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Autore: LawrenceTwosomeTime    20/05/2022    0 recensioni
Marla potrebbe essere morta, o stare morendo. Marla potrebbe avere un'ultima chance di riprendersi la sua vita. L'unica certezza, per Marla, è che niente è come sembra. In suo aiuto giunge Tara, che di vivere non ne vuole sapere. Un thriller metafisico incentrato su angosce sepolte, sentieri male illuminati e bizzarre amicizie.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla porta mancava il campanello e, malgrado il profilo moderno, l’edificio ricordava in modo sibillino una casetta di marzapane.
Le imposte spalancate lasciavano intravedere interni del tutto ordinari, arredati con gusto e contraddistinti da una singolare normalità.
Marla bussò con circospezione, quasi sperasse che nessuno venisse ad aprirle.
Aspettò per quelli che le sembrarono due minuti. Bussò ancora, stavolta con maggior fermezza.
Con un movimento brusco che la fece sobbalzare, l’uscio si scostò di cinque centimetri. Un’iride verde smeraldo incorniciata da una gran massa di capelli crespi la esaminò attraverso lo spiraglio, curiosa prima che circospetta.
La porta si aprì completamente.
“Che mi venga un colpo. Sei reale?”
La donna alta e allampanata che stava sulla soglia aveva un aspetto sbarazzino, etereo, appena velato da un’ombra di segreta melanconia.
“Credo di sì. Marla.”
L’altra si accigliò. Poi il suo sguardo acquistò calore.
“Oh, è un nome proprio di persona? Molto bene. Tara.”
Marla arrischiò un sorrisetto.
“Oh, è un nome proprio di persona? In questo caso, piacere di conoscerti.”
Notò che la padrona di casa sembrava studiarla con rinnovato interesse.
“Che c’è?” chiese.
“Niente,” mormorò Tara “è solo che ho l’impressione di averti già vista da qualche parte… forse su un giornale. Per caso sei famosa? Che so, un’attrice?”
“Io non… ricordo” rispose Marla, abbattuta.
Tara inclinò la testa.
“Giusto. Come me.”
“La ragione per cui non ricordo… potrebbe avere a che fare con un incidente” speculò Marla in tono incerto.
“Un incidente d’auto?” suggerì Tara.
Poi si corresse: “No, troppo facile.”
Marla aveva un’aria sconsolata. Tara si scostò di lato.
“Su, vieni dentro.”
La ragazza farfugliò uno stentato “compermesso” e si fece avanti.
L’ingresso emanava un’aura quasi letargica, con i suoi colori spenti, le suppellettili funzionali ma disadorne, i rivestimenti in faggio che suggerivano un’eleganza spossata, superficiale. L’ambiente si caratterizzava per la totale mancanza di effetti personali.
“Dunque, prendiamo il toro per le corna” disse Tara.
“Il toro?”
“O l’elefante per la proboscide, se preferisci.”
Marla corrugò la fronte.
“Non siamo ancora morte, giusto?”
“No, non direi” confermò Tara con un grugnito.
“Io ci ho provato,” aggiunse “ma qualcosa dev’essere andato storto. Non che me ne rammenti, intendiamoci. C’è solo questa sensazione… di incompiutezza. Come se avessi commesso uno sbaglio. Non sono neanche riuscita a suicidarmi per bene! Da viva dovevo essere una fottuta incapace.”
Marla esitò. Preferiva evitare di offenderla.
Infine disse: “Ti prego, non usare quell’espressione.”
“Quale?” chiese Tara.
Da viva. C’è ancora tempo.”
Tara si strinse nelle spalle come a voler cambiare argomento.
“Se desideri tornare là fuori, accomodati. Io non posso uscire da dove sei entrata tu.”
“Perché no?”
“Che vuoi che ne sappia? Non posso fisicamente uscire dalla porta, e tanto basta. Magari c’entrano le cretinate metafisiche dei mesmeristi, hai presente? La disposizione con cui ho perso coscienza e la mia risoluzione a non tornare indietro.”
“Oh” commentò flebilmente Marla.
“Potrebbe esserci un’altra uscita,” asserì Tara con noncuranza “ma che dio mi fulmini se proverò a servirmene.”
Vi fu una pausa.
“Sai, sei il primo essere umano che incontro da quando sono finita qua dentro” dichiarò distrattamente.
Marla spalancò la bocca.
“Stai dicendo che non parli con anima viva da…”
“…un bel po’, sì. Anima viva? Sei spiritosa.”
“Ѐ pazzesco” osservò Marla.
“Che nessun altro sia arrivato fin qui? Mica tanto.”
“Che tu non abbia sbroccato.”
Tara assunse un’espressione da buffona.
“Chi dice che non l’ho fatto? Potrei aver sbroccato di brutto. Potrei essere una ninfomane necrofila, per quel che ne sai. Da queste parti la morte ignora i principi tradizionali di causa ed effetto, ma sorvoliamo sui dettagli.”
Marla ridacchiò. Lo sguardo di Tara era talmente sornione che risultava impossibile prenderla sul serio.
“La mia teoria è che nel coma – chiamiamolo così per semplificare – vigono le regole del sogno lucido,” riprese Tara, di nuovo pensierosa “un’esperienza davvero esilarante, ammesso che io l’abbia mai sperimentata. Preoccupazioni? Nada. Affanni? Nisba. Ogni cosa ammonta a nient’altro che un’ombra fugace del suo corrispettivo tangibile.”
Marla iniziava a rivalutare la sua ospite: non era solo spassosa. Sapeva anche fare dei ragionamenti complessi.
“Oh, e qui dentro godo di un plus concepito esclusivamente per me” precisò Tara.
“Non avverto mai la stanchezza. Aspetta, riformulo: visto che sono una specie di coscienza travestita da essere umano, non vado incontro a… qual è il termine? Deterioramento psichico? Abrasione spirituale? Che schifo di definizione. Insomma, rimango integra. Oppure sono solo balle e la mia condizione è legata al fatto che resto spaparanzata sul divano tutto il giorno. Tutto il… sempre.
Tu, piuttosto. Come hai fatto a trovarmi?”
Al sentirsi rivolgere quella domanda, Marla ebbe uno strano presentimento.
Come se il quesito contenesse la risposta fondamentale al mistero della propria identità smarrita. Come se potesse sbrogliare la natura stessa dell’io suo e di Tara: una scia di briciole che le connetteva a un livello profondo.
“C’era una colonna di fumo,” esordì “ma a un certo punto l’ho persa di vista. Così ho seguito un torrente. L’ho fatto d’istinto, sperando che mi portasse fuori dalla foresta.”
Tara ascoltava, intenta.
“Mi ha ricondotta al punto da cui proveniva il fumo. Da lì, ho continuato ad avanzare... e sono arrivata da te.”
L’altra si morse le labbra.
“Tesoro, ho una buona e una cattiva notizia: la cattiva è che questa bicocca non ha un camino, quindi o sei finita nella casa sbagliata o hai le traveggole; riguardo i torrenti, non ne ho visti quando sono capitata qui – ma è anche vero che mi hanno squalificata subito dal gioco della piccola esploratrice, quindi la mia testimonianza vale quanto una caccola di formica. La buona notizia è che hai trovato compagnia! Una compagnia possibilmente più pazza di te. Certo, potrei pure sbagliarmi… per ora mi astengo dall’emettere giudizi.”
Marla sorrideva apertamente.
Quella buffa, tragica ragazza le ispirava una simpatia epidermica cui non riusciva a dare una precisa collocazione. Forse era per tale motivo che la trovava tanto piacevole.
Nella sua mente stava prendendo forma un piano. Anzi, un’idea.
In realtà era più un impulso, un afflato irrazionale che necessitava di struttura. E di due persone.
Curiosamente, non era la smania di salvarsi a muoverla: voleva innanzitutto aiutare Tara. Anche se fosse giunta a farsi odiare.
La nuova amica le diede un buffetto sul braccio, strappandola alle sue riflessioni.
“Andiamo in soggiorno, sono stufa di parlare in piedi. Non ho niente da mangiare, ma ho del caffè.”
“Fantastico” esultò Marla.
 
