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Autore: Eevaa    04/06/2022    9 recensioni
Erano solo dei bambini.
Non conoscevano niente dell'universo, dei pericoli del cosmo. Ancora non sapevano che dietro l'angolo li attendesse un destino da schiavi, mercenari.
Nessun pianeta sul quale tornare, nessun castello, niente più notti stellate sul promontorio di Vegeta-Sei, niente più folle di persone acclamanti al loro ritorno.
Solo sangue, conquiste, distruzione, contrabbando, fallimenti, corse solo andata.
Erano solo dei bambini, ma avrebbero imparato a crescere in fretta.
[Un doloroso scorcio sull'infanzia e sull'adolescenza di Vegeta]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nappa, Radish, Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Across the universe - La serie'
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 

- MERCENARI -

Capitolo 4
Fobia


 
«Dannato figlio di puttana!»
Nappa gettò il mazzo di carte metalliche arrugginite sul tronco d'albero, con un verso di sprezzo.
La risata entusiasta di Radish risuonò come un eco nella landa desolata, mentre la luce del falò improvvisato frastagliava il suo volto soddisfatto.
«... e con questa sono cinque!» esultò, poi acchiappò il bottino di Yēŏn e lo infilò nel corpetto dell'armatura.
Nappa si sporse oltre il tronco e lo afferrò per il bavero. «Non è possibile! Tu stai barando!» ringhiò in faccia a Radish, il quale alzò le mani in segno di resa.
«Chi? Io? Sono solo molto bravo!»
Vegeta scosse la testa con disappunto e sistemò meglio la schiena contro il masso, giaciglio improvvisato per quella nottata sotto le stelle.
«Avete finito di urlare? Chiudete il becco, dannazione, io voglio dormire» berciò.
Non era mai stato interessato a giocare a Sabaq. Non perché non fosse bravo, semplicemente lo annoiava ed era un gioco per ceti sociali poveri, nonostante si basasse molto sulla bravura nel calcolo delle probabilità, oltre alla fortuna sfacciata.
Radish, che possedeva entrambe le doti sopracitate, montò un'espressione furbesca. «Certo, certo, abbiamo finito! Tanto oramai Nappa può scommettere solo i suoi vestiti!»
«Se scopro che stai facendo il furbo ti infilo le carte su per il culo!» sbottò quest'ultimo, lasciando cadere Radish sul terriccio di quel pianeta oramai deserto.
Avevano sterminato la popolazione in tre notti e, dopo aver riscosso il pagamento dall'Esercito di Freezer, si erano concessi una notte di riposo nel clima piacevole del pianeta 665 prima di partire alla volta dello spazio aperto.
Un vero peccato che il riposo di Vegeta fosse stato continuamente disturbato dalle scommesse di quelle due teste di cazzo.


