Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: ValePeach_    23/05/2022    0 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 11

 
 
 

 
«Possibile che i giornali non sappiano parlare d’altro?» esclamò Vincent furioso, mentre leggeva l’ennesimo articolo sulla morte della duchessa. «Non hanno alcun rispetto per quella povera famiglia… e che fine hanno fatto le guerre, la politica e l’economia? Tutto sparito?»
John sospirò bevendo il suo tè.
Era passata una settimana dall’accaduto e com’era prevedibile la tragica notizia aveva fatto il giro dell’intera Inghilterra, portando a Windermere giornalisti e pseudo investigatori certi di fare il colpo grosso indagando sull’omicidio di una personalità come Susan Wortham. John era convinto avrebbero dovuto avere a che fare con quella marmaglia ancora per un paio di settimane, tre al massimo, prima che la loro attenzione venisse catturata altrove.
«Come avete ragione, zio» intervenne Camille, quel mattino per fortuna meno cerea del solito. «Phoebe mi scrive ogni giorno, dicendomi che i giornalisti si presentano in continuazione a Southlake nella speranza di strappare un commento al duca o alla marchesa, ignorando il momento difficile che stanno passando. Non escono nemmeno di casa, onde evitare spiacevoli incontri» concluse mesta, mandando giù un boccone di macedonia.
Di sicuro, pensò John, erano stati momenti difficili anche per lei. Vedere un cadavere per la prima volta, specie se nello stato in cui era la povera duchessa con il corpo deformato a causa della caduta, poteva essere traumatico e nonostante Camille si sforzasse di apparire serena e senza pensieri come al solito, in verità aveva passato gli ultimi giorni a girovagare per il castello senza meta e pallida come un fantasma.
Ci voleva tempo, lui lo sapeva bene. Gli incubi le avrebbero fatto compagnia ancora per parecchio e anche se John avrebbe potuto darle un po’ di conforto perché consapevole di quello che stava passando, da codardo non aveva osato parlarle dalla sera del ballo. Un po’ perché non era ancora riuscito ad accettare pienamente i suoi sentimenti e un po’ perché anche Camille aveva fatto di tutto per evitare di stare sola con lui per più di qualche minuto.
“Perché qualsiasi cosa io faccia, voi siete sempre pronto a rimproverarmi e a sminuirmi?”
“Mi giudicate e mi fate sentire una sciocca come sempre.”
“Volete rimproverarmi anche adesso?”
Al diavolo!
Se avesse potuto, si sarebbe preso a pugni da solo. Perché John si struggeva e malediceva al tempo stesso per quell’affetto che provava; si mangiava il fegato dalla gelosia e l’unica cosa che riusciva a tirar fuori era il lato peggiore del suo pessimo carattere. Però anche lei avrebbe potuto capire che le sue parole erano dettate semplicemente dalla preoccupazione e dal fatto che gli faceva male vederla fra le braccia di quel damerino. Si vantava tanto del suo intuito che quasi mai sbagliava e della sua capacità di capire le persone, eppure non si era per nulla accorta di come diventava rigido in sua presenza, di come cercava di nascondere l’attrazione che sentiva e di quanto fosse tranquillo al suo fianco, addirittura da rivelarle verità che, a parte Daniel, nessun altro conosceva. Era davvero una sciocca, allora, e lui lo era ancora di più se pensava di riuscire in qualche modo a fare breccia nel suo cuore.
«Che assurdità!» disse suo padre in risposta al commento di Camille. «Fossi nel duca li avrei già fatti tutti arrestare.»
«Forse credono di cavare qualche ragno dal buco» intervenne lui, cercando di distrarsi da quei pensieri che da giorni gli facevano perdere il sonno e, ne era convinto, anche il raziocinio.
«In che senso?»
«Uno scandalo, mia cara, ecco cosa vanno cercando quegli approfittatori» rispose Vincent al suo posto. «Ma se nemmeno la polizia ha idea di che pesci prendere, figuriamoci dei giornalisti di bassa lega! E a proposito di polizia… ho visto poco fa che Montgomery ti porgeva un loro messaggio, di che si tratta?»
John sperava con tutto sé stesso non lo avesse notato.
