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Autore: edoardo811    07/06/2022    1 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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XXI

Rimpatriata





Daniel le stava aspettando nel bel mezzo del nulla, appoggiato contro un albero in una delle numerose zone verdeggianti attorno a Furnace Creek, i borsoni chiusi per terra e Penelope che si ispezionava gli zoccoli poco distante. Non chiese perché ci avessero messo così tanto, a malapena rivolse loro un cenno. Aveva un aspetto perfino più trasandato del solito, sembrava anche che non avesse dormito.

Penelope fu più calorosa con loro, dicendo che sarebbe piaciuto molto anche a lei vedere l’hotel, ma che comprendeva perché non avesse potuto farlo. Kiana cercò di rassicurarla dicendole che non si era persa niente di che. Aveva quasi fatto una battuta su lei e Daniel che trascorrevano la serata assieme, al chiaro di luna e sotto le stelle, ma si era resa conto che l’umore generale era nerissimo, e aveva lasciato perdere. E poi, dopo tutto quello che aveva detto Camille, fare battute non era l’idea migliore.

Non c’era nemmeno Jack, forse se n’era andato di nuovo a zonzo nell’ombra, quindi nemmeno quel cagnaccio col muso buffo avrebbe potuto stemperare un po’ la tensione.

Ripartirono poco dopo, in un silenzio carico di tensione. Nel bene e nel male, quello sarebbe stato il loro ultimo tratto di viaggio, l’ultimo sprint verso la loro meta finale, e la cosa angosciava Kiana da una parte, ma la faceva sentire più leggera dall’altra. Sapevano cosa dovevano fare, sapevano chi erano i loro nemici, sapevano cosa volevano, non restava altro che vedere chi avrebbe vinto e di una cosa lei poteva essere certa: non se ne sarebbe andata senza combattere.

Per Cam, per il Campo Giove, per i suoi compagni della Quinta Coorte, per Mary, per Venere, avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per salvare Ecate.

Il paesaggio cominciò a cambiare mentre avanzavano lungo quelle lande desolate. Le dune tondeggianti e sabbiose e le lande desertiche cominciarono a essere rimpiazzate da grosse pareti rocciose e nel giro di poco tempo Penelope stava galoppando nel bel mezzo di un canyon. Diverse volte fu costretta a rallentare per via del terreno dissestato e poco pratico per una centaura con duecento chili di carico sulla groppa.

Camille aveva recuperato una cartina della Valle della Morte a Furnace Creek e, stando a quanto riportato sopra, quello doveva essere l’Echo Canyon.

«Ferma!» esclamò proprio la figlia di Trivia all’improvviso.

Penelope si arrestò di colpo, con un nitrito spaventato, e per poco tutti e tre i passeggeri non furono scaraventati a terra.

«Cam!» protestò Kiana. «Che ti è preso?»

«Il legame…» mormorò Camille. «Non… non so più dove dobbiamo andare.»

«Che cosa?!»

Tutto a un tratto, Camille era più bianca dei propri capelli. «N-Non so cosa stia succedendo. Sento il legame ma è… disturbato. Come se ci fosse un’interferenza.»

«E adesso che facciamo?» domandò Kiana.

«D-Datemi un istante.» Camille scese da Penelope. «Devo… devo provare a concentrarmi.»

Si allontanò di una ventina di metri e si inginocchiò a terra, prendendosi la testa tra le mani. Kiana non capì se stesse meditando o impazzendo. Forse un misto delle due. Si augurò davvero che riuscisse a ritrovare la strada giusta, perché in caso contrario erano fregati. Mancavano due giorni, uno e mezzo ormai, ed Ecate era in chissà quale caverna sotterranea nel bel mezzo di quel deserto gigantesco.

Smontò anche lei da Penelope e fece qualche passo, guardandosi attorno nervosamente. Se erano vicini a Ecate, significava che erano vicini anche ai loro nemici, e quell’imprevisto sembrava studiato a tavolino da qualcuno per farli fermare proprio lì. Cominciò a immaginarsi decine e decine di mostri che sbucavano fuori dal nulla dalle pareti di quel canyon. Quello sì che sembrava il luogo adatto a un’imboscata.  

