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Autore: edoardo811    16/05/2022    2 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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XX

Furnace Creek




Kiana sognò le terme del Campo Giove. C’era stata solo una volta in tutta la sua permanenza nel campo, ed era stato solo per pochi minuti: quando aveva scoperto che era la casa-base di tutti quegli arroganti della Prima e Seconda Coorte, aveva deciso di evitare quel luogo come la peste. 

Quella sera, però, fu diverso. Quella sera, non c’era nessun altro nelle terme.

«Dai, vieni» bisbigliò Marianne, facendole strada. «Ci siamo quasi.»

Kiana la seguì senza fare storie, troppo concentrata sul calore e la morbidezza della mano di Mary stretta nella sua. 

Non aveva la più pallida idea di come si fosse ritrovata lì assieme a lei. Sapeva solo che era stata tutta un’idea di Marianne. La professionale, soldatessa modello Marianne, che durante il suo turno di guardia era piombata in camera sua, l’aveva svegliata e obbligata a seguirla. Se non l’avesse visto di persona, Kiana non ci avrebbe mai creduto. Però era stata felice di seguirla.

Quando entrarono nell’ennesima stanza, Kiana sentì il rumore dell’acqua che scorreva, e il calore e l’umidità diventarono così intensi da farle sentire i vestiti bagnati. Mary accese le luci e per la seconda volta le terme apparvero di fronte ai suoi occhi. 

Il salone era gigantesco, decorato con colonne di marmo lungo i bordi e statuette da cui sgorgavano fiotti d’acqua che andavano a tuffarsi nella vasca posta al centro di esso. Era come un’enorme piscina interna, scavata nel marmo.

Mary la guidò verso alcuni gradini che scendevano fino a immergersi nella vasca. Le lasciò andare la mano e si sedette sul bordo, accovacciandosi in modo da tenere gli scarponcini a filo con l’acqua. Kiana andò a sedersi accanto a lei e si accorse del suo sorriso rilassato, una rarità che occorreva soltanto quando si trovava in una compagnia. 

«Perché siamo venute qui?» le domandò.

«Hai detto che non ci vieni mai. Volevo farti una sorpresa.» 

«Hai lasciato scoperta la postazione solo per farmi una sorpresa?»

«Sì… devo essere impazzita.» Mary alzò le spalle. «Ti conviene goderti questo momento finché dura. In alternativa, possiamo tornare indietro anche adesso.»

Per Kiana fu impossibile non notare la finta noncuranza con cui le rivolse quelle parole. Le fu subito chiaro che Mary tenesse davvero a quel momento, dal modo in cui l’aveva presa per mano, fino al rischiare di finire nei guai solo per stare assieme a lei, da sole, nella quiete di quel luogo che raramente era quieto. 

Forse… più che al momento, teneva a lei.

Il suo cuore sussultò a quel pensiero. Si schiarì la voce. «Beh… allora penso che mi godrò il momento.»

Si tolse le scarpe e buttò le calze alla rinfusa, per poi mettere i piedi a mollo nell’acqua. Le scappò un mugugno di soddisfazione quando il tepore delle terme le avvolse la pelle. 

Mary ridacchiò. «Allora, che te ne pare?»

Kiana fece finta di pensarci su. «Beh… non è tanto male. È giusto un po’ più piccola del bagno di casa mia.»

Il sorriso svanì dal volto di Marianne. Distolse lo sguardo da lei. «Non sei divertente.»

Sembrava davvero infastidita, al che Kiana realizzò che forse quella avrebbe potuto risparmiarsela. Tuttavia, fu comunque costretta a trattenere un sorrisetto nel vedere la reazione offesa di Mary. 

«Ehi.» Le posò una mano sul ginocchio, facendola raddrizzare. Incrociò il suo sguardo e di fronte a quegli occhi azzurri si sentì quasi nuda, ma non in maniera negativa: era come se tra lei e Mary non ci fossero barriere, come se quella ragazza potesse capirla in ogni sua minima sfaccettatura, come se la conoscesse meglio di chiunque altro, forse perfino meglio di sé stessa. 

Quello che aveva fatto quella sera non era nulla di speciale in sé, ma l’aveva fatto per lei. Si era messa a rischio, per lei. Nessun’altro aveva mai fatto nulla del genere. Solo Mary.

«Grazie» le disse, con un sorriso molto più sincero.

Un altro sorriso nacque anche sul volto di Marianne. La sua mano scivolò sopra quella di Kiana, facendola irrigidire. L’aveva presa per mano soltanto un attimo prima, eppure quel contatto le sembrò diverso. Anche l’espressione di Mary le sembrò diversa, come se ci fosse qualcosa di più all’interno di quegli occhi cristallini.

«Continui a non essere divertente» le disse, distogliendo lo sguardo da lei.

Kiana si sentì come se si fosse appena ripresa da una trance. Sbatté le palpebre un paio di volte, senza sapere come replicare, poi si rese conto che le loro mani erano ancora unite sopra il ginocchio di Mary. A quel punto, sorrise di nuovo. Con il cuore che le martellava nel petto, si abbassò lentamente, fino ad appoggiare la testa sul grembo della figlia di Bellona. La sentì ridacchiare e incrociò di nuovo il suo sguardo, questa volta dal basso. Non credeva di aver mai visto Mary così felice. L’accarezzò tra i capelli e nessuna delle due ragazze disse più nulla.

Rimasero così, in silenzio, avvolte nella pace e la quiete del Campo Giove dormiente e nel tepore delle terme e della reciproca compagnia.

 

***

 

Svegliarsi in un letto vero senza ricevere sorprese spiacevoli fu una sensazione indescrivibile. Nessun sacco a pelo scomodissimo, nessun suolo dissestato, nessun mostro che voleva farle la pelle.

Quando Elias aveva parlato di un’oasi, di sicuro Kiana non si sarebbe aspettata una cittadina con tanto di hotel a 5 stelle con alberi, giardini e piscine nel bel mezzo della Valle della Morte. Furnace Creek, così si chiamava. E la sua proprietaria… beh, di certo era una persona interessante.

Le avevano spiegato la situazione, detto che era stato Elias a parlargli di quel luogo, e lei aveva deciso di aiutarli. Aveva dato loro due stanze, una per lei e Cam e una per Daniel, con tanto di strizzata d’occhio mentre gli consegnava le chiavi – era andata in brodo di giuggiole per lui nel momento esatto in cui l’aveva visto – ma lui aveva deciso di dormire in tenda, fuori, per non lasciare soli Penelope e Jack. E forse per evitare che quella stramba si infilasse in camera sua mentre dormiva.

Kiana si mise a sedere sul bordo del materasso e sbadigliò. Attraverso le serrande abbassate filtrava un po’ della luce mite del primo mattino.

Il cuore le batteva ancora nel petto, al pensiero del sogno che aveva appena fatto. Gli occhi di Mary erano impressi nella sua mente, assieme al calore indistinguibile di quella serata.

E subito dopo, come un fulmine a ciel sereno, nella sua mente apparve l’immagine di lei nelle grinfie di quella psicopatica di Ashley.

Sospirò profondamente per scacciare quei pensieri e spostò lo sguardo sul letto accanto al suo, dove trovò Camille stesa supina, le braccia fuori dalle coperte che scendevano lungo i fianchi e i capelli sciolti che giacevano sul cuscino accanto al viso rotondo.

