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Autore: Signorina Granger    02/05/2022    13 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni chiuse
L’Arconia è un elegante condominio dell’Upper West Side abitato da maghi e streghe di diverse età, nazionalità ed estrazione sociale. Dopo l’inaspettata scoperta di un cadavere alcuni di loro si uniranno per indagare sull’accaduto, finendo col riportare a galla i segreti di più di uno dei loro vicini. Del resto, quanti possono affermare di conoscere davvero chi gli abita accanto?
[Dal testo]
“C’è una cosa che non capisco: la gente che non vuole vivere nelle grandi città per colpa della criminalità. Qualsiasi appassionato di true crime sa che non è così. Ammettiamolo: nessuno ha mai trovato 19 cadaveri nel giardino di un palazzo di 15 piani. Magari giusto un paio.
Qui hai gli occhi di tutti puntati addosso, siamo tutti ammassati e accatastati uno sopra l’altro.
Come quelli che, come me, vivono all’Arconia.”
[La storia prende ispirazione dalla serie tv omonima]
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 1
C’è un cadavere nel 14B – II –



 
 
 
“Un suicidio decisamente bizzarro, vero?”
Megan Flores attraversò il breve tunnel che portava all’esterno del palazzo stringendosi al collo il bavero della giacca nera, ripensando alle condizioni del cadavere che avevano rinvenuto qualche ora prima mentre i suoi due colleghi la seguivano sul marciapiede semi deserto e buio della West 86th Street.
“Abbastanza, sì, ma dovremo aspettare un paio di giorni per avere qualche conferma… Intanto sono curioso di parlare con tutte queste persone. Tu che ne pensi, Dom?”
Walter Young si voltò verso il collega e Megan con lui, osservando Domnhall all’unisono: l’Auror si era fermato sul marciapiede accanto a loro, ma si era voltato per osservare pensieroso la facciata del palazzo. Quando parlò, un paio di istanti dopo, lo fece continuando ad osservare l’edificio:
“Penso che sembrassero sconvolti, ma a parte qualcuno non dispiaciuti. Ma sì, sono piuttosto curioso anche io. Ho idea che gli abitanti di questo bel posto abbiano parecchie cose da dirci su Montgomery Dawson. Ora torniamo a casa, ma domani vi voglio al M.A.C.U.S.A. Alle sette per preparare tutto prima di venire qui.”
“Alle sette?! Si prospetta proprio una settimana di merda…”


Walter sospirò afflitto mentre Domnhall, salutati i due, si allontanava nella direzione opposta e Megan dava qualche colpetto consolatorio sulla spalla del collega tenendo però gli occhi scuri inchiodati alla schiena di Dom, osservandolo finchè non sfuggì dal suo campo visivo:
“Lui invece non sembra molto teso. Forse un bel caso complicato gli mancava.”
“Beh, a me no! Speriamo solo che questi tizi non siano troppo assurdi e che non ci facciano perdere troppo tempo...”
Le speranze di Megan a riguardo erano, per qualche motivo a cui non seppe dare una spiegazione razionale, estremamente basse. Ma si guardò comunque bene dal dirlo a Walter, limitandosi a salutarlo con un sorriso prima di Smaterializzarsi a casa.
 
 
Domnhall aveva attraversato solo qualche metro quando il telefono iniziò a squillare nella tasca interna della sua giacca. L’Auror si fermò e lo cercò rapido pensando ad una chiamata di lavoro, finendo col sospirare quando lesse il nome sullo schermo luminoso ma sapendo al tempo stesso di non poter ignorare quella telefonata. Accettò la chiamata e si accostò il telefono all’orecchio sinistro, sospirando prima di salutare il suo interlocutore:
“Mamma, che c’è? Non ti ho più chiamato per un caso. Hanno trovato un cadavere all’Arconia. Mamma, non agitarti, va tutto bene. Ma non credo che fosse un suicidio.”
 
Domnhall si voltò di nuovo verso l’edificio, esitando per qualche istante prima di riprendere a camminare raccontando alla madre i pochi dettagli che già conoscevano, assolutamente certo che la morte di Montgomery Dawson si sarebbe presa buona parte del suo tempo nelle settimane successive.

 
*

 
15 settembre 2021
Arconia
 
 
Dopo aver appreso della morte di un loro vicino, quello che tutti all’Arconia conoscevano come il bellissimo ragazzo che viveva al penultimo piano e che i condomini più anziani conoscevano di vista da quando era bambino, nessuno era riuscito a dormire più di una manciata di ore. Dopo aver finalmente potuto fare ritorno ai propri appartamenti gli inquilini dell’Arconia avevano tentato, invano, di non pensare all’accaduto e di ripetersi che si era trattato solo ed esclusivamente di un suicidio, ma visto e considerato che persino gli Auror non sembravano poi così convinti di quella versione, darci credito era risultato pressoché impossibile a chiunque.
A chiunque, ma a due di loro in particolare.
 
Bartimeus Thomas non era praticamente riuscito a chiudere occhio: dopo essersi chiuso la porta del 6° alle spalle e aver depositato la sua tartaruga, Jam, sul pavimento il mago si era sfilato le scarpe, aveva indossato le sue adorate e comodissime pantofole a forma di morbide pecorelle e aveva preso a misurare l’appartamento con lunghe falcate, facendo ininterrottamente avanti e indietro attraverso le stanze che conosceva da una vita per più di mezz’ora.
Perché Montgomery Dawson non poteva essersi davvero suicidato, di questo Bartimeus Thomas era assolutamente certo. Perciò, a meno che non si fosse trattato di un assurdo incidente, il vicino doveva essere stato deliberatamente ucciso dentro casa sua.
Alla fine Bartimeus si lasciò cadere sul suo divano beige circondato da piante da vaso di tutti i tipi, fissando ammutolito la parete che aveva davanti agli occhi per una quantità di tempo che successivamente non sarebbe riuscito a definire con chiarezza. Fuori era sempre buio, i rumori della città sempre gli stessi, e Montgomery Dawson era sempre e comunque morto.
 
Morto
 
Bartimeus Thomas aveva visto un numero molto elevato di cadaveri nella sua vita e immaginare la morte di qualcuno avrebbe dovuto risultargli molto semplice, ma quella notte non riuscì a figurarsi il volto privo di vita del defunto neanche una volta.
Come poteva Montgomery Dawson essere morto?
 
Di rado Bartimeus rimpianse di non avere più suo nonno accanto a sé come quella notte. Con lui avrebbe potuto parlare, sfogarsi, invece tutto quello che poté fare fu restare immobile sul divano, in silenzio e completamente solo, fino ad addormentarsi.
 
Poche ore dopo, quando Jam si vide servire la colazione, guardò gli occhi arrossati del padrone chiedendosi cosa gli fosse capitato. In fin dei conti però la sua priorità era solo e soltanto sfamarsi, quindi la tartaruga decise che ai melodrammi del suo umano ci avrebbe pensato più tardi, e finì col dedicarsi con grande interesse alla sua lattuga.
 
 
 
La seconda persona del tutto certa che Montgomery Dawson non poteva in alcun modo essersi volontariamente tolto la vita era l’inquilina del 13B, che alle 7 del mattino del 15 settembre aprì gli occhi sentendosi incredibilmente più riposata del solito. La strega si era subito alzata dal letto mentre le sue quattro gatte Abissine già gironzolavano per casa, e si era affrettata a versare i croccantini nelle ciotole in cucina prima di dare loro qualche coccola e prepararsi il caffè.
Mentre versava il suo amatissimo liquido nero in una tazza del medesimo colore che riportava la scritta “FUCK IT” tenendo la più piccola delle sue gatte, Lottie, in braccio, la quiete di Niki venne turbata dagli echi dei versi ormai noti quanto profondamente odiati dei dannati uccellacci di merda della sua altrettanto odiata vicina. Se le avessero chiesto di chi avrebbe preferito liberarsi, la ragazza avrebbe sinceramente riscontrato delle difficoltà a rispondere. La vecchia, o i pennuti infernali?
La strega emise un sonoro sbuffo infastidito, sbattendo la moka sul fornello con stizza prima di prendere il manico della tazza con la mano libera e dirigersi verso il soggiorno insieme a Lottie, rivolgendosi alla gatta mentre Carrie e Sam giocavano con un gomitolo e Mira seguiva la padrona in cerca a sua volta di coccole.
“Dio Lottie, non sarebbe fantastico se gli Auror pensassero che a farlo fuori sia stata la vecchia bastarda? Così la sbatterebbero dietro le sbarre e ci libereremmo di lei e dei suoi pennuti.”
 
Niki era sempre stata un’amante degli animali ma con i pennuti, fatta eccezione per i gufi, aveva sempre avuto un rapporto conflittuale latente che era del tutto sfociato in odio quando si era trasferita all’Arconia ed era accidentalmente capitata nell’appartamento vicino a quello di una ossessionata di pappagalli e cocorite. La strega non aveva idea di quanti uccelli tropicali possedesse la sua vicina, ma a giudicare dai concerti che era quotidianamente costretta a sorbirsi da ben sei mesi era sicura che la donna possedesse molti più animali di lei.
Il che era tutto dire.
Naturalmente Niki aveva provato ad ordinare alle sue gatte di far fuori i pennuti, ma le sue erano ragazze troppo educate, o forse troppo pigre, e non si erano mai prese il disturbo di fare nulla.
Figlie ingrate, con tutto quello che lei faceva per loro ogni giorno!
 
Come capitava almeno una volta alla settimana, Niki depositò Lottie sul divano prima di prendere una scopa e iniziare a colpire con il manico la parete che divideva il suo appartamento da quella della mummia, chiedendole con garbo di far cessare il frastuono irritante:
“Non sono neanche le 8! Non può dire ai suoi uccelli di chiudere il becco?!”
“No!”
“Lei è fortunata che io non dorma molto, perché se i suoi pennuti dovessero svegliarmi ogni mattina li avrei già fatti arrosto da tempo!”
“Ah, vorrei proprio vederla intenta a fare arrosto qualsiasi cosa, sappiamo tutti che non sa cucinare!”
 
Brutta stronza, ma come fa a saperlo?!
 
