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Autore: Saga no Gemini    17/05/2022    0 recensioni
I Cavalieri d'Oro dell'XI secolo si troveranno ad affrontare un'oscura divinità sumero-babilonese.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, OC (Original Character)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XX
LA RINASCITA DI NERGAL
 
Atene - Kutha, settembre 1068
 
   Lamashtu percorreva quella strada sterrata e solitaria accompagnato dai suoi pensieri: non riusciva a capacitarsi delle ambigue azioni di Kharax e si augurava che il Cavaliere che stava affrontando in quel momento gli riservasse una morte lenta e atroce. Avrebbe voluto ucciderlo con le sue stesse mani, ma la rinascita di Nergal era ormai imminente, non poteva indugiare oltre: doveva compiere la sua odiosa missione. Era quasi giunto in vista di Atene quando, d'un tratto, il cosmo del traditore sparì assieme a quello del guerriero di Atena. Il demone del fuoco arrestò il passo per un attimo e tese i sensi per capire dove fossero andati, ma non li trovò più. Un amaro sorriso gli si disegnò sul volto e, stringendo i pugni, riprese il suo cammino.
   Giunse ad Atene, ma cercò di evitare i luoghi affollati, infilandosi in vicoli bui e deserti e nascondendosi tra filari di alberi e cespugli. Osservava le persone impegnate nei propri affari, ignare di quanto stava per accadere e immaginò il terrore che avrebbe stravolto la serenità di quei volti all'apparizione del portatore di morte. Gioì, in cuor suo, di quella spaventosa immagine e si affrettò a raggiungere la casa in cui l'attendevano le sue vittime. Bussò alla porta con molta disinvoltura e, dopo qualche secondo, venne ad aprirgli Eyra che, non appena lo vide, si sentì invasa da una repentina ansia.
   - Zio, cosa ci fate qui? Avete chiuso il forno per venire a farci visita? -, chiese, dissimulando l'agitazione che le percorreva le membra.  Irene si affacciò per capire chi fosse giunto alla loro porta a quell'ora inconsueta e fu meravigliata di scorgere la sagoma di Makarios. Lo salutò con un sorriso e lo invitò ad accomodarsi, ma l'ospite declinò.
   - Non sono venuto per una visita di cortesia, ma per spegnere la vostra esistenza! -, affermò senza mezzi termini, lasciando interdette le due donne, che non capivano cosa intendesse dire con quelle strane parole. Irene si avvicinò per chiedere spiegazioni, ma il demone sollevò una mano e la donna, presa da un lancinante dolore alla gola e con gli occhi spalancati dalla paura, si accasciò al suolo.
   Eyra guardò inorridita la scena e, piangendo, si rivolse a Lamashtu: - Che significa tutto questo? Perché vuoi ucciderci? Noi non ti abbiamo fatto niente! - Il Sabitta la guardò con aria pietosa ma inflessibile: - Non sei più utile alla nostra causa: è tempo che il tuo spasimante affronti il suo destino! -, rispose sbrigativamente, senza fornire dettagli.
   La fanciulla dai capelli corvini si adirò: le era costata enormi sacrifici quella missione; era stata fonte di gravi rimorsi e di dolorose angosce; aveva messo in campo tutte le sue abilità per tenere Calx lontano dalla battaglia, e ora si rendeva conto che il suo operato era stato totalmente vano. - Ho gettato via il mio tempo per niente, quindi? -, gridò Eyra, sfogando la sua rabbia sul demone.
   - Credevi che l'amore ti avrebbe affrancato dalle grinfie del fato? Sei solo una sciocca ragazzina che si nutre di fugaci sogni e di progetti irrealizzabili. Voi umani siete solo delle creature moleste, avete contaminato l'ordine cosmico con la vostra tracotanza e il vostro disprezzo degli dei -, ribatté Lamashtu, poco incline alle sterili discussioni.
   Mentre i due ragionavano, Irene, ripresasi, si appoggiò a una sedia per rimettersi in piedi. Un dolore profondo e acuto le devastava la gola e le impediva di parlare, ma la volontà di venire a capo di quella insolita situazione la spingeva a rialzarsi a tutti i costi. Lamashtu la vide e provò a colpirla di nuovo, ma Eyra gli si parò davanti, dicendo: - Prenditela con me, se vuoi. Ma lascia stare quella donna, lei non ha alcuna colpa -.
   Il demone rise e riassunse il suo aspetto originario: finalmente era libero di poter manifestare la sua vera forma e il potere che era stato costretto a reprimere per lungo tempo. - Gesto misericordioso quanto inutile, il tuo. L'universo presto dovrà piegarsi al volere del Signore d'Irkalla e non vi sarà spazio per alcuna creatura. Le risparmierò l'atroce sofferenza di morire sotto i colpi del Supremo Nergal -, commentò, scaraventando contro il muro la sua finta nipote. L'urto fece perdere i sensi alla fanciulla.
   Lamashtu si avvicinò a Irene che si reggeva in piedi a stento, rivoli di sangue agli angoli della bocca e occhi colmi di lacrime. Provò a indirizzare qualche parola di rimprovero a quell'essere crudele, ma non riuscì ad articolare nessun suono. Il Sabitta le poggiò una mano sulla fronte e una fiammella rossa le penetrò la testa. Irene strabuzzò gli occhi e il suo corpo esanime scivolò tra le braccia di Lamashtu, che l'adagiò a terra con cura. - Addio, spero che il tuo trapasso sia stato indolore -, sussurrò, per poi volgere lo sguardo verso Eyra che, un po' stordita, si stava rialzando.
