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Autore: My Pride    08/05/2022    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Let it all out Titolo: Let it all out (Even heroes have the right to cry)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3124 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent

Rating: Giallo
Genere: Generale, Malinconico

Avvertimenti: What if?, Hurt/Comfort, Disturbo da stress post-tramatico
Easter Calendar: 33. Il care ha traumi irrisolti
Uovo di Pasqua:
 Notte || "E' per te"


BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    Jon abbatté un pugno contro la struttura della pompa eolica, imprecando quando le sbarre d'acciaio si piegarono su loro stesse e rischiarono quasi di far crollare tutto.
    Avrebbe dovuto essere una piacevole serata in famiglia, invece aveva rovinato ogni cosa. Ma' li aveva invitati a passare qualche giorno da loro e, dopo aver tergiversato un po', Jon alla fine aveva ceduto alle richieste della nonna e aveva raggiunto lei e Pa' a Smallville insieme a tutto il resto della famiglia, trovando persino Conner. Avevano riso, scherzato, si erano divertiti fino a sera e poi avevano deciso di sedersi tutti insieme sul divano, stringendosi per poter guardare un film; Conner aveva ironicamente proposto un film d'animazione e Lois stessa aveva acconsentito ridendo, accennando che divertirsi un po' non avrebbe fatto male a nessuno di loro. E Jon stesso ne era stato convinto... almeno finché nel suddetto film non aveva visto che uno dei personaggi era rimasto intrappolato per mille anni su un'isola, impossibilitato a fuggire senza i suoi poteri.
    Il cervello di Jon si era letteralmente disconnesso e lui aveva sgranato gli occhi in stato di shock, respirando a fatica. Ansimando, si era alzato talmente in fretta che aveva rischiato di ribaltare il divano con tutta la famiglia ancora accomodata, sentendo nelle orecchie le voci di sua madre e suo padre che gli chiedevano se stesse bene, cosa gli fosse successo o cosa avesse sentito; le domande erano state inghiottite da un fischio che lo aveva reso sordo prima ancora di rendersene conto, ed era volato fuori dalla finestra riducendola in frantimi. Adesso che se ne stava seduto su quella pompa eolica e riprendeva fiato, forse un po' si pentiva di come aveva reagito e di aver spaventato tutti.
    Jon scosse la testa e trasse un sospiro, cercando di calmarsi. Era solo un film d'animazione, era solo un film d'animazione, era solo un... si coprì il viso con entrambe le mani e urlò contro i palmi, cercando di scacciare le orribili immagini che si erano accalcate nella sua mente e che avevano riportato a galla quegli orribili sette anni prigioniero in quel maledetto vulcano. Aveva creduto che fosse riuscito a liberarsi di tutto quel dolore, quel trauma che si era portato dentro e che non aveva mai avuto il coraggio di raccontare a nessuno, nascondendosi dietro alla sua solita facciata bonaria per non preoccupare ulteriormente le persone a cui voleva bene e che gli volevano bene. Era stato certo di riuscire a gestirlo da solo... ma si era maledettamente sbagliato.
    Trattenendo un singhiozzo, Jon si portò entrambe le gambe contro il petto e le abbracciò, nascondendo il viso fra le ginocchia per asciugare le lacrime sulla stoffa dei pantaloni. Stavano cominciando a bagnarsi e il vento serale lo faceva rabbrividire, ma non gli importava. Si sentiva... debole, stanco. Un guscio vuoto come lo era stato quando si era ritrovato imprigionato su Terra-3, un ragazzino che aveva sperimentato il dolore e la rabbia e la tortura per anni e anni, prima di riuscire a liberarsi e tornare a casa solo per scoprire che, dei sette anni che lui aveva vissuto, per gli altri erano state solo tre settimane.
    Alle orecchie gli giungevano le alte voci della sua famiglia, Lois che lo chiamava e lo cercava fra i campi insieme a Ma' e Pa', suo padre e Conner che volavano ovunque alla sua ricerca... ma lui aveva imparato dal migliore a controllare il suo battito cardiaco e, a meno che non avesse voluto, non sarebbero riusciti a trovarlo. Non aveva ancora la forza di affrontarli, non voleva affrontarli. Non si sentiva pronto.