L’aveva vista addormentata così profondamente in diverse occasioni, al Campo Giove. Non gliel’aveva mai detto per non spaventarla, ma ogni volta che la trovava in quelle condizioni, temeva che non avrebbe più riaperto gli occhi. Pallida com’era, con quei capelli nivei e il viso smorto sembrava uno spettro, per non dire altro.

E dopo averla vista controllare proprio i morti, forse ora Kiana comprendeva il perché di tutto quello: Cam era pur sempre la figlia della “regina dei fantasmi”. Discendeva da una divinità degli Inferi, anche se non allo stesso livello di Elias, e ora la cosa si notava più che mai.

Eppure, nonostante potesse controllare i morti, nonostante avesse poteri così potenti e imprevedibili da radere al suolo interi edifici, nonostante potesse convincere le persone a fare tutto quello che voleva, aveva comunque un’aria fragile, innocua perfino. Chiunque la vedesse avrebbe pensato che quella ragazzina piccola e mingherlina non avrebbe potuto fare del male a una mosca. Kiana stessa l’aveva creduto, pensandola soltanto come una dalla cotta facile, e fricchettona, quel pensiero non se lo sarebbe mai tolto dalla testa. In un certo senso, le aveva ricordato sua cugina Afareen, una bambina di buon cuore che aveva cercato di esserle amica. Forse era per questo che si era sentita così protettiva nei suoi confronti, all’inizio.

Mai avrebbe creduto che, invece, avrebbe potuto farla svanire dalla faccia della Terra con la stessa semplicità con cui lei avrebbe calpestato una formica. Camille era proprio come quella rosa che aveva tatuata sul collo, innocua e delicata all’apparenza, bella perfino, ma con spine così affilate da ferire gli incauti. Si domandò se non avesse pensato la stessa cosa, quando aveva deciso di farsela. Forse, per tutto quel tempo, la verità su di lei era rimasta proprio lì, nascosta in bella vista.

Si erano messe d’accordo che la prima a svegliarsi avrebbe dovuto svegliare anche l’altra, ma Kiana non ebbe il cuore di farlo, non dopo tutto quello che era successo. Con tutto quello che aveva passato, non solo negli ultimi giorni, ma anche in tutta la vita, Camille meritava un po’ di riposo, non le importava se avevano poco tempo.

Le rimboccò le coperte, lanciandole uno sguardo angosciato al pensiero di ciò che le aveva mostrato. Non aveva idea di come facesse a essere così buona dopo tutto quello che aveva patito. L’unica cosa che Kiana sapeva era che l’avrebbe protetta, ora più che mai. Non aveva i suoi poteri, non aveva le sue stesse capacità, ma in compenso sapeva menare le mani. Sarebbe stata il suo braccio, il suo scudo, e l’avrebbe aiutata a salvare sua madre a qualsiasi costo, perché sapeva che Camille avrebbe fatto lo stesso per lei.

Dopo essersi fatta una doccia veloce per lavare via il sudore e la polvere accumulati durante il viaggio, Kiana si posizionò di fronte allo specchio del bagno. Incrociò lo sguardo del proprio riflesso e rimase immobile, a studiare le differenze rispetto al giorno prima. A volte, le sembrava di sentire ancora quelle mani che la toccavano, quella voce a un soffio di distanza dal suo orecchio. Venne percorsa da un brivido e chiuse gli occhi. Inspirò profondamente, per scacciare quella sensazione. Non poteva lasciare che quello che era successo continuasse a tormentarla. Aveva ancora molto da fare, doveva aiutare Cam, doveva salvare Ecate, ma soprattutto doveva tornare da Mary. Doveva tirarla fuori da quella prigione, a qualsiasi costo.

Si accorse del beauty case di Venere appoggiato sul lavabo. Non ce l’aveva messo lei, lì. L’ultima volta che l’aveva visto, era stato quando lo aveva scaraventato tra le colline di Oakland. Rimase immobile, a fissare quell’affare come se fosse stata una granata inesplosa. Poi, avvicinò la mano e lo prese.

Non aveva idea di che cosa aspettarsi, una volta aperto. Magari qualche arma segreta con cui abbattere tutti i mostri in un sol colpo, o qualcosa del genere. Si sentì un po’ delusa quando ci trovò soltanto quello che avrebbe dovuto trovarci, ossia una quantità infinita di trucchi e accessori, dalla crema idratante, alla cipria, all’illuminante.

Controllò di nuovo il proprio riflesso e si morse un labbro. Infine, sospirò.

“Va bene, mamma. Hai vinto tu.”

Aprì l’acqua e si sciacquò bene la faccia, nonostante fosse appena uscita dalla doccia. Espirò profondamente, poi, poco per volta, dapprima con incertezza e poi sempre con più coraggio, si mise all’opera. Non aveva mai fatto niente del genere, eppure sapeva alla perfeziona cosa fare con tutti quei prodotti e soprattutto quale ordine seguire. All’inizio pensò che sarebbe stato semplice, ma più andava avanti, più si rendeva conto che in effetti il suo viso aveva molte più imperfezioni di quanto credesse.

Non che le importasse, a lei non interessavano quel genere di cose.

Ci mise molto più di quanto avrebbe potuto immaginare, ma quando chiuse il beauty case dopo avervi riposto dentro tutti gli “utensili del mestiere”, rimase immobile di fronte allo specchio. All’inizio, per poco non si riconobbe. Le sembrava di trovarsi di nuovo di fronte alla Barbie mediorientale di un paio di anni prima, quando era stata riconosciuta da sua madre. All’epoca aveva odiato con tutta sé stessa quell’aspetto. L’aveva visto come uno scherzo di cattivo gusto, una presa in giro per colpa di tutto quello che aveva patito in quanto primogenita femmina. Adesso, però, dopo tutto quello che era successo, si sentiva diversa.

Era una figlia di Venere. Era una ragazza. Era una bella ragazza. Ed era spaventata da quello che sarebbe potuto succedere. Aveva paura di combattere, di ferirsi, di morire. Non era la guerriera coraggiosa che credeva di essere, o che voleva essere, forse non lo sarebbe mai stata, ma andava bene così. Non doveva vergognarsi di quello che era e soprattutto non doveva più mentire agli altri e, soprattutto, a sé stessa. Aveva commesso degli errori, si era sbagliata su Venere, su Camille, perfino su Daniel, ma finalmente aveva aperto gli occhi. Non era troppo tardi. La ragazza che la osservava di rimando attraverso lo specchio era una persona nuova, diversa, una pronta ad accettare le conseguenze delle sue azioni. E poi, in effetti… col trucco stava davvero bene. Si accarezzò una guancia e sorrise al proprio riflesso. Ripensò al sogno che aveva fatto su Mary e arrossì. Chissà come avrebbe reagito se l’avesse vista così.

Quando uscì dal bagno trovò Camille che si stava stropicciando le palpebre. «Buongiorno» la salutò, anche lei con uno sbadiglio gigantesco.

«Buongiorno a te» rispose Kiana, andando a sedersi sul bordo del suo letto. «Dormito bene?»

Cam stava ancora sbadigliando. «Ah-ah… tu invece?» Poi la guardò meglio e corrugò la fronte. «Aspetta un momento… ma ti sei truccata??»