   Alla vista della donna priva di vita, riversa sul pavimento, la ragazza dai capelli corvini ebbe un moto di rabbia e, stringendo i denti, si rimise in piedi un po' barcollante, sollevò la destra e colpì il volto del demone protetto dall'elmo. Tuttavia, il suo sfogo non sortì l'esito sperato: Lamashtu non risentì affatto di quel debole schiaffo, mentre la mano di Eyra rimase ferita. Livida, la fanciulla si diede a colpirlo al petto con tutte le forze che aveva, ma ben presto le braccia si stancarono e gli occhi le si empirono di calde lacrime.
   - Mi rincresce doverti strappare alla vita, sei una mocciosa interessante, ma è mio dovere assecondare la volontà del mio Signore -, disse il Sabitta, afferrando i polsi di Eyra. - Prima di lasciare questo mondo avrai il tempo di raccontare la verità al tuo amato Cavaliere. Cerca di essere sincera, almeno prima di congedarti da questa vita -, continuò, mentre un calore intenso s'impossessava della ragazza, che sentì le sue energie vitali scemare lentamente.
   Il demone l'appoggiò a una parete e, dopo averla osservata per un ultima volta, lasciò la stanza e cercò un nascondiglio da cui poter sorvegliare la casa e attendere l'arrivo di Calx. Si acquattò dietro alcuni alberi dal fusto largo, impaziente di conoscere la reazione del Cavaliere.
***
   L'allievo di Alexer preparava le reti, pregando che quella giornata terminasse il prima possibile per correre al Grande Tempio e parlare finalmente al Sommo Sacerdote; tuttavia, una sottile inquietudine gli aleggiava sul cuore e gli impediva di lavorare con il giusto impegno: così il tempo sembrava scorrere più lentamente del solito e quel giorno risultò interminabile. Il ragazzo provava a concentrarsi maggiormente su quanto stava facendo, ma la sua mente si rifiutava di collaborare e lo teneva costantemente incollato ai suoi pensieri.
   Kendreas lo richiamò più volte alla concentrazione, ma Calx sembrava estremamente distratto e privo di volontà, tanto che il compagno, a un certo punto, si arrabbiò: - Che hai, oggi? Lavori svogliatamente ed è già la quarta volta che ti ripeto di non piegare le reti in quel modo! Se perdiamo altro tempo non porteremo niente al mercato! -
   Calx annuì senza troppa convinzione, ma d'improvviso avvertì dei cosmi innalzarsi: alcuni erano sconosciuti, altri ben noti. Sapeva che l'ora della battaglia finale era prossima e non voleva continuare ad alimentare i suoi dubbi, mentre altri perivano. Si sforzò di accantonare le sue innumerevoli riflessioni e svolgere il suo lavoro con l'impegno richiesto, ma i suoi buoni propositi non durarono a lungo: percepì una traccia di cosmo provenire dalla zona in cui abitava, e un'angoscia profonda s'impadronì di lui. Immaginò che quella preoccupazione nascesse dalla difficile situazione che si andava delineando, ma, d'un tratto, le reti gli scivolarono dalle mani; un sudore freddo si accompagnò a un tremore ingiustificato e una folle paura lo spinse a tornare a casa. Senza proferire parola, abbandonò Kendreas e la barca; corse furiosamente verso il suo alloggio e trovò la porta disserrata.
   Ristette un attimo sull'uscio, come se non volesse scoprire una verità che gli era già palese. Varcò la porta lentamente, quasi a voler procrastinare un dolore che bramava di ferirgli il cuore. Si affacciò nella sala principale e vide sua madre riversa a terra. Le si avvicinò con premura, prendendola tra le braccia: non mostrava segni di lotta o di torture, ma quando ne osservò il volto, notò rivoli di sangue dalla bocca e dal naso. Trattenne le lacrime, stringendola a sé e chiedendosi chi avesse mai potuto uccidere una donna tanto gentile e delicata.
   Un colpo di tosse lo ridestò dal suo dolore: si voltò e si accorse che Eyra era appoggiata a una parete, ancora viva. Sollevato dal poter almeno salvare una delle sue donne, riadagiò a terra con cura il corpo esanime di sua madre e raggiunse la ragazza dai capelli corvini. Eyra piangeva. Con la mano carezzò dolcemente il viso del suo amato, mentre Calx le chiedeva cosa fosse accsduto.
   La fanciulla chiuse gli occhi per un istante, consapevole che le parole che stava per pronunciare avrebbero potuto attirarle addosso il disprezzo di colui che amava. Si fece forza e, tirando un profondo sospiro, cominciò a raccontare: - Ricordi la spia a cui il Grande Tempio dava la caccia? Era mio zio, o meglio un demone che ne aveva preso le sembianze dopo averlo ucciso -.
   Calx aggrottò la fronte: - Che significa? Tu hai sempre saputo chi era e non hai mai detto nulla? Perché? Perché? Parla! -, intervenne, stringendo le spalle della ragazza, incredulo e deluso da quella inattesa confessione.