«Kiana.»

La maledetta voce roca di Daniel la fece sussultare. Sperò che lui non se ne fosse accorto e si voltò. «Che c’è?»

Daniel scese da Penelope e la scrutò direttamente negli occhi. Non era basso come Cam, ma comunque più basso di lei. Eppure, sembrava comunque più grande. «Posso parlarti per un momento?»

La domanda colse Kiana alla sprovvista. L’ultima volta che si erano parlati da soli era stato dopo il caso delle naiadi, e di certo quella non era stata una conversazione amichevole. Ora che ci pensava bene, forse era perfino stata l’unica. Daniel non l’aveva mai cercata al Campo Giove e lei aveva fatto lo stesso. Camille era stato il tramite tra loro due per tutto il tempo, praticamente, perciò quella richiesta, per quanto semplice, la fece sentire comunque in soggezione.

«Sì, dimmi» rispose.

«Da soli» puntualizzò Daniel, voltandosi verso Penelope.

La centaura con cui madre natura era stata molto generosa trasalì e annuì. Borbottò qualche parola di scuse e trotterellò via. Cominciò a ispezionarsi gli zoccoli e a guardare il cielo, ma rimase comunque abbastanza vicina, per poter origliare tutto quanto, suppose Kiana. Se Daniel se n’era accorto, non lo diede a vedere. Ancora una volta la scrutò dal basso, con quello sguardo che faceva quasi credere che lui non stesse pensando niente. Sembrava assente, distaccato, perfino in quel momento.

«Ieri sera…» cominciò a dirle. «… hai sentito me e Camille parlare, vero?»

Kiana si irrigidì. Non credeva che se ne fossero accorti. O almeno, Cam non sembrava essersene accorta. A quanto pareva, Daniel sì. Annuì lentamente.

«Sì, vi ho sentiti» ammise. «È stato solo un caso. Mi ero appena svegliata.»

«Per questo sei uscita fuori» proseguì Daniel. «Per questo hai cercato di distrarre Camille. Non volevi che lei soffrisse di nuovo per causa mia. Vero?»

Dopo diversi istanti, Kiana annuì una seconda volta, ignorando la rabbia che cominciò a pervaderla. Non era intervenuta subito la sera prima perché non voleva impicciarsi negli affari di Cam, ma ascoltare la loro discussione, ascoltare il silenzio di Daniel, era stato un boccone molto duro da mandare giù. «Perché me lo chiedi?»

«Perché…» Daniel abbassò lo sguardo. «Devo… dirti una cosa. Riguarda proprio quello che è successo ieri sera.»

Kiana emise un mugugno poco convinto, ma annuì. «Ti ascolto.»

Vide Daniel esitare, come se volesse parlare ma allo stesso tempo non riuscisse a trovare il coraggio di farlo. Non appena notò quell’imbarazzo, si alterò: «Non vorrai mica dichiararti a me! Dopo tutto quello che è successo!»

«N-No!» Le guance di Daniel si tinsero leggermente. «Però… però è di questo che voglio parlarti. Io… io non… non sento… niente.»

Kiana corrugò la fronte. «Cioè?»

«Non… non provo sentimenti per nessuno. Amore, attrazione o… insomma, altri… impulsi di questo tipo. Niente di niente.»

«Quando dici “nessuno”, intendi dire “nessuna ragazza” oppure…»

«Nessuno» specificò Daniel. «Né ragazze né ragazzi.»

«Ne sei davvero sicuro? Magari inconsapevolmente anche tu sei…»

La ragazza s’interruppe quando Daniel mostrò la sua emozione preferita, il fastidio, tramite un’occhiataccia. Alzò le mani in difesa. «Ehi, per me mica è stato chiaro fin dall’inizio.»

Si beccò un’altra occhiata infastidita e decise di mollare l’osso. «Va bene, va bene, non ti piacciono i ragazzi. Peccato.»

Questa volta Daniel roteò gli occhi, ma non disse nulla.

«Quindi… è per questo che hai sempre ignorato Cam» proseguì Kiana, calma.