Kiana si sentì un po’ in imbarazzo mentre annuiva. Non aveva mai nascosto il suo disprezzo per quel genere di cose, perciò comprendeva lo stupore di Camille. Durò molto meno di quanto si aspettasse, però, perché la sempre gentile e supportiva Cam le rivolse un sorriso enorme. «Stai bene!»

Anche se sapeva che gliel’avrebbe detto perfino se col trucco fosse sembrata un clown, Kiana le sorrise. «Grazie.»

La sua amica sbadigliò per la terza volta consecutiva. «Mi faccio una doccia e partiamo subito. Non dobbiamo perdere altro tempo.»

«Oh, dai! Almeno colazione possiamo farla?»

«Potremo farla in viaggio.»

«Ma io voglio farla al bar dell’hotel!»

Camille le scoccò la migliore occhiata di sufficienza della storia. Kiana rispose con un sorrisetto innocente, e la piccoletta sospirò. «Va bene, tu comincia ad andare, io arrivo appena ho finito.»

«Sei la migliore!» Kiana l’abbracciò di getto, strappandole un grido, forse di sorpresa, forse di dolore.

«M-Mi spezzi la schiena, Kiana…»

Poco dopo, Kiana si trovò seduta nel bar, in attesa della sua mega ordinazione. Fece vagare lo sguardo in quel locale, incuriosita dall’arredamento. Gli sgabelli, il bancone, i tavoli e il pavimento erano ricalcati da quelli dei classici film western, tipo saloon. Lungo le pareti invece erano appese cartoline e fotografie provenienti da ogni angolo della Valle della Morte.

C’erano diversi altri clienti, ma se ne stavano tutti concentrati sui loro cellulari, o tablet, o laptop. Kiana non doveva sbirciare i loro schermi per capire che stavano guardando i notiziari. Probabilmente era gente che aveva deciso di fare un tour della Valle della Morte e di punto in bianco aveva scoperto che il mondo era sprofondato nel caos nel giro di ventiquattr’ore. Anche durante la strada tra camera sua e il bar aveva incrociato diverse persone con le borse agli occhi e gli sguardi vitrei. Perfino i camerieri e il barista erano cupi in volto e parlottavano tra loro come se stessero tramando qualcosa. Avevano cercato di seguire la loro classica etichetta quando era andata a ordinare la colazione, ma aveva subito notato la tensione nei loro sguardi e nei loro sorrisi. Con tutto quello che stava succedendo là fuori, era difficile rimanere calmi.

Con l’eccezione della proprietaria di quel posto, l’unica persona che Kiana aveva visto comportarsi come se niente fosse, l’umore generale di tutti quanti rispecchiava molto bene quel cielo nuvoloso che fuori da quell’albergo non voleva più saperne di sparire.

Tutto a un tratto, un fortissimo odore di guai avvolse l’aria, camuffato da dolce profumo da donna.

«Buongiorno cara.»

Kiana drizzò la testa, trovandosi di fronte il viso sorridente di qualcuno che non aveva mai visto prima.

Era una donna con indosso un abito primaverile bianco come la neve, un cappello leggero a tesa larga e degli occhiali da sole. Accanto a lei teneva un gigantesco trolley che probabilmente conteneva più vestiti di un centro commerciale. Il suo sorriso era più radioso dei raggi di luce di Eos. 

La ragazza rimase immobile, paralizzata di fronte alla bellezza mozzafiato di quella sconosciuta. Perfino con quei vestiti così semplici sembrava una supermodella.

O una dea.

«Ti spiace se mi siedo con te?» le domandò, abbassandosi gli occhiali da sole.

Non appena vide i suoi occhi, Kiana sentì il respiro mozzarsi. Erano come quelli di Mary. Anzi, erano gli occhi di Mary. Anche il modo in cui le sorrideva le ricordava la figlia di Bellona.

Per un istante, pensò che quella donna fosse proprio lei, Bellona. Tuttavia, un’altra teoria sul perché le ricordasse così tanto la ragazza che le piaceva le balenò nella mente. Sentì la gola farsi arida all’improvviso. «Ma... mamma?»

La sconosciuta si portò un dito sulle labbra. «Shhh, tesoro. Nel caso in cui te lo chiedessero, io non sono mai stata qui.»

Rimise gli occhiali e si sedette di fronte a lei, sempre con quel sorriso smagliante che continuava a ricordarle Mary e che la stava assolutamente mettendo a disagio. Venere dovette accorgersi del suo stupore, perché ridacchiò. «Sorpresa di vedermi?»

Kiana non rispose. Sorpresa era un eufemismo. Incontrare sua madre era diventato un qualcosa che aveva dato per scontato non sarebbe mai e poi mai accaduto. Con tutto quello che aveva detto e fatto, poi, si era convinta che perfino Venere stessa non volesse avere nulla a che fare con lei.

«Sono felice che tu abbia usato il beauty case» proseguì Venere. «Sei davvero incantevole.»

Incrociò il suo sguardo e, questa volta, alla ragazza sembrò non più di vedere Mary, ma Venere stessa, nel suo reale aspetto, o quantomeno l’aspetto che aveva deciso di avere, come una donna con lunghi boccoli color miele, dagli zigomi delicati e le labbra carnose. Era completamente acqua e sapone, eppure avrebbe fatto impallidire Eos a suo confronto. Nessun abito scollato e nessun trucco spropositato avrebbero potuto competere con la bellezza naturale della dea dell’amore in persona.

«Che… che ci fai qui?» sussurrò Kiana.

Il sorriso di Venere si fece più amaro. «Niente convenevoli, eh?»

La ragazza sentì le guance pizzicare per l’imbarazzo. «N-No, è solo che… credevo che non ti avrei mai incontrata di persona. Dopo tutto quello che ho detto… e fatto… e… pensato…»

Più parlava e più si sentiva in colpa. Certo che era stata davvero pessima. Specie se considerava che quella di fronte a lei era la stessa donna che l’aveva salvata da morte certa, o forse peggio. Alexandre era ancora vivo, dopotutto. Se quegli uomini l’avessero riportata da lui… rabbrividiva al solo pensiero.

«Non devi sentirti in colpa, Kiana» disse Venere, come se le avesse appena letto nella mente. «So di non essere stata presente. Ma purtroppo, in quanto dei, non c’è concesso intrometterci nelle vite dei nostri figli. Dobbiamo lasciare che troviate la vostra strada da soli. Capisco che non sia semplice per voi. Non lo è nemmeno per noi.»

Kiana ripensò a quello che era successo a Camille. Perfino lei era rimasta da sola per tutta la vita, prima del Campo Giove, e le era andata perfino peggio, perché non aveva mai avuto una vera casa, o una famiglia. Eppure, lei non aveva mai provato alcun risentimento per Trivia. Al contrario, era sempre stata molto devota a sua madre.

Forse avrebbe dovuto prendere esempio da lei. E poi, Venere l’aveva aiutata, quando ne aveva davvero bisogno. Osservò sua madre e le sorrise. «Però… tu mi hai salvata, in quell’hotel.»

«Non so di che parli. A me risulta che tu abbia fatto tutto da sola» replicò Venere, prima di abbassarsi gli occhiali e strizzarle l’occhio. Le sue iridi non erano più azzurre, ma cangianti come quelle di Kiana. «Sei stata brava. Non tutti sarebbero usciti da quella situazione come hai fatto tu.»

La ragazza sentì le guance bruciare. Dei complimenti non se li aspettava proprio. «Gra… grazie, mamma.»