La risata divertita e il tono sbeffeggiante dell’odiata vicina scaturirono vaghi impulsi violenti nell’inquilina del 13B, che imprecò a bassa voce ripetendosi che per il momento un cadavere all’Arconia bastava e avanzava. Certo sarebbe stato un vero peccato se alla fine gli Auror avessero pensato che fosse stata la mummia ad uccidere Montgomery Dawson.
“Tranquille ragazze, piazzeremo una dentiera sulla scena del crimine e tutto andrà per il meglio. Vecchia befana.”
La tazza in mano, Niki si voltò e tornò in cucina facendo abilmente lo slalom a piedi nudi tra i giochi delle gatte disseminati sul pavimento, piazzandosi davanti al frigo mentre Mira e Lottie si strusciavano miagolando piano sulle sue gambe lasciate scoperte da un paio di pantaloncini neri.
Niki si portò la tazza nera alle labbra senza distogliere lo sguardo dal gran numero di post-it gialli e rosa pastello disseminati sullo sportello del frigo, così tanti da rendere quasi impossibile scorgere il vero colore dell’elettrodomestico, facendo del suo meglio per estraniarsi dalla stanza e non pensare ai rumorosi pennuti della sua vicina. Aveva cose molto più importanti su cui concentrarsi.

 
*

 
Prima di congedarsi e invitarli a tornare nei rispettivi appartamenti gli Auror avevano chiesto ai condomini di presentarsi nella sala riunioni del palazzo l’indomani mattina. Naturalmente James Carter Cross se ne era completamente scordato, e quando la mattina del 15 settembre mise piede nell’ascensore lo fece semplicemente con l’intenzione di portare Sarge a fare una passeggiata prima di andare al lavoro.
Effettivamente il fatto che l’ascensore andasse riempiendosi molto più del solito man mano che scendeva lungo i 15 piani del palazzo un po’ lo insospettì, ma ebbe la conferma di non aver prestato attenzione a qualcosa di importante quando vide due Auror parlare con Lester, il portinaio, nell’ingresso.
Confuso e leggermente a disagio, Carter decise di accodarsi ai vicini con cui aveva condiviso l’ascensore, seguendoli verso la grande sala del pian terreno adiacente all’ingresso che di norma veniva usata per le riunioni condominiali.
Riunioni che Carter naturalmente detestava ed era solito ignorare la maggior parte delle volte, ma qualcosa gli suggerì che gli Auror all’ingresso difficilmente gli avrebbero permesso di uscire dal palazzo, perciò non vide altra soluzione se non imitare i vicini, fermandosi insieme a Sarge sulla soglia della sala dotata di diverse file di sedie bianche per guardarsi attorno.
Stava cercando un posto dove sedersi – avrebbe voluto trovare le ragazze con cui aveva cenato la sera prima per chiedere loro delucidazioni, ma non vide nessuna delle tre – quando una vicina seduta in una delle ultime file adocchiò il suo Golden Retriever, inarcando scettica un sopracciglio mentre osservava il grosso cane dal pelo dorato:
“Perché ha portato il cane?”
“Emh… Non mi andava di lasciarlo solo, dopo quello che è successo è un po’ agitato.”
Naturalmente Sarge era il cane più rilassato del mondo, e si stava guardando attorno scodinzolando allegro e con la lingua di fuori, ma la vicina sembrò bersi la versione del giornalista perché annuì comprensiva con un sospiro tetro. Desideroso di evitare altre domande fastidiose e piuttosto deciso a non ammettere pubblicamente di essersi dimenticato della riunione Carter affrettò il passo verso le file di sedie più avanti, andando a sedersi accanto ad una figura nota quando scorse una nuca cosparsa da lucenti capelli biondi.
 
Non sai con chi ho parlato ieri sera.
Carter sedette sul posto libero alla destra di Mathieu senza salutarlo e reggendo il guinzaglio di Sarge mentre il canadese, voltatosi lentamente verso di lui, osservava prima il vicino e poi il cane.
“Non lo so, ma suppongo non con Montgomery.”
“No, beh, non con Montgomery.”
“Perché hai portato anche lui?”
Mathieu accennò un sorriso a Sarge e allungò una mano per accarezzargli la testa mentre Carter, invece, sbuffava liquidando il discorso con un rapido gesto della mano:
“Mi ero dimenticato della riunione, sono sceso per portarlo fuori, ma non è questo il punto. Ieri sera vagavo disperato in cerca di una fonte di cibo…”
 
 
In fondo alla sala Eileen entrò insieme a Leena dopo essersi incontrare, come d’accordo la sera prima, nell’ingresso. La spagnola fece per sedersi in uno dei posti dell’ultima fila – non le andava particolarmente di attraversare la stanza facendo la figura della ritardataria sotto gli occhi di tutti – quando Leena, strabuzzando i grandi occhi scuri, la fermò prendendola per un braccio e parlando in un sussurro concitato:
“Ferma, non possiamo sederci in ultima fila!”
“Perché no, scusa?!”
Perché sembreremmo sospette!”
“Allora vuoi andare in prima fila? Come al solito non si è ancora seduto quasi nessuno lì.”
 
All’improvviso ad Eileen sembrò quasi di essere tornata a Beauxbatons, quando litigava per i banchi con i compagni di classe, ma Leena di nuovo scosse la testa con vigore, facendo muovere i suoi bei capelli ricci attorno al viso:
“Assolutamente no, sarebbe anche peggio!”
“E perché sarebbe anche peggio, ti prego, spiegamelo.”
Eileen parlò con un sospiro, sforzandosi di non far trapelare alcuna emozione dalla sua mimica facciale e guardando con placida rassegnazione la sua vicina gesticolare freneticamente:
Perché qualcuno potrebbe fare esattamente il ragionamento che ho fatto io, ovvero che sedersi in fondo potrebbe risultare sospetto per la volontà di non farsi notare, e quindi di conseguenza decidere di sedersi in prima fila per fare l’esatto opposto e dare l’impressione di non avere assolutamente niente da nascondere!”
Era di gran lunga il ragionamento più contorto che Eileen avesse mai sentito – e non era nemmeno del tutto certa di averlo compreso appieno – ma decise di assecondarla e si limitò a guardarla dubbiosa, le braccia fasciate dal blazer blu notte del completo che indossava che indossava strette al petto:
“Quindi cos’è più sospetto, sedersi in prima o in ultima fila?!”
“Non ne ho idea, nel dubbio sediamoci a metà.”
Rassegnata e solo desiderosa di sedersi Eileen si lasciò pilotare dalla vicina verso una fila centrale della colonna di destra rimasta vuota, evitando accuratamente di fare domande quando Leena tirò fuori un quadernino rosso dalla borsa e iniziò a scribacchiare freneticamente qualcosa.
 
 
 
“Ma quanto ci mette Jackie a scendere?! Siamo qui da una vita!”
“Siamo qui da cinque minuti Nia, piantala.”
Piper e Nia aspettavano nell’ingresso insieme a Bizet – la padrona lo aveva portato con sé decisa a non lasciare solo l’amato gatto ma anche perché intenzionata ad usarlo come antistress, tanto da non riuscire a smettere di accarezzarlo nervosamente – che Jackson le raggiungesse, ferme davanti alla porta che conduceva alle scale interne del palazzo. Piper era perfettamente avvezza alla profonda avversione che il suo amico nutriva nei confronti degli ascensori e stava aspettando pazientemente che il ragazzo varcasse la porta mentre Nia, accanto a lei con le braccia strette al petto e i lunghi capelli scuri acconciati in magnifiche onde che le cadevano sulle spalle, sbuffava con urgenza:
“Per fortuna che abita al quinto piano e non più su, o finiremmo con il restare in piedi.”
“Non resteremmo in piedi in ogni caso, al massimo farei apparire delle sedie.”
“Sì, ma di questo passo i posti accanto al nostro vicino caduto dal cielo e scolpito dagli angeli saranno già stati tutti presi!”
Nia parlò con un sospiro amareggiato e profondamente deluso mentre alla maggiore non restava che alzare gli occhi al cielo, pur restando profondamente d’accordo con lei a proposito dell’imbarazzante bellezza del loro vicino di casa.
Le due stavano aspettando Jackson quando le porte di uno dei due ascensori si aprirono e dall’abitacolo uscirono un ragazzo e una ragazza minuta dotata di una lunga chioma di ricci castani nota ad entrambe.
 
 
“Lo sapevo, lo sapevo, siamo in ritardo!”
“Gabri, ti voglio bene, ma continuare a dirlo non ci farà guadagnare minuti, anzi, contribuirà solo ad aumentare il mio nervoso!”
Naomi uscì dall’ascensore scoccando un’occhiataccia all’amico, salutando Piper e Nia – che vivevano nel suo stesso piano e che quindi incrociava molto spesso – prima di superare le due ragazze insieme a Gabriel, che le chiese perché avesse insistito tanto nel fermarsi a prendere Moos prima di scendere.
Naomi non rispose, limitandosi a maledire mentalmente il suo vecchio compagno di classe per non essersi fatto trovare: e dire che si era anche svegliata all’alba per preparargli le frittelle, ma quando lei e Gabriel avevano suonato ripetutamente il campanello del 6° nessuno aveva risposto. Un nervosismo crescente si era presto impossessato della strega, che se non fosse stato per Gabriel avrebbe probabilmente finito con lo scardinare la porta con la magia per controllare che Moos stesse bene.
“Sono sicuro che sia semplicemente uscito prima di noi, non agitarti.”
Seppur a malincuore Naomi si era infine vista costretta ad ascoltare Gabriel, riportando a casa le frittelle – se non altro le avrebbe divorate più tardi con un kg di Nutella – prima di affrettarsi a scendere al pian terreno insieme a lui. Fu un vero sollievo, per l’ex Serpecorno, scorgere Bartimeus seduto tra due posti vuoti a metà della colonna di sinistra, ma il suo sorriso ebbe vita breve e mentre si avvicinavano all’amico Gabriel si premurò di rallentare il passo, facendo attenzione a tenersi ad almeno mezzo metro da Naomi mentre la strega, giunta vicino a Bartimeus, gli assestava il pizzicotto più doloroso di cui era capace sul braccio sinistro:
“Ahia! Che cosa ho fatto?!”
Moos si massaggiò il braccio dolorante mentre volgeva confuso lo sguardo sull’amica, i grandi occhi scuri che la fissavano chiedendole dispiaciuti che cosa mai avesse fatto di male per meritarsi quella punizione. Naomi fece del suo meglio per non farsi impietosire dall’espressione adorabile dell’amico, sforzandosi di apparire più arrabbiata che poteva mentre Gabriel si affrettava a sedersi alla sinistra di Bartimeus, desideroso di sfuggire ad un possibile attacco.
“Eravamo venuti a prenderti per scendere insieme, e io ti avevo preparato le frittelle, ma non c’eri!”
“Scusa, le possiamo mangiare dopo.”
“No, le mangerò io. Da sola. Guardando la puntata di Love Island che ho perso ieri.”
Naomi sedette accanto all’amico incrociando le braccia al petto ed evitando accuratamente di guardarlo – anche se in fin dei conti concentrarsi sul bellissimo Auror dagli occhi verdi che stava guardando con l’amministratrice che avevano visto anche la sera prima non costituiva propriamente uno sforzo sovraumano – mentre Moos, confuso e dispiaciuto, si voltava verso Gabriel:
“Perché se l’è presa tanto?”
“Era solo preoccupata per te, tranquillo.”
Gabriel sorrise al vicino con fare rassicurante, rincuorandolo e facendolo sorridere a sua volta mentre Naomi, accanto a lui, sbuffava stizzita:
“Non è vero, è che mi rompe aver fatto le frittelle per niente!
 
