About us and ours demons
by: _Morgan
“Davo
da mangiare ai miei demoni
con
accettazione e ascolto.
Li ho fatti sedere attorno a me
e
li ho chiamati con il loro nome,
solo
allora hanno smesso di spaventarmi.”
Hogwarts,
Biblioteca
IV
anno
La
biblioteca è un antro profondo, soffuso, ove la polvere
danza libera
nell'aria ed il brusio dei corridoi si smorza, attutito dalla bolla
di silenzio che vi permea e la racchiude, come fosse una membrana
protettiva posta fra quel santuario ed il mondo esterno; fra gli alti
scaffali in noce dall'aroma antico, colmi di tomi in cui riposano
antiche conoscenze e dinastie di tarli, nella penombra caliginosa e
sottile che permea i tavoli di lettura, Hermione avverte quel senso
di pace tipico delle esperienze estatiche: estraniarsi da
ciò che la
circonda per immergersi in un altra realtà, fatta di lettere
profumate d'inchiostro, vergate con una calligrafia sottile ed
ordinata su pergamene fresche, ancora chiare e prive di slabbrature.
Con
gli occhi socchiusi e la mente attenta ripercorre i labirinti,
districando i concetti dal vortice caotico dei ricordi acquisiti di
recente; seguire più corsi di quanti se ne possano gestire
è stata
una follia in cui – malgrado i buoni propositi –
è caduta
nuovamente e, questa volta, senza poter far affidamento su alcuna
giratempo; la professoressa McGranitt l'ha ammonita bonariamente
durante il colloquio, dando voce ad un pensiero che ha gettato la
giovane strega in uno stato di profonda inquietudine, senza
però
spingerla a ridimensionare il proprio piano di studi.
Folle,
sussurra una vocina graffiante, lacerando l'analitica compostezza
delle proprietà specifiche dell'Acqua del fiume Lete ed i
suoi
utilizzi nelle pozioni d'oblio; la ragazza si ritrova a balbettare,
inspirando freneticamente l'aria densa di polvere e pregna degli
aromi di cera e carta antica, mentre i ricordi d'innumerevoli lezioni
le vorticano nella mente come impazziti, sovrapponendosi l'un l'altro
per dar vita a teorie miste e prive di senso.
“Acqua
del fiume Lete...Presso gli antichi vi era la credenza che questo
fiume scorresse nell'oltretomba e donasse l'oblio, perdita della
memoria, alle anime sventurate che si fossero chinate a bere dalle
sue sponde; citato da...Epicuro...no, forse Socrate...no,
dannazione!” mormora con stizza, scorrendo con foga gli
appunti per
cercare il nome che le sfugge, mentre un'improvviso peso le
attanaglia la gola, rendendole ancor più difficile respirare.
Nonostante
l'avversione dei maghi verso il mondo babbano, Piton si è
dimostrato
insolitamente interessato all'etimologia e alla storia della parola
greca 'Lete', così come ai documenti in cui è
descritto il fiume e
alle proprietà tributate dagli antichi alle sue acque:
ovviamente,
per dei ragazzi digiuni di storia antica e pressoché
ignoranti in
greco, lo studio di tali argomenti – uniti ad una
valanga di
altri compiti ed esercizi – non è
risultato semplice e in
molti si sono ritrovati a criticare aspramente la decisione del
professore, persino i Serpeverde che, solitamente, lo prediligono
perché tiene loro la parte.
Un
saggio sulla storia dell'Acqua del Lete e sulle proprietà
che essa
conferisce alla Pozione Obliviante, minimo quindici pagine; Hermione
sbuffa pesantemente, gettando a lato la pergamena per prendere un
vecchio tomo dalla copertina in pelle sdrucita, con le pagine in
carta leggera fitte e stampate, ricolme d'annotazioni in matita a
margine.
Un
vecchio dizionario recuperato fra le cianfrusaglie deposte in
soffitta dalla madre, giuntole pochi giorni addietro tramite gufo,
dopo una lunga disquisizione con i genitori che, al sentire la sua
richiesta, l'avevano stuzzicata con evidente divertimento.