   Eyra lo guardò con occhi pentiti; le lacrime sgorgavano senza posa, ma non si lasciò intimidire dal tono minaccioso dell'allievo di Alexer: ormai era pronta a togliersi quel gravoso fardello dal cuore. - Quando mia madre morì, fui affidata alle cure di mio zio, l'unico parente che ancora mi rimaneva; ma quell'uomo, all'apparenza schivo e devoto ad Atena, covava nell'animo l'indole di un mostro. Mi molestava, mi trattava male, e i giorni che ho passato in sua compagnia sono stati i peggiori della mia vita! - Fu costretta a fermarsi: il pianto dirotto e il ricordo di quelle orribili violenze la soffocavano.
   - E cosa c'entra tutto questo con la spia? Avanti! Dimmelo! -, incalzò Calx, stanco di non conoscere mai appieno la verità. Eyra si sollevò un po', facendosi forza sulle braccia, ma si accorse di non sentire più le gambe e di non essere più in grado di ruotare il bacino: le fiamme di Lamashtu la stavano progressivamente paralizzando e l'avrebbero condotta a morte in breve tempo. Senza indugiare oltre, continuò il suo racconto:
   - Kharax era a conoscenza degli abusi che subivo e mi promise che avrebbe posto fine a quell'abominio. Una sera si presentò davanti alla nostra porta in compagnia di un demone. Li feci accomodare; mio zio riposava. Iniziammo a parlare e Makarios si svegliò: ci raggiunse con aria minacciosa, ma il demone lo strappò alla vita in pochi secondi e ne assunse le sembianze. In principio non capivo cosa stesse accadendo, ma Kharax mi assicurò che da quel momento in poi non avrei più dovuto temere le angherie di nessuno! Fu allora che accettai di tenergli il gioco: in fondo, non avevo mai amato il Santuario di Atena e forse un giorno sarei tornata ad Atene, la mia città natia, che mi mancava tanto -.
   Calx lasciò le spalle della ragazza e le sue mani scivolarono lungo le braccia di Eyra: non si era mai reso conto di nulla, né aveva mai avvertito nessun cosmo provenire da quell'uomo corpulento, dall'andatura pesante e di poche parole. Ma ora gli si parava davanti una verità assurda e terribile che faticava ad accettare. Una muta rabbia gli avvelenò il cuore: strinse i pugni e fissò gli occhi di Eyra, che lo osservavano con ritrosia e rimorso.
   - Fu lui a chiedermi di avvicinarti; voleva che ti tenessi lontano dalla guerra. Ci aveva visti il giorno del nostro primo incontro. All'inizio ti cercai solo perché volevo pagare il debito di gratitudine che provavo nei confronti suoi e di Kharax, ma poi la tua gentilezza e il tuo profondo rispetto mi hanno fatto innamorare di te. Da allora è stato l'amore a pretendere che tu non combattessi più. Quando tornasti a casa dopo l'attacco di Atene, ferito e stravolto, ebbi paura; ma ora so che questo conflitto è il tuo destino! Perdonami, se puoi! Non lasciarmi morire col ricordo del disprezzo impresso nei tuoi occhi! Ora va', trovalo, e vendica tua madre! -, terminò la ragazza, spossata da quell'inevitabile chiarimento. Cominciò a tossire, e fiotti di sangue le imbrattarono il vestito. Si aggrappò a Calx, gli rivolse un'ultima occhiata e rese l'anima, reclinando il capo sul petto del suo amato.
   Un pianto sommesso scosse il corpo dell'erede di Gemini, che carezzò i lunghi capelli di Eyra. La prese in braccio e la depose accanto a sua madre. Si rialzò, diede loro uno sguardo fugace, e lasciò rapidamente la casa, chiudendosi la porta alle spalle. Tese i sensi per scovare l'artefice di quegli insensati assassinii, ma non ce ne fu bisogno: da una fila di alberi poco distante apparve una figura dalla corazza rosa e dalle forme femminili.
   - Ecco il frutto di vil sangue e sacra linfa! -, esordì, avvicinandosi a Calx con grande fierezza e orgoglio. Il ragazzo chiuse gli occhi e strinse i pugni; si girò completamente verso il demone e gli rivolse uno sguardo colmo di astio e rancore. - Se il fato ha scelto te per ostacolare le ambizioni del supremo Nergal, il mio Signore s'impadronirà dell'universo in un batter di ciglia! Un uomo così gravato da dubbi e da incertezze non riuscirà mai a sopraffare un nume! -, continuò il Sabitta, schernendo il giovane e provocandolo.
   L'erede di Gemini non si scompose, ma, con tono deciso e aggressivo, ribatté: - Se fossi in te, fuggirei lontano, prima che la nera signora esiga il suo tributo! Sei l'ultimo della tua razza e, se decidi di affrontarmi, non rivedrai più la luce del sole -. Quelle minacce stupirono Lamashtu, ma non lo convinsero affatto.
   - La disperazione ti fa proferire vuote intimidazioni, ma i pusillanimi sono bravi solo a parole! Osserva il potere di Lamashtu, primo demone del fuoco! Izi Hulu'e![1] -, commentò sprezzante. Un cosmo rosato lo avvolse e lingue di fuoco gli attorniarono le braccia. Il demone le rivolse a Calx, immobie di fronte a lui. Le fiamme lo avvolsero fino a farlo scomparire; il Sabitta rise, convinto di aver già vinto e di poter vantare una cospicua ricompensa dal suo Signore.