«Avete ricevuto un messaggio dal dipartimento?» chiese appunto Camille… ed ecco spiegato il motivo per cui avrebbe preferito che suo padre tacesse: perché ora che aveva tirato in ballo l’argomento, sarebbe stato costretto a mentirle e iniziava a detestarlo.
La causa era presto detta: John era stato sì convocato dalla polizia di Windermere, ma la missiva era firmata da Timothy Yale, uno dei suoi vecchi superiori dei servizi segreti. E non appena aveva letto il nome, gli era stato chiaro tutto quanto: gli avrebbero chiesto di indagare sull’omicidio. Non c’erano altrimenti altri motivi per cui il signor Yale si sarebbe scomodato a fare tutta quella strada solo per incontrarlo, soprattutto non dopo il suo forzato congedo.
John ne era entusiasta e preoccupato allo stesso tempo. Entusiasta perché, dopotutto, non era rimasto per dieci anni nei servizi segreti girando di Paese in Paese solo per il desiderio di fuggire dalla sua vita e dai ricordi. Certo all’inizio il motivo era stato quello, ma gli piaceva la certezza del pericolo, trovarsi in mezzo a tanti possibili nemici pronti ad ucciderlo e l’idea di riuscire a scoprire l’assassino della duchessa gli dava una carica che mai avrebbe pensato di risentire. Preoccupato perché indagare voleva dire esporsi e rischiare di rivelare la verità, oltre che tornare a dire menzogne senza pudore. Era più di tutto quello a frenare il suo entusiasmo… però finché non avesse incontrato il suo superiore, non poteva fare altro.
«Probabilmente vorranno farmi delle domande riguardo il ballo» disse quindi, iniziando con la prima fila di bugie. «In fin dei conti siamo stati noi i primi a trovare la duchessa e a renderci conto di quanto successo, ma non preoccupatevi: non serve che veniate con me.»
«Per quale motivo?» domandò Camille. «C’ero anche io quella sera, voglio venire.»
«Davvero, non è necessario.»
«Insisto.»
Ovviamente.
 «E vorreste sul serio rivivere quel momento?» chiese, sperando che così dicendo potesse cambiare idea ed evitargli di inventarsi più frottole del dovuto. «Siete ancora sconvolta e no, non provate a negarlo» aggiunse, vedendo che era già pronta a ribattere. «Non permetterò che vi facciate del male da sola. Inoltre si tratterà di semplici domande sul ritrovamento e dato eravamo insieme, non aggiungereste nulla in più rispetto a quello che dirò io.»
Il viso di Camille si rabbuiò all’improvviso e John previde tempesta.
«Sappiate che non sono fatta di vetro o di delicata porcellana» disse sprezzante. «Certo mai nella vita mi sarei aspettata di assistere ad un omicidio, ma sono in grado di reggere il colpo e voi, John, dovreste saperlo bene.»
«Non lo metto in dubbio, Camille, ma ciò non toglie che, indipendentemente da quello che dite e pensate, io so osservare e le vedo le vostre occhiaie e il vostro volto: gli incubi non vi lasciano in pace, non è così? E vorreste dargli man forte raccontando del ritrovamento?»
«Ripeto: non sono così delicata come vi piace pensare… e comunque se posso fare qualcosa in nome della duchessa o dell’amicizia che mi lega alla signorina Simmons, sarò ben lieta di testimoniare.»
Cielo, ma perché doveva essere così testarda? Perché semplicemente non poteva dargli ascolto per una volta e fare un passo indietro?
«Ed io ripeto che non avreste grandi notizie da portare. Avete visto e sentito le stesse cose che ho visto e sentito io, dunque a quale scopo venire se non per crucciarvi più del dovuto?» provò a dire cercando di mantenere la calma, ma naturalmente Camille non aveva alcuna intenzione di cedere.
«E perché al contrario dovrei farmi da parte?»
«Ora basta!» quasi urlò, preso dalla rabbia e dall’esasperazione, battendo un pugno sul tavolo e facendo tremare tazzine e bicchieri. «Non sono cose che riguardano una donna, men che meno una giovane come voi, per cui statevene al vostro posto e smettetela per una volta di comportarvi come una bambina capricciosa.»
Ecco, era esploso. Non aveva ancora accettato l’incarico che per mantenere il segreto della sua posizione aveva dovuto offendere l’unica persona che non lo meritava.
Nella sala scese il silenzio.
