seguaci che si allungava dinanzi a lui.

«Come molti di voi già sanno, mesi fa, all'inizio dell'anno corrente, è stata pronunciata una profezia, la quale pare mi riguardi in prima persona.» spiegò l'Oscuro Signore, le cui parole risuonavano nella stanza come un sibilo sospirato.

Dopodiché, voltò il viso liscio e serpentesco lievemente verso destra; gli occhi rossi si inchiodarono vibranti sul volto pallido di Piton, seduto immobile al suo posto, la schiena ben dritta, parallela allo schienale della sedia.

«Per un fortuito caso, il nostro Piton si trovava nel luogo giusto al momento giusto, quando la profezia è stata pronunciata, e ha avuto la possibilità di udirla con le sue stesse orecchie. Naturalmente, non ha perso tempo ed è corso subito da me, in modo da riferirmi ogni parola.»

Per un attimo, Lord Voldemort tacque, permettendo così che le informazioni appena elargite si sedimentassero nelle menti dei suoi servitori.
Un grave silenzio colò di nuovo nella sala, mentre un brivido di incredulità corse lungo il tavolo. Molti sguardi interdetti si levarono su Piton, frammisti di una velata invidia verso il giovane ed eccentrico Mangiamorte, per via dell'approvazione che aveva appena ricevuto.

«Severus,» mormorò con voce soave Lord Voldemort, rivolgendosi ora direttamente a Piton, «perché non ripeti ai tuoi compagni ciò che riferisti a me più di sette mesi fa?»

Piton annuì grave, ergendosi con orgoglio sulla sedia. Gli altri Mangiamorte lo fissavano attenti, in rigoroso silenzio.

«Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere il Signore Oscuro... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese... Queste sono le parole pronunciate da Sybill Trelawney alla Testa di Porco a Hogsmeade, sette mesi fa... E che Silente in persona ha identificato come profezia riferita al Signore Oscuro.»

«Silente?» fece eco uno degli uomini seduti a metà del tavolo. Aveva una faccia lunga e storta, che si era irrigidita in una smorfia di preoccupazione, non appena aveva sentito nominare il famoso preside di Hogwarts.

«Sì, Dolohov.» ribatté Voldemort stancamente, «Anche Silente era presente al momento dell'enunciazione della profezia. E il fatto che l'abbia considerata possibilmente veritiera, ci vieta di sottovalutare, a nostra volta, le parole che Sybill Trelawney ha pronunciato...»

«Mio Signore.» una voce rauca e femminile si levò all'improvviso dal lato sinistro del tavolo. «Con il dovuto rispetto, mi rifiuto di credere a una tale aberrazione. Mai, in questo mondo, potrà nascere un mago in grado di competere con il vostro ineguagliabile potere!»

«La tua immancabile devozione mi rallegra ogni volta, Bellatrix.» commentò compiaciuto Lord Voldemort, volgendo lo sguardo sul profilo selvaggio e scuro della strega che si prostrava al suo indirizzo. «Tuttavia, benché io stesso sia rimasto oltremodo stupito dinanzi a tale profezia, ho ritenuto opportuno prendere le dovute precauzioni al riguardo... La profezia afferma che questo possibile mago in grado di sconfiggermi debba essere nato sull'estinguersi del settimo mese... ovvero alla fine di luglio...»

Ancora una volta, il Signore Oscuro ammutolì per un breve istante, mentre i suoi occhi rossi si spostavano lenti sul lato destro del tavolo, allacciandosi al volto lentigginoso e scarno di Bartemius Crouch Junior, il quale pareva fremere per l'impazienza.

«Ed è qui che entri in scena tu, Bartemius.» annunciò il Signore Oscuro, con voce melliflua. «Giorni fa ti ho assegnato un compito di estrema importanza. Un compito che spero tu abbia adempiuto con successo.»

«È così, mio Signore.» proclamò il giovane Crouch, con orgoglio.

Un'inquietante scintilla di trionfo balenò negli occhi scarlatti di Lord Voldemort, i quali si assottigliarono in due fessure, indugiando crepitanti sul giovane seguace.

«Ebbene?» lo incalzò, con un sussurro sinistro e sibilante.

Un brivido di terrore collettivo si propagò lungo il tavolo. Alcuni Mangiamorte si irrigidirono impauriti, notando i sinuosi movimenti dell'enorme serpente che bivaccava pesante di fronte al loro oscuro padrone. La creatura si mosse appena, quasi si fosse appena svegliata da un lungo sonno. Il suo muso liscio e triangolare - spaventosamente simile al volto di Voldemort - si erse a mezz'aria, gli occhietti neri e verticali fissi su Crouch.

Eppure, al contrario dei suoi compagni, il ragazzo non parve minimamente turbato dallo sguardo muto, ma inequivocabilmente minaccioso del serpente.