 
Jackson aveva fatto del suo meglio per essere puntuale e farsi trovare da Nia e Piper, le sue vicine predilette, nell’ingresso all’ora prestabilita. A mettersi in mezzo e a mandare all’aria i suoi piani ci aveva però provvidenzialmente pensato sua madre, come al solito: Jackson avrebbe voluto fare una rapidissima colazione e poi sfrecciare al pian terreno, ma Marlene lo aveva inchiodato al tavolo della sala da pranzo tenendo in braccio Flip, il suo amato Chihuahua – o secondo figlio, a detta della donna – per chiedergli che cosa sapesse della vittima, se lo conosceva, e poi iniziare a snocciolare una sequela senza fine di pettegolezzi sulla defunto, sui suoi genitori e ben presto su tutto il resto del palazzo.
“Mamma, dobbiamo andare di sotto, ok?! Me la racconti dopo la teoria sull’identità dell’amante del netturbino, o anche mai!”
“Io non vado, vacci tu.”
Marlene aveva sbadigliato mentre Flip guardava torvo – come al solito – Jackson, che strabuzzò gli occhi mentre si alzava desideroso di fuggire da quella casa:
“Non vieni?! Dovremmo andare tutti, non hai sentito gli Auror ieri?”
“Non ci penso neanche a scendere in queste condizioni, vacci tu in rappresentanza della famiglia.”
 
E così era stato, ovviamente, perché tentare di replicare quando si trattava di Marlene Salmon era sempre e solo una perdita di tempo.
 
Quando Jackson giunse al pian terreno e spalancò la porta delle scale con il fiatone si imbatté subito in Piper e Nia, che lo prese sottobraccio e lo costrinse a seguirle rapidamente verso la sala riunioni mentre Piper gli chiedeva perché ci avesse messo così tanto a scendere:
“Ho provato a fuggire prima, ma mia madre mi ha incastrato in una colazione eterna in cui ha raccontato a me e a mio padre – beh, mio padre non l’ascoltava, è fuggito in bagno dopo due minuti – tutti gli ultimi gossip del palazzo e sulla famiglia Dawson!”
“Uhhh, devi condividerli anche con noi! Qualcosa sul superfigo del nostro piano?”
All’improvviso i grandi occhi scuri della giovane strega si fecero luccicanti dall’emozione e dalla curiosità, guardando Jackson speranzosa, ma il ragazzo scosse la testa con amarezza, profondamente deluso a sua volta: sua madre era in grado di reperire praticamente qualsiasi dettaglio e qualsiasi informazione su tutti gli abitanti dell’Arconia ma per un triste gioco del destino non sul vicino di Piper e Nia, forse uno dei ragazzi più belli che tutti e tre avessero mai visto in vita loro.
“Non che io ricordi Nia, scusa.”
“Che palle!”
Nia, shhh!”
Decisa ad impedire alla cuginetta di fare commenti sul loro vicino in sua presenza una volta entrata nella sala riunioni Piper prese Nia per il braccio con la mano libera e la pilotò verso gli ultimi tre posti vicini rimasti vuoti, a metà della colonna di destra.
“Scusate, questi posti sono occupati?”
Piper interruppe le due ragazze che avevano occupato i posti all’estremità esterna della fila e che stavano parlando, guardandole voltarsi verso di loro prima che quella più vicina a lei, dotata di un paio di brillanti occhi chiari che difficilmente avrebbero potuto passare inosservati, le rivolgesse un sorriso cortese:

“No, sedetevi pure.”
“Grazie. Spero che il mio gatto non vi dia fastidio.”
Piper sedette accanto ad Eileen continuando a tenere Bizet tra le braccia mentre il gatto nero scoccava occhiate dubbiose in direzione delle due streghe e Nia e Jackson, accanto alla modella, tendevano il collo per cercare di vedere il vicino dell’undicesimo piano in mezzo al marasma di condomini che avevano riempito la sala.
Fortunatamente per Piper nessuna delle due vicine si dimostrò minimamente avversa alla presenza di Bizet, anzi, Leena si sporse in avanti per guardarlo in un perfetto mix di adorazione e ammirazione:
“Per la barba di Merlino, che gatto bellissimo! Come si chiama?”
“Bizet.”
“Che carinoooo! Posso accarezzarlo?”
“Se a lui va, certamente.”
Per fortuna Bizet aveva una vena decisamente vanitosa e sembrò apprezzare le attenzioni di Leena, chiudendo gli occhi chiari mentre si lasciava accarezzare con evidente soddisfazione. L’ex Corvonero sorrise allegra, guardando il micio con una punta di invidia mentre Piper osservava il gatto con affetto e Jackson e Nia, accanto a lei, bisbigliavano commenti sul loro “vicino superfigo” seduto nella colonna di sedie accanto.

“Io sogno da anni di avere un gatto, che amarezza…”
Le parole della vicina destarono la curiosità di Piper, che aggrottò le sopracciglia tinte di rosa per essere dello stesso colore dei suoi capelli, che quel giorno le arrivavano appena sopra le spalle, ma non fece in tempo a dire altro poiché l’amministratrice del palazzo, una strega di mezz’età dai corti capelli biondi, prese la parola, richiamando l’attenzione dei presenti su di sé.
 

“Signori, grazie per essere venuti. Alla luce della tragedia di ieri, i signori qui vorrebbero dirvi due parole prima di parlare singolarmente con tutti voi dell’accaduto…”
Quando Nora Hastings – che se ne stava in piedi davanti a tutti vicino a due Auror, che aspettavano in silenzio e limitandosi ad osservare i presenti – prese la parola Carter non smise di parlare con Mathieu e di raccontargli che cosa avesse fatto la sera prima, abbassando tuttavia il tono fino a mormorare per far sì che la donna non lo sentisse: non solo sapeva di non piacerle affatto, ma era del tutto intenzionato a risparmiarsi una ramanzina che lo avrebbe fatto passare per uno scolaretto colto a chiacchierare dalla maestra.
“… E allora ho cenato con la tizia del mio piano!”
Mathieu faticò a comprendere il motivo del tono concitato con cui Carter pronunciò quelle parole, anzi, non lo comprese affatto. Che cosa poteva esserci di eclatante nell’imbattersi nella vicina del 13D, ad occhio una delle persone meno simpatiche che avessero mai abitato nel palazzo? Mathieu e Carter si erano trasferiti all’Arconia nello stesso periodo e il canadese si ritrovava a ringraziare di non essere stato lui dei due a finire con l’abitare allo stesso piano della donna ogni volta in cui gli capitava di incrociarla in giro.
“Intendi la Signora Turner?”
“Che? Ma certo che non parlo della Turner, ti pare!”
“Hai detto “tizia del mio piano”!”
“Sì ma non parlavo di lei! Anzi, parliamo piano, non vorrei che mi sentisse e mi scatenasse contro la sua foresta tropicale di cocorite.”

 
*

 
Esteban si era svegliato con un’ora di anticipo, ma come suo solito riuscì comunque ad uscire dal suo appartamento in ritardo per l’incontro con gli Auror. Come riuscisse a perdere tutto quel tempo inutilmente restava un mistero per chiunque e per il mago in primis, che salutò rapido il suo Bobtail, Mocio, prima di chiudersi la porta di casa alle spalle e sfrecciare attraverso l’ampio corridoio del 12° piano per raggiungere gli ascensori, chiamando il più vicino.
L’ascensore stava già scendendo dai piani superiori e il giornalista sospirò di sollievo quando le porte di metallo si aprirono davanti a lui, rivelando l’unica persona già presente nell’abitacolo.
L’idea di non essere l’unico in ritardo lo rincuorò leggermente, ma quando vide la ragazza altissima – ad occhio e croce li separavano solo un paio di centimetri – che viveva sopra di lui Esteban non riuscì a celare la sorpresa: non gli capitava mai di incontrarla in ascensore, doveva essere solo la seconda volta da quando si era trasferita.
Il ragazzo entrò nell’abitacolo senza dire nulla, premendo il tasto “0” per arrivare al pian terreno. Le porte si stavano chiudendo quando Esteban, accigliato, vide che la sua vicina aveva già premuto il tasto dell’11esimo piano. Ma lei abitava al 13esimo, che cosa doveva andare a fare all’11esimo?
 
Quando, poco dopo, le porte si aprirono di nuovo all’11esimo piano Niki superò Esteban e uscì dall’abitacolo senza dire una parola, allontanandosi rapida nel corridoio deserto mentre il giornalista, accigliato, guardava la sua lunga giacca nera muoversi ad ogni suo passo.
Le porte dell’ascensore si erano appena chiuse alle sue spalle quando Niki, sbuffando piano, si sfilò gli occhiali da sole per riporli in una tasca dell’impermeabile. Che cosa si doveva fare, in quel cazzo di palazzo, per non incontrare nessuno in ascensore?

 
*

 
Quando Niki arrivò in considerevole ritardo alla riunione Nora Qualcosa – non era certa di ricordare il cognome, ma solo che iniziava con l’H – aveva già iniziato a parlare. Poco male, si disse la strega mentre varcava silenziosamente la soglia della sala per poi puntare subito la sedia libera più vicina, situata all’estremità interna dell’ultima fila della colonna di destra: i suoi discorsi l’annoiavano profondamente. L’avevano sempre fatto e sempre avrebbero continuato a farlo, ragion per cui quel giorno si era presentata ad una riunione condominiale per la prima volta in sei mesi.
Mentre sedeva sulla sedia bianca Niki accennò un sorriso sollevato: tutti i posti della sua fila tranne uno - dove sedeva il ragazzo moro che indossava una sformatissima felpa grigia leggermente scolorita che aveva incontrato in ascensore – erano vuoti, quindi si sarebbe facilmente risparmiata frasi strappalacrime e ricche d’ipocrisia dettate dalla circostanza a proposito della tragicità dell’evento e della morte di un ragazzo così giovane, o altre stronzate simili.
Niki si era appena seduta quando l’amministratrice cedette la parola all’Auror che le stava accanto, e i suoi occhi scuri indugiarono dritti su di lei, scoccandole un’occhiata visibilmente seccata attraverso le lenti degli occhiali – probabilmente infastidita dal suo ritardo – che tuttavia non colpì affatto l’inquilina del 13B, che riprese a masticare in tutta calma il suo chewing-gum alla menta prima di concentrarsi sul bellissimo Auror.