    Tirò su col naso e chiuse gli occhi, sentendo gli angoli bruciare da quanto aveva pianto. Non riusciva a fermare le lacrime, anche se si dava dello stupido per aver reagito in quel modo solo per l'aver visto un film d'animazione. Per quanto forte volesse dimostrarsi, per quanto avesse davvero cercato di convincere se stesso che stava bene, che non aveva bisogno di aiuto, che avrebbe potuto affrontare ogni cosa... la verità era che niente di ciò che aveva vissuto l'aveva lasciato davvero. In quanto figlio di Superman si sforzava di essere la speranza, la luce del mondo, il sole stesso, ma sentiva solo un'oscurità crescente dentro di sé.
    Avrebbe voluto urlare a pieni polmoni ciò che aveva chiuso nel proprio cuore, quel dolore che aveva cominciato a diventare insopportabile e che giorno dopo giorno premeva contro le sue costole come fosse un parassita che gli cresceva dentro, e più tentava di soffocarlo, di sorridere e di pretendere che tutto andasse bene, più quel mostro cercava di strappare quel minimo di felicità a cui si era aggrappato dopo aver perduto anni della sua vita.
    Stava per dare l'ennesimo pugno contro la pompa quando un battito cardiaco catturò la sua attenzione, facendogli sollevare la testa nello stesso istante in cui un fischio gli ferì le orecchie; socchiudendo una palpebra, Jon cercò di scacciare quel rumore e si concentrò solo su quel cuore che conosceva bene, flettendo le gambe per spiccare il volo prima ancora che il suo cervello desse segnali ai nervi. Si sentiva sfatto, gli occhi gli bruciavano e le mani gli tremavano, sentiva ancora tutto il peso di quel trauma schiacciargli la testa e fargliela dolere, ma non poteva ignorare il fatto che il suo migliore amico fosse in pericolo.
    Volò più veloce della luce, con i jeans che gli si incollavano alle gambe a causa dell'umidità della notte e dell'atmosfera, la camicia di flanella che svolazzava nel vento e produceva sinistri schiocchi ogni qual volta le folate si insinuavano in essa. Giunse a Gotham senza nemmeno rendersene conto, concentrato su quel battito impazzito che sembrava rimbombare nelle sue orecchie come un potente tamburo; scrutò tra i vicoli suicidi e parzialmente illuminati, sorvolò i tetti e insonorizzò ogni altro suono, finché non riuscì a vedere Damian che, con il braccio destro ferito e pendente lungo il fianco, cercava di tener testa ad un gruppo di assassini che non gli davano tregua. Ne aveva atterrati la maggior parte e quelli feriti venivano soccorsi da altri, ma ce n'erano ancora troppi.
    Jon non perse nemmeno tempo a rifletterci: si gettò nella mischia con la forza di una locomotiva, afferrando per i fianchi uno degli assassini prima ancora che quest'ultimo potesse calare la spada contro Damian; alle orecchie gli giunse una sua esclamazione sorpresa, ma Damian approfittò del vantaggio che gli aveva inconsciamente dato per cercare di respingere l'attacco, volteggiando in aria con la grazia di un cigno mentre colpiva all'addome o al viso con calci decisi e sicuri.
    Gli assassini si ritirarono ben presto, coprendo la loro fuga con una bomba fumogena che puzzava di zolfo; Jon fu quasi tentato di seguirli, ma sapeva che con quegli uomini non sarebbe servito a nulla e si occupò quindi di Damian, il quale aveva lanciato il rampino verso l'alto per poter salire sul tetto dell'edificio che li circondava. Quando Jon lo raggiunse, lo vide seduto su un condotto di ventilazione senza la parte superiore della sua uniforme, il volto contratto in una smorfia di dolore e il braccio destro percorso da decine di ferite da taglio che avrebbero sicuramente lasciato altre pallide cicatrici su quella pelle scura e segnata.
    «Avrei potuto cavarmela da solo», esordì Damian mentre lo vedeva avvicinarsi fluttuando, armeggiando con la cintura per tirar fuori dalla tasca il suo kit. «Avevo la situazione perfettamente sotto controllo».
    «Grazie, J, ottimo salvataggio», lo scimmiottò Jon nell'ignorare l'occhiataccia che gli venne lanciata da Damian, vedendolo cercare di aprire il kit per tirare fuori l'ago. «Lascia, faccio io», si offrì, anche se Damian grugnì qualcosa in risposta prima di arrendersi e abbandonare anche la rigidezza delle sue spalle.