   Ma quelle alte fiamme, d'un tratto, si spensero, come soffocate da un'improvvisa fiumana. Calx riapparve indenne: soltanto i vestiti presentavano leggere bruciature. Lamashtu era incredulo: - Come hai fatto a resistere ai mille gradi di quel rogo? Nessuno è in grado di sopravvivere! -
   - Tu dimentichi che io non sono un comune mortale: nelle mie vene scorre il sangue di un dio. Forse per troppo tempo ho permesso alle mie emozioni e hai miei dubbi di dirigere le mie scelte, ma oggi ho una consapevolezza nuova: sono nato per fermare la minaccia di Nergal, ed è ciò che farò! Troppe vite si sono spente a causa delle mie mancanze, ora tocca a me condurre a termine il compito affidatomi dal fato -, disse il ragazzo, circondandosi di un leggero alone di cosmo.
   Lamashtu lo osservò con meraviglia: il cosmo di Calx, seppur velato di tristezza, gli ricordava molto quello del suo Signore. Ma com'era possibile?  Perché la traccia cosmica di quel moccioso era così simile a quella di Nergal? Che legame c'era fra loro? Kharax sapeva o non ne era a conoscenza? Gli aveva nascosto qualcosa? Queste e innumerevoli altre domande gli si affacciarono alla mente.
   D'improvviso gli calò addosso una fitta oscurità e si ritrovò su una spiaggia deserta, circondata dal mare: erano su un'isola. Di fronte a lui c'era Calx, avvolto da un'aura dorata. - Come siamo finiti qui? -, chiese, un po' a disagio.
   - Sfruttando varchi dimensionali. Atene è troppo affollata e non voglio coinvolgere nessuno nel nostro scontro. Ma prima di iniziare, devo ringraziarti. Oggi ho compreso ciò che il mio maestro mi diceva negli anni di addestramento: l'attaccamento a singole persone può essere un grave rischio per un Cavaliere. In questi anni le mie decisioni errate mi hanno portato via cari amici e tu hai completato il percorso, sterminando la mia famiglia! Ora ho imparato a conoscere la tristezza e il dolore che i miei compagni si trascinano dietro, senza però lasciarsi abbattere e continuando a lottare per la libertà. Ti dimostrerò che le mie incertezze sono ormai parte del passato -, rispose Calx, facendo esplodere la piena potenza del suo cosmo.
   Il Sabitta ebbe paura: quel potere così vasto e risoluto lo convinse che quel giovane era davvero il guerriero del fato dell'antica profezia. Tuttavia, non aveva intenzione di fuggire di fronte a un nemico e, pur consapevole che ben presto avrebbe raggiunto l'Oltretomba, si preparò alla battaglia. - Izi Hulu'e! -, gridò con quanto fiato aveva in gola. Le fiamme s'innalzarono maestose attorno a Calx e un calore insostenibile lo investì. Per alcuni minuti una colonna di fuoco devastò quella spiaggia, ma, come prima, si spense in un lampo, come la fievole fiammella di una candela.
   Il giovane Gemini sollevò una mano per contrattaccare, ma un cosmo immenso s'innalzò a est. Lamashtu scoppiò a ridere, dicendo: - Il mio Signore è tornato! La nostra vittoria è vicina! - Calx lasciò che quelle parole svanissero nel vento e si preparò a chiudere la partita con quel fastidioso demone. Dalla mano alzata divampò una potente fiammata che investì il Sabitta. Quest'ultimo provò a parare il colpo, ma fu sbalzato in un gruppo di cespugli, che s'incendiarono come sterpaglie.
   Il demone del fuoco si rialzò dolorante e in affanno: i bracciali della sua armatura erano anneriti e quasi fusi. - Hai ribattuto la mia tecnica e l'hai caricata anche del tuo cosmo, vero? -, chiese, riprendendo fiato.
   Calx annuì; poi aggiunse: - Ma noto con rammarico di non essere riuscito ad annientarti. Vuol dire che utlizzerò un'altra tecnica -. Allargò entrambe le braccia, lasciando che il suo cosmo lo avvolgesse totalmente. Sopra di lui si formò un pianeta di luce; il Cavaliere era in procinto di scagliarlo contro l'avversario, quando percepì un cosmo partire dal Grande Tempio: era quello del suo maestro, ma aveva qualcosa di diverso. Aggrottò le ciglia, disperdendo l'accumulo di energia del pianeta e si voltò in direzione della dimora di Atena. - Cosa intendete fare, maestro? -, pensò, mentre uno strano presentimento si faceva strada nel suo cuore.
   Lamashtu approfittò di quella vantaggiosa distrazione per dare fondo a tutte le sue forze: un'immensa gabbia di fuoco imprigionò il Cavaliere, sottraendolo alla vista. - Stavolta non hai scampo! -, esultò il demone, convinto di aver sconfitto il suo nemico. Tuttavia, le fiamme iniziarono a vorticare fino a estinguersi. Se non si fossero notate bruciature sulla camiciola e sui calzoni indossati dal ragazzo, nessuno avrebbe mai creduto che fosse stato investito da un fuoco consumante.
   Il Sabitta ebbe un moto di disappunto: sperava che quella sua mossa potesse dare una svolta decisiva alla guerra, ma era stato tutto vano. Calx tornò a voltarsi verso di lui e, con un sorriso amaro, gli disse: - Non ti è ancora chiaro che tutti i tuoi sforzi non ti daranno l'esito che desideri? Preparati a raggiungere i tuoi compagni! - Ricreò il pianeta di cosmo che prima aveva distrutto e, con furia spaventosa, lo scagliò contro Lamashtu, gridando: - Galaxíou Ékrēxis! -. La tecnica si abbatté sul demone con forza devastante e l'esplosione che ne seguì fu così violenta da creare una profonda e ampia insenatura. Quando la polvere e il fumo diradarono, le onde s'infransero impetuose su quella nuova calanca.