 
Mentre Eileen, alla vista di quello che si presentò come Domnhall Byrne, proponeva rapida a Leena di andare ad arruolarsi come Auror trovando immediatamente un riscontro in Piper, Nia e Jackson, Carter si stava guardando attorno per controllare che la sua vicina, la Signora Turner, non fosse seduta nei paraggi.
Nel farlo i suoi occhi scivolarono per caso in fondo alla sala, finendo con l’imbattersi nella figura alta e longilinea di un’altra delle sue vicine, seduta da sola in ultima fila sfoggiando lo stesso aspetto della sera precedente: occhiali da sole, cappuccio nero sollevato sulla testa, impermeabile, le lunghe gambe esili distese scompostamente davanti a sé e le braccia strette rigidamente al petto. L’unica nota di colore nel suo vestiario era data dai lacci rossi dei suoi stivali dalla spessa suola di gomma. Aveva la stessa aria seria ed imperscrutabile della sera prima e a causa degli occhiali da sole era impossibile azzardare ipotesi su che cosa stesse pensando mentre osservava l’Auror.
 
“Quella vicina.”
Accigliato, Mathieu ruotò leggermente la testa per capire di chi stesse parlando il vicino, aggrottando ulteriormente la fronte quando intuì a chi si stesse riferendo Carter.
“Non ci credo.”
Il canadese parlò accennando un sorriso mentre tornava a sedere dritto sulla sedia, scuotendo la testa in un movimento appena percettibile mentre Carter, accanto a lui, distoglieva lo sguardo da Niki per guardarlo indignato:
“Invece sì, ho anche scoperto come si chiam-“
Carter non riuscì a finire la frase, fulminato dall’occhiata raggelante che Nora Hastings gli lanciò. L’ex Tuonoalato non osò continuare a parlare, incrociando le braccia al petto e sbuffando piano mentre Sarge, seduto accanto a lui, lo guardava chiedendosi deluso che ne fosse stato della sua passeggiata.
 
 
“Chi stai guardando? Quella specie di modello che abbiamo visto ieri sera?”
Quando si rese conto che Kei, seduto accanto a lui, era girato verso le file di sedie a destra della sala da quasi un paio di minuti Orion seguì la direzione dello sguardo del vicino certo che avrebbe finito con l’imbattersi nel vicino che avevano incontrato la sera prima a Central Park, stupendosi quando i suoi occhi scuri indugiarono invece sulla strega vestita di nero e con occhiali da sole seduta in ultima fila.
Doveva essere passato qualche mese da quando si era trasferita, ma non ci aveva mai scambiato una sola parola né l’aveva mai vista senza occhiali. In effetti, si disse Orion, non l’aveva mai vista parlare con nessuno, tantomeno con Kei, perciò si chiese perché la stesse guardando mentre riportava accigliato lo sguardo sul vicino:

“Oh, lei. Come mai la stai fissando?”
“Nessun motivo in particolare.”
Orion non credette a quella versione neanche per un istante, ma decise che sarebbe ritornato sulla questione in un momento successivo mentre incrociava le braccia al petto e accennava con un sorrisetto divertito in direzione dell’Auror che stava parlando:
“Secondo te sono tutti così belli, gli Auror?”
“Non saprei. Ma di sicuro invidio molto i suoi colleghi.”
“Già… peccato che io sarei totalmente inadatto al lavoro, visto che mi spavento praticamente per qualsiasi cosa.”
“Un vero peccato.”
 
 
“… pertanto io e i miei colleghi gradiremmo parlare brevemente con tutti voi, questa mattina. Non vogliamo rubarvi troppo tempo, vi assicuro che cercheremo di essere rapidi, ma è importante che collaboriate se volete togliervi il disturbo in fretta.”
“Scusi, ma è mercoledì mattina, dovremmo andare al lavoro.”
La voce di Carter si levò alta dalle file di sedie bianche mentre il mago aggrottava la fronte e un mormorio di assensi si diffondeva per tutta la sala: non che una mattinata senza lavorare gli provocasse crisi di pianto, certo, ma non aveva nessuna voglia di sorbirsi paternali da parte del suo superiore.
Domnhall però di nuovo non battè ciglio, osservando placidamente il giornalista prima di replicare con calma:
“Potete avvisare che questa mattina non vi presenterete spiegando brevemente la situazione. Se qualcuno dei vostri superiori avrà qualcosa da ridire potete farlo parlare direttamente con me.”
 

“Beh, io con lui ci parlerei volentieri.”
Eileen, le gambe accavallate e le mani pallide strette sul ginocchio destro, parlò senza staccare gli occhi eterocromi da Domnhall mentre Leena, accanto a lei, conveniva silenziosamente con la vicina e Nia, seduta tra Piper e Jackson, concordava con un sospiro sognante indirizzato all’Auror e ai suoi lineamenti cesellati:
“Anche io.”
“Nia, avrà quindici anni più di te, falla finita!”
 
E lascialo a chi ha qualche anno più di te, soprattutto
 
“Piper non fare la vecchia zia rompipalle, non lo sai che l’amore non ha età?!”
Al sentire Nia dare della “vecchia zia rompipalle” a Piper, che spalancò offesa e indignata le labbra dipinte di rosa mentre Eileen e Leena facevano del loro meglio per contenere le risate – sghignazzare alle spalle di una sconosciuta non era il modo migliore di porsi nei suoi confronti, dopotutto – Jackson fu messo seriamente a dura prova, e strinse con violenta intensità il bordo della sedia che aveva occupato per cercare di non scoppiare rumorosamente a ridere nel bel mezzo di un discorso a proposito di un suicidio e fare così la peggior figura di merda della storia.
“Vecchia zia a chi?! Bene, te la sei voluta, non ti presto i miei trucchi per una settimana.”
No ti prego Piper perdonami, sei la mia cugina preferita, sei così bella e buona con me…”
 
Le moine imploranti di Nia – terrorizzata all’idea di non poter usufruire del make up di lusso della cugina – finirono con l’essere bruscamente interrotte dall’occhiata eloquente che Dom scoccò in direzione della loro fila, facendo tacere immediatamente la ragazza mentre Piper sospirava, Eileen arrossiva imbarazzata e Jackson mormorava qualcosa sull’”essersi fatti riconoscere fin da subito come al solito”.
“Bah, meglio così che passare totalmente inosservati.”

 
*

 
Quando l’Auror dagli occhi verdi aveva detto che avrebbero parlato con ognuno di loro partendo dai piani più bassi del palazzo Leena aveva trattenuto a stento un’imprecazione: seguendo quell’ordine lei sarebbe stata tra i primi, e non aveva alcuna voglia di parlare con degli Auror di Montgomery Dawson, o come lo aveva sempre chiamato lei, Bel Faccino. All’improvviso la strega si sentì quasi catapultata di nuovo ad Hogwarts, quando un professore affermava di voler interrogare partendo dalla fine dell’ordine alfabetico.
“Dai Leena, non è una tragedia, ti faranno qualche domanda di routine e basta…”
“Beh, una cosa è sicura, se fossero certi che sia stato un suicidio non ce ne farebbero nessuna, di domanda. È evidente che abbiano trovato il corpo in circostanze strane. Merlino, quanto vorrei sapere in che condizioni era…”
L’ex Corvonero sospirò, amareggiata, mentre accanto a lei Eileen le scoccava un’occhiata dubbiosa, ormai totalmente arresa dal cercare di comprendere appieno la mania della vicina per i gialli e per le storie che avevano a che fare con morti e assassini di tutti i generi.
 
Molte file più avanti Mathieu e Carter avevano reagito in modo totalmente diverso da Leena apprendendo che gli Auror avrebbero parlato con loro partendo dal basso: ciò significava che loro sarebbero stati tra gli ultimi, e che sarebbero rimasti confinanti in quella stanza per un bel po’ di tempo.
“Staremo qui per l’eternità…”
Mathieu si passò esasperato una mano tra i lisci capelli biondi mentre Carter, accanto a lui, annuiva senza smettere di grattare il collo di Sarge e fissare torvo gli Auror impegnati a parlare tra loro.
“Già, ma non potevano partire dai piani più alti, che so, visto che noi siamo quelli che vivevano più vicini a Montgomery?! Che palle.”
 
 
“Come vuoi che ci organizziamo, esattamente?”
Megan e Walter avevano aspettato in silenzio in un angolo della stanza, limitandosi ad osservare i presenti mentre Domnhall parlava. Quando il collega si avvicinò loro Megan, le braccia strette al petto, smise di osservare un uomo dall’aria molto familiare seduto in terzultima fila e tornò a concentrarsi su di lui, guardandolo tirare fuori due fogli dalla tasca interna della giacca per consegnargliene uno.
“Meglio dividersi, o resteremo qui tutto il giorno. Facciamo così, voi due parlate con quelli che abitano negli appartamenti B e D, io con gli altri. La Signora Hastings ha detto che possiamo usare le stanze del personale… E mi sono fatto dare dal portinaio due copie della lista completa dei condomini.”
“D’accordo, allora segno quelli che con cui dobbiamo parlare noi.”
Walter prese il foglio prima di far apparire una penna e iniziare a cerchiare i nomi degli abitanti dell’Arconia con cui avrebbero dovuto confrontarsi lui e Megan, ritrovandosi ad aggrottare le sopracciglia di frequente nell’imbattersi in nomi dal suono familiare.
“I genitori di Montgomery dove sono?”
“A casa loro, ovviamente ho detto loro di non scendere. Ci parleremo privatamente, è meglio. D’accordo, allora… Leena Madison Zabini?”
 
Domnhall lesse a voce alta il nome dell’inquilina dell’1C prima di rivolgersi nuovamente con lo sguardo alla stanza piena di maghi e streghe, osservandoli in attesa prima che una strega alta e dalla pelle scura si alzasse dal mezzo della colonna di destra.
“Sono io.”
“Mi segua, per favore.”
 
Leena accennò un sorriso prima di affrettarsi a recuperare la sua borsa e obbedire mentre Eileen, accanto a lei, sbuffava borbottando qualcosa a proposito della sua fortuna. Leena sorrise alla vicina, strizzandole l’occhio prima di allontanarsi dai loro posti improvvisamente molto più di buonumore rispetto a poco prima.