    Damian non disse nulla per un po', non fece una piega nemmeno mentre Jon gli tamponava i tagli e ripuliva le ferite, poi fissò i suoi movimenti con attenzione. «Che ci fai qui? Credevo saresti rimasto a Smallville con la tua famiglia», disse, tamburellando con le dita sul condotto.
    Jon si irrigidì per un momento, ma ingoiò ogni parola e sorrise. Perché era questo ciò che faceva, giusto? Sorrideva. «Ho sentito che un certo pettirosso aveva bisogno di... compagnia», prese in giro, e Damian roteò gli occhi, arreso.
    «Hai ascoltato il battito del mio cuore».
    «Mi dichiaro colpevole».
    Damian sbuffò e lasciò correre, conscio che con Jon sarebbe stato tutto fiato sprecato. Da quando era tornato da quel viaggio intergalattico che lo aveva riportato sulla terra come un diciassettenne e non più come un bambino di dieci anni, nell'arco dell'ultimo anno e mezzo Damian aveva dovuto imparare a conoscere questo nuovo Jon, il quale era rimasto pur sempre il suo migliore amico anche se non avevano potuto fare esperienze o crescere insieme. Avevano cercato di farla funzionare, avevano ammesso che essere amici mancava ad entrambi e che c'erano state troppe cose perdute... ma Jon gli aveva anche detto che, se sarebbe servito, sarebbe stato ad una chiamata di distanza e sarebbero stati di nuovo i Super Sons. A quanto sembrava aveva tenuto fede alla sua parola. Eppure... eppure c'era qualcosa di diverso in Jon, quella notte.
    Damian lo scrutò per un lungo istante, incerto se aprire bocca o no. Di solito non gli importava, diceva sempre le cose come stavano, ma sentiva un peso opprimente nel petto e nel cuore e non riusciva a capire perché. Così, mentre osservava il modo in cui Jon aveva cominciato a suturare la ferita sul suo avambraccio, sospirò pesantemente e si fece forza.
    «Stai bene, J?» chiese, e non gli scappò il modo in cui Jon irrigidì le spalle e serrò la mascella.
    Stava cercando di non darlo a vedere, ma Damian era un ex assassino, era stato addestrato a riconoscere i movimenti del corpo umano per essere consapevole delle mosse del suo avversario e non essere colto di sorpresa... e quel mettersi sulla difensiva parlava per Jon. Ciononostante, Jon sollevò un angolo della bocca in un sorriso... ma anche quello parve forzato.
    «Certo. Perché non dovrei... stare... bene...»
    La voce venne rotta da un singulto malamente soffocato e Jon sentì gli occhi umidi e lucidi di pianto, ma cercò comunque di non lasciare che quelle lacrime lo soffocassero come stavano cercando di fare. Eppure la vista aveva cominciato ad appannarsi e le mani a tremare, e dovette interrompere quella sutura per evitare di far male a Damian. No, non poteva pensarci adesso. Non lì, non con Damian, non... si coprì il viso con una mano e affondò i denti con tale forza nel labbro inferiore che lo lacerò, assaporando il sangue che scivolò sulla sua lingua e nel palato.
    «Non... non sto bene...» riuscì finalmente a dire tra i singhiozzi, crollando in ginocchio su quel tetto incrostato di sudiciume. Ed era così che si sentiva, sporco, abusato, un bambino a cui era stata rubata l'infanzia nel momento stesso in cui era stato fatto prigioniero.
    Sentì nelle orecchie il cuore di Damian sussultare, come una lama che gli trapassava il petto, e avrebbe davvero voluto dire che non era niente, che poteva gestirla, che non avrebbe dovuto preoccuparsi di lui... ma non ci riuscì. La sola cosa che riuscì a fare fu scoppiare a piangere davanti agli occhi increduli di Damian, il quale allargò le palpebre al di sotto della maschera che indossava.