Venere le rivolse un sorriso più tenue, ma non rispose. Rimase a scrutarla per diversi istanti, e Kiana si sentì sezionata da quegli occhi celati sotto gli occhiali da sole. Spostò il proprio peso sulla sedia, a disagio. «Ehm… allora… perché prima hai detto di non essere mai stata qui? Sei… in incognito, o qualcosa del genere?»

«Qualcosa del genere, sì.» 

Quella risposta non fu di molto aiuto. Prima che Kiana potesse chiederle altro, un cameriere apparve accanto al tavolo e posò il piatto di pancake che aveva ordinato. Kiana sentì lo stomaco in subbuglio. Amava i pancake. 

«Mi porteresti un thè, caro?» domandò Venere a quel tizio, un ragazzo tutto sommato di bell’aspetto, dai lineamenti quasi elfici, che non appena si accorse di lei divenne rosso dalla testa ai piedi.

«S-Subito» farfugliò inchinandosi.

Non appena si allontanò, Venere tornò a guardare la figlia. «Non ti spiace se ti faccio compagnia, vero?»

«N-No, no…»

La dea si tolse il cappello, scoprendo i lunghi capelli color miele. «Non rimarrò qui a lungo, Kiana. Gli altri dei non sanno nulla di questa mia visita e preferirei che le cose rimanessero così.»

«Ma… perché?»

Venere si imbruttì. Nel senso che la sua espressione divenne più cupa, non che diventò più brutta. Anche se con quello sguardo angosciato sembrava quasi che mancasse una parte fondamentale di lei. «Sono tempi bui, questi. La scomparsa di Ecate ci ha colti tutti alla sprovvista. E l’evasione di tutti questi mostri dal Tartaro… oh, ma queste cose già lei sai, cara. Io sono venuta qui per metterti in guardia da un altro pericolo.»

«Oh… un altro…»

«Qualcuno sta cercando di dividere i semidei. Vuole che litighiate tra di voi, vuole che i campi si dividano dall’interno. E ci sta riuscendo. Ha trovato la pedina perfetta per farlo, con cui manovrare l’intero Campo Giove.»

Un brivido percorse la schiena di Kiana. La pedina perfetta per manovrare il campo Giove. Solo un nome le veniva in mente: «Ashley…»

Venere annuì. Proprio in quell’istante, il cameriere tornò con la sua tazza di thè, facendola sorridere. «Molte grazie.»

Il tizio chinò di nuovo goffamente la testa e si defilò, continuando tuttavia a lanciare occhiatine verso di lei. 

«Tu non mangi, tesoro?»

Kiana si rese conto di non avere ancora toccato i pancake. Tutto a un tratto non aveva più molta fame. Però… forse un boccone o due poteva mangiarli. Afferrò la forchetta, mentre Venere sorseggiava il thè. Sembrava piuttosto calma, nonostante tutto. 

«Ashley è la chiave» riprese a dire. «La più potente figlia di Giove che si sia vista negli ultimi secoli, perfino più dei suoi fratelli. È una semidea modello, rispetta suo padre e tutti gli altri dei e ha sempre svolto ogni incarico senza mai creare problemi. Perfino Giunone la adora alla follia. Giunone. Riesci a crederci?»

«Ehm…»

«Ashley vuole essere la più forte, la più importante e la migliore, sempre e comunque. Vuole dimostrare agli dei di essere una sorta di prescelta. È convinta di far parte anche lei dell’ultima Grande Profezia.»

«Grande… Profezia?» 

Venere spalancò gli occhi. «I-Il punto…» proseguì con incertezza. «… è che Ashley, a differenza di molti eroi prima di lei, vuole tutto questo. Vuole combattere. Vuole rappresentare gli dei. È disposta a tutto pur di diventare un’eroina, la più grande eroina. Tuttavia… il suo spirito non è forte come il suo corpo. È terrorizzata dall’idea che qualcuno possa rubarle la gloria.»

Ciò che Kiana aveva visto e sentito nel sogno tornò nitido nella sua mente. Ashley che sorrideva a Mary, dicendole che lei era più forte dell’intera legione. «Quella schizzata…» 

«No, Kiana, non si tratta di questo. Lei la sta usando. L’ha convinta che solo lei può salvarci e l’ha trasformata nella sua marionetta. Ashley è convinta di essere dalla parte del giusto, di essere la buona, e più a lungo si farà soggiogare, più ci sarà il rischio che le conseguenze siano irreparabili.» 

«Chi… chi la sta manipolando?»

«Qualcuno di spietato. Qualcuno che non conosce limite alcuno. Qualcuno che per mero divertimento è disposto a vedere il mondo intero bruciare. Prima della nascita di Roma, è riuscita a dividere gli dei. Ciò che ne è scaturito è stato uno dei conflitti più cruenti e sanguinosi di sempre. Ora vuole farlo di nuovo, vuole farci litigare tra di noi, utilizzando voi

«Non… non è Eos, vero?»

Venere fece una smorfia. «Per favore, Kiana. Quella non potrebbe nemmeno lustrarmi…» S’interruppe di scatto, schiarendosi la gola. «Cioè… no, non è lei.»

Malgrado tutto alla ragazza scappò un sorrisetto divertito. Forse Venere non era poi così diversa da lei. 

Cominciò a riflettere su quello che le aveva detto. La storia “prima della nascita di Roma” non era qualcosa su cui era molto ferrata. A malapena conosceva le storie su Roma in generale. Tuttavia, una cosa la ricordava. E riguardava proprio una guerra che aveva portato, indirettamente, alla nascita di quello che era stato l’antico impero romano. Una guerra che aveva coinvolto mortali, semidei e perfino dei, a cui la stessa Venere, al tempo Afrodite, aveva preso parte.

«La guerra di Troia…» sussurrò, come in trance. Sperò di sbagliarsi, ma purtroppo Venere annuì. 

Kiana sentì la gola farsi arida all’improvviso. Se ricordava bene, tutto era partito da un semplice dono. 

Una mela completamente d’oro, per la più bella delle dee.

«Quindi… la persona che vuole dividerci…» Kiana sollevò lo sguardo e incrociò quello di sua madre. All’improvviso, la voce di quella donna che la tormentava balenò nella sua mente, assieme alle sue provocazioni e a tutte le immagini che le aveva mostrato. Quella risata carica di sadico divertimento, e follia. Le parole le uscirono di bocca contro la sua volontà. «Discordia…»

«Sì, Kiana. È Lei.» 

«Ma… perché gli altri dei non fanno niente, allora? Insomma, se sapete che Ashley è sotto il suo controllo, perché…»

«Suo padre non l’accetta. Nemmeno Giunone e con loro diversi altri. La mia famiglia è inquieta, Kiana. Questa situazione ci sta rendendo tutti nervosi. C’è chi pensa che Ashley stia sbagliando, chi che invece le dà ragione. Ma ammettere che un nostro nemico possa avere il controllo su una semidea potente come lei, credere che una risorsa così preziosa possa essere usata contro di noi…» non concluse la frase, ma lasciò bene intendere che se l’Olimpo non era ancora imploso, poco ci mancava.

Kiana ripensò all’immagine di Ashley che folgorava Marianne. Si domandò se Bellona fosse al corrente di quello che stava accadendo alla figlia. Se sì, non doveva averla affatto presa bene. Quella vista aveva fatto imbestialire lei, non poteva nemmeno immaginare cosa pensasse la madre di Mary. 