E, quando finalmente calò il silenzio in quelle notte buia e tiepida, il sonno di Sua Maestà venne scosso da qualcosa di molto peggio che una partita rumorosa a Sabaq.
Tremò il terreno, traballarono le lingue del falò, una voragine si aprì sotto di lui. Complice il dormiveglia Vegeta non fece in tempo a muoversi, a balzare altrove: denti affilati come cime di montagna si chiusero attorno a lui, e tutto divenne ancora più buio.
«ARGH!» urlò, ma le sue urla suonarono ovattate dalle pareti di quel luogo. Avvertì qualcosa di molle sotto i piedi, ma non riuscì a vedere niente. Qualcosa che si muoveva, che lo spingeva verso il basso.
L'aria era irrespirabile, gli fece girare la testa, una nausea incontrollabile salì fino alla gola. Provò a opporre resistenza, ma sembrava come se i suoi muscoli fossero paralizzati, i suoi sensi messi alla prova da quell'odore acre e quella sostanza vischiosa che gli inzuppava vestiti e capelli.
Nelle orecchie solo un borbottio, un ringhio profondo e gutturale.
Non sapeva quale sottospecie di bestia stesse cercando di inghiottirlo e digerirlo, ma l'ultimo pensiero di Vegeta fu che il suo destino fosse particolarmente crudele.
Era riuscito a sopravvivere per quattordici anni sotto l'Impero di Freezer, all'estinzione della sua razza, a un'intera infanzia e adolescenza trascorsa a uccidere, a viaggiare tra i più vasti pericoli spaziali e a sfuggire ai peggiori aguzzini di tutte le galassie... e ora stava per morire a causa di un animale. Ilare, ironico. Troppo debole per sopravvivere alla natura.
Stava per perdere i sensi e arrendersi a quel destino bizzarro – e per un attimo si ritrovò persino a pensare che sarebbe stato più facile morire in quel modo – quando il rumore di una lacerazione profonda lo colse alle spalle.
Uno spiraglio, un forte ruzzolone, poi si ritrovò riverso al terreno, immerso in quella sostanza vischiosa e sangue di colore verdastro. Tremò e tentò di sollevarsi, di mettere a fuoco qualcosa nella luce fievole del falò, nonostante gli occhi e le orecchie appiccicose. Vicino a lui c'era la testa recisa di un enorme e mastodontico serpente grigio, grosso e lungo decine di metri.
Vegeta rabbrividì, la nausea si intensificò. Nappa, con i vestiti e le braccia imbrattate di sangue di quell'essere terribile, si voltò e gli urlò qualcosa, ma non udì niente. Si ritrovò a carponi a vomitare e, quando avvertì le mani di Radish tentare di afferrarlo, un alone nero gli circondò la vista. Si lasciò cadere faccia a terra, con la certezza che sarebbe morto lì.


 


«Oh, cosa abbiamo qui? Una scimmietta».
Mento in su, sguardo fiero, morire dentro era inevitabile, volto impassibile era obbligatorio.
Zarbon attivò lo Scouter per aggiornare alcuni dati, dopo la firma del nuovo contratto nell'Esercito di Freezer.

«Vegeta, quarto della dinastia Vegeta. Anni: sei. Statura: 102cm... forse è il caso di scrivere “scarsa”. Peso: 30,5 kg. Un po' sottopeso, per avere tutti quei muscoli. Livello di combattimento: 2004. Niente male per un piccolo principino».
Zarbon gli roteò intorno per completare l'osservazione, il suo ghigno così compiaciuto da causargli prurito alle mani.
«Posso andare?» domandò Vegeta, impaziente. Voleva uscire di lì. Voleva che gli fosse assegnata una nuova missione, tutto per allontanarsi da quella maledetta nave.
«Quanta fretta...» ridacchiò Zarbon e, inginocchiandosi di fronte a lui, gli scompigliò i capelli con un gesto viscido. Tre ciuffi gli caddero sulla fronte, quei tre ciuffi che ogni giorno tentava di tirare indietro per somigliare di più a un re, meno a un bambino. «Devo ancora testare la tua... resistenza!»
Con l'ultima parola giunse un pugno al centro dello stomaco. Forte, secco, che lo fece piegare in due.

Vegeta tossì. Sapeva che Zarbon fosse più forte di lui, molto più forte di quei Saibaman che sconfiggeva a mani nude. Si rimise in piedi e barcollò all'indietro, ma un altro pugno lo fece andare a sbattere contro la pulsantiera controlli.
Provò a contrattaccare, Zarbon gli assestò un calcio sotto al mento. Avvertì il sapore del sangue sulla lingua, ma Vegeta si rialzò di nuovo. Si sarebbe rialzato sempre, fino a che non avrebbe versato l'ultima goccia di sangue.
Zarbon ridacchiò, unghie in fuori e labbro stretto tra i denti. Doveva essere piacevole per lui, picchiarlo, umiliarlo. Lo si vedeva, si annusava dalla distanza l'odore di soddisfazione.