    Quand'era bambino, Jon era sempre stato emotivo, non aveva mai avuto paura di esprimere i suoi sentimenti o di piangere davanti a lui, di mostrargli come si sentiva e per quel motivo si sentiva in quel modo... da quando era cresciuto, sembrava che qualcosa, dentro di lui, si fosse spezzata. Qualunque cosa fosse successa, era stata abbastanza traumatica da ridurre Jon in quello stato. E gli si stringeva il cuore nel vedere il suo migliore amico in quello stato. Così, contro ogni aspettativa, fece una cosa che stupì persino lui: si inginocchiò accanto a lui e, incerto se cingergli o meno le spalle con un braccio, si tolse il mantello e glielo sistemò sulle spalle, incontrando lo sguardo interrogativo di Jon. Gli occhi erano acquosi, arrossati e gonfi, e Damian non riusciva a vederlo così.
    «È per te, tienilo. Fa... fa freddo», disse, e si sentì stupido per quelle parole. Jon era un mezzo kryptoniano, non poteva avere freddo... ma Jon, singhiozzando, si strinse nel mantello e si rannicchiò in esso, lasciandosi completamente andare senza dire una parola. E Damian stesso non lo forzò a farlo, pur restandogli vicino mentre si abbandonava a quella tristezza, con la fronte poggiata contro le ginocchia e le braccia avvolte intorno al proprio petto. Dio... perché il cuore faceva così male?
    «S-Scusa», sussurrò infine Jon mentre sussultava e singhiozzava, e Damian sgranò gli occhi.
    «Perché diavolo mi stai chiedendo scusa, adesso?»
    Jon si strofinò il dorso delle mani su entrambi gli occhi, cercando di mettere in fila qualche parola nonostante il nodo in gola. «Io-- è una... una cosa stupida, io--»
    «No, non lo è». La voce di Damian era calma, un fruscio nel bel mezzo della notte. «Se ti fa sentire così, non è affatto stupida».
    Tra loro cadde nuovamente il silenzio, rotto solo dai singhiozzi di Jon che diventavano sempre più flebili mentre, col viso premuto contro la stoffa dei suoi jeans, tentava di soffocare ancora le lacrime. Era stupido, si auto-convinse ancora una volta. Anche Damian avrebbe riso di lui se gli avesse detto che aveva avuto quella crisi solo a causa di un maledetto film d'animazione, lo avrebbe preso in giro perché non aveva saputo affrontare quel trauma e...
    «Jonathan... vuoi parlarne?»
    Jon esitò, soppesando quella domanda mentre respirava pesantemente ad occhi dilatati. Sapeva che non lo avrebbe giudicato. Sapeva che Damian aveva avuto un passato orribile e che avrebbe capito, la sua era solo paura per quel trauma che non aveva mai affrontato davvero. Così, con la stessa forza con cui un'onda si abbatteva contro gli scogli, si aprì finalmente con Damian. Non aveva mai fornito molti dettagli sul viaggio che aveva intrapreso con suo nonno e che lo aveva tenuto lontano dalla terra per quelle che per Damian erano state solo tre settimane - tre lunghe settimane che per lui erano stati anni -, così, con voce tremante e malferma, gli raccontò di quello stupido film d'animazione e di come la prigionia forzata di uno dei protagonisti gli avesse riportato alla mente il suo trauma, stringendosi in quel mantello mano a mano che le parole scorrevano via dalla sua bocca come un fiume in piena.
    Gli parlò del buco nero che aveva risucchiato la nave di suo nonno, del suo sbarco su una terra alternativa chiamata Terra-3; di come un uomo, un certo Ultraman, lo avesse imprigionato in un vulcano e di come lo avesse torturato per giorni, settimane, mesi. E la cosa peggiore era il fatto che quell'Ultraman avesse lo stesso aspetto di suo padre mentre abusava mentalmente di lui. Non poteva volare via, non poteva scappare; senza forze, privato della luce del sole e affamato per giorni, aveva come sola compagnia la lava del vulcano stesso, con la speranza che suo nonno venisse a salvarlo che diventava sempre più debole e spenta.