 
“Che criterio pensi che seguiranno per stabilire chi parlerà con chi? Insomma, io vorrei parlare con quello bello.”
Mentre Leena sfilava in mezzo alle file di sedie bianche occupate dai suoi vicini Orion parlò tendendo il collo per osservare Domnhall, guardandolo aspettare che Leena lo avesse raggiunto prima di allontanarsi insieme a lei verso la porta che stava dall’altro capo della sala. Kei, accanto a lui, si era voltato per osservare brevemente la strega vestita di nero seduta da sola in ultima fila ma alle parole del vicino si voltò, osservando a sua volta gli Auror aggrottando le sopracciglia nere:
“Non lo so, ma i due hanno chiamato quella che vive all’1B e lui quella che vive al C, e al primo piano nell’A non vive nessuno da un anno… Forse si sono divisi le lettere. Che palle, io vivo al B, quindi non parlerò con lui.”
“Ma io vivo all’A, quindi io sì! Mi serviva proprio qualcosa di positivo oggi, ho iniziato la giornata rovesciando il caffè e perdendo una partita a scacchi online per la prima volta dopo tre anni… In effetti avevo visto che questa settimana sarebbero successe molte cose spiacevoli…”
 
 
Naomi, perché ti stai rifacendo il trucco?!”
“Nessun motivo in particolare Moos.”
Mentre Naomi si metteva il rossetto controllando il proprio riflesso nello specchietto della cipria Gabriel si sporse oltre Moos con un sorriso sulle labbra, guardando divertito la strega prima di parlare:
“Guarda che tu abiti al D, quindi se seguono la logica che credo abbiano deciso di adottare tu non parlerai con Byrne…”
“Cosa? Che palle! … Un momento, quindi voi due invece ci parlerete, con lui, perché vivete entrambi all’A.”
Naomi richiuse la cipria con un rumoroso scatto, rimettendola al sicuro all’interno della borsa prima di voltarsi verso i due amici e guardarli con gli occhi verdi sgranati e pieni di sincera invidia. Gabriel invece sorrise, annuendo con aria compiaciuta mentre Moos, seduto in mezzo ai due, cercava di reprimere la forte ansia che stava provando da quando gli Auror avevano annunciato di voler parlare con loro. Privatamente.
Moos sapeva benissimo che Montgomery non si era suicidato, ma il fatto che anche gli Auror sembrassero poco convinti dall’ipotesi del suicidio lo innervosiva, così come l’idea di dover rispondere a delle domande sul suo conto.
C’erano ben cinque interi piani prima che arrivasse il suo turno e Moos cercò in tutti i modi di distrarsi e di costringersi a pensare ad altro – o avrebbe finito con l’impazzire dentro quella stanza –, sospirando piano prima di tornare a concentrarsi sullo scambio di battute in corso tra Gabriel e Naomi:
“Credo di sì.”
“Beh, a me in realtà non è che faccia differenza, se vuoi ti cedo il mio turno Naomi…”
Moos guardò l’amica accennando un sorriso, desideroso di farsi perdonare per averla fatta preoccupare quella mattina, ma Gabriel demolì le speranze di entrambi scuotendo la testa e parlando con tono dubbioso:
“Moos, non credo che funzioni così.”
Naomi sospirò rumorosamente prima di abbandonarsi contro lo schienale della sedia e incrociare le braccia al petto, guardando torva davanti a sé senza riuscire a smettere di pensare a tutto il tempo che quella mattina aveva perso a sistemarsi i capelli solo per la consapevolezza di potersi imbattere in Domnhall Byrne.
“La vita è ingiusta. Vorrei andare di sopra e mettermi la tuta in ciniglia, tanto nessun figo deve vedermi e almeno starei più comoda!”
“E noi scusa?!”
“Ma voi non contate, mi conoscete da anni e mi avete già vista con le pantofole con le nuvolette e l’argilla verde in faccia!”
“Non ha tutti i torti.”
 

 
*

 
“Signorina Zabini, conosceva il Signor Dawson?”
Leena, seduta di fronte a Domnhall, deglutì e si disse per l’ennesima volta di comportarsi normalmente e soprattutto di non dire cazzate mentre l’Auror la guardava imperscrutabile, in attesa di una risposta.
“Non direi.”
“Lei vive qui da due anni, è coretto?”
“Sì. Ma viviamo… vivevamo agli opposti del palazzo, praticamente, e io non uso quasi mai l’ascensore, quindi non avevamo molto modo di incrociarci in giro.”
“Capisco. L’ultima volta che l’ha visto, se la ricorda?”
 
Merda
 
La domanda la fece irrigidire, ma Leena fece del suo meglio per non spalancare gli occhi scuri e non lasciar trapelare alcuna emozione dalla sua mimica facciale mentre si chiedeva, disperata, chi cazzo avesse fatto la spia. Si era detta, fin dalla sera prima, che nessuno l’aveva vista o sentita, ma forse si sbagliava. Altrimenti perché quella domanda?
O era solo una domanda di routine?
Leena non sapeva più che cosa pensare, ma Domnhall continuava a fissarla, serio e in attesa, e Leena seppe di dover pensare e rispondere in fretta per evitare di destare quale strana idea nell’Auror.
“No, onestamente non ricordo. Dev’essere stato qualcosa di poco conto, di sicuro non ci saremmo nemmeno parlati.”
 
Leena guardò la penna prendiappunti trascrivere le sue parole quasi col fiato sospeso, pregando che l’Auror non insistesse o che non sapesse della sua bugia. Quando Domnhall annuì e passò alla domanda successiva la strega si sentì invadere da un’ondata di sollievo e si sentì improvvisamente molto più leggera, ma fece attenzione a non sorridere e a non darlo a vedere.
Forse, dopotutto, nessuno l’aveva vista. O no?
 
 
 
“Signor Salmon, lei vive qui con i suoi genitori. Dove sono in questo momento?”
Lui aveva provato a dire a sua madre di scendere e di presentarsi, ma come al solito Marlene non gli aveva dato retta. Certo questo non lo poteva dire ai due Auror che aveva davanti, così Jackson fece del suo meglio per improvvisare una scusa credibile assumendo la sua aria più innocente.
“Mia madre stamattina non si sentiva bene, ha deciso di restare a casa e mio padre ha preferito non lasciarla sola, così sono venuto solo io. Spero che non sia un problema.”
“No, non si preoccupi, possiamo chiedere a lei quello che ci serve. Da quanto vivete qui, Signor Salmon?”
“Da sempre, sono cresciuto qui.”
“Anche il Signor Dawson. Lo conosceva?”
“Beh, sì, di vista sì, ma niente di più.”
“Vive qui da 27 anni e non ci ha mai scambiato più di due parole?”
Megan guardò Jackson aggrottando le sopracciglia, dubbiosa e poco convinta, ma il ragazzo si limitò a stringersi nelle spalle, parlando in tutta calma:
“Sì, ovviamente, di tanto in tanto, ma non posso dire di averlo conosciuto bene. Siamo, cioè, eravamo persone diverse e venivamo da ambienti diversi, tutto qui. Ad Ilvermorny lui era 4 anni avanti a me, quindi ovviamente non ci siamo mai considerati.”
Jackson si strinse nelle spalle, astenendosi dal sottolineare che a lui Montgomery a pelle non fosse mai piaciuto per niente mentre Megan, osservandolo, gli faceva un’altra domanda:
“Signor Salmon, recentemente le è sembrato che il Signor Dawson fosse diverso dal solito? O le ha dato l’impressione di essere una persona che potesse arrivare a suicidarsi?”
“… Onestamente non mi ha mai dato quest’idea. Ma come ho detto, lo conoscevo solo molto superficialmente.”
 
Immaginare Montgomery Dawson, così bello, sicuro di sé e ricco, che si toglieva la vita era bizzarro. Ma non era nessuno per esprimere giudizi così privati su una persona con cui non aveva mai avuto molto a che fare, così decise di tacere.
 
 
 
“Signor Thomas, lei vive qui da sempre, sa dirmi se il Signor Dawson avesse legami particolari con qualcuno, qui?”
La domanda di Domnhall lo raggelò, ma Moos si sforzò di annuire e di parlare, la bocca impastata e i grandi scuri che sfuggivano dal contatto visivo con l’Auror.
“Credo che nell’ultimo anno per un po’ si sia frequentato con una ragazza del 10° piano, ma non ricordo il nome. Per il resto non saprei dire, Signor Byrne.”
Domnhall osservò Bartimeus per una manciata di secondi prima di porgergli la domanda successiva, certo che ci fosse qualcosa che l’inquilino del 6A non gli stesse dicendo. Ma avrebbe avuto modo di approfondire la questione e di scoprire i pezzi mancanti in futuro, quindi decise di andare avanti e di passare alla domanda successiva:
“Lei lo conosceva?”
“… Non direi.”
 
Forse una volta Moos avrebbe detto di conoscerlo, ma qualcosa gli disse che non era più così da tempo. Erano molti anni che non conosceva Montgomery Dawson.
 
 
 
“Signorina Mackenzie Garcia, conosceva il Signor Dawson?”
“No, non credo di averci mai parlato. Tutto quello che so di lui è che era il figlio dei proprietari dell’attico, che era molto ricco e molto bello, tutto qui.”
Eileen si strinse nelle spalle prima di sorridere gentilmente a Domnhall, che la guardò per qualche istante limitandosi a sbattere le palpebre, sinceramente spiazzato dalla semplicità della sua risposta e dalla sincerità della strega, cosa a cui non era decisamente abituato.
“Oh. Bene, allora. Sa se per caso aveva invece rapporti particolari con qualcun altro, nel palazzo?”
“Beh, credo che uscisse con quella bionda bellissima che sembra una modella del 10° piano… Ma, anche se non dovrei dirlo, detto tra noi so che il Signor Dawson usciva davvero con molta gente, Signor Byrne.”
“E come fa a saperlo, visto che non viveva nel suo stesso piano e non vi conoscevate?”
“Io lavoro per MagicMatching, sa, l’App di incontri. E lui la usava molto, mi creda.”
Eileen si strinse nelle spalle con un sorriso allegro, rammentando le serate passare a sghignazzare davanti al profilo di Montgomery e al numero esorbitante di persone che volevano parlare e uscire con lui mentre Domnhall, leggermente accigliato, annotava in silenzio la sua risposta.
 
Chissà se lui ce l’ha, un profilo. Dopo controllo!
No, ma uno così sarà sicuramente impegnato. O forse no. Beh, dopo controllo.
 
 
 
“Signor Nakajima, da quanto vive nel palazzo?”
“Circa quattro anni.”
“E conosceva il Signor Dawson?”
Kei esitò prima di annuire, gli occhi scuri fissi su un punto del tavolo che lo separava dai due Auror che gli sedevano davanti tenendo le braccia strette al petto.
“Sì, abbastanza bene. Eravamo… eravamo diventati amici, negli ultimi mesi. E no, non penso affatto che potesse soffrire di depressione.”
“Non pensa che si sia tolto la vita?”
“Non ne posso essere sicuro, ma mi riesce difficile crederlo. Si è sempre comportato normalmente, anche negli ultimi giorni.”
Kei cercò di ricordare i momenti che aveva trascorso con Montgomery nella settimana che aveva preceduto la sua morte e come durante la notte precedente il dubbio di non aver notato qualcosa di importante e di strano iniziò ad assalirlo. Il ragazzo deglutì, mormorando di avere difficoltà a parlare dell’argomento continuando ad evitare di guardare gli Auror.
Megan e Walter si scambiarono un’occhiata comprensiva prima che la strega, sorridendogli gentilmente, gli dicesse che per il momento poteva andare.