Vegeta indietreggiò in posizione di difesa, pronto a subire e limitare i danni.
«Dove scappi, piccolo Principe? Non ti faccio niente».

Mentiva.
Era una bugia, Vegeta lo sapeva.
Quel giorno incassò ogni tipo di dolore, ma non disse una sola parola, non si lamentò nemmeno una volta. Nemmeno quando la sua pelle di bambino venne scalfita e aperta in più punti, nemmeno quando le costole rotte gli impedirono di respirare. Fino a quando non si ritrovò costretto ad aggrapparsi ai muri per tenersi in piedi. Fino a quando non cadde per terra e Zarbon gli tenne un piede sulla schiena per non farlo rialzare.

«Tutto qui, piccolo Principe? È tutto quello che sai fare?»
Vegeta provò a forzare, ma non riusciva più a sollevarsi. «Ngh-gh!»

Sentì Zarbon scuotere la testa con disappunto. «Un vero peccato...»
Uno spostamento d'aria, poi un dolore acuto all'altezza del cranio.




«Ah!»
Vegeta si svegliò di soprassalto e provò a urlare, ma avvertì la gola bruciare, la lingua troppo secca contro il palato, le labbra così screpolate da spaccarsi in due.
Dolore ovunque, dappertutto, ogni singola cellula del suo corpo sembrava fremere per esplodere. Non era la prima volta. Ci era abituato. Era abituato alla sofferenza fisica sin da quando era piccolo. Fin da quando gli veniva detto “non ti faccio niente” ed era una bugia.
«Ehi, ehi, piano!»
Una voce roca lo fece sussultare.
«Santi gli Dei del cielo, sei vivo...» sentì sussurrare, poi finalmente mise a fuoco. La stanza era buia, da una piccola finestra penetrava luce giallastra.
«Ra-dish?»
Questi lo fissò con espressione sollevata, l'ombra del consueto sorriso impertinente disegnata sul volto.
«Ci siamo presi uno spavento di merda! Quando Nappa ti ha tirato fuori da quello schifo di rettile eravamo certi che ci fossi rimasto secco!»
Vegeta iniziò a ricordare. Il serpente. Quel maledetto essere nauseabondo che aveva attentato alla sua vita. Quanto tempo aveva dormito? Ma, soprattutto, dove diavolo si trovava?
Si guardò intorno. Impossibile che si trovassero ancora su 665: avevano distrutto tutto.
Quello invece era chiaramente l'interno di una stanza. Fatiscente, ma pur sempre dotata di letti e bagno.
«Do... argh
Vegeta provò a mettersi seduto, ma i muscoli sembravano tesi, dolenti, come atrofizzati.
«Piano, non ti sforzare. Abbiamo preso un campione di veleno: narcotico, necrotizzante, paralizzante. Diamine, sei fortunato che il tuo culo aristocratico sia ancora qui con noi!»
Preferì rimanere sdraiato piuttosto che accettare l'aiuto di Radish per mettersi a sedere. E, anche se avrebbe davvero tanto voluto tirargli un pugno in gola, lo invitò con lo sguardo a proseguire con delle spiegazioni appropriate.
Che, ovviamente, giunsero come un flusso di coscienza interminabile. Così tipico di Radish! Gli anni passavano, ma la sua insopportabile parlantina rimaneva sempre la stessa. Non proprio un toccasana, per la sua galoppante emicrania.
«Siamo partiti subito alla volta del pianeta più vicino sperando che possedessero degli antidoti decenti oltre ai blandi farmaci di cui disponevamo sull'astronave. E invece eccoci qui, in questo posto di miserabili che hanno provato a curarti solo con delle piante puzzolenti. Beh, almeno ha funzionato. Forse perché ho minacciato di ucciderli tutti, nel caso fossi schiattato...»
«Tsk...» Vegeta roteò gli occhi, il mal di testa si intensificò. Forse era proprio a causa di quell'odore terribile di piante che proveniva da sotto i suoi bendaggi e che poteva avvertire anche in bocca. «Quanto sono stato via?»
«Tre settimane. Sai, ti sei perso il mio passaggio di età, maledetto!» ridacchiò Radish, mettendosi ben comodo sullo sgabello di legno accanto al letto. Si allacciò le mani dietro al collo e sfoderò un ghigno compiaciuto.
Vegeta aggrottò faticosamente le sopracciglia: persino i muscoli facciali sembravano stanchi.
Lui e Radish avevano immaginato spesso il momento del loro passaggio di età ai quindici anni, quando erano piccoli. Il giorno in cui avrebbero potuto essere più indipendenti, non dover per forza essere costantemente sotto lo sguardo di Nappa, prendere delle decisioni autonome.
Beh, a lui mancava ancora poco più di un anno.
«Sei maggiorenne, quindi... buon per te» mormorò, sulla lingua una punta di invidia.
«Già. Non pensavo nemmeno di arrivarci, a quindici anni».
«Non pensavo che avrei resistito senza ammazzarti, fino a quindici anni» borbottò Vegeta di rimando.
E, come al solito, Radish rise.
«... ah, il veleno di serpente non è niente contro il tuo!»
Vegeta non sopportava le prese in giro, ma quello era più un dato di fatto. E, se proprio doveva dirla tutta, non sarebbe stata una sfuriata a far desistere Radish da quei commenti inappropriati - forse neanche la morte, sarebbe bastata.
Ciò che lo aveva infastidito per la maggiore, invece, era stato sentir parlare di quella bestia nauseabonda che l'aveva quasi spedito all'Altro Mondo. Il solo pensiero gli fece venire il voltastomaco.
«Taci. E non mi parlare mai più di serpenti o esseri striscianti. Non ne voglio più vedere in vita mia!»