Tuttavia, ora che sapeva cosa stesse succedendo, non sapeva più cosa pensare di Ashley. Da un lato si sentì sollevata. Dall’altro, se la semidea più potente del Campo Giove era caduta tra le grinfie del nemico in quel modo, significava che le cose erano messe veramente male.

«Perché… perché sei venuta a dirmelo?» chiese a Venere, incerta. «Insomma… ho sentito che di solito tu appari per… parlare di ragazzi con le eroine, o cose del genere. Perché mi stai dicendo tutto questo?»

Uno strano sorriso apparve sul volto di Venere. «Vuoi che parliamo di ragazzi?»

Le guance di Kiana bruciarono di nuovo. «N-No, no, però ho sentito che tra tutti gli dei tu sei quella meno interessata a imprese, battaglie e… insomma, eccetera eccetera.»

«Non è proprio così. È vero, preferisco parlare di argomenti a me più consoni, ma anch’io ho a cuore il destino del mondo. E soprattutto ho a cuore te.»

Kiana sussultò, incrociando lo sguardo della madre. Pregò di non avere le labbra sporche di pancake.

«Fate attenzione» la mise in guardia Venere. «Se Discordia dovesse carpire le vostre debolezze, potrebbe fare lo stesso con voi. Non esiterà un solo istante a trovare il modo di colpirvi dove siete più vulnerabili.»

Kiana si portò d’istinto una mano sulla guancia. Gli occhi della madre la scrutavano proprio come se al suo posto ci fosse ancora quello specchio in frantumi, nella suite di Alexandre. «L’ha… l’ha fatto anche con me… vero?»

Venere non disse nulla, si limitò a osservarla con sguardo enigmatico. Kiana abbassò gli occhi, sentendosi in procinto di scoppiare. Si era creduta forte e coraggiosa, proprio come le aveva detto la voce nel baratro, e per poco era stata spezzata non dai mostri, non dai giganti, ma da un umano qualsiasi. Le scappò un gemito contro il suo volere.

«Però stai bene. Sei ancora qui.» Venere cercò la sua mano sotto al tavolo, stringendogliela con forza. Kiana trovò di nuovo conforto nel viso sorridente della madre. Intrecciò le dita con le sue, con gesto delicato, dolce. «L’amore che provi per i tuoi amici ti ha aiutata a superare quel momento, Kiana.»

Kiana pensò di poter scoppiare di nuovo, ma questa volta per l’imbarazzo. 

«Hai… hai davvero… detto ad Alexandre di incontrati all’hotel Lotus?» domandò ancora.

«Ho commesso tanti errori, Kiana. Ma distruggere la vita di un uomo che ha soltanto provato a conquistarmi senza fare del male a nessuno è troppo perfino per me. No, non sono stata io. Anche lui è stato manipolato.»

Kiana annuì. Sentirlo fu un sollievo. E, allo stesso tempo, sentì le viscere contorcersi per la rabbia. «Perché Discordia ce l’ha così tanto con me?»

Ancora una volta quell’espressione lugubre marciò sul volto di Venere, questa volta però era diversa: sembrava triste, sofferente. Con enorme stupore, Kiana si rese conto cosa le fosse preso. Grazie al sangue che condivideva con quella donna, capì che c’era proprio l’amore di mezzo. 

«Perché vuole arrivare a me attraverso di te. Perché io rappresento tutto ciò che lei non è.» Venere le lasciò andare la mano, abbandonandosi a un lungo sospiro. «Io sono la dea dell’amore. E l’amore è l’emozione più potente che esista. Ma ogni medaglia ha due facce. Così come esiste l’amore… esiste l’odio. E anche l’odio può essere distruttivo, se usato nel modo giusto.»

Kiana abbassò la testa. Lei aveva odiato Venere, per quello che credeva le avesse fatto. Perché l’aveva abbandonata, perché l’aveva lasciata sola, perché era sparita. E quando Alexandre aveva cercato di farle del male, l’aveva fatto per vendicarsi proprio di Venere. Anche in quel momento Kiana aveva odiato sua madre con ogni fibra del suo corpo. Era stata una vera stupida.

«Sono felice di averti potuto parlare da donna a donna.» Venere indossò il cappello e gli occhiali da sole, prima di illuminarla con un altro ampio sorriso. «Sappi che sei molto più importante per quest’impresa di quanto tu possa immaginare. I tuoi amici sono forti, ma non potranno completare questo viaggio senza di te. Sarai indispensabile per loro.»

Kiana la guardò mentre si alzava dal tavolo e realizzò che era arrivato il momento dei saluti. E pensò che non voleva affatto separarsi da sua madre. Aveva finalmente avuto modo di parlarle, ma era durato poco, troppo poco. Sapeva, però, che Venere non poteva trattenersi. Sapeva che non avrebbero mai potuto essere una famiglia come quelle che si vedevano in televisione. 

Saperlo, però, non rendeva la realizzazione di tutto quello meno dolorosa. Si alzò dalla sedia e si ritrovò di fronte a lei. «A-Aspetta!» 

Venere piegò la testa. «Sì?»

Quando si trovarono faccia a faccia, Kiana si rese conto di essere più alta di lei di qualche centimetro. Non seppe cosa pensare di quel dettaglio. Incrociò ancora una volta lo sguardo caleidoscopico di sua madre e si massaggiò un braccio. «Non… non sono stata giusta, con te.» 

Le parole le uscirono a fatica, costandole uno sforzo molto più grande di quanto potesse immaginare. Solamente lì, in quel momento e con gli occhi di quella donna a un palmo di distanza, realizzò quanto era stato sbagliato tutto quello che aveva fatto. Più pensava a tutte le volte in cui aveva provato rabbia o odio nei confronti di Venere e più le sembrava di sprofondare a terra, schiacciata dal peso della colpa. 

«È… è solo che… la mia famiglia diceva tutte quelle cose orribili su di te e io avrei… avrei voluto poter dire che non erano vere, che si sbagliavano, che tu… che tu non eri come dicevano loro.» Kiana abbassò la testa, incapace di sostenere ancora l’espressione incolore di sua madre. «Mi… mi odiavano solo perché tu non c’eri e io… io ho finito col… col prendermela con te. Mi… mi dispiace, mamma. Sono una persona orribile, perdonami…»

Venere si strinse a lei all’improvviso, facendola trasalire. Si irrigidì come il marmo, mentre sua madre le avvolgeva le braccia attorno alla schiena e appoggiava il mento sulla sua spalla. Profumava di petali di rose e shampoo. 

«Stai tranquilla, Kiana. Non devi vergognarti delle emozioni che provi.» Venere si separò da lei, carezzandole una guancia mentre la osservava dal basso. «E non sei una persona orribile. Sei solo sensibile, ed emotiva. Tendi a giungere in fretta a conclusioni, ma è normale, perché sei mia figlia, e le emozioni che provi tu sono molto più forti di quelle di chiunque altro, che siano rabbia, tristezza, o amore. E così come le tue emozioni possono essere usate contro di te… possono anche darti la forza di superare i momenti più duri.»