    Spesso, aveva continuato a raccontare Jon col respiro mozzato, quando quell'Ultraman andava a trovarlo dopo giorni, portando quel poco da mangiare, se ne stava seduto davanti a lui e parlava, parlava, parlava... oppure non parlava affatto, fissandolo interminabilmente per ore. A volte gli urlava contro e lo costringeva in ginocchio, premendogli i grossi palmi contro la testa cos forte che Jon ogni volta temeva volesse schiacciarla, soggiogandolo col suo potere e ricordandogli in continuazione che quella terra, quel vulcano, sarebbero stati per sempre la sta casa; altre volte, invece, Ultraman piangeva, lo biasimava per averlo fatto piangere e volava via per giorni... ed era stato durante uno di quei giorni che aveva provato a fuggire. Aveva notato come reagiva il vulcano alla lontanza di Ultraman e aveva cercato di sfruttare la potenza stessa della lava per fuggire, colpendo e colpendo senza sosta le pareti incandescenti, senza sapere se avrebbe funzionato. Finché alla fine non era esploso e lui, ferito, non era riuscito a strisciare via da quel vulcano.
    Qui Jon aveva preso una pausa e deglutito, soppesando le reazioni di Damian solo col suo battito cardiaco. Non aveva avuto il coraggio di alzare lo sguardo nemmeno per un momento, troppo spaventato di vedere quale espressione si fosse dipinta sul volto del suo migliore amico. Quindi si leccò le labbra e continuò il suo racconto, spiegando che gli ci era voluto molto pù del previsto per guarire e che, durante quel periodo, aveva cercato di aiutare la popolazione di quel pianeta mentre cercava di trovare un modo per scappare da quel luogo terribile una volta per tutte. E quando alla fine, dopo chissà quanto tempo, era riuscito a tornare a casa... aveva scoperto l'amara verità. Aveva sofferto per anni... mentre sulla terra erano passate solo tre settimane.
    «...tre maledette settimane», sussurrò con voce rotta, affondando le unghie nella carne così forte che si fece male. Rimase lì in ginocchio, raccolto in se stesso e nascosto dal mantello che Damian gli aveva abbandonato sulle spalle, con le orecchie piene del ritmico pulsare di quello che aveva scoperto essere solo il proprio cuore.
    Damian non proferì parola, non lo aveva fatto per tutto il tempo. Non c'erano parole per descrivere ciò che Jonathan Samuel Kent, quello che una volta era stato solo un solare e speranzoso bambino desideroso di aiutare il prossimo, aveva dovuto passare durante quelle che per lui erano state solo tre settimane lontane dal suo miglior amico. Così, in silenzio, allungò semplicemente le braccia e attirò Jon a sé, vedendolo sgranare gli occhi per quel gesto improvviso prima che gli facesse poggiare la fronte contro il proprio petto. E Jon, deglutendo, sentì nuovamente gli occhi bruciare e le lacrime cominciare a scorrere lungo le sue guance, cercando di calmarsi mentre sentiva Damian sussurrargli qualche parola in arabo e carezzargli i capelli. Non sapeva cosa stava dicendo e nemmeno gli importava, voleva solo starsene lì, fra le braccia del suo miglior amico, con la convinzione che tutto andasse bene... che sarebbe andata bene.
    «Sono qui, J. Sono qui». Damian lo strinse a sé, ignorando il dolore al braccio con le dita intrecciate fra quei riccioli scuri. «Ci sono io», sussurrò ancora, e Jon artigliò il retro della sua uniforme e continuò a piangere contro la sua spalla, dando sfogo a tutte le lacrime che aveva trattenuto negli anni... consapevole che, da quel momento in poi, l'avrebbero affrontata insieme
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Altro ovetto di Pasqua con una storia scritta per l'iniziativa #EasterAdventCalendar indetta sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
Questa storia per me è stata letteralmente catartica. Vista la porcata che la DC ha fatto al povero personaggio di Jon solo perché, e cito testualmente, all'autore che è subentrato dopo "annoiava scrivere di un bambino che doveva fare i compiti, giocare ai videogiochi e combattere i cattivi mentre imparava ad essere un bravo supereroe" (cosa che invece a noi del fandom piaceva proprio perché si poteva esplorare un lato diverso, e DCeased ha mostrato che la cosa funziona facendolo crescere come si deve), ho deciso di buttare nero su bianco quello che ha provato Jon perché la DC si è praticamente dimenticata di dirlo (lo ha accennato solo in mezza pagina. No, davvero, questo c'ha un trauma della Madonna e loro lo ignorano)
Sì, in questa storia c'è tanto rancore, tanta tristezza e rabbia per una decisione che hanno capito solo adesso essere sbagliata 
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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