'Da
quando vi insegnano il greco, a scuola?'
“Non
lo insegnano, lo devo imparare io” mormora lei nel silenzio
placido
della biblioteca deserta, sfogliando con ostinazione le pagine
ingiallite, cercando febbrilmente quel termine straniero che tanto la
spinge a dannarsi; a volte le piacerebbe essere come Harry o Ron, che
hanno liquidato la questione con una semplice rielaborazione
–
neanche troppo fantasiosa – delle nozioni
sciorinate da
Piton durante la lezione, senza porsi il problema di provare a
comprendere più a fondo i concetti richiesti.
Forse
la professoressa McGranitt aveva davvero ragione nel definire il suo
attaccamento al sapere come una patologia, pensa la strega avvertendo
un profondo senso d'inquietudine farsi strada all'interno delle
membra, attaccandosi morbosamente al cuore sino a renderlo estraneo,
un peso opprimente che, ritmico, percuote il torace scosso dai
respiri profondi.
China
il capo contro il dizionario, toccando con la fronte fredda,
imperlata di piccole gocce di sudore, le pagine leggere mentre una
mano sottile corre al petto, premendo con forza la parte sinistra.
Inadatta...inutile...ecco
come si sente in quel momento, così debole da lasciare che
stupide
paure prive di fondamento l'assalgano, dilaniandole l'anima; sa bene
d'aver acquisito tutte le nozioni che le permetteranno di superare
brillantemente il compito di Pozioni che si svolgerà nel
giorno
seguente, eppure tentenna sull'orlo dell'abisso, lasciando che
l'oscurità la lambisca, sommergendola come un'onda sospinta
dalla
marea.
Perché?
So-Tutto-io...che
nomignolo stupido...
Ma
se non fosse per la sua intelligenza, nessuno l'avrebbe mai accettata
o presa in considerazione, se non fosse per la sua invidiata bravura,
sarebbe rimasta una fra le tante nate babbane che pullulano la
Hogwarts paritaria di Silente; un'ombra anonima senza alcuna arte,
che si trascina faticosamente cercando di raggiungere gli obbiettivi
prefissati.
Se
non fosse intelligente e sempre pronta a fornire le risposte
corrette, se non avesse saputo Tutto né Harry né
tanto meno Ron
l'avrebbero avvicinata, accettandola nel loro gruppo, poiché
al
Ragazzo Sopravvissuto non serve una banale e comune 'amica', ma una
ragazzina che sappia esattamente come cavarsela anche nelle
situazioni più disparate, talvolta pronta ad indicargli le
soluzioni
ai problemi più complessi; non ha mai fatto parola con i
suoi amici
delle crisi che, col tempo, sono tornate a manifestarsi, né
del
senso d'inquietudine che sempre più spesso la coglie,
spingendola a
sentirsi profondamente 'inadeguata'.
Né
Ron né Harry sanno quale significato profondo abbia per lei
la
conoscenza, né perché sia tanto ossessionata
dall'ottenere sempre
risultati eccellenti; nemmeno la professoressa McGranitt, nonostante
abbia intuito l'ambiguità del suo interesse verso lo studio,
ha
compreso quanto sia doloroso e malsano il sentimento da cui origina.
I
traumi lo sono sempre, ed è sempre arduo parlare di
ciò che ci fa
apparire 'folli', diversi, di ciò che potrebbe danneggiare
l'immagine che ci siamo creati.
Hermione
lo sa bene, come sa che quelle crisi di panico nascono dalla
repressione di quei sentimenti che fatica ad esternare, come la paura
verso i fallimenti e il pessimismo cronico che, nei giorni
antecedenti a qualsiasi esame, la divora senza tregua.
Il
mondo buio in cui s'è rinchiusa è una biblioteca
ricolma di tomi
scritti in una calligrafia aguzza e sghemba, illeggibile
poiché
vergata in un diverso alfabeto e ricolma di simboli che lei, dal
basso delle sue misere conoscenze, non può decifrare; con la
mente
percorre un futuro approssimativo in cui l'esame di Pozioni si
rivelerà soverchiante, più arduo d'un duello
contro l'Oscuro
Signore in persona, scandito dall'odiosa voce di Piton che pare
gioire delle sue profonde lacune.