   L'allievo di Alexer fissò per un attimo gli occhi sull'orizzonte, poi, sfruttando la velocità della luce, ritornò ad Atene. Aprì di nuovo la porta di casa sua e davanti gli si parò il triste spettacolo della morte: sua madre ed Eyra giacevano ancora immobili. Si avvicinò, si caricò i loro corpi tiepidi sulle spalle, prese una vanga, riposta in un cantuccio della stanza, e si diresse su una collinetta affacciata sul mare, ombreggiata da mirti e ginepri, dove spesso aveva condotto Eyra a passeggiare o a contemplare i colori dell'Egeo nelle assolate giornate d'estate.
   Adagiò i cadaveri a terra e scavò due profonde fosse; vi depose i corpi, dando loro un ultimo saluto umido di lacrime. Coprì di terra quelle vittime innocenti delle sue incertezze e, prima di congedarsi, rivolse loro poche parole: - Perdonate la mia incapacità. Non ho saputo cogliere i segnali che i comportamenti di tutti mi lanciavano. A motivo della mia stoltezza, le vostre vite sono giunte sulle rive dell'Acheronte anzitempo. Vi prometto che non permetterò a Nergal di conquistare l'universo. L'umanità, sebbene si macchi di nefandi misfatti, può ancora cambiare rotta, grazie all'aiuto di Atena. Combatterò per lei... e per voi! - Offrì una breve e silenziosa preghiera; poi se ne andò: il Santuario attendeva il suo ritorno.
***
   Sorush se ne stava in ginocchio davanti allo Scrigno dell'Eternità, in attesa che il suo Signore tornasse e gli concedesse la ricompensa che tanto anelava. Sognava già la sua nuova vita con Darice, illuminata dalla nascita di una numerosa prole: questo pensiero lo fortificava e gli instillava fiducia nel piano di Nergal.
   D'improvviso, le gemme incastonate sul coperchio del cofanetto emisero un intenso bagliore violaceo e sette colonne di fumo nero si levarono verso l'alto, si posizionarono alle spalle del trono e assunsero forma fisica.
   Le figure apparse da quel fumo indossavano un'armatura del tutto identica, tranne che per gli elmi integrali, rappresentanti teste di animali, e per la posizione della gemma, montata o sul cinturino o sul pettorale. Quest'ultimo era aderente al torace, sormontato da spallacci protrudenti e appuntiti che si agganciavano a un bavero stretto e formato da un triangolo rovesciato privo di base. Il cinturino era attaccato al pettorale e consisteva in due lunghe piastre metalliche che fasciavano interamente il bacino, lasciando scoperta solo la parte anteriore, che formava un triangolo. Bracciali e schinieri coprivano interamente gli arti, lasciando scoperte soltanto la zona ascellare e quella inguinale.
   Sorush fu lieto di vedere gli Utukki, che preannunciavano l'imminente resurrezione del suo Signore. Poco dopo, infatti, lo Scrigno si dissolse in una spirale violacea, da cui apparve una figura imponente: era Nergal.
   Indossava un'armatura in prevalenza viola, con inserti rossi. L'elmo era integrale e aveva le fattezze della testa di un leone. Il pettorale era aderente e metteva in risalto i muscoli sottostanti; gli spallacci erano diversi l'uno dall'altro: quello di destra rappresentava la testa di un corvo; quello di sinistra il volto di un toro, munito di piccole corna ritorte. Il cinturino, agganciato al pettorale, era formato da due lunghe placche poste a protezione dei fianchi, e altre due a ventaglio, che coprivano la zona anteriore e quella posteriore. I bracciali coprivano interamente gli arti, terminando in manopole provviste di artigli lunghi e affilati. Gli schinieri coprivano gambe e cosce, un triangolo rosso proteggeva il ginocchio e fungeva da giuntura, e le uose avevano la forma di uno zoccolo. Concludevano la corazza un maestoso paio di ali nere agganciate sulla schiena.
   Il dio d'Irkalla tese la mano verso lo scettro che, richiamato dal cosmo del suo Signore, si lasciò impugnare. - Finalmente! L'ora della conquista è giunta! Nessuno potrà impedirmi di governare l'universo! - Gli Utukki si erano inginocchiati all'apparizione del loro re e restavano immobili, in attesa di ordini.
   Nergal vide un uomo prostrato a terra e un sorriso malefico gli illuminò il volto, celato dall'elmo. Si accomodò sul trono e gli rivolse la parola: - Palesa il tuo nome, umano! -
   Sorush, eccitato all'idea di poter infine ricevere l'agognato premio per la sua fedeltà, sollevò il capo e, con tono ossequioso, rispose: - Mi chiamo Sorush, figlio di Feroz, e sono l'ultimo dei vostri sacerdoti -. Tornò ad abbassare il capo, pronto a eseguire ciò che il dio d'Irkalla gli avrebbe chiesto.
   - Ti sei comportato con lealtà e devozione. Ora lascia che ti ricompensi per i tuoi servigi. Dimmi cosa desideri e io realizzerò le tue richieste -, riprese Nergal, con tono grave e autoritario. Sorush non ebbe tentennamenti: per anni aveva sognato di poter esternare i propri desideri e ora essi avevano la possibilità di prendere corpo.