I due camerieri presenti si bloccarono come congelati, facendo tintinnare le posate sui vassoi da portata, mentre suo padre lo fissava con occhi spalancati, talmente sorpreso da quella sua reazione da non riuscire ad essere neanche in collera. Persino i due levrieri avevano rizzato le orecchie attenti. Camille invece si alzò di scatto dalla sedia, abbandonando cucchiaio e macedonia. John riuscì a guardarla negli occhi solo per pochi istanti, prima che lei scappasse letteralmente via senza dire una parola. Gli bastarono: era stato sufficiente vederci dentro tutta la delusione e la tristezza per farlo stare ancora più male. Quello che tuttavia gli fece accartocciare lo stomaco fu vederli riempirsi di lacrime.
“Perché qualsiasi cosa io faccia, voi siete sempre pronto a rimproverarmi e a sminuirmi?”
“Mi giudicate e mi fate sentire una sciocca come sempre.”
“Volete rimproverarmi anche adesso?”
Le parole ferite di Camille di nuovo gli esplosero nella mente.
Lo aveva rifatto, l’aveva di nuovo rimproverata, sminuendola e facendola sentire una nullità.
Questa volta però aveva esagerato. Questa volta non c’era niente che potesse fare per sperare di avere il suo perdono: dicendole quelle frasi, l’aveva ferita come mai nessuno aveva fatto.
«John…» iniziò suo padre, ma lui lo interruppe brusco.
«Non dite niente» e senza aggiungere altro se ne andò, dando disposizioni per far preparare la carrozza il più velocemente possibile.
Daniel, vedendo il suo umore nero, ebbe l’accortezza di non chiedere nulla. Primo perché sicuramente sapeva già il motivo del suo malumore, spifferato dai due camerieri presenti durante la colazione, e secondo perché quando era preso così male parlargli voleva dire ricevere rispostacce… e per quella giornata di persone ne aveva offese a sufficienza.
Fu quindi con un sorriso tirato e la mente ingombra di pensieri che si presentò di fronte a Timothy Yale. Era da prima della sua partenza per la Russia che non lo vedeva, ma in quanto ad aspetto fisico gli parve tale e quale a sei anni prima: alto e per nulla ingobbito nonostante l’età, con barba e capelli bianchi come la neve e due occhi piccoli e azzurri capaci di carpire ogni più piccolo dettaglio. Era stato per anni a servizio diretto di Sua Maestà e solo da poco era arrivato alla dirigenza del corpo segreto.
«Lord Mortain» esordì, facendogli segno di accomodarsi nella sedia di fronte alla scrivania. «Sono davvero felice di rivedervi.»
«È un onore e un piacere anche per me» disse John, mordendosi la lingua per non rispondere anche a lui, sputandogli addosso il fatto che era inutile facesse tanto il leccaculo, dato solo due mesi prima non aveva mosso un dito per evitare che lo sbattessero fuori.
«Immagino sappiate già perché siete qui.»
«L’assassinio della duchessa madre di Southlake, sì.»
«Esatto» fece Yale, porgendogli un piccolo fascicolo. «Purtroppo, come vedete, non c’è molto da cui partire… dopotutto si trattava di una delle maggiori esponenti della nobiltà inglese, che senso avrebbe avuto raccogliere informazioni?»
«Nessuno, in effetti» rispose, aprendo il fascicolo in cui era riportata soltanto la relazione del medico legale. «Ma di solito è nelle famiglie di più alto lignaggio che si nascondono i peggiori segreti.»
«Proprio per questo la corona ha chiesto a noi di intervenire: la notizia dell’omicidio di una duchessa ha sconvolto Londra a sufficienza e capite bene che se avessimo lasciato fare alla polizia, avrebbe significato mettere alla mercé della stampa qualsiasi informazione ne sarebbe venuta fuori. Quanto al vostro ingaggio, sappiamo bene del congedo, ma ci siete parso la persona più idonea: siete nato e cresciuto qui, le persone vi conoscono e si fidano, non sarà difficile ottenere informazioni… dopotutto, se ben ricordo, eravate piuttosto ferrato in questo genere di accadimenti.»
«Vi ringrazio.»
«È la realtà dei fatti… inoltre so che siete stato proprio voi a trovare il corpo: avete già potuto fare qualche supposizione?»