 
*
 
 
Esteban, seduto in ultima fila, stava cazzeggiando su Wizagram per ammazzare il tempo, rimpiangendo amaramente di non aver pensato di portare le cuffie con sé per poter almeno ascoltare un po’ di musica. Stava scorrendo, accigliato, i post del profilo di Montgomery Dawson quando uno dei ragazzi che aveva conosciuto la sera prima attraversò la sala dopo aver finito di parlare con gli Auror.
Esteban alzò lo sguardo dal telefono e gli sorrise gentilmente, ma Kei stava camminando tra le file di sedie che andavano svuotandosi sempre di più tenendo gli occhi scuri incatenati alla strega che sedeva a tre posti di distanza da lui, la stessa con cui quella mattina aveva brevemente condiviso l’ascensore.
Anche la vicina stava cercando di ammazzare il tempo usando il telefono, anche se Esteban non poteva vedere che cosa stesse facendo, ma sembrò accorgersi dello sguardo di Kei perché sollevò il capo a sua volta, fissandolo di rimando mentre il ragazzo le si avvicinava senza smettere di osservarla.
La strega sembrò infastidita dall’insistenza di quello sguardo su di sé, perché quando Kei la raggiunse – forse sul punto di dire qualcosa – parlò con tono gelido e tagliente prima di dargli il tempo di parlare:
“Che cazzo hai da fissare? Vuoi l’autografo?”
 
Niki lo fissò torva da dietro le lenti scure degli occhiali e Kei, inizialmente spiazzato, strinse infastidito le labbra prima di chinarsi leggermente sulla strega e dirle qualcosa a bassa voce, in modo che i vicini seduti attorno a lei non potessero sentire.
Esteban, dal canto suo, sbuffò piano maledicendo la sorte per averlo fatto finire a tre posti di distanza dall’inquilina del 13B, non riuscendo quindi a sentire nulla di quello che Kei le disse. Non li aveva mai visti parlarsi da quando la strega si era trasferita e giudicò strano il fatto che potessero conoscersi, ma restò in silenzio e continuò a scorrere pigramente il profilo del defunto mentre Niki, udite le parole di Kei, piegava gli angoli delle labbra verso l’alto dando forma ad un sorriso beffardo.
“Certo. Continua a giocare al detective e forse prima o poi riuscirai a dire qualcosa di sensato.”
Kei raddrizzò lentamente la schiena, scrutandola dall’alto in basso con sguardo truce prima di allontanarsi senza dire altro o salutare Orion, lasciando Niki a sistemarsi gli occhiali sul viso e ad accavallare le lunghe gambe con un sospiro.
Esteban non si mosse, ma aggrottò le folte sopracciglia scure chiedendosi che cosa le avesse detto.

 
*

 
“… Non lo conoscevo bene, anche se abbiamo frequentato Ilvermorny negli stessi anni. gli ho fatto qualche tatuaggio, tutto qui.”
“Lo vedeva spesso in compagnia di qualcuno in particolare, Signor Mendoza?”
“Non troppo spesso con una stessa persona, in realtà. Credo fosse amico del ragazzo asiatico che vive vicino a me, però. Lo incontravo nel nostro piano, di tanto in tanto.”
 
 
“Signor Parrish, lei vive qui da quattro anni. Conosceva il Signor Dawson?”
“Non in maniera approfondita, ma sì. I primi tempi, quando mi sono trasferito qui, devo anche averci provato con lui…”
Orion inarcò un sopracciglio e la sua espressione si fece pensierosa per qualche istante prima di distendere le labbra in un sorriso e lanciare a Domnhall, seduto davanti a lui, un’occhiata divertita:
“Beh, dopotutto chi non l’avrebbe fatto, non pensa anche lei?”
Dom, seduto dall’altra parte del tavolo, aggrottò la fronte ed osservò dubbioso l’astronomo prima di annuire lentamente, tornando a guardare i fogli che aveva davanti prima di parlare con tono piatto:
“Suppongo che si potesse considerare un bellissimo ragazzo, sì. Che lei sappia ha avuto relazioni degne di nota con qualcuno, qui?”

Che palle, è etero
 
“Sì, con quella bionda bellissima che vive al 10° piano. L’ha lasciata lui.”
“Come lo sa?”
“Lei abita sopra di me. Ho sentito le urla.”

 
 
 
“Signorina Broussard, da quanto vive nel palazzo?”
“Quasi sei anni. E prima che me lo chiediate sì, conoscevo Montgomery, ma non in modo approfondito. Lui e mio fratello erano compagni di Casa e di classe ad Ilvermorny ed erano diventati amici, a scuola.”
Quando Megan e Walter le chiesero se suo fratello e Montgomery avevano mantenuto i rapporti dopo la scuola Naomi s’irrigidì, come le succedeva sempre quando le capitava di pensare a suo fratello maggiore Rory. La strega chinò il capo, guardandosi le unghie smaltate delle dita delle mani prima di rispondere, a disagio:
“No, mio fratello è stato arrestato poco dopo il mio trasferimento, e che io sappia non si sono visti per anni.”
Per quel che ne sapeva lei, Montgomery non aveva mai fatto visita a suo fratello in prigione. Anzi, era stata lei a dirgli della detenzione di Rory qualche anno prima, quando si era trasferita da qualche mese e Montgomery le si era avvicinato per chiederle di lui. Era stata la prima ed ultima volta in cui aveva visto tracce di sincera sorpresa sul viso del suo vicino.
L’idea di dover andare a trovare il fratello per comunicargli la morte dell’ex compagno prima che potesse leggerla sui giornali non era affatto allettante, ma in fondo Naomi sapeva che era la cosa giusta da fare. E per quanto si sforzasse, difficilmente riusciva ad esimersi dal fare la cosa giusta.
 
 
Domnhall stava leggendo i nomi dei condomini con cui doveva ancora parlare quando Piper Leal Naidoo, appena chiamata, entrò nella stanza insieme ad una ragazza dai lunghi capelli scuri e visibilmente più giovane di lei di qualche anno.
“Salve Signorina Naidoo. Sua sorella?”
Dom accennò in direzione di Nia, che sorrise mentre Piper, dopo averle scoccato un’occhiata piuttosto eloquente, si rivolgeva all’Auror sistemandosi con leggero nervosismo una ciocca di capelli rosa dietro l’orecchio:
“Mia cugina Nia, è spesso ospite da me. Può entrare anche lei?”
“È maggiorenne?”
“Sì.”
“Allora sedetevi, prego.”

Nia ringraziò con un sorriso prima di sedersi accanto a Piper, che le intimò con lo sguardo di comportarsi bene per la quinta volta da quando si erano alzate dalle loro sedie in sala riunioni prima che Dom chiedesse alla Metamorphmagus se conoscesse il defunto.
“Sì, di tanto in tanto lo incontravo a qualche festa e quando ci incrociavamo in giro per il palazzo ci salutavamo, ma nulla di che.”
Piper parlò gettando un’occhiata in tralice a Nia, pregando che la cugina non iniziasse una filippica di accusa nei suoi confronti per non averle mai presentato come si doveva Montgomery, a detta della cugina “il suo ragazzo ideale” in quanto bellissimo e ricchissimo. Fortunatamente, con gran sollievo dell’ex Magicospino, Nia restò in religioso silenzio e si limitò ad osservare Domnhall annotarsi la risposta.
“Che lei sappia il Signor Dawson ha avuto relazioni degne di nota con qualcuno qui, a parte la Signorina Wright, che abita sotto di voi?”
Quella stronz-“
Nia e Piper erano unite da molte cose e la comune antipatia per Samantha Wright, la loro bellissima vicina che viveva al 10° piano, era tra quelle. Certo oltre a reputarla poco simpatica e fastidiosamente attraente Nia la detestava anche perché la bionda si era permessa di soffiarle il fidanzato ideale, tuttavia Piper giudicò che quello non fosse propriamente il contesto ideale per appellare in quel modo la vicina e si affrettò a zittire con un rapido calcio la cuginetta, che soffocò un gemito di dolore mentre il sopracciglio destro di Dom arrivava quasi a sfiorare l’attaccatura dei suoi lisci capelli neri.
“Non dia retta a mia cugina, sa, l’agitazione… e stamani ha assunto troppi zuccheri. In ogni caso no, non che io sappia, non l’ho mai visto spesso in giro con nessuno, a parte lei. Credo fosse amico del ragazzo asiatico che vive al 7° piano, però. Vero Nia?”
Piper sfoderò un sorriso seducente prima di voltarsi verso Nia, rivolgendosi con tono amabile alla cugina mentre la ragazza annuiva massaggiandosi la gamba con una smorfia:
“Sì, che male… Cioè, sì, li ho visti in giro di tanto in tanto.”
“Sua cugina trascorre molto tempo qui con lei, Signorina Naidoo?”
“Sì, ritiene che stare qui e scroccare la stanza degli ospiti sia molto più comodo del dormitorio universitario…”
Piper fece del suo meglio per non alzare gli occhi al cielo mentre rispondeva e Nia, accano a lei, sorrideva angelica prima di parlare con il tono zuccheroso che era solita utilizzare quando entrava in “modalità ruffiana”:
“Certo, ma anche e soprattutto perché ti voglio bene e sei la mia cugina preferita!”
 
Se Domnhall pensò che fossero un duo bizzarro non lo diede affatto a vedere, restando perfettamente serio ed impassibile, cosa di cui Piper gli fu sinceramente grata mentre sospirava piano.
 
 
 
Domnhall cominciava a sentirsi seriamente esausto e saturo di fare le stesse domande a quelle persone da più di due ore, ma il fatto che la quantità dei nomi della lista si assottigliasse sempre di più lo rincuorava. Quando lesse il nome a dir poco eterno di un ragazzo con evidenti origini centro o sudamericane l’Auror aggrottò la fronte, chiedendosi quanto tempo impiegasse esattamente quel poverino a firmare dei documenti prima di alzarsi, affacciarsi oltre l’uscio della stanza e chiamarlo.
La sala era ormai quasi vuota e buona parte dei condomini del palazzo era già stata libera di andarsene, fatta eccezione per coloro che vivevano ai piani più alti. Fortunatamente Domnhall era arrivato alla lettera C del 12° piano, quindi non ne avrebbe avuto ancora per molto.
 