   - Vorrei riabbracciare la mia Darice, morta prematuramente, e avere una numerosa prole, che possa servirvi devotamente come ho fatto io -, proruppe il sacerdote, con le mani giunte e gli occhi speranzosi e imploranti.
   Dopo quelle parole vi fu un attimo di silenzio, squarciato da una risata dapprima sommessa e poi man mano più vigorosa. Sorush non capiva i motivi di tanta ilarità, ma non osò chiedere spiegazioni: si limitò ad abbassare lo sguardo e ad attendere, con timore, la ricompensa del suo Signore.
   Nergal osservò con disprezzo quel mortale che pretendeva tanta magnanimità dal distruttore dell'universo. - Sei un folle! -, ribatté, alzandosi dal trono e avvicinandosi a Sorush, prostrato fino a terra, con passo lento. - Non ti sei mai chiesto come mai delle sette rigogliose famiglie sacerdotali al mio servizio sia rimasto soltanto tu? Era tutto previsto. Oltre a sigillare il vostro cosmo per evitare ribellioni e defezioni, ho anche instillato in voi il seme della sterilità: più si avvicinava il giorno del mio risveglio, più le fila della vostra stirpe si assottigliavano. Non ho mai pensato di rendervi partecipi della mia vittoria -, raccontò, lasciando interdetto il sacerdote che non si aspettava una realtà tanto cruda e terribile.
   - Io non concedo la vita, ma offro il dolce silenzio della morte! Accetta questo dono dal tuo Signore, così potrai rivedere colei che affermi di amare -, concluse, sollevando lo scettro. Sorush era incredulo: aveva speso la vita intera a proteggere lo Scrigno per consentire al dio d'Irkalla di tornare sulla Terra, nella convinzione che i suoi sforzi sarebbero stati premiati, e invece l'amarezza della morte sarebbe stato il suo unico compenso. Chiuse gli occhi; dal bastone di Nergal partì una scarica d'energia nera che lo investì e ne consumò le carni: di lui restò solo la lunga tunica, lacera e consunta.
    - Un cosmo ostile si avvicina, Imperatore! Volete che ce ne sbarazziamo? -, esordì uno degli Utukki, dalla voce profonda e sicura. Nergal scosse il capo. - L'ho avvertito anch'io. Voi raggiungete le vostre postazioni, all'intruso penserò io; in fondo, non è una reale minaccia -, rispose. I demoni annuirono e scomparvero. Il Signore d'Irkalla si affacciò dalla terrazza della sala del trono e vide un uomo rivestito d'oro ai piedi della ziqqurat. Spiegò le ali e si librò nell'aria, atterrando dolcemente a pochi metri dall'ignoto nemico.
   - Non avrei mai immaginato che un misero mortale osasse sfidarmi! Cosa speri di ottenere? Il tuo cosmo, seppur rafforzato dal sangue di un dio, non è in grado di battermi! -, provocò, stringendo forte nella destra lo scettro e osservando con curiosità la corazza indossata dall'avversario.
   - Il mio nome è Alexer di Gemini, Sommo Sacerdote della dea Atena. Credi forse che le tue parole mi distoglieranno dai miei propositi? Ho già affrontato gli dei! Tu sei soltanto l'ennesimo nume che minaccia la pace e la sopravvivenza dell'umanità -, ritorse il vicario della dea della giustizia, avvolgendosi di un maestoso e sfavillante cosmo dorato.
   - Noto con disgusto che il vostro deplorevole atteggiamento di tracotanza nei confronti degli dei non è mai cambiato. Da sempre la creatura anela sopraffare i creatori per emanciparsi dalla sua finitezza, ma il suo destino è di soccombere per mano mia! Tutti gli uomini verranno spazzati via dall'ombra del dio d'Irkalla; tu e i tuoi adorati Cavalieri non riuscirete a sottrarli a quest'esito ineluttabile. La fine della vita nell'universo è giunta! E tu sarai il primo a cadere! -, rintuzzò Nergal, piccato dalle oltraggiose parole che gli erano state rivolte. Sollevò lo scettro, che rilasciò una potente scarica di energia contro Alexer.
   Il Sacerdote riparò in un varco dimensionale, mentre il colpo s'infrangeva a terra con un grosso boato, lasciando un profondo cratere. - Ti nasconderai finché non avrò più forza per attaccarti? È questa la tua strategia? Folle! Gli dei non temono fatica e stanchezza! Preparati a morire! -, provocò il Signore d'Irkalla, pronto a sferrare un nuovo attacco.
   Alexer riapparve accanto a lui, scagliandogli contro sfere d'enegia. Nergal non si scompose: spazzò l'aria con lo scettro, vanificando l'attacco dell'avversario. Fallito il primo tentativo, il vicario di Atena scomparve per tentare un nuovo attacco. Il nume sumerico scoppiò a ridere e iniziò a schernirlo: - Continua a provare, ma non mi arrecherai mai danno, mortale! La tua malriposta speranza prima o poi ti perderà! -
   L'antico Cavaliere riapparve ancora una volta per attaccare, ma una strana forza lo bloccava e gli impediva di raggiungere l'obiettivo. Nergal lanciò una scarica d'energia che si abbatté sul petto di Alexer, scaraventandolo a qualche metro di distanza. Era stato un colpo tremendo che aveva provocato crepe al pettorale dell'armatura. - Non ti accorgi che l'aver assunto il sangue di un dio non ti avvantaggia contro di me? Riponi le armi e ti concederò una morte rapida! -, propose il Signore d'Irkalla, con tono freddo e terrificante.