La
testa inizia a divenire leggera, distante, svuotandosi dalla miriade
di problemi ed informazioni di su cui aveva tentato di concentrarsi
senza successo; è una sensazione piacevole, quasi
liberatoria, come
se finalmente il dolore provato nel corpo iniziasse a scemare,
concedendole la grazia d'una pace illusoria.
Per
un'istante vorrebbe socchiudere le palpebre, appoggiando il capo
contro la superficie ingombra del tavolo, fra pergamene e libri
sparsi, lasciandosi andare, dimenticando i propri doveri per
assecondare quella dolce e sonnolenta apatia che le divora le forze,
mandando al diavolo tutto il resto e quasi succede, quando inizia a
vedere il mondo vacillare e le luci prodotte dalle fiaccole brillare
d'un bianco abbacinante – sbavato -, poco prima che tutto
divenga
d'un tetro nero; con l'ultimo barlume di lucidità afferra il
bordo
del tavolo con una mano, mentre l'altra sbatte con forza sulla
superficie e vi scivola, urtando buona parte degli oggetti sopra
riposti.
Perduta...
Come
chi beve dal fiume degli inferi.
L'inchiostro
è una colata nera sulla compostezza del ripiano in noce e
scivola
lento, inghiottendo le antiche venature del legno lucido, macchiando
nel suo incedere le pagine sottili del vecchio dizionario di greco e
le spesse pergamene fitte d'appunti; sospese sul bordo arrotondato
del tavolo, illuminate dalla luce tremolante delle candele consunte,
le gocce scure paiono trattenere il respiro prima di sperimentare
l'oltre, attratte da quella meschina gravità che le richiama
verso
il basso, mutandole in una cascata a singhiozzo che andrà a
rovinare
irrimediabilmente le assi del pavimento.
L'oblio
non si cura di ciò che annulla, inghiotte e cancella, punto.
Fra
le leggi della fisica avrebbero dovuto annotare anche questa,
riflette distrattamente Hermione, seguendo con occhi vacui le piccole
sfere liquide infrangersi al suolo con un impercettibile 'plock',
donando un colore torbido ai vetri caduti del calamaio infranto;
è
stato per rabbia e disperazione, il pugno con cui ha colpito il
ripiano era l'ultimo brandello di volontà razionale nel mare
d'apatico dolore in cui stava scivolando, prima che la mano fredda -
reale – del cavaliere bulgaro le si posasse sulla spalla,
costringendola a riemergere.
“Da
quando?” scandisce con voce profonda, da uomo, il ragazzo
seduto
all'altra estremità del tavolo, oltre l'apocalisse di fogli
stracciati e libri gettati alla rinfusa; gli occhi scuri e profondi,
dal taglio asciutto leggermente allungato, la osservano indagatori,
quasi a voler leggere la verità sul viso suo esausto e
sudato.
“Da
quando ero bambina...” mormora Hermione con una punta
d'amarezza,
passandosi una mano fra i capelli scarmigliati per scollarli dal
viso; socchiude appena le palpebre senza trovare la forza d'alzare lo
sguardo dall'inchiostro, poiché sa che dinnanzi a lui non
riuscirebbe a continuare quella confessione necessaria.
Ha
i palmi umidi, sporchi, e le nocche arrossate dall'impatto contro il
legno duro, nel distendere le dita avverte un dolore pulsante
–
ovattato – diffondersi lungo il braccio
attraverso i centri
nervosi; gli occhi lucidi e febbrili cambiano soggetto, soffermandosi
con intensità sulle unghie corte, macchiate e rovinate.
Non
ha mai avuto mani eleganti, si ritrova a pensare con un'amarezza che
la colpisce, poiché stupida ed infondata, né ha
mai provato il
desiderio di curarle con prodotti appositi e smalti colorati come una
qualsiasi altra teenager londinese; il suo essere 'diversa' l'ha
sempre privilegiata, permettendole di uscire dagli schemi della
società in cui è cresciuta senza essere
considerata 'trasgressiva',
semplicemente perché il mondo a cui davvero appartiene ha
regole
diverse, a cui è stato facile adattarsi.