«Qualcuna, ma niente di concreto… era un ballo con quasi duecento invitati e gli indizi, come potete immaginare, molto pochi: posso solo dire con certezza che la duchessa era ancora viva al momento della caduta e che nella camera c’erano evidenti segni di una lotta. Chiunque sia stato, doveva odiarla molto… da Londra non siete riusciti a scoprire niente di più?»
«Nulla. La duchessa madre è assente dai salotti della società da diversi anni ormai ed anche il duca non partecipa attivamente alla stagione se non quelle poche volte in cui viene in città per affari, per cui capite bene che anche i pettegolezzi sul suo conto si fanno desiderare. Sappiamo solo che è iscritto da White’s, che ha un conto aperto presso la casa da gioco di Rickstreet e che mantiene un’amante da cui soggiorna ogni volta che è a Londra… nulla di strano per un uomo del suo rango.»
«Suppongo di no, sebbene giocare d’azzardo e mantenere amanti siano i modi migliori per farsi dei nemici, ma comunque al momento non lo ritengo fra i più sospettabili: sembrava davvero sconvolto quando abbiamo trovato la duchessa madre ed inoltre la ferita alla testa lascia pensare che si tratti più di una donna o, quantomeno, di un uomo poco prestante.»
«Non dimenticatevi però delle emozioni.»
«Emozioni?»
«Esattamente. Perché ricordatevi che, assassino o meno, si trattava comunque di uccidere la propria madre: potrebbe avere esitato al momento dell’impatto, portandolo a colpirla non forte come avrebbe voluto. Sapete se era presente nel salone da ballo al momento dell’omicidio?»
«No.»
«Dunque, come intendete procedere?»
«Non sarà semplice… interrogare i presenti non porterebbe a niente, contando che la maggior parte degli invitati non la conosceva nemmeno, sarebbe solo uno spreco di tempo. Tenterò, per il momento, di trovare qualche indizio partecipando agli eventi mondani e cercando di capire se qualcuno poteva avercela o meno con la duchessa.»
«Sappiate che il dipartimento è a vostra completa disposizione: il sergente Tibbs conosce i fatti e si metterà ai vostri comandi. Come già detto, vista la portata giornalistica di quanto avvenuto, preferiamo tenere all’oscuro delle indagini il resto dei poliziotti: ai loro occhi voi sarete soltanto un testimone che è venuto a deporre ciò che ha visto.»
«Molto bene.»
«Naturalmente sappiamo che sarà quasi impossibile trovare il responsabile, ma confidiamo nelle vostre capacità. Aggiornerete il sergente ogni due settimane sugli sviluppi… per il resto, questo è il mio indirizzo di Londra: potete far recapitare qui le missive nel caso vi servano informazioni.»
«Senz’altro.»
«Arrivederci, milord, spero abbiate fortuna.»
«Grazie… non vi deluderò» e detto quello, uscì dall’ufficio.
L’incontro era durato meno del previsto. Non era ancora mezzogiorno, ma non aveva voglia di tornare al castello. Suo padre sarebbe stato pronto con l’ascia di guerra, visto anche il modo in cui lo aveva liquidato prima di uscire, e Camille… non voleva nemmeno immaginare il suo stato d’animo. Vederla piangere gli aveva lasciato troppo amaro in bocca, insieme alla consapevolezza che quanto accaduto era stata l’ennesima dimostrazione di come non avrebbe mai potuto renderla felice.
Decise quindi di pranzare al club, dove trovò l’inaspettata compagnia di Wright. Anche lui aveva optato per un pasto fuori casa. Gli disse che ormai quasi sempre pranzava e cenava fuori, soprattutto per evitare di rimanere più di cinque minuti nella stessa stanza con sua madre, la quale non faceva altro che insistere affinché prendesse moglie. Giusto per distrarsi ne approfittò per chiedergli se avesse notato qualcosa di strano la sera del ballo, ma l’amico, dopo un colpo di tosse e un bicchiere di vino, gli confessò di essersi appartato con una signora e che quindi non si era accorto di nulla fino all’arrivo della polizia.  
Giocarono poi a carte, infine, nel primo pomeriggio, tornò a Lodgewood.
«Siamo di nuovo in sella?» gli domandò Daniel, entrando nella sua stanza per aiutarlo a cambiarsi. Ormai era diventato un valletto perfetto, persino il signor Montgomery si era complimentato per quanto fosse efficiente, ma John sentì l’entusiasmo chiaramente anche in lui.