   - Non mi piegherò mai alle lusinghe del male! Il mio compito è combattere per il bene di questo mondo! E se devo morire per ottenerlo, sono pronto a correre il rischio! -, ribatté Alexer con forza, rialzandosi e circondandosi di un intenso cosmo dorato. - Atena, prestami il tuo potere e assistimi in battaglia! -, pregò in cuor suo. L'alone aureo attorno a lui divenne sempre più ampio e la terra cominciò a tremare e a fendersi.
   Il distruttore di mondi si accigliò: il cosmo di quel mortale stava mutando; avvertiva un potere immenso sprigionarsi da quell'uomo; si chiedeva come facesse a resistere alla pressione che quella forza esercitava sul suo fisico. Colmo di disprezzo per l'ostinazione e la protervia di quella creatura, Nergal distese le ali richiamando il suo cosmo e abbatté su Alexer una furiosa tempesta di vento carica di fulmini.
   Scariche elettriche e raffiche impetuose flagellavano il corpo del Sacerdote. Alexer cadde in ginocchio: nuove crepe apparvero sull'armatura. Il vicario di Atena notò che le sue mani erano coperte di macchie e di grinze: il sangue della dea della giustizia stava consumando la sua forza vitale; gli restava poco tempo per sferrare un attacco capace di superare le difese del dio e di mostrargli quanto fosse vulnerabile.
   Si rimise in piedi, un rivolo di sangue gli macchiava il volto; lo asciugò col dorso della mano e si preparò a realizzare l'impossibile: insegnare a un dio la tenacia degli esseri umani. Fece esplodere il suo cosmo e riuscì a spegnere l'attacco nemico. Lo sforzo fu enorme, ma non diede tempo all'avversario di riorganizzarsi: - Galaxíou Ékrēxis! -, gridò, e innumerevoli pianeti di fuoco si precipitarono su Nergal.
   Il dio sottovalutò quell'attacco: innalzò lo scettro, che riuscì a smorzarne la forza, ma venne comunque spinto indietro. Quando l'energia si dissolse e la polvere si diradò, il Signore d'Irkalla assunse un'espressione compiaciuta: quell'ultimo palpito aveva praticamente esaurito le forze del Cavaliere.
   - Ti sei tanto affannato e alla fine hai fallito! Un misero umano non può sconfiggere un nume! Il sangue della tua stessa dea ti sta consumando! Ironico, vero? Colei che predica pace e vita ti sta strappando l'anima senza neppure concederti la vittoria! -, commentò sarcastico. Si preparava a sferrare l'attacco decisivo, quando l'elmo esplose in pezzi, rivelando il volto del dio sumero. Aveva occhi rossi e lunghi capelli neri. Non appena si rese conto che l'attacco nemico lo aveva colpito, sebbene non in modo grave, s'infuriò.
   - Hai parlato troppo presto. Gli umani sono in grado di generare miracoli a volte. Ora conosci anche tu le nostre potenzialità -, sbottò Alexer, in affanno e grondante linfa vitale. Quelle parole esacerbarono l'animo già pregno di rabbia di Nergal: i suoi occhi si accesero e un cosmo tremendo lo avvolse; sollevò lo scettro, che emise un sinistro bagliore, e una saetta di cosmo si avventò contro il vecchio paladino della giustizia. Il Sacerdote non aveva più forza di reagire, tuttavia strinse i denti e provò a opporsi all'ennesimo attacco.
   D'un tratto, le sue esigue forze vennero corroborate da un altro cosmo. - Pnéumatōn Aspís![2] -, gridò una voce ben nota: ombre diafane si posero a difesa del Sacerdote e del nuovo arrivato, ma l'impatto fu devastante. Lo scudo andò in pezzi e i due guerrieri furono sbalzati lontano; tuttavia, erano ancora vivi.
   Alexer rivolse lo sguardo al suo salvatore: - Sertan, perché sei qui? -, lo interrogò, rialzandosi con grande fatica.
   Il giovane custode della quarta casa rispose senza distogliere lo sguardo da Nergal, sempre più turbato e infastidito dalla resistenza di quelle vili creature. - Signore, dovete tornare al Grande Tempio. Presto Calx verrà a cercarvi per conoscere la verità: siete l'unico a potergliela raccontare -.
   - Come fai a essere così certo del suo ritorno? Ho sperato fino al risveglio di questo demone scellerato che si facesse vivo, ma non è avvenuto -, replicò il Sacerdote, denunciando una certa delusione nella voce.
   - Me l'ha detto Kharax nel corso della nostra battaglia. Ha fatto in modo che scendesse di nuovo in campo e affrontasse il suo destino -, confessò il Cavaliere, preparandosi a schivare un nuovo attacco di Nergal. - Non abbiamo molto tempo, dobbiamo sbrigarci! -
   Il Signore d'Irkalla stava per colpire le sue indifese vittime, quando un cosmo maestoso e possente sorse a occidente. Un sinistro presentimento le pervase e una consapevolezza gli nacque nel cuore: il guerriero del fato, il semidio annunciato dalla profezia era giunto! Una rabbia muta e ardente lo investì.