Eppure,
riflette con rabbia, tutto l'impegno dimostrato negli anni seguenti
non è servito a cancellare il problema che la perseguita,
del quale
non ha mai fatto parola con nessuno per paura di mostrare le proprie
debolezze e, soprattutto, per vergogna.
“Non
è una cosa che mi piace raccontare, Krum.”
aggiunge assente,
avvicinando le gambe al petto per rannicchiarsi meglio sulla sedia
dall'alto schienale intarsiato, avvertendo contro il torace il
martellio doloroso, incessante, d'un cuore che fatica a sentire come
proprio da quanto le pesa nel petto, dal modo in cui la opprime.
“Se
non fossi apparso all'improvviso, se non mi fosse mancata la
forza...non...”
“Non
avrei sapere. Nessuno sapere.” conclude aspramente lui, con
una
fermezza che le mozza il respiro; la giovane strega abbandona le
unghie per osservare il volto austero del giovane cadetto di
Durmstrang, rimanendo profondamente colpita dalla malcelata rabbia
che da esso traspare; Krum è come una tempesta silenziosa e,
pur non
parlando, la soverchia con la propria presenza facendo apparire ancor
più fuori luogo quell'incontro casuale, 'sbagliato'.
L'idea
che Viktor abbia visto quella parte di sé che ha sempre
cercato
d'occultare al mondo intero, la getta in un profondo stato
d'inquietudine, spingendola nuovamente a considerarsi inadatta;
è il
pensiero che lui ora possa reputarla una bambina stupida e paurosa,
affetta da futili disturbi ed incapace di far fronte alle proprie
paure da sola a spaventarla, perché sa che può
bastare un solo
comportamento anomalo per mutare l'opinione che si ha d'una persona
e, nonostante la strega non sappia spiegarsi il perché, non
vuole
perdere il rispetto di Krum.
“In
biblioteca non ci viene mai nessuno. Non saresti dovuto apparire, non
adesso...” sussurra Hermione mentre la tachicardia
s'impossessa di
nuovo delle sue membra e nuove gocce di sudore freddo le imperlano la
pelle pallida, ruscellando lungo la spina dorsale, appiccicandole le
vesti al corpo.
Le
parole divengono singulti sconnessi mentre il mondo circostante inizia
a vorticare pericolosamente ed i colori si fondono in spirali
indistinte, mentre lei ansimando cerca di mantenere la
lucidità
necessaria a combattere il sopraggiungere d'un nuovo attacco.
“Io
non sono così, io non posso avere paura, non posso mostrarmi
insicura, altrimenti...Altrimenti nessuno mi vorrà come
amica, o
vicino” si preme una mano contro la bocca, avvertendo un
conato
amaro risalirle lungo l'esofago che le impasta la lingua.
“Io
devo farcela, devo riuscire a dare sempre il massimo altrimenti mamma
e papà mi odieranno ed Harry e Ron smetteranno di
considerarmi loro
amica; io non servo a niente se non dimostro d'essere
intelligente...”
“Herr-mion,
tu sta delirando” come una lama affilata, la replica di Vikor
fende lo spazio circostante, risuonando con forza nella piccola sala
di lettura, fra gli scaffali impolverati e gli alti soffitti in legno
dalle travi a vista; il ragazzo si alza, arrivandole vicino con la
rapidità d'un felino, fermandosi poco prima di cedere
all'impulso di
sfiorarle nuovamente la spalla, attirandola a sé per
strapparla ai
suoi deliri.
Ci
sono spazi da rispettare e gesti che non vanno compiuti – non
ancora - Viktor lo sa bene, nonostante l'istinto gli
suggerisca
tutt'altro, così si appella alla razionalità del
soldato, al
perfetto autocontrollo appreso sin dall'infanzia e si limita a
chinarsi verso la ragazza, afferrando lo schienale della sedia per
farla ruotare, così da poterla osservare in viso.