Kiana schiuse le labbra. Pensò a quando aveva litigato con Mary, a come aveva creduto che l’avesse piantata in asso, quando in realtà non era stato affatto così. Pensò anche a quando aveva affrontato quell’esercito di mostri da sola, o a quando aveva confrontato Daniel ed Elias. Con quelle semplici parole, Venere l’aveva aiutata a conoscere sé stessa molto più di quanto avesse fatto in tutti quegli anni. 

«Mi dispiace per quello che è successo tra te e tuo padre» proseguì sua madre, lasciandola andare. «Ti posso assicurare che Amir è un brav’uomo. Ma è anche molto orgoglioso. Sapeva molto bene che non saresti potuta rimanere con lui fin dal principio, e forse, a suo modo, ha cercato di rendere più semplice la vostra separazione.»

«Quindi… lui ha sempre saputo chi eri davvero?»

«Non tutti gli uomini sono forti abbastanza da accettare la verità, Kiana. Tuo padre è stato uno dei pochi che invece l’ha fatto. Anzi, diciamo che è stato proprio lui a capire per primo che c’era qualcosa di strano in me.» Venere ridacchiò, con una malizia nello sguardo che Kiana riconobbe immediatamente. «Mi ha praticamente obbligata a dirgli tutto. Sa essere molto… persuasivo quando…»

«Ferma, ferma, non mi interessa quello che combinavate!» la frenò Kiana, con la pelle che si accapponava. 

Ora sì che erano come una famiglia della televisione a tutti gli effetti. 

Venere ridacchiò e chiese scusa, anche se non sembrava tanto dispiaciuta. La ragazza ricacciò una smorfia. Incrociò un’ultima volta lo sguardo di sua madre e sorrise. «Grazie… grazie di tutto, mamma.»

Sua madre ricambiò il sorriso. «Contiamo su di voi. Trovate Ecate. E, tesoro, parla con Mary appena puoi. Anche lei tiene ancora a te.»

Con le orecchie che fumavano per l’imbarazzo, Kiana osservò sua madre mentre si allontanava con il suo gigantesco trolley, regalando sorrisi a chiunque le capitasse a tiro. Non sembrava aver alcun problema con l’essere al centro dell’attenzione. Ecco, su quello sì che erano totalmente diverse. 

Sospirò e tornò a sedersi di fronte alla sua colazione ormai semifredda. Ormai la fame le era passata del tutto.

Ripensò al rapporto con suo padre. Si era sempre comportato come se lei fosse stata invisibile ai suoi occhi. Il giorno in cui l’aveva portata alla Casa del Lupo, le aveva detto che da quel momento in poi “loro” si sarebbero presa cura di lei, e se n’era andato. Lo aveva guardato salire sulla limousine e svanire dalla vista, come un cucciolo che veniva abbandonato dalla famiglia. Si era sempre domandata se lui fosse stato al corrente di averla spedita al Campo Giove, oppure se credeva che fosse solo una specie di collegio dal quale però non avrebbe mai più fatto ritorno.

Scoprire la verità gettò una luce diversa su quell’uomo. Forse era per questo che se ne infischiava della loro cultura. Forse… forse aveva perso la fede, dopo aver conosciuto una dea in carne e ossa. E il fatto che fosse stato così freddo con lei… forse era come aveva detto Venere, forse l’aveva fatto solo per rendere meno doloroso il loro inevitabile addio.  

Kiana strinse i pugni, sentendo le labbra tremolarle. Avrebbe voluto piangere, urlarle, chiedergli perché. Perché non le aveva detto niente, perché aveva deciso di fare così? Lei voleva solo un padre. Una figura su cui contare. Invece l’aveva allontanata da sé. Il fatto che avesse avuto dei motivi per comportarsi così non cancellava tutto il dolore che aveva provato. E la cosa peggiore, era che adesso non riusciva nemmeno più a biasimarlo. Proprio come con Venere, aveva passato la vita a odiare qualcuno senza sapere la verità. Si era sbagliata, di nuovo. 

Non si accorse dell’arrivo di Camille finché lei non la chiamò. Vedere la sua amica riuscì a farla sentire meglio. Soprattutto perché era vestita da super fricchettona come al solito, con gli anfibi marroni, le calze di lana grigie lunghe fino alle cosce e una combinazione di gonna nera e bomber color panna. Per una volta, pensare a quanto avrebbe voluto rifarle l’intero guardaroba l’aiutò a calmarsi.

«Ehi, va tutto bene?» le domandò Cam.

Kiana si strinse nelle spalle. «Ho… scoperto un po’ di cose.»

Camille si sedette di fronte a lei. «Cose buone?»

La figlia di Venere non riuscì a sopprimere un sorrisetto di scherno. «Direi di no.»

Stava per raccontarle quello che era successo, quando una terza persona si unì a loro. «Buongiorno ragazze!»

Una donna gracile prese posto al tavolo. Indossava un lungo abito plissettato verde scuro, mentre i capelli che ricordavano steli d’erba secca cadevano disordinati di fronte al viso magro. «Posso unirmi a voi?»

Kiana ci mise un istante per realizzare che quella era Flora, la proprietaria dell’albergo, e non una pazza che le aveva scambiate per qualcun altro. Scambiò uno sguardo con Camille, che sembrava incerta tanto quanto lei.

«Ehm… sì, certo» rispose infine.

Flora le rivolse un sorriso sfavillante, anche se con quelle guance così scavate sembrava più il ghigno di uno scheletro, totalmente diverso dai sorrisi calorosi di Venere. Non era una brutta donna, Flora, però sembrava… “appassita”. Come se avesse visto giorni migliori di quello.

«Allora…» Flora cercò di darsi una sistemata ai capelli. Kiana si rese conto che si era truccata, anche se il risultato era piuttosto discutibile. O forse aveva ancora in mente l'aspetto perfetto di Venere che annebbiava il suo giudizio. «… il vostro amico non vi raggiunge per la colazione?»

«Lui… non fa mai colazione con noi» rispose, per non deludere troppo quella poveretta, e cercando di ignorare lo sguardo abbattuto di Camille, che chiaramente ancora pensava a quel maledetto zombie.

Perché ovunque si voltasse trovava qualcuno che perdeva la testa per Daniel?

«Peccato. Era proprio carino» sospirò Flora.

Kiana cercò di sorridere cortese, ma non fu molto sicura del risultato. «Grazie ancora per averci ospitate» disse poi, per cambiare discorso.

«Di nulla, cara. Gli amici di Elias sono anche amici miei.»

Le due ragazze si scambiarono un altro sguardo. “Amici di Elias” non era proprio il termine in cui si rispecchiavano.

«Come… come fa a conoscere Elias?» domandò Camille.

«Oh, è una storia lunga, vi annoierei un sacco a raccontarvela. Però posso dirvi che è sempre stato un vero angelo con me. Dopo che mio marito mi ha abbandonata per fuggire con un altro uomo è venuto spesso a trovarmi. È proprio un bravo ragazzo.»

Camille e Kiana si lanciarono una terza occhiatina di sfuggita. Nessuna delle due sembrava sapere quale informazione fosse la più strana.

«Ma non parliamo di me. Ditemi di voi. Siete semidee, vero? Come Elias.»

«Sì…» annuì Camille, dopo un attimo di stupore. «Ma allora… lei è una dea?»

«Per favore, dammi del tu. Mi fai sentire vecchia» ridacchiò Flora. «E sì, sono una dea. In realtà il mio vero nome è Clori. Ero una ninfa, abitavo nelle Isole dei Beati, finché un bel giorno un dio non ha avuto la brillante idea di rapirmi e trasformarmi nella sua consorte, per poi fuggire con Eros.»  