«Sì… Timothy Yale mi ha convocato. Questo è il fascicolo» e glie lo porse.
L’amico lo prese avido, iniziando a leggere.
«Tutto qui?»
«Già… una bel problema, vero?»
«Che mi dici invece dell’altro, di problema?» chiese, mettendo da parte il fascicolo e guardandolo dritto negli occhi.
John si trattenne a stento dall’imprecare. Osservò l’orologio appeso alla parete, contando le ore che mancavano affinché quel maledetto giorno finisse. Ormai era sull’orlo di una crisi.
«Non ho idea di cosa tu stia parlando.»
«Andiamo, non prendermi in giro: ti conosco da dieci anni, so bene cosa c’è che non va.»
«Allora, se lo sai, non avresti bisogno di chiedere» rispose stizzito.
«Voglio sentirlo da te» continuò Daniel imperterrito, ignorando il suo sbuffare nervoso. «Ma prima che tu dica qualsiasi cosa permettimi di aggiungere, da amico sincero, che è inutile che continui a nascondere la testa sotto alla sabbia: devi dirle la verità.»
Eccola, l’ardua sentenza.
John avrebbe voluto urlare, perdere la pazienza e buttare tutto all’aria in uno scatto d’ira degno di quel nome. Invece si arrese. Si lasciò cadere a peso morto sulla poltrona dello spogliatoio, il mal di testa che come sempre quando si trattava di Camille minacciava di scoppiare, lasciando andare un sospiro pieno di rabbia e frustrazione.
Daniel aveva ragione: ormai era inutile nascondere i suoi sentimenti, ma confessarli significava farli diventare spaventosamente reali. Perché un conto era tenerli al sicuro nella sua mente, lasciando che fossero niente più che pensieri scomodi ed ingombranti, ma rivelarli ad alta voce… non c’era modo di tornare indietro. Inoltre, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto rivelarle anche un’altra verità, decisamente molto più scomoda.
«A quale delle due ti riferisci?» chiese allora, stanco e spossato come se avesse percorso centinaia di miglia a piedi sotto il sole cocente.
«Entrambe.»
«Entrambe» ripeté con un sorriso amaro. «E credi servirebbe a qualcosa, se non farmi detestare ancora di più?»
«Di sicuro non potrà detestarti più di quanto faccia ormai ora… Jane, la sua cameriera, ha detto che è rimasta tutto il giorno chiusa in camera, non ha voluto nemmeno pranzare.»
«Non credo di poterlo fare.»
«Non puoi o non vuoi?»
Silenzio.
«Sai John, penso sia arrivato il momento tu faccia quel passo che ti ostini a rimandare ormai da più di un mese. Capisco tu non voglia dirlo a tuo padre e in parte sono d’accordo: gli procureresti solo un inutile dolore, dal momento che sei tornato a riprendere il tuo posto nella società e nella famiglia, ma la signorina Grey ha diritto di sapere perché la tratti con tanta asprezza. In fondo è una giovane dolce e gentile e potrebbe stupirti il suo senso di comprensione. Non le hai forse già detto del motivo che ti ha spinto ad andartene?»
«Era una situazione diversa.»
«Non così diversa.»
Forse.
O forse no.
E lui non era sicuro di volerlo sapere. Per la prima volta in vita sua non aveva idea di cosa fare.
«Ci penserò» disse semplicemente.
«Non aspettare troppo però o finirai col perderla sul serio» furono le ultime parole di Daniel prima di congedarsi.
John si alzò con rabbia dalla poltrona, andando alla finestra e maledicendo per l’ennesima volta sé stesso e il suo dannato carattere.
Era dunque quello l’effetto che faceva l’amore? Se così fosse stato, avrebbe dovuto scambiare due solerti parole con poeti e scrittori.
Daniel ad ogni modo non aveva torto. Doveva parlarle, perché non avrebbe sopportato di perdere anche lei. Aveva lasciato da parte troppo in quei lunghi anni per tollerare altri rimpianti o rimorsi. Vedendo però il signor Sterling arrivare di gran carriera a cavallo, si chiese se, forse, non se l’era già lasciata sfuggire dalle mani.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ValePeach_