 

 

«Ma dove cazzo... siamo finiti?»
La stradina che portava dalla loro stanza a centro di quella cittadina puzzava di piscio e animali morti, ma nulla di paragonabile a quell'accozzaglia di chincaglierie disposte in piccole baracche nella via principale. Un mercato con così tanti odori, suoni e colori che fece rimpiangere a Vegeta l'intenso profumo di erbe mediche.
Una baraccopoli disordinata e umida, il peggior porto spaziale su cui avessero mai messo piede in tutti quegli anni. Personaggi di tutti i tipi, alieni di ogni forma e colore, cibo dalla dubbia provenienza, attrezzi di ricambio per astronavi, vestiario, baracche di intrugli, cartomanti, recinti per combattimenti tra animali di diverse specie, gioco d'azzardo, vendita di schiavi, giri di prostituzione. Tutto collocato a caso sotto tendoni variopinti che riparavano da un sole cocente e per nulla piacevole, che con tutta probabilità era la causa della pelle più abbronzata di Radish e tutte quelle orrende lentiggini sulla punta del suo naso. Così tipiche della terza classe!
«Mercato Nero di Ikut: il buco del culo della Galassia dell'Ovest. Posto incantevole, mh?» trillò questi, mentre si muoveva baldanzoso tra la fauna variopinta frequentante il mercato.
Vegeta si ritrovò costretto a tapparsi il naso nel passare a fianco di una bancarella che vendeva cibo – se così si potesse chiamare. Il mercante urlò qualcosa in un Intergalattico Standard a malapena comprensibile, cosa che portò Sua Maestà sulla soglia dell'omicidio. Si era svegliato da poche ore e ancora avvertiva una forte emicrania e diverse mialgie, l'ultima cosa che avrebbe desiderato era sentirsi urlare nell'orecchio.
«Dove diavolo è Nappa?» grugnì quindi, fulminando con lo sguardo chiunque gli passasse troppo vicino.
Radish indicò una taverna diroccata all'ingresso di una via all'ombra. Insegna arrugginita, muri scrostati, un ubriacone riverso tra i secchi d'immondizia. «Oramai ha l'abbonamento laggiù».
Vegeta si pizzicò il ponte del naso e, dopo aver immagazzinato abbastanza coraggio, tirò una spallata a Radish e si avviò a passi spediti nella bettola.