   - Come puoi credere a un traditore? -, ritorse Alexer, poco incline a dare retta alle parole di un uomo infido, ma il custode della quarta casa sembrava sicuro di quanto asseriva. A convincere il vicario di Atena, però, fu la risposta del ragazzo.
   - Kharax non si è neppure difeso durante lo scontro. Ha addirittura eliminato i suoi soci per raccontarmi la sua versione dei fatti. Il cosmo che abbiamo appena avvertito è quello di Calx: ha sconfitto la spia che si era annidata a Rodorio e presto farà ritorno al Santuario. Dovete andare! La salvezza dell'umanità dipende da lui. Vi rimanderò alla quarta casa. Lì qualcuno, avvertito dal vostro cosmo, verrà a soccorrervi -.
   - E tu? Che intenzioni hai? -, chiese il vicario di Atena, preoccupato dal piano del ragazzo. Sertan sorrise con tono disteso, lo invitò a non lasciarsi prendere dalle ansie e gli disse che lo avrebbe seguito subito dopo.
   Il dio delle pestilenze tornò a interessarsi ai Cavalieri che aveva di fronte. - Eliminerò prima voi e poi mi occuperò dell'araldo del fato! -, proruppe rabbioso, concentrando il cosmo nello scettro e scagliando raggi d'energia contro gli avversari.
   - Ora! -, disse Sertan. - Zōês Anéleusis![3] -, gridò, puntando il dito contro il Sacerdote. Onde concentriche avvolsero il vecchio Cavaliere che, in poco tempo, scomparve. Il colpo di Nergal giunse lesto e scaraventò il giovane Cancer nella sabbia tra schizzi di sangue e pezzi d'armatura. Egli si rialzò, con la corazza spaccata, grondando sangue da innumerevoli ferite.
   - Sei riuscito a salvare il tuo amico, ma tu non sopravviverai! -, sibilò l'imperatore degli Utukki, avvicinandosi di qualche passo. Notò che l'espressione dell'avversario non era intimorita o tremante, anzi sorrideva e lo guardava con occhi di sfida.
   - Il tuo effimero regno sta per terminare, Nergal! La tua nuova vita sarà più breve di quella di una farfalla! -, lo schernì. Il dio sumero non apprezzò l'ironia di quel giovane mortale e lo immobilizzò calpestandolo con un piede.
   - La tua vita si spegne oggi, insetto! -, affermò sprezzante, puntando lo scettro contro il suo volto, ma onde concentriche avvolsero il Cavaliere e lo condussero via. - Dannati vermi! Vi spazzerò via dall'universo! -, grugnì fra i denti. Poi volse gli occhi alla sommità della ziqqurat. Uno specchio triangolare si attivò, lanciando un potente raggio verso il Sole. - Ancora un po' e la vita cesserà! - pensò. Volò alla propria dimora e comunicò agli Utukki di prepararsi all'arrivo del guerriero del fato.
***
   Al grande Tempio, i Cavalieri d'Oro erano radunati alla tredicesima casa e discutevano animatamente. Kanaad cercava di mediare. - Dovevamo essere noi ad attaccare il tempio di Nergal! Perché il Sommo Alexer si è precipitato lì da solo? -, chiedeva Zosma, confuso dalle azioni del Sacerdote.
   - Quando sarà qui glielo chiederemo, per ora non ci resta che attendere -, tentava di calmarlo Vernalis.
   Hamal se ne stava in disparte, appoggiato a una colonna, totalmente immerso nei suoi pensieri. Dopo lo scontro col Sabitta in Cina e la partenza del vicario di Atena, aveva cominciato a mettere insieme i pezzi di quegli eventi strani e aveva concluso che la chiave di volta di quell'intricata situazione era Calx.
   - Non è il momento di discutere delle decisioni del Sacerdote -, tuonò Kanaad, stanco di quelle sterili chiacchiere. All'improvviso, tutti avvertirono un cosmo immenso provenire da una piccola isola dell'Egeo.
   - A chi appartiene questo cosmo smisurato? -, si chiese Sargas, meravigliato da quell'aura così ampia. Un vocio sommesso percorse la sala: ognuno faceva congetture, ma soltanto Hamal e Kanaad intuirono chi fosse l'individuo che aveva sprigionato quella possente forza.
   - Qualcuno è entrato nella quarta casa! -, esclamò Zosma. - Il Sacerdote è tornato, ma è molto debole; il suo cosmo... -, continuò. Poi, preso da un'improvvisa paura, corse a perdifiato verso il palazzo del Grande Cancro; lo seguì anche Altager, spinto dagli stessi timori del parigrado. Non appena vi giunsero, trovarono Alexer riverso a terra, con l'armatura piena di crepe e macchiata di sangue. Zosma lo prese delicatamente tra le braccia e lo condusse alle sue stanze, facendosi largo tra i compagni, ancora increduli dello stato in cui versava la loro guida.
   Poco dopo un altro cosmo si palesò nella quarta casa: era quello del suo custode. Stavolta furono Hamal e Sargas ad accorrere. Lo trovarono semicosciente. Quando li vide, Sertan, ormai in fin di vita, riuscì a pronunciare solo poche parole: - Calx... Attendete, Calx! - Poi, prima che il soffio vitale lo lasciasse, toccò il braccio di Hamal, che finalmente poté conoscere la verità che si nascondeva dietro il cosmo di Calx e le azioni del Sacerdote.
 
[1] "Fuoco Distruttore".
[2] "Scudo d'Anime".
[3] "Ritorno di Vita".
   
 
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