Spiazzata
da quell'improvviso gesto, ancora scossa dall'ansia, Hermione lo
fissa attonita, intimidita dalla pericolosa vicinanza dei loro volti.
“Tu
spaventata perché io visto te stare male? Tu paura che io
consideri
te glupav? (I)” domanda mantenendo un'inflessione neutra,
simile al
tono utilizzato dai carcerieri durante gli interrogatori; non
può
più permettersi alcuna emozione e, nonostante la sua poca
padronanza
dell'inglese, deve riuscire a farle capire quanto sia stupido
lasciare che le false idee con cui 'convive' da anni continuino a
rovinarle l'esistenza; lui certe crisi, certi disturbi non li
capisce, ma ha avuto modo di studiarli a Durmstrang ove durante il
primo anno i casi di patologie mentali aumentano a livelli
vertiginosi.
È
l'ambiente ostile e il tipo d'educazione impartita, sono gli
addestramenti folli e le poche ore dedicate al sonno, è
l'idea –
inculcata nelle giovani menti sin dalle prime ore nella scuola
– che lì non v'è alcun posto per gli
spiriti languidi e molli;
Hermione, d'altro canto, certi orrori non avrebbe dovuto conoscerli
poiché Hogwarts non è spietata e Londra
è molto più ricca e
vivibile di tre quarti dell'Est Europa, non vi sono guerre e la
tolleranza è sicuramente maggiore.
Allora...perché?
“Io
non penso di te male, tu tranquilla, ma voglio risposta. Voglio
sapere perché strakhuvate li se ot greshkite (II)”
“Non
ho ben capito l'ultima parte...” sussurra lei con un sorriso
tirato
sulle labbra pallide, iniziando a riacquistare un discreto controllo
sul proprio corpo, regolando la respirazione.
“Però
sì, temo che se qualcuno come te vedesse quanto divento
patetica
quando soffro di queste crisi, smetterebbe di avere una buona
opinione di me.”
“Perché?”
“Perché
a nessuno piacciono i matti, Viktor, perché io ho bisogno
delle lodi
altrui come dell'aria che respiro. Se smettessi di essere
intelligente, se improvvisamente fallissi un compito, credi che le
persone che mi hanno elogiata finora continuerebbero a farlo, magari
consolandomi? Rimarrei sola...”
Ciò
che ha detto è pura follia, persino lei se ne rende conto,
ma non
può far altro che inventare una spiegazione per giustificare
ciò
che non merita scusa alcuna; Krum la osserva in silenzio, le labbra
distese in una linea dura e lo sguardo attento, indagatore,
respirando con impercettibile lentezza.
Hermione
si maledice, se vi era qualche possibilità di risistemare le
cose,
la sua confessione le ha irrimediabilmente distrutte.
“Tu
non può smettere...” osserva Viktor corrugando le
folte
sopracciglia.
“Come?”
“Tu
non può smettere, non può perdere intelligenza di
colpo, non è
cosa che si perde, Herr-mion.” sottolinea con marcato accento
slavo, riassumendo in quelle poche parole tutta l'illogicità
presente nel discorso della strega; vorrebbe continuare a parlarle,
convincerla attraverso esempi e metafore che le sue paure sono
davvero infondate e che l'intelligenza è una
qualità inscindibile
dalla persona, un attributo importante ma non fondamentale, vorrebbe
dirle che le persone le vogliono un bene sincero, indipendente dalle
sue qualità e non ha bisogno di dimostrar loro niente.
Dev'essere
forte per sé, non per altri.
Vorrebbe
parlarle, ma il ristretto lessico inglese di sua conoscenza non
glielo permette, quindi si limita a chinarsi in avanti, compiendo
quel gesto istintivo che prima gli era parso così
inopportuno; le
sfiora l'orecchio con le labbra, sussurrandole la verità che
lei ora
rifiuta di comprendere e che non capirà, perché
l'idioma è
diverso e lei non ha ancora trovato la forza di liberarsi dalle
catene che la legano alla convinzione d'essere incapace.