La nebbia che cingeva quel ricordo iniziò a diradarsi, divenne solida e granulosa.
Si accese delle sfumature dorate del sole, sfavillando come un’artemisia intessuta di stelle.
Sabbia?
Sì, era sabbia quella che ricopriva le sue mani. Le sue mani, e le sue braccia, e… ma dov’erano le sue gambe?
Ah, eccole lì. Per un attimo aveva avvertito la spiacevole sensazione di essersi spezzata in tante parti, vittima di un bimbo crudele che l’aveva smontata, disseminandone i brandelli alla rinfusa. E invece era solo distesa a pancia in giù nella sabbia.
Vi era parzialmente immersa, in effetti.
Marla socchiuse le palpebre per esaminare l’orizzonte nel sole accecante.
Il caldo era atroce, eppure lo percepiva come un disagio a malapena suggerito, senza subirlo realmente. Se avesse preso fuoco, non avrebbe battuto ciglio.
Si alzò in piedi.
“Dunque è questo il Grande Nulla? Un luogo in cui ricordi le esperienze della tua vita passata?”
Sapeva che la vecchia signora udiva ogni sua parola, e questo le dava la libertà di parlare da sola senza sentirsi stupida.
“Finora ho ricordato solo un episodio della mia permanenza in coma, e non è stato neanche troppo spiacevole. Se questo è il peggio che mi può capitare, sono più che disposta a sopportare le freddure di Tara.”
Detto questo, avanzò nella direzione in cui guardava al risveglio.
Ma si bloccò quasi all’istante. Un’intuizione improvvisa l’aveva folgorata, e reputò poco prudente esprimerla ad alta voce.
La nonnina non si era presa Tara. Le aveva negato ciò che desiderava di più, per usare le parole dell’amica. Perché l’aveva fatto? C’entrava seriamente con l’accettazione della morte? Era davvero per il suo bene o c’era sotto qualcos’altro? Una punizione, forse?
Marla riprese a camminare.
 
La sicurezza con cui si era espressa poc’anzi non rispecchiava affatto il suo stato interiore, ma darsi coraggio era il solo modo per superare indenne quella prova.
Darsi coraggio era ciò che aveva sempre fatto.
Era l’unica cosa che sapeva fare.
  
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