Si pentì di aver preso quella decisione appena varcata la soglia d'ingresso, quando un campanaccio arrugginito trillò sopra la sua testa. L'intenso odore di fritto copriva persino quello di fumo, le risate dei commensali accompagnavano un quartetto di alieni che suonavano una musichetta allegra con degli strumenti a fiato. La clientela era quanto di meno raccomandabile e, sedute sugli sgabelli del bancone ovale al centro della stanza, si potevano intravedere prostitute in cerca di attenzioni. Agli angoli della stanza qualche sicario in attesa di uccidere – era evidente – mentre ai tavoli nella penombra la gente beveva, fumava e giocava a Sabaq.
E dove poteva trovarsi Nappa, se non a parlottare con una signorina affabile al bancone del bar? Non appena li vide, esplose in una risata gutturale.
«Maestà, che piacere riaverti tra noi!»
Il suo fiato puzzava di alcol e sigari già a distanza. Che fosse ubriaco, si poteva intravedere dall'occhio pigro.
«Non hai fatto altro che bere per tre settimane?» borbottò Vegeta, braccia conserte e sopracciglio alzato con disgusto.
«No, è anche andato a puttane» rispose Radish, prima che Nappa potesse aprire bocca. «Con i soldi che ho vinto io a Sabaq» aggiunse.
Nappa lanciò un'occhiata omicida a Radish, poi tornò con lo sguardo sul Principe. «A mia discolpa, non sono giunte nuove missioni. Non avrei potuto certo lasciarti solo qui per andare in ricognizione altrove».
Vegeta scrollò le spalle. «Radish è maggiorenne, avrebbe potuto rimanere lui con me». Non che avrebbe potuto biasimare Nappa se non si fosse fidato a lasciarlo solo con quel cretino in quel pianeta di gente discutibile.
«A tal proposito: ora che sono maggiorenne posso fare tutto ciò che mi pare! Voglio provare a bere qualcosa!» trillò Radish, entusiasta.
«Come se in questo posto chiedessero la scheda identificativa...» grugnì Nappa.
Non in tutti gli attracchi portuali vigevano le leggi del cosmo, ed era chiaro come il sole che su Ikut la Pattuglia Galattica non ci avesse mai messo piede.
«Bene, ottimo. Allora berrà anche Vegeta» asserì Radish. «Dobbiamo festeggiare la sua non dipartita, oltre che il mio passaggio d'età».
Vegeta si voltò di scatto. Che razza di idea idiota era, quella? Non avrebbe voluto ingerire proprio niente che avesse da offrire quell'orribile posto. Anche se l'idea di poter compiere qualcosa che andasse oltre la legge gli solleticava il palato.
«Ehi, un mome-»
«Ogni tanto hai delle buone idee!» lo interruppe Nappa, che poi si rivolse al cameriere. «Tu! Portaci altri tre di questi, datti una mossa!» ordinò e, barcollando, li accompagnò a sedersi a un tavolo libero a lato della stanza.