“Ne
se strakhuvaĭte, az nyama da te ostavya. (III) Non dimentica
Herr-mion, non hai bisogno dell'approvazione degli altri. Devi essere
forte, ti basta la tua.”
Poi
si discosta di colpo e, con la stessa agilità con cui prima
le è
giunto dinnanzi, ritorna verso la sedia all'altro capo del tavolo,
frantumando i cocci del calamaio sotto gli stivali dalla suola
pesante; Hermione lo osserva stupita, frastornata da quel repentino
cambio d'atteggiamento e posizione, con le guance rosse, tiepide, e
le labbra dischiuse come se – ingenuamente- stesse aspettando
di
ricevere un bacio.
Cretina.
“Ora
spiega...racconta tua storia.” Viktor siede dritto,
incrociando le
braccia sull'ampio petto fasciato dalla casacca di Durmstrang,
tornando ad osservarla come se fosse una farfalla preziosa nel
vetrino d'un entomologo; se mai ha avuto uno slancio di passione
prima è riuscito a frantumarla contro la consueta freddezza,
tornando l'autoritario moloch bulgaro conosciuto alla coppa del mondo
di Quiddich.
“Tu...tu
non...” incespica lei, boccheggiando per qualche istante
mentre
avverte l'ansia scemare, mutando in un nuovo, violento, stato
d'animo.
“Oh!
Maledizione! Ma come riesci a far finta...finta di...ok!”
Agitata
e confusa, con il cuore a mille ed il cervello incapace di suggerirle
un'analisi oggettiva e sensata per quanto è accaduto da
quando Krum
ha messo piede nella sua vit...nella biblioteca, Hermione passa
nuovamente le mani nei capelli in un chiaro gesto esasperato, tirando
un paio di ciocche nel tentativo d'estrarre le dita, concedendosi un
lungo respiro.
“Ricominciamo,
è meglio. Non voglio sapere come tu sia in grado di dire
cose tanto
belle, in quella lingua incomprensibile, per poi tornare ad essere
uno stoico musone, apparentemente apatico, in poco meno d'un
respiro.”
Poi,
tornando seria, inizia a scavare attraverso i ricordi d'infanzia,
sciorinando una massa caotica ed informe di idee sul suo problema,
concepite dopo ore di sonno perso passate in autoanalisi.
Il
mondo della mente è un mondo a parte, un luogo ove le regole
terrene
non hanno alcun valore, caratterizzato dalla mutevolezza degli
ambienti; la mente può essere tante cose e, come la magia,
può
plasmare sia sé stessa che le nozioni con cui entra a
contatto.
Hermione
ricorda quanto fosse rimasta colpita dalle prime lezioni di
trasfigurazione e come questi pensieri abbiano iniziato a vorticarle
nel cranio alimentati dalle spiegazioni precise della professoressa
McGranitt; non ha mai raccontato a nessuno di queste strane e
illogiche capacità d'analisi, delle associazioni fra
elementi
completamente diversi che la sua mente crea, come fossero fili d'un
intricata ragnatela, poiché temeva di non essere capita.
Ron
avrebbe sicuramente riso, sdrammatizzando quei concetti troppo
complicati per la sua mentalità semplice mentre Harry forse
le
avrebbe dato ragione, senza però invischiarsi troppo nella
selva
delle metafore.
Krum
invece la ascolta in silenzio, senza mostrare né noia
né scherno,
intervenendo ogni tanto con quelle frasi secche e lapidarie che
caratterizzano la sua parlata inglese, dimostrando una sorprendente
capacità di comprensione ed analisi, sapendo quanto gli sia
faticoso
capire la lingua.
Gli
ha raccontato dei genitori dentisti, del modo in cui ha sempre
cercato di renderli orgogliosi per paura di perdere il loro affetto;
gli ha raccontato, in modo sconnesso e frammentato come solo un
vecchio ricordo può essere, del disappunto mostrato da suo
padre
quando, a sette anni, aveva rifiutato di impegnarsi in matematica
perché non le piaceva, a ripeterlo così, dopo
tanto tempo e di
fronte ad un quasi-sconosciuto le viene da ridere, eppure se ci
ripensa, sa che i suoi problemi con l'insicurezza sono nati da
lì.