«Eos?» domandò Kiana.

«Eros. Voi romani lo chiamate Cupido. Un uomo pomposo e pieno di sé come pochi al mondo. Non che Eos sia tanto meglio.»

«La… la conosci?»

«Purtroppo sì. È mia suocera. Una donna insopportabile. Sono sicura che sia stata lei a convincere Zefiro ad abbandonarmi. Tra lei e i suoi figli c’è sempre stato uno strano rapporto.»

«Un momento…» si intromise Camille. «… ma sì, ora ricordo. Lei… cioè, tu sei la moglie di Zefiro, il vento dell’ovest, e sei la dea romana della primavera e della fioritura delle piante.»

«Esatto» sorrise Flora. «Anche se in questo momento non sono la dea di un bel niente. Immagino si noti, in autunno e inverno il mio aspetto non è proprio “rigoglioso”.»

«Giuro che non c’avevo proprio fatto caso» asserì Kiana.

«Sei una pessima bugiarda» ridacchiò la dea. «Ma del resto non possiamo essere tutte perfette come le figlie della magnifica Venere.»

Kiana sperò di non essere arrossita.

«Comunque, visto che mio marito ha tagliato la corda, ho decido di fare da me. Ho creato questo luogo per ricordarmi della mia vecchia casa nelle Isole dei Beati, e anche se mio marito mi ha abbandonato, in quanto sua moglie ho comunque potere sui suoi venti. Lev!»

Il cameriere che aveva servito Kiana e Venere si avvicinò con fare imbarazzato.

«Lui è Leveche, uno degli spiriti di mio marito. Lev, queste due ragazze non pagano nulla, chiaro? Offre la casa.»

«S-Sissignora» bisbigliò lui, sparecchiando i piatti di Kiana, che lo guardò incuriosita. Quindi quel tizio non era umano. E forse nemmeno gli altri dipendenti di quell’hotel.

«Cosa desiderate?» domandò.

«Per me un Martini, grazie» disse Flora.

«Ma… è ancora mattina…»

«Sì, hai ragione. Meglio del vino rosso.»

«Ehm… certo, divina Flora.»

Camille prese dei muffin integrali e Kiana decise di chiedere un altro caffè, giusto per fare compagnia alle altre due.

«E quindi, cosa vi porta qui?» riprese Flora, mentre sorseggiava dal suo calice di vino alle otto del mattino.

Più trascorreva il tempo con lei, più Kiana faticava a credere che quella fosse una dea. Almeno non era malvagia, di quelle ne avevano già abbastanza. Le spiegarono brevemente la situazione, e Kiana le parlò anche del suo incontro con Eos.

«Quindi, tu sei una figlia di Ecate» fece il punto della situazione Flora, indicando Camille. «E tu invece hai avuto il dispiacere di incontrare mia suocera» concluse, ora guardando Kiana. «Beh, che dire, vi siete ficcate in un bell’impiccio. Spero davvero che riusciate a risolverlo.»

«Lei… cioè, tu non puoi aiutarci?» domandò Kiana.

Flora emise una strana risatina starnazzante. «E come? Sono una dea di serie D. Non valgo niente. Tanto vale che mi rimuovano il titolo e ritorni a essere una ninfa. Ah, sarebbe tutto molto più semplice… però ti ringrazio per aver umiliato mia suocera. Se doveste sopravvivere, sarete sempre le benvenute qui.»

Kiana ricacciò una smorfia. Quello sì che era confortante da sentire.

Una volta finito si ritrovarono fuori dall’hotel, sotto a quel cielo grigio e desolante che si stagliava al di sopra della Valle della Morte.

Lasciare un albergo a cinque stelle per rimettersi in viaggio in una landa desolata verso una dea rapita con a guardia mostri e giganti: soltanto un semidio avrebbe potuto fare una cosa del genere.

 

***

 

Sulla strada del ritorno, Kiana raccontò a Camille del suo incontro con Venere. L’espressione di Cam mutò così tante volte tra stupore e angoscia che perse il conto. Quando finì di parlare, la sua amica spostò lo sguardo verso l’orizzonte. Ora sembrava soltanto molto pensierosa.

«Cam… va tutto bene?» le domandò, cauta.

Camille si strinse nelle spalle. «Sì, sì…»

«Sei… sei sicur…»

«Stavo pensando…» la interruppe Camille, prima di guardarla di nuovo con espressione indecifrabile. «… tu sai chi è la madre di Dis… cioè, di lei

«Uhm…» Kiana esitò, imbarazzata.

Cam alzò gli occhi. «Dei del cielo, Kiana!»

«Perché non me lo dici tu e basta?» si difese lei.

«La Notte.»

«Che cosa?»

«La Notte, Kiana.»

«Cosa c’entra la notte adesso?»

«Oh, santi numi! La dea della notte, Kiana! La dea della notte è la madre di Discordia!»

«Ohhh…»

«Ohhhh!» fece il verso Camille.

«Cavolo, scusa!» sbottò Kiana incrociando le braccia, prima di rendersi conto di una cosa. «Aspetta un momento. Quindi… la “Notte Eterna”…»

«Sì. Credo che ci sia un collegamento» annuì Cam. Prese un profondo sospiro, come se quello che stava per dire le costasse parecchio. «Credo… credo che Ny… cioè, Notte, sia la padrona che le mie sorelle hanno menzionato. Ruby l’ha chiamata “nonna”. Ha senso, se seguiamo la logica secondo cui Notte è anche la madre di Trivia.»

«Anche Periboia ha menzionato qualcosa, su una zia però» rifletté Kiana.

«Questo perché Notte è la sorella di Gaia, la madre dei giganti. Tutto combacia. Inoltre, non mi vengono in mente molte persone con un potere tale sul Tartaro da poter far uscire a piacimento mostri come i giganti. Gaia era una di queste, ma è stata sconfitta. Rimangono Tartaro stesso, Notte e pochissimi altri.»

«E la Notte Eterna? Che cosa significa?»

Camille si accarezzò l’orecchino. «Non ne sono molto sicura… quello che so, è che il giorno e la notte sono dovuti a Notte e a sua figlia Emera, per i greci, Dias, Giorno, per noi romani. Notte getta la sua oscurità su un lato del mondo, Emera invece getta la sua luce sull’altro. Si alternano in questo modo, creando quindi il “giorno” e la “notte”.»

«Aspetta un attimo. Il giorno non era dovuto dal passaggio del carro di Apollo?»

La figlia di Trivia scosse la testa. «Apollo controlla il sole, non il giorno. Sono due cose diverse. Però quello che hai detto non è errato. Il giorno è dovuto da un insieme di più fattori. Emera è la dea primordiale del giorno, ma ci sono anche il sole, la luce e… l’alba.»

Kiana spalancò gli occhi. «Eos ha detto di essere la dea dell’alba… e ha anche detto che il giorno sarebbe scomparso!»

«Sì.» Camille sembrava spaventata dalle sue stesse conclusioni. «Penso… penso che Notte voglia far svanire il giorno. In questo modo, ci sarà soltanto più la notte. La Notte Eterna.»