Daniel perse di nuovo il coraggio di guardarla in faccia e annuì. Kiana sentì lo stomaco annodarsi, di fronte a quell’espressione mesta a lei tristemente familiare. Sapeva bene cosa significava provare emozioni come quella, sentirsi non adatti, non adeguati, diversi da quello che gli altri si aspettavano.

«Perché non gliel’hai mai detto?» domandò allora, con voce più morbida. «Lei sperava davvero di piacerti. Perché non sei stato subito onesto con lei?»

«È quello che voglio capire anch’io» mormorò Daniel. «Non so perché mi sia comportato così. È sempre stato come se… come se non ci pensassi nemmeno. Me ne sono accorto ieri sera, dopo che io e te abbiamo discusso. Avevi ragione, Kiana. Non mi è mai importato niente di nessuno. E… e non ho idea di che cosa voglia davvero. Non so… cosa ci faccio qui. Non so perché prendo le decisioni che prendo, non so perché faccio le cose che faccio. Non mi sento davvero mosso da qualcosa. Non sento di provare nulla per nessuno di voi, né in senso positivo né negativo. Non ho… stimoli. Sono sempre andato avanti in maniera automatica, senza mai interessarmi a niente, senza mai pensare al fatto che così facendo avrei potuto ferire qualcuno, come… come ho fatto con Cam. Soltanto dopo che tu mi hai parlato me ne sono davvero reso conto. È… è una cosa folle?»

Kiana realizzò che quella non era una domanda retorica e trasalì. Ascoltare quelle parole l’aveva mandata in panne per un istante. Era stata la dichiarazione più assurda, ma allo stesso tempo sentita che avesse mai udito. In qualsiasi altra situazione, con qualsiasi altra persona, avrebbe pensato a uno scherzo. Peccato che Daniel sembrasse davvero serio, e anche spaventato, dalla sua stessa domanda.

Era la prima volta che Kiana vedeva quel lato di lui, un lato che sembrava… vulnerabile, bisognoso di aiuto, perfino. Daniel si era sempre nascosto dietro quella maschera di indifferenza e apatia ma adesso Kiana aveva avuto la conferma che davvero si era trattata solo di una maschera. Solo che lui, stando alle sue stesse parole, non era mai stato consapevole di indossarla.

«No» rispose lei. «Di certo… non è una cosa comune, la tua, ma almeno adesso posso spiegarmi un mucchio di tuoi comportamenti strani.»

Daniel avvampò di nuovo. «Ne ho così tanti?»

«Ho perso il conto di quanti ne hai» ridacchiò Kiana, prima di mettersi una mano sul fianco e scoccargli un’occhiatina dall’alto. «Zombie

Un piccolo sorriso nacque sul volto di Daniel, che ben presto la figlia di Venere replicò. Era la prima volta che loro due discutevano in quel modo, soprattutto sorridendosi, soprattutto senza che ci fosse Camille a fare da ponte. Era… strano, ma uno strano bello, una piacevole sorpresa.

«Mi dispiace… per quello che ho fatto ieri» proseguì Daniel. «Non volevo spaventarvi. E soprattutto non volevo ferirvi.»

«Non mi hai ferita. Spaventata… forse un pochino, ma ferita no. E comunque…» Kiana scosse la testa. «… non è a me che devi queste scuse, lo sai.»

Daniel allungò il collo verso Cam, ancora concentrata, prima di riabbassare lo sguardo. «Le ho… le ho fatto male. Vero?»

«Tu che ne pensi? Era innamorata di te, Daniel.»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Mi dispiace. Sono stato un idiota.»

Kiana batté il pugno contro la sua spalla. «Ehi, zombie. Puoi ancora sistemare le cose. Devi solo parlarle e dirle le stesse cose che hai detto a me. Sono sicura che capirà.»

«Lo… pensi davvero?» domandò lui, tornando a guardarla speranzoso. Vederlo così le fece capire che non era vero che non provasse nulla. C’era un lato di lui che teneva davvero a Camille, magari anche a lei, però forse nemmeno lui riusciva a scorgerlo.