Per
certi disturbi non servono traumi gravi o violenti, bastano la figura
autoritaria d'un genitore e la convinzione di non riuscire a fare mai
abbastanza per renderlo felice; nonostante ora sappia che la sua
famiglia è fiera di lei, Hermione il suo demone non l'ha mai
abbandonato, continua a portarlo nel cuore come una costante e,
puntualmente, prima d'ogni esame gli concede libero sfogo.
Non
è più una questione derivata dalla presenza
esigente d'una figura
guida, ma l'abitudine ad una situazione con cui ormai convive da anni
in un cerchio che non è in grado di spezzare.
“Atelofobia.”
scandisce Hermione, gettando un'occhiata distratta alle pagine
ingiallite del dizionario di greco, abbandonato sul tavolo in mezzo
al disordine.
“Fra
tutti i disturbi possibili, credo sia questo il mio.”
“Atelès
phóbos, paura di essere incompleti.” mormora
Viktor, sporgendosi
in avanti per raccogliere un plico di pergamene irrimediabilmente
macchiate d'inchiostro, fitte d'una calligrafia elegante e curata;
scorre il testo con occhi attenti, osservato dalla strega che non
può
far a meno di corrugare la fronte, stupita.
“Tu
conosci il greco antico?” domanda.
“Ναὶ
(IV), conosco greco antico e moderno, russo, bulgaro e tedesco. Greco
antico è stato imparatomi...”
“Insegnatomi.”
lo corregge lei con una punta d'invidia; non pensava che un giocatore
professionista di Quidditch, studente e soldato di Durmstrang, avesse
perso tempo con discipline così particolari come le lingue
morte.
Punta
dall'ago avvelenato dello sconforto pensa che, fra i due, dovrebbe
essere lei quella più colta ed intelligente, dimenticando
per
un'istante ciò che il ragazzo ha cercato di farle capire
poc'anzi.
“...Insegnatomi
dal mio precettore. Mio padre voleva che io fossi sapiente.”
“Eppure,
non mi pare che tu sia finito nella cerchia degli intellettuali, a
Durmstrang.”
“No,
infatti, ho scelto il Quidditch per ribellione, per le troppe
frustate prese durante lo studio.”
Nella
voce greve del ragazzo le parole s'incrinano come vetro tagliato,
pregne di ricordi amari sopiti nella memoria; Hermione china
leggermente il capo, sentendosi improvvisamente maligna.
“Scusa...”
“Non
scusare te, non ha colpa. Io appartenevo a mio padre, ero suo erede
ed era nel suo diritto picchiarmi quando credeva necessario.”
nonostante la crudezza delle affermazioni non c'è rabbia
nella voce
di Krum; si limita semplicemente a spiegare i fatti con il lucido
distacco dell'analista, quasi non li avesse vissuti sulla sua pelle
ed Hermione capisce che, quando lui diceva che non doveva vivere per
cercare l'approvazione altrui, lo faceva pensando alle sue passate
esperienze.
Se
le ha suggerito che il rispetto non si perde con il fallimento d'un
esame, né a causa d'uno squilibrio auto generato,
è perché questi
stati d'animo hanno toccato anche il suo cuore.
Mentre
il mago assembla faticosamente il discorso, la ragazza inizia a
vederlo sotto una luce diversa, forse più terrena,
rendendosi conto
di quanto le apparenze e le immagini che gli esseri umani danno di
sé
stessi siano effimere.
Lui,
con i suoi centottanta centimetri d'altezza ed il fisico robusto,
allenato, non sembrerebbe in grado di sedersi davanti ad una ragazza
inglese in piena crisi pre-esame di pozioni, raccontandole in una
lingua pidgin anglo-tedesco-bulgara cose che, molto probabilmente,
non ha mai rivelato ad altra anima.