«Ma… come

«Non lo so. Però sappiamo che la dea dell’alba, una parte del giorno, è sua alleata. Forse anche Emera è dalla sua parte. Dopotutto è sua figlia. Quanto al sole…» Camille alzò lo sguardo verso il cielo grigio. «… è da due giorni che non si vede più. Da quando è scomparsa la Foschia.»

Kiana spostò lo sguardo su quei nuvoloni e deglutì. «Pensi… pensi che anche Apollo…?»

«Non lo so, Kiana.» Camille scosse la testa. «Non so nemmeno perché Notte stia cospirando contro gli dei. Stando a quello che si dice, lei non ha mai avuto alcun interesse per il nostro mondo.»

«Magari ha cambiato idea» mugugnò Kiana, ricacciando indietro un’imprecazione colorita. Nyx, Nox, Notte, come diamine volevano chiamarla, aveva deciso di conquistare il mondo perché sì proprio quando toccava a lei salvarlo. Era proprio nata nella generazione sbagliata.

«Credo che fosse lei la donna che ho visto in quel sogno. Quella che ha detto che tutti sono suoi figli» proseguì Camille. «Anche questo avrebbe senso. Notte è una delle dee con più figli in assoluto. Discordia, Nemesi, Cupido, Somnus, Thanatos, e moltissimi altri, sono tutti figli suoi.»

«Di bene in meglio…» borbottò Kiana, cercando di ignorare la stretta nel suo stomaco. Tutta quella faccenda la spaventava ogni secondo di più. «E… e tua madre, che ruolo ha in tutto questo?»

«Nessuno. Hanno rapito mia madre per distrarci. Con la Foschia scomparsa, non potevamo concentrarci su Notte e i suoi piani. “Con la sparizione del velo invisibile, apparirà la minaccia più temibile”. La minaccia non è semplicemente la sparizione della Foschia. La minaccia è Notte.» Camille strinse i pugni. «Ci… ci siamo cascati in pieno.»

Kiana pregò che la sua amica non si fermasse lì, che dicesse qualcos’altro, qualsiasi altra cosa, invece rimase in silenzio, a fissare il suolo con aria arrabbiata.

«Quindi… quindi che facciamo adesso?»

Camille drizzò la testa. «Il piano non cambia, Kiana. Distrazione o meno, la Foschia deve tornare, o il mondo sarà spacciato. E poi, forse… forse potremo chiedere aiuto a mia madre, riguardo a Notte.»

Lo disse con un tono così speranzoso che Kiana sentì lo stomaco in subbuglio. Non riusciva a credere a tutto quello. L’idea che anche il rapimento di Ecate fosse stata una distrazione la faceva sentire impotente. Da quando quel maledetto viaggio era iniziato i loro nemici si erano presi gioco di loro in ogni modo possibile. Li avevano divisi, li avevano fatti litigare tra di loro, e adesso quello. Non poteva nemmeno immaginare come si sentisse Camille.

«Kiana.»

La figlia di Venere si riscosse dai suoi pensieri. Quando incrociò lo sguardo della sua amica, avvertì un brivido percorrerle la schiena. Non l’aveva mai vista così severa, mai. Faceva quasi paura, specie se considerava quello che era in grado di fare con i suoi poteri.

«Ho bisogno che tu mi prometta una cosa.»

«Sì, certo» mormorò Kiana.

«Non… non dire niente a Daniel di questa storia.»

Kiana schiuse le labbra per lo stupore. «Che cosa? Perché?»

Camille appoggiò una mano sul petto, dove teneva il ciondolo che le aveva donato Elias. Ci giocherellò nervosamente. «Non… hai notato anche tu? Daniel… non è come noi. Voleva uccidere Elias. Ha… ha attaccato quelle driadi. Ha annientato mia sorella. E poi… Encelado e Sapphire… si sono rivolti a lui come se lo conoscessero. Io… avrei dovuto accorgermene prima che qualcosa non quadrava, ma ero troppo… stupida per capirlo.»

«Cam…» mormorò Kiana, angosciata per lei.

«Promettimi che non gli dirai nulla» disse Camille inflessibile. «Almeno finché le cose non mi saranno più chiare. Va bene?»

Kiana resse lo sguardo della sua amica e si mordicchiò un labbro, sentendosi travolta dalla sua aura severa. Aveva sempre detestato il modo in cui Daniel l’avesse ignorata, aveva sempre desiderato che lei rinunciasse una volta per tutte a lui, ma non così, non in quel modo, non trasformando i suoi sentimenti in rabbia. Afrodite aveva detto che l’amore era l’emozione più potente, assieme all’odio, e adesso Camille si trovava in un bilico estremamente pericoloso tra le due parti, in cui odiava Daniel per come l’aveva trattata e odiava sé stessa per aver provato quei sentimenti per lui – e forse, anche perché continuava ancora a provarne nonostante tutto.

«Va bene Cam» rispose. «Non gli dirò nulla.»

La figlia di Trivia sembrò più sollevata. Lasciò andare il ciondolo e rilassò le spalle. «Grazie. Andiamo adesso. Non c’è più tempo da perdere.»

Riprese a camminare e Kiana la seguì in silenzio, la mente intasata dai pensieri più disparati. Alzò lo sguardo verso quel cielo nuvoloso e cominciò seriamente a domandarsi se il sole sarebbe mai più riapparso.







Salve gente. Scusate per l’attesa spropositatamente lunga, ma è stato un periodaccio dal punto di vista creativo. Mi sento più arido della Death Valley, per restare in tema. E… insomma, il capitolo è quello che è, sono sicuro di aver fatto lavori migliori, ma al tempo stesso questo è il meglio che son riuscito a fare. Spero che sia stato di vostro gradimento. 

Ammetto che ci sono state tante spiegazioni e tante informazioni tutte insieme, però dobbiamo tenere a mente che metà di quello che abbiamo scoperto sono solo supposizioni delle nostre due eroine. Mi rendo conto che forse è un po’ difficile tenere il filo di tutto quello che sta succedendo, ma spero davvero di poter sbrogliare la matassa poco per volta con il proseguimento della storia. Nella mia testa è tutto molto più facile, poi quando comincio a scrivere… non proprio. 

Comunque, abbiamo scoperto qualcosa di più sulla nostra Kiana, come ormai saprete, ogni personaggio (di solito) ha la sua crescita, il suo arco, e direi che questo è stato il culmine della nostra cara figlia di Venere, con l’incontro con sua madre. Certo, ci sono ancora due o tre cosucce da fare, ma il grosso della sua storia l’ho raccontato. 

Grazie mille a Farkas, Roland e Cabin13 per aver recensito, e chiedo umilmente scusa per non avervi ancora risposto. Mi dispiace davvero, cercherò di rimediare, ma la vedo grigia. 

Un altro grazie in particolare a Roland, per la sua fanart su Kiana e Marianne (questo è il link: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Mary-and-Kiana-905996820 ), la quale ha ispirato la scena che avete letto a inizio capitolo. Sì, è successo il contrario, la fanart ha ispirato la storia. Mi sembrava giusto mostrare un momento di dolcezza queste due ragazze, senza nessun finale tragico e/o imprevisti di mezzo. 

Per finire, un grazie a tutti voi che avete letto, spero che il prossimo aggiornamento sia più rapido di questo. Alla prossima! 

p.s. ho fatto un disegnino del nostro uomo-gatto dimenticato: https://www.deviantart.com/edoardo811/art/Shinjiro-il-Bakeneko-915175768

   
 
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