Le sedute appiccicavano di sporco e sudiciume, e gli schienali rivestiti avevano tutta l'aria di essere pieni di pulci. Vegeta si era oramai oltremodo abituato a non avere le comodità e gli agi del suo rango sociale.
Aveva imparato ad adattarsi, in tutti quegli anni di latitanza spaziale. Anche se aveva sempre preferito cacciare per nutrirsi e dormire all'addiaccio, piuttosto che trovarsi in postacci come quello.
E, soprattutto, avrebbe preferito dissetarsi d'acqua piovana piuttosto che ingurgitare quella robaccia che giunse sul loro tavolo qualche minuto più tardi.
«E questa porcheria cosa diavolo sarebbe?» sibilò Vegeta, nel guardare il bicchiere colmo di quel liquido bluastro dall'aria putrescente.
«Rokk: il miglior superalcolico di tutte le galassie!» spiegò Nappa. E di quello Vegeta ne dubitava altamente, a giudicare dall'alitosi che comportava.
Radish annusò il contenuto del bicchiere, con tutta l'aria di chi si fosse appena pentito di essere diventato abbastanza grande da bere quella roba.
«Puzza di merda!»
E non aveva tutti i torti.
«Anche tu puzzi di merda, Radish. Non fare in moccioso. Zitto e bevi!» lo esortò.
Vegeta e Radish si lanciarono un'occhiata schifata ma, chissà come, Sua Maestà sentiva che quello sarebbe stato senza dubbio un rito che prima o poi avrebbe dovuto compiere. E niente sarebbe potuto essere peggio di quel sapore orrendo di erbe che ancora avvertiva in bocca.
«Beh, buon passaggio me!» si arrese infine Radish.
Fecero tintinnare i tre bicchieri al centro del tavolo, poi Vegeta si scolò l'intero contenuto in un solo sorso.
Rimpianse le erbe curative almeno quanto rimpianse di non aver declinato quell'offerta di merda. Di una cosa era certo: non avrebbe mai più bevuto un goccio di quello schifo in vita sua.
«Argh! Che schifo, è disgustoso!» grugnì, sull'orlo di vomitare.
«Già...» concordò Radish, rabbrividendo dalla testa ai piedi. «Ne voglio un altro!» trillò poi, entusiasta.


 


Lasciò quella bettola tra borbottii di disgusto e l'intenso desiderio di far esplodere l'intero edificio, il mercato e forse anche il pianeta. Nappa e Radish compresi. Anzi, soprattutto Nappa e Radish, che non avevano fatto altro se non continuare a bere quel letame liquido dal colore improbabile.
Vegeta odiava le persone ubriache. Erano imprevedibili, stupide e persino puzzolenti.
E, contando che Radish fosse già di per sé imprevedibile e stupido – e talvolta anche puzzolente – non avrebbe potuto sopportare quella risata entusiasta e quell'ilarità un secondo di più.
Li lasciò a ubriacarsi al bar e si allontanò a piedi tra i vicoli meno affollati della baraccopoli, ben intento a starsene alla larga dal mercato.
Vegeta odiava il vociare umano. Lo trovava sopportabile solo quando quel vociare si trasformava in urla di terrore, di paura, voci che gridavano durante le esplosioni, le battaglie. Suoni che gli facevano capire che fosse ancora vivo, e che gli altri fossero al mondo solo per morire sotto la sua mano. Era diventato un mostro, negli anni.
Nonostante tutto, alle urla di disperazione preferiva il silenzio. No, non il silenzio di morte che si udiva dopo la guerra. Il silenzio della natura, della quiete, della notte sotto le stelle, con la schiena sull'erba umida e lo scorrere dell'acqua nei torrenti di pianeti freschi.
Da più piccolo aveva spesso sognato di poter ricostruire il proprio regno in un posto simile alla sua casa d'origine. Vegeta-Sei aveva fiumi, laghi, mari, distese erbose e montagne rocciose, deserti, tramonti, animali, stagioni calde e fredde. Un pianeta dove avrebbe potuto godere del silenzio, della quiete.
In tutti quegli anni di latitanza, non aveva ancora trovato un posto del genere. Si era promesso in passato che se fosse sopravvissuto, se prima o poi avesse ucciso Freezer, se avesse spodestato i Cold... avrebbe trovato un pianeta così per governare il suo nuovo esercito.
Sogni, solo sogni e speranze che nel corso degli anni si erano vanificate sempre di più. Perché le speranze facevano male, erano per i poveri illusi, per i reietti, per chi possiede un cuore. Lui un cuore non lo possedeva più, quindi la sua speranza era che presto avrebbe potuto godere delle urla della gente che muore. Quella era l'unica certezza che aveva. Di essere vivo per uccidere.