È
il modo naturale, disarmante, con cui le si è avvicinato
prima,
soffiandole dolcezza contro la pelle sudata ad averla frastornata,
perché da lui non si sarebbe mai aspettata un comportamento
così
avventato; è più riflessivo di lei Krum, l'ha
capito da quando è
giunto ad Hogwars ed ha avuto modo di studiarlo, per questo non si
capacita di ciò che sta accadendo in quello spazio
ristretto,
incuneato fra alte librerie che li riparano da sguardi indiscreti, in
mezzo ad un'apocalisse di fogli e libri gettati alla rinfusa.
L'inchiostro
ha iniziato a seccare, lasciando profonde venature nere sulla
superficie antica, mentre il gocciolio si è interrotto,
lasciando
come sottofondo alle parole del ragazzo solo un ovattato, conciliante
silenzio.
“Non
hai mai voluto provare a conquistare l'approvazione di tuo
padre?”
domanda la strega, con gli occhi ora limpidi ed attenti, illuminati
dai raggi rifulgenti del sole al tramonto, filtrati dalle finestre
istoriate; lui le lancia un'occhiata furtiva, con le labbra incurvate
in un sorriso accennato, ammirando quanto sia bella ora, con i
capelli come un'aureola incendiata d'oro e il viso sereno nonostante
le profonde occhiaie scure.
“Nein...non
ha mai avuto approvazione per me. Solo per mio fratello. È
morto
ora, non importa più.”
Hermione
chiude il dizionario di greco con un tonfo, accantonando la ricerca
del lemma 'leth', traendo un lungo respiro; forse può
davvero
provare a ricominciare dalle parole di Krum, cercando dentro
sé quel
coraggio sepolto sotto strati di falsa inadeguatezza, forse dovrebbe
solo ammettere d'essere mortale anche lei e che il fallimento, come
il desiderio di rivalsa, sono parte integrante della natura umana.
“Il
vero io è quello che tu sei, non quello che hanno fatto di
te” (V)
cita assente, recuperando da terra la penna d'oca.
“L'ho
letto in un romanzo di mia madre, il titolo non lo ricordo. Non so
nemmeno perché mi sia venuta in mente ora, questa
frase.”
“Perché
tu ha capito. Perché tu ora può affrontare tutto
senza ansia.
Persino ricerca, persino esame.” replica Viktor senza
distogliere
gli occhi dalle iridi castane della ragazza; sono stelle e terra,
sono ciò che vorrebbe poter vedere se si trovasse di fronte
alla
fine del mondo.
Glossario:
I) Glupav: stupida
II) Strakhuvate li se ot greshkite: hai paura degli errori.
III) Ne se strakhuvaĭte, az nyama da te ostavya: Non aver paura, non i lascerò.
IV) greco: sì
V) tratto da “Veronika decide di morire” - Paulo Coelho, 1999.
NdA:
Questa storia è vecchia, penso risalga al 2015, o 2016 e
l'avevo
scritta per un contest.
Il
tema era quello d'analizzare un disturbo o una patologia fra quelle
contenute nei pacchetti, ed io avevo scelto 'l'Atelofobia' che, come
viene spiegato nel testo è un disturbo di natura psicologica
caratterizzato dalla paura delle impefezioni in qualsiasi ambito
della vita quotidiana; i sintomi più comuni sono quelli
provati da
Hermione in questo racconto.
L'avevo
pubblicata su EFP e poi tolta promettendomi di risistemarla, ma poi
il tempo è passato ed è rimasta lì
nell'hard disk del PC a far
polvere; ho deciso di provare a ripostarla ora perché mi sto
mettendo d'impegno a recuperare e sistemare tutte quelle storie di
questo fandom che avevo eliminato poiché mi convincevano
poco.
La
coppia ViktorxHermione è una fra le mie preferite (e forse
l'unica
vagamente canon) del fandom di Harry Potter, perché ho
passato libri
a sperare che alla fine sti due si mettessero assieme, rimanendo
assai delusa quando la Rowling ha deciso di accoppiare lei con Ron
(di per sé come personaggio non mi dispiace, ma l'ho sempre
visto
bene con lei solo come amico).
Grazie per essere giunti sin qui.
A presto...
_Morgan