«Grazie al mio lavoro al Ministero e al nome del mio stupido padre, è stato un gioco da ragazzi entrare in possesso delle informazioni richieste.» esordì Crouch, determinato a guadagnarsi la sua dose di ammirazione da parte dei suoi oscuri compagni, spiegando con dovizia in che modo era riuscito nell'impresa che il Signore Oscuro gli aveva assegnato. «Come sapete, esiste una Stanza al Ministero, dove viene custodito un libro, il Libro di Censimento delle Nascite dei Maghi e delle Streghe, nel quale appaiono i nomi dei maghi neonati, subito dopo la loro nascita.»

«Ho soggiogato la volontà del custode con la Maledizione Imperius, il quale, obbediente come un agnellino, mi ha fatto entrare nella Stanza del Censimento senza batter ciglio. E così, ho potuto dare una sbirciatina alla pagina del Libro con le recenti nascite di luglio...»

«I nomi, Crouch... voglio i nomi.» tagliò corto Voldemort, gelido e vagamente spazientito.

Il ragazzo trasecolò. Riacquistò rapidamente un cipiglio più serio, lasciando da parte il proprio desiderio di mettersi in mostra.

«I nomi, certo... In effetti, sono soltanto due i bambini, figli di maghi, nati alla fine di luglio...» disse, un poco esitante, mentre la scintilla dell'impazienza brillava feroce negli occhi rossi dell'Oscuro Signore.

«Neville Longbottom, figlio di Frank ed Alice Longbottom, nato il 30 luglio. Purosangue.» esordì Crouch, scandendo attentamente ogni singola parola.

Un brusio concitato si sollevò dal tavolo, pieno dei commenti gravidi di disprezzo dei Mangiamorte.

«E infine... Harry Potter, figlio di James e Lily Potter, nato il 31 luglio. Mezzosangue. La madre pare sia una sudicia sanguemarcio.» concluse Crouch, pronunciando quell'ultima parola disgustato.

Una seconda ondata di indignazione investì il lungo tavolo di legno scuro. Bellatrix sputò per terra con sdegno, non appena udì l'appellativo sanguemarcio. Severus Piton era rimasto immobile nella sua rigida posizione, sebbene il suo volto giallognolo sembrasse essersi improvvisamente adombrato.

Molti altri Mangiamorte, tra cui Lucius Malfoy, scuotevano la testa indignati, incapaci di credere che un bambino mezzosangue potesse trasformarsi in un mago tanto potente da contrastare il grande Lord Voldemort.

La scelta sarebbe dovuta ricadere sul figlio dei Longbottom, entrambi maghi di sangue puro, incontaminato, benché si fossero dimostrati dei miserabili traditori.

D'un tratto, Lord Voldemort levò una della sue mani lunghe e pallide, mettendo a tacere all'istante il mormorio dei suoi seguaci.

L'atmosfera all'interno della stanza mutò di colpo e un tetro silenzio, denso come inchiostro vischioso, avvolse ogni centimetro dell'ambiente.

Anche l'espressione del Signore Oscuro era inspiegabilmente cambiata, trasformandosi in un'orribile smorfia malevola, che nessuno dei Mangiamorte presenti riuscì a decifrare.

All'improvviso, un sibilo intenso si insinuò strisciante nell'aria. L'enorme serpente aveva parlato, ma solo Lord Voldemort fu in grado di comprendere le sue parole, sussurrate in Serpentese.

«È lo stesso nome apparso nella visione della ragazza...»

«Sì, Nagini... lo stesso...» confermò Voldemort, mal celando una nota di apprensione.

Il Signore Oscuro conosceva bene quel nome. Lo aveva già visto. Scritto a chiare lettere su un cartiglio, sotto al ritratto abbozzato di un infante.
Era il nome del bambino presente nella premonizione di Alya Merope Black, la giovane somnia videns che aveva osato sfidarlo anni prima, e che era misteriosamente scomparsa dopo che Voldemort le aveva maledetto la visione del suo futuro, promettendole di uccidere ogni membro della sua famiglia se non avesse acconsentito a prostrarsi al suo volere.

Udire di nuovo quel nome, provocò nell'Oscuro Signore una strana e cupa sensazione, a lui finora sconosciuta; un'emozione viscida e insidiosa, che assomigliava molto alla paura.

La mente calcolatrice e acuta di Voldemort intuì immediatamente che non poteva trattarsi di una mera coincidenza e che doveva esistere una sorta di misterioso legame tra quel nome e la profezia declamata sette mesi prima, da Sybill Trelawney.

Doveva agire in fretta, uccidere quel bambino il prima possibile, in modo da impedire che diventasse concretamente un pericolo.

«Harry Potter. È lui il nostro bersaglio. È Harry Potter.» sibilò grave il Signore Oscuro, annunciando così la sua enigmatica scelta ai Mangiamorte.

E nella scelta di quel nome, Lord Voldemort proclamò all'Universo la fatale sentenza sul suo destino.

 

   
 
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