Si ritrovò in un vicolo che puzzava di fogna e vomito e si rese conto di essersi perso. Perso nei propri pensieri, perso e lievemente sbilanciato da quel bicchiere di superalcolico che non era mai stato abituato a bere. Si sentiva anestetizzato e ubriaco, ma il dolore ai muscoli e la debolezza dovuta agli strascichi del veleno di quello schifo ancora li avvertiva forti e chiari.
Fu solo questione di un secondo. Un momento di disattenzione mentre reinseriva nello Scouter le coordinate di Radish e Nappa. Quel secondo fu sufficiente.
Un dolore come una punta di spillo sotto la mandibola
«Che diavolo?!» esclamò Vegeta e, tastandosi il collo, trovò una piccola capsula con un ago inserito.
Si guardò intorno, ma la sensazione di ubriachezza si intensificò. Vertigini, sonnolenza. Comprese cosa fosse accaduto, ma non fece in tempo a reagire.
Un sonno profondo lo colse di sorpresa.


 
Continua...

Riferimenti:
-Il ricordo con Zarbon che dice "vieni qui, non ti faccio niente" era stato citato - ma non descritto - nella mia precedente storia, HAKAI
-L'aneddoto del serpente sul pianeta 665 invece era stato anch'esso citato da Radish - ma non descritto - in Across the universe. Ed ecco come Vegeta ha sviluppato la fobia dei serpenti, secondo la mia visione :D ecco, ne approfitto per ricordare a tutti che questi aneddoti sono tutti di mia fantasia, non c'è niente di canonico, qui.
-Qualcuno l'avrà notato, ma la taverna di Ikut è tutta ispirata alla celebre taverna su Tatooine in Star Wars, e anche la scena è ispirata a quella in cui in Episodio 4 arrivano alla taverna e c'è il famosissimo temino suonato dagli alieni musicisti. 
-E finalmente torna in scena anche il Rokk, oramai ne ho parlato in tutte le storie, ma qui si vede come nasce la passione di Radish per questa bevanda... particolare. 
-La descrizione geografica di Vegeta-Sei è ovviamente di mia fantasia, nel canone non si è visto molto, solo qualcosina nel film DBS Broly. Ne ho parlato più abbondantemente in "HAKAI". 

ANGOLO DI EEVAA:
Ed eccomi qui, gente dallo spazio!
Qualcuno mi ha chiesto qualche gioia in questo capitolo, e questo è il massimo che sono riuscita a fare xD farli alcolizzare. Stendiamo un velo pietoso, và!
Però finalmente sono riuscita a raccontare per bene aneddoti a malapena citati in altre storie, e di questo sono contenta. Spero che vi siano piaciute.
Mi si è un po' stretto il cuore nel descrivere il desiderio di Vegeta di trovare un pianeta dove "ripopolare" i Saiyan... beh, lui è ancora ignaro, ma prima o poi ce la farà T____T deve solo aspettare e mettere in saccoccia un quantitativo industriale di traumi, ancora.
Primo tra tutti, quello che succederà nel prossimo capitolo. SBRAM. Lo dico proprio così xD auguri. 
Niente, spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, ringrazio come sempre tutt* voi che mi seguite e mi supportate sempre. Un abbraccio,
Eevaa


 
Nel prossimo capitolo!
Faticò a riprendere coscienza, ma al contempo la consapevolezza di essere finito nei guai lo colse prima ancora di realizzare quanto fosse fottuto.
Ricordava una puntura di spillo, poi tutto nero. Mentre in quel momento... beh, decine e decine di colori apparvero ai suoi occhi come un caleidoscopio. Macchie indistinte che presero forma col passare dei secondi, così come le sagome che lo osservavano dall'altra parte delle sbarre.
Sbarre?

 

 
  
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