“Signor Powell?”
Di pronunciare il nome completo del mago  – e probabilmente sbagliare la pronuncia, visto che non parlava spagnolo – Domnhall non se lo sognava neppure, e rimase a guardare un ragazzo moro alzarsi dal fondo della sala e attraversarla rapido. L’Auror guardò accigliato la felpa sbiadita e larga indossata da Esteban chiedendosi perché un ragazzo evidentemente molto ricco – del resto viveva al 12° piano, quindi ritenne improbabile che i suoi genitori facessero i postini –  dovesse vestirsi in quel modo, limitandosi a fargli cenno di seguirlo quando il ragazzo l’ebbe raggiunto.
“Venga pure.”
Domnhall tornò nella stanza con Esteban al seguito, lasciando che il giornalista lo precedesse prima di gettare un’ultima, rapida occhiata alle poche persone presenti nella sala riunioni e infine chiudersi la porta alle spalle.

 
A qualche fila di sedie di distanza, intanto, due condomini cercavano di non morire di noia ammazzando il tempo con una partita a carte:
“Pesca 4. Rosso.”
“Ancora?! Ma che cazzo, ma perché vengono tutti a te?!”

Carter sbuffò sonoramente mentre pescava per l’ennesima volta quattro carte dal mazzo che lui e Mathieu avevano sistemato su una sedia vuota in mezzo a loro, chiedendosi infastidito perché quel giorno la fortuna gli avesse voltato sdegnosamente le spalle mentre Mathieu, che a differenza sua aveva solo due carte in mano, sorrideva beffardo.
“Fortuna del principiante, forse non avresti dovuto insegnarmi questo gioco. Però sai come si dice, sfortunato al gioco…”
“Come se dell’amore me ne potesse fregare qualcosa. Che colore hai detto?!”
“Rosso.”
Tu e il tuo cazzo di rosso, possibile che tra venti carte non ne abbia neanche una?! Non ci credo che non stai barando.”
“Non so di che parli.”
Mathieu scosse la testa, parlando con aria del tutto innocente mentre Sarge faceva avanti e indietro davanti a lui e al padrone, ormai totalmente insofferente al dover restare chiuso in quella stanza.
I due avevano perso il conto della quantità di minuti che erano trascorsi da quando avevano messe piede nella sala, ma Carter riuscì finalmente a scorgere una luce in fondo al tunnel quando uno degli Auror apparve nella stanza chiedendo a chiunque abitasse nel 13B di seguirlo. Il ragazzo sorrise, così felice dal non riuscire ad infastidirsi nemmeno quando Mathieu gli fece pescare altre due carte, e pregò mentalmente che il suo turno arrivasse in fretta mentre Niki si alzava in piedi dal fondo della sala: da quando Esteban si era alzato la strega aveva preso possesso di tutta la fila di sedie, distendendosi comodamente tenendo gli occhi fissi sul soffitto della stanza, in fremente attesa del suo turno per potersene finalmente andare da lì.
Quando si sentì chiamare la strega sospirò di sollievo e si alzò, stiracchiandosi sollevando le lunghe braccia sopra la testa prima di dirigersi in tutta calma verso Walter, superando le numerose file di sedie ormai prevalentemente vuote. Tra i posti rimasti liberi figurava tuttavia la sua amata vicina, alla quale Niki accennò celando pigramente uno sbadiglio con la mano:
“Era ora, iniziavo a pensare che mi avreste lasciata qui ad ammuffire fino a diventare come questa qui…”
Un sorrisetto divertito prese forma sul bel viso della strega quando l’anziana vicina le diede, indignata, della cafona e nel superarla Niki si voltò verso di lei, indirizzandole un bacio con la punta delle dita prima di sogghignare e raggiungere l’Auror con rapide e lunghe falcate.
Quando superò i loro posti Carter alzò lo sguardo per gettarle un’occhiata, proprio mentre Mathieu, sorridendo, vinceva la partita gettando l’ultima carta nel mucchio colorato:
“Ho vinto! Incredibile, era la prima volta che ci giocavo. Vuoi la rivincita Carter?”
Col cazzo. E non gasarti tanto, questo è un gioco a prova di idiota.”
“Ma se hai appena pers-“
Ok, va bene, facciamo questa dannata rivincita, così forse nel mentre la vicina del mistero esce e poi verrà finalmente il mio turno.”
Carter prese il mazzo ed iniziò a mescolare le carte con un sonoro sbuffo spazientito, gettando al contempo un’occhiataccia in direzione della porta dietro alla quale Niki era appena sparita. Poteva solo sperare che gli Auror non decidessero di trattenere la sua strana vicina per l’eternità.

 
*

 
“Signorina, prima di iniziare potrebbe, emh… permetterci di vederla in faccia?”
Niki si era appena seduta sulla sedia sistemata davanti ai due Auror, a separarli solo un tavolo. La domanda della “donna Auror” la fece esitare, annuendo piano prima di sfilarsi lentamente gli occhiali da sole con una mano e abbassare il cappuccio nero della felpa con l’altra, dandosi una rapida ravvivata ai lunghi e lisci capelli scuri senza guardare nessuna delle due persone che aveva davanti.
“Ha un’aria familiare. Ha già parlato con noi, in passato?”
Le parole sfuggirono dalle labbra di Megan quasi senza che la strega lo volesse, osservando accigliata il viso di Niki mentre Walter, accanto a lei, gettava un’occhiata confusa alla collega.
“No.”
Megan non sembrò del tutto convinta, quasi del tutto certa di averla già vista da qualche parte, ma annuì e decise di soprassedere prima di rivolgerle le prime domande:
“Mi sarò sbagliata, mi scusi. Allora, lei vive qui da poco, da meno di chiunque altro, da quanto ci risulta… ma conosceva il signor Dawson? Ha frequentato Ilvermorny nei suoi stessi anni?”
“Non so di che cosa parlate, io ho 25 anni.”
Niki si adagiò contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto e accavallando le lunghe gambe esili mentre faceva vagare gli occhi verdi all’interno della stanza, guardando ovunque fuorché i due Auror. Quando infine scorse le loro espressioni accigliate la ragazza sbuffò, liquidando il discorso con un rapido e sbrigativo gesto della mano:
“Ok, va bene. 27.”
“…28. Ok, se proprio volete farmelo dire ne ho… un numero che fa rima con… menta.”
“Sì Signorina, sappiamo dal registro che è nata nel 1991.”
Megan le rivolse un sorriso paziente e a quelle parole Niki si irrigidì, fissandoli torva prima di inarcare un sopracciglio:
Ma se lo sapevate già che cazzo me lo avete fatto dire a fare?! Ad ogni modo, no, a scuola non ci ho mai avuto a che fare.”
“E ha avuto modo di conoscerlo qui, nei mesi passati?”
 
A quella domanda Niki tacque, esitando prima di rispondere. All’improvviso si estraniò totalmente dalla stanza, tornando a rivivere un momento preciso risalente ad un paio di giorni prima.

 
Non usava mai l’ascensore, ma quel giorno era terribilmente in ritardo e si vide costretta a fare un’eccezione. In piedi davanti alle porte metalliche chiuse, Niki premette con insistenza il tasto imprecando a bassa voce, chiedendosi perché ci mettesse tanto a scendere proprio quando più ne aveva bisogno.
Quando finalmente le porte si aprirono un accenno di sorriso sollevato le increspò le labbra, sorriso che finì col congelarsi e a sparire rapido quando gli occhi verdi della strega indugiarono sul ragazzo già presente dentro ascensore. Montgomery le sorrise divertito come al solito mentre lei esitava davanti alle porte aperte. Avrebbe voluto voltarsi e usare le scale, ma quella mattina non ne aveva il tempo.
“Ciao svitata. Non sali?”
 
 
“Signorina?”
Fu la voce di Walter a riportarla bruscamente al presente e Niki, sbattendo le palpebre, deglutì prima di scuotere leggermente la testa e parlare con un mormorio, gli occhi fissi sul tavolo che la divideva dai due Auror.
“Soltanto vagamente.”
 
 
Niki lasciò la stanza pochi minuti dopo, cedendo il suo posto ad un Carter particolarmente sorridente e visibilmente sollevato. Anche perché, cosa non priva d’importanza, il sopraggiungere del suo turno lo salvò dalla terza sconfitta di fila ad UNO contro Mathieu.
“Puoi tenermi Sarge? Non ci metterò molto, non ho proprio un bel niente da dire.”
“Certo.” Mathieu annuì e prese il guinzaglio di Sarge dalle mani di Carter, che accarezzò affettuosamente la testa del Golden Retriever promettendogli di tornare presto prima di alzarsi e dirigersi verso la porta della stanza. Nel farlo passò accanto a Niki, ma la strega – che si era nuovamente messa gli occhiali e aveva risollevato il cappuccio della felpa volto a coprirle i capelli – non lo degnò di un’occhiata e lo superò senza nemmeno muovere la testa di un centimetro nella sua direzione, come se il vicino fosse stato completamente invisibile.
 
 
Quando sedette di fronte a Domnhall Carter aveva un largo sorriso stampato sulle labbra, privo della benchè minima traccia di disagio o di ansia. L’Auror gli lanciò una rapida occhiata dubbiosa prima di parlare, porgendogli la stessa domanda che aveva già ripetuto all’incirca un’infinità di volte:
“Signor Cross, lei vive qui da diversi anni, conosceva il Signor Dawson?”
“No, per nulla, a stento lo avrò salutato due volte… e anche se avevamo un anno di differenza nemmeno a scuola ci ho mai avuto a che fare, eravamo anche in due Case diverse, se non erro. Quindi, visto che non ho nulla da dire… posso andare? Devo portare fuori il mio povero cane da all’incirca un’eternità.”
Domnhall guardò il giornalista restando in silenzio per una manciata di secondi, fissandolo accigliato mentre Carter, più rilassato che mai, ricambiava il suo sguardo senza battere ciglio. O era completamente sincero, o il bugiardo più convincente che si fosse mai trovato davanti. E Domnhall, che aveva una vastissima esperienza in materia di bugiardi, optò per la prima opzione.
 
Quel palazzo era semplicemente il più bell’agglomerato di strambi in cui fosse mai capitato
 
 
 
Naturalmente i genitori del defunto non facevano parte della chilometrica lista di condomini con cui avrebbero dovuto parlare prima di pranzo, quindi Megan e Walter sospirarono di gioia nell’appurare di avere solo un altro nome da spuntare dall’elenco, l’ultimo inquilino del 14° piano, nonché vicino di Montgomery.
“Riesci a credere che abbiamo quasi finito? Mi sento il cervello in pappa.”
Megan si stiracchiò sulla sedia con un sospiro sollevato, parlando con gli occhi luccicanti – la pausa pranzo non era mai sembrata così bella – mentre Walter, accanto a lei, annuiva prendendo il foglio per leggere il nome dell’ultima persona con cui avrebbero dovuto parlare.
“Non me lo dire. Vado a chiamare il tizio del 14D, questo… Ma come si pronuncia questo nome?!”
“Dammi qua, ci penso io. Mathieu… Mathieu Levesque-Simard.”
“Secondo me non si pronuncia affatto così, Meggy.”
“Senti Walt, sono arrivata al punto in cui della pronuncia dei nomi di questi tizi non me ne frega niente, che si offenda pure, se vogliono. Io voglio solo pranzare! Speriamo che questo tipo non conoscesse Dawson, così ce la sbrighiamo subito.”
 
 
“… Sì, lo conoscevo.”
Mathieu, seduto davanti ai due Auror, annuì mentre stringeva il ginocchio sinistro accavallato sulla gamba destra. Accigliato, il mago guardandoli ebbe come l’impressione che la sua risposta li avesse profondamente delusi, non potendo immaginare che Megan stesse trattenendo l’impulso di abbandonare la testa ricciuta sul tavolo e Walter di piagnucolare massaggiandosi il viso.
Fortunatamente i due riuscirono a mantenere intatto l’aplomb richiesto dal loro ruolo e Walter, dopo essersi schiarito la voce, chiese al canadese che genere di rapporto aveva avuto con il defunto.
“Beh, viviamo… scusate, vivevamo allo stesso piano, quindi ci incrociavamo spesso in giro per il palazzo o in ascensore. Alla fine a furia di incontrarci in giro abbiamo iniziato a parlare e ogni tanto passavamo del tempo insieme, niente di che.”
“Recentemente le è sembrato strano, o diverso dal solito?”
“No. E non mi dava l’impressione di soffrire di depressione, anzi. Immagino che lo si potesse definire tranquillamente come una persona che ha tutto ciò che si potrebbe desiderare.”
“Che lei sappia il Signor Dawson ha mai avuto guai con qualcuno, qui?”
“No. Monty tendeva ad ignorare le persone che non gli andavano a genio. Pensate che non si sia suicidato?”
Mathieu aggrottò la fronte, spostando gli occhi chiari dal viso di Megan a quello di Walter mentre i due Auror si scambiavano una rapida occhiata. Mathieu quasi non udì risposta che seguì quello scambio di sguardi: la loro esitazione gli bastò per dirsi che forse, dopotutto, Monty non si era affatto tolto la vita. E per quanto quell’ipotesi fosse molto più spaventosa, dovette ammettere che aveva anche molto più senso.
 

 
*

 
Quando una decina di minuti dopo Domnhall, Walter e Megan si incontrarono nella sala riunioni ormai deserta erano tutti e tre carichi di fogli e visibilmente stanchi.
“Raccolto qualcosa di interessante?”
“Puoi dirlo. Ma non ho intenzione di parlarne senza avere un panino pieno di salsa davanti Dom, sei avvisato.”
Megan parlò puntando minacciosa l’indice contro il collega, che annuì e sorrise prima di acconsentire e invitare i due a seguirlo fuori dall’edificio che, dopo tutte quelle ore, iniziava quasi a soffocarlo.
 
 
Nell’attraversare l’ingresso i tre superarono due delle persone con cui avevano avuto modo di parlare poco prima: Naomi Broussard e Gabriel Mendoza erano in piedi uno accanto all’altra vicino alla portineria, e la strega in particolare sembrava piuttosto nervosa a causa del modo in cui spostava frequentemente il peso da un piede all’altro e gettava occhiate agli ascensori, quasi stesse aspettando di vedere qualcuno comparire nell’ingresso.
“Naomi, non sto dicendo che stia bene, perché è ovvio che non possa essere così, ma non so se stargli addosso sia la soluzione migliore.”
“Lo so anche io, ma non ho idea di come comportarmi. Per noi è diverso. Voglio solo che non faccia sciocchezze.”
Naomi scosse la testa, parlando con tono cupo mentre gettava l’ennesima occhiata in direzione degli ascensori chiusi, sperando di vedere Moos uscirne per pranzare insieme come avevano stabilito poco prima. Quel giorno l’idea di lasciarlo solo non le piaceva affatto.
“Che cosa ha detto agli Auror?”
“Non glie l’ho chiesto, ma forse dovremmo. Non so se abbia detto la verità o no, Gabri.”
 
Gabriel non rispose, ma si stampò un sorriso sulle labbra quando vide l’ex compagno di Casa uscire da un ascensore decretando di star morendo di fame. Naomi lo imitò, affrettandosi a prendere Moos per un braccio e lui per un altro per condurli fuori dall’edificio asserendo che “il suo trucco e i suoi capelli fossero troppo belli per non essere sfoggiati in giro per l’UWS”.
“Ma Naomi, tu sei sempre bellissima.”
“Se ci fossero più persone come te il mondo sarebbe un posto tre volte migliore di quanto non sia, Moos.”
 

 
*
 
 
10.30 pm
Appartamento 14D

 
 
Mathieu Levesque-Simard stava riordinando l’immensa libreria che occupava quasi una parete intera del suo soggiorno quando aveva sentito il suo alano abbaiare dal terrazzo dell’appartamento. Piuttosto perplesso, poiché Prune non era solito abbaiare in quel modo di frequente, Mathieu aveva bloccato la mano in procinto di mettere a posto un libro a mezz’aria, voltandosi accigliato in direzione del rumore prima di udire il cane abbaiare di nuovo.
“Prune, che cosa c’è?”
Mathieu sistemò il libro prima di dirigersi rapido verso il terrazzo illuminato dalle luci esterne e imbattersi così nel suo cane, che stava facendo nervosamente avanti e indietro davanti all’alto muretto che delimitava il perimetro della struttura, sul lato rivolto verso gli appartamenti A, B e C e dove si trovava l’idromassaggio.
Quando vide il padrone Prune corse rapido verso di lui, lasciandosi accarezzare mentre muoveva nervosamente la coda avanti e indietro e Mathieu, sorridendogli, gli chiedeva che cosa avesse visto.
Che il suo cane fosse particolarmente incline a farsi spaventare da qualsiasi cosa, spesso e volentieri persino dai suoi stessi abbai, Mathieu lo sapeva bene, ma era anche vero che era la prima volta in cui lo sentiva abbaiare a quell’ora dentro casa.
Il mago si avvicinò all’idromassaggio e Prune lo seguì, del tutto intenzionato a restare incollato il più possibile al padrone mentre Mathieu scrutava accigliato il terrazzo deserto dell’appartamento vicino e quello del 14B, dove comparivano solo il tavolo, le sedie, la griglia e le sdraio dove Montgomery era solito prendere il sole in estate. Non c’era nessuno fuori e le finestre erano chiuse in entrambi gli appartamenti, l’unica differenza era che le luci del 14C erano accese e quelle del B ovviamente spente, e nel silenzio Mathieu udì solo il flebile vociare dei suoi vicini.
“Prune, non c’è niente di strano, tranquillo. Vieni dentro, su.”
 
Dicendosi che probabilmente il cane aveva semplicemente udito le voci dei vicini Mathieu chinò lo sguardo sull’alano con un sorriso, lasciandogli una carezza sulla testa bianca e nera prima di dirigersi nuovamente all’interno dell’appartamento con Prune, deciso a non restare solo per nulla al mondo, al seguito come un’ombra.
 
 
Mentre Mathieu chiudeva la portafinestra di vetro del terrazzo e Prune tornava a sistemarsi comodamente su uno dei divani del padrone Niki si appiattì contro la parete tenendo la bacchetta stretta tra i denti ed esalando un sospiro sollevato, riprendendo finalmente a respirare mentre il suo battito cardiaco tornava progressivamente ad una frequenza più lenta e costane.
Assurdo, quasi tradita da un cane. Tradita dagli uccellacci malefici della mummia? Lo avrebbe accettato, le sarebbe andato bene, ma da un cane? Quello sarebbe stato un epilogo decisamente deprimente.
Protetta dalla totale oscurità della stanza e dell’appartamento in generale Niki si voltò per scrutare fuori dalla finestra che aveva appena scavalcato e che era riuscita a chiudere appena prima che uno dei suoi vicini si affacciasse, richiamato dagli abbai del suo alano, premurandosi di controllare che se ne fosse andato prima di muoversi. Dalla sua visuale ridotta il terrazzo sembrava deserto e la strega si spostò silenziosa dalla parete, prendendo in mano la bacchetta per poi addentrarsi nella stanza buia e depositare lentamente lo zaino che aveva portato con sé sul parquet.
Non osò accendere nemmeno la punta della propria bacchetta per farsi un po’ di luce, decidendo di aspettare qualche minuto per evitare di attirare nuovamente l’attenzione dei vicini sul 14B. Per qualche istante Niki restò con i grandi occhi verdi ormai abituati all’oscurità fissi sul lampadario spento del soggiorno, ritrovandosi senza volerlo ad immaginare il corpo priva di vita di Montgomery che penzolava dal soffitto.
Richiamata alla realtà dalla consapevolezza di doversi sbrigare, un paio di minuti dopo Niki intascò la bacchetta e si inginocchiò rapida sul pavimento per aprire lo zaino nero, dando le spalle al lampadario e cercando di accantonare quell’immagine.
Aveva troppe cose a cui pensare per lasciarsi distrarre.
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Ragazze vi chiedo scusa, mi sono scordata di dirvi che la componente mystery della storia si esaurirà nel prossimo capitolo, quando gli Auror sulla scena del misfatto troveranno la dentiera che Niki ha palesemente lasciato in giro alla fine di questo capitolo, arrestando così la sua cara vicina di casa e chiudendo quindi il caso.
Ovviamente scherzo, ma Niki, siamo al primo capitolo e siamo già ad una violazione di domicilio. Dove andremo a finire?
Detto ciò, buonasera <3
Vi ringrazio tutte come sempre per le recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo, spero che anche questa seconda parte sia stata di vostro gradimento. Sono stata moolto rapida con i colloqui tra Auror e OC perché molti di loro non hanno effettivamente avuto legami particolari con Monty e in più, come sapete benissimo, nessuno di loro è in lizza per essere l’assassino. E su questo punto non vi trollerò, giuro.
Vorrei anche ringraziare coloro che hanno già provveduto ad espormi qualche teoria, devo dire che una in particolare mi ha procurato un forte attacco di ilarità nel momento della lettura quindi mi affretto a giurare che no, quando Niki mostra il telefono al cameriere, che poi le permette di fumare senza battere ciglio, sullo schermo non figurava la scritta “TI SPACCO LA FACCIA”.
 
Non ho ancora domande da farvi quindi per il momento vi saluto, a presto qui e altrove spero!
Signorina Granger
   
 
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