Le tornò in mente la discussione che aveva avuto con Camille, quella sul tenergli nascoste le cose che avevano scoperto, e si sentì un po’ in colpa, specie perché lui si stava finalmente aprendo. Ingoiò il groppo alla gola e si sforzò di rispondere: «Certo. Fidati di me.»

Un altro sorriso nacque sul volto di Daniel. «Grazie… Kiana.»

La ragazza lo ricambiò. «Grazie a te. Era ora che ti decidessi a parlare.»

«Sì, beh… qualcuno mi ha pressato» ammise Daniel.

Lanciò un’occhiatina a Penelope, che trasalì. «S-Sì, e-ecco…»

Kiana sollevò un sopracciglio. Per qualche motivo, la cosa non la sorprendeva affatto. «Non male, Penelope. Sei riuscita a sbloccare il nostro zombie.»

Penelope era paonazza. Farfugliò qualche convenevole mentre teneva gli occhi bassi e Kiana ridacchiò. Non le importava se erano un umano e una centaura: quei due erano adorabili.

«E comunque, non è vero che non sei mosso da nulla, zombie. Hai scelto tu di partire per cercare Ecate, no?»

«Sì… è vero…» mormorò Daniel, facendosi pensieroso tutto a un tratto. «L’ho… scelto io…»

Kiana sollevò un sopracciglio. «Ehi, tutto bene?»

Daniel schiuse le labbra, ma non rispose. Tutto a un tratto, il suo sguardo sembrava vitreo.

«Da… Daniel?»

Kiana avvicinò una mano a lui, ma un grido la fece sobbalzare. Era la voce di una ragazza. Ed era piuttosto familiare.

«Avete… avete sentito?» domandò Camille, voltandosi verso di loro.

«Sì…» mugugnò Kiana.

Lanciò uno sguardo verso la direzione da cui l’urlo era provenuto, che casualmente era proprio dove erano diretti loro.

All’improvviso, la puzza di guai si fece più forte che mai.

 

***

 

Al termine della stradina si trovava un grosso spiazzale ai piedi di quello che, stando alla cartina di Cam, si chiamava “Occhio dell’Ago”. Kiana non ebbe bisogno di una lezione di storia sulla Death Valley per capire come mai quel luogo si chiamasse così: le bastò vedere l’enorme arco naturale che spiccava nel bel mezzo di una delle pareti rocciose.

Non era la geologia di quel luogo, però, la cosa che doveva importarle di più in quel momento.

Penelope emise un nitrito spaventato, ma per fortuna si tappò la bocca prima che la ventina di mostri radunata nel mezzo dello spiazzale potesse sentirla.

Il gruppetto rimase nascosto dietro un’alta roccia, da cui poterono sbirciare quello che stava accadendo. Kiana c’aveva visto giusto sull’imboscata. Per fortuna, o sfortuna, a seconda dei punti di vista, loro quattro non erano stati i primi a caderci.

«Voi avete idea di chi sia io?!» stava sbottando la ragazza legata schiena contro schiena ad un altro poveraccio, che invece aveva anche la bocca tappata con qualche straccio di dubbia provenienza.

Tutt’attorno a loro si trovavano i resti di alcuni mostri uccisi, diversi altri a terra privi di sensi, mentre un altro gruppetto si stava dividendo il corpo di un pegaso morto. Quest’ultima scena in particolare fece venire il voltastomaco a Kiana.

«Il mio nome è Cassie Collins, figlia di Marte! Centurione della Prima Coorte della Legione Fulminata! E vi ucciderò tutti, dal primo all’ultimo!»

Cassie continuò a sproloquiare e a scalciare, mentre l’altro prigioniero se ne stava a testa bassa. Kiana riuscì a riconoscerlo: era Nathan Miles, il figlio di Somnus. Era riuscito ad addormentare un po’ di mostri, ma alla fine avevano reso inoffensivo anche lui.

«Grandioso» sbottò Kiana. «Si sono fatti beccare.»

«Se loro sono qui, Ashley non può essere lontana…» aggiunse Daniel, con uno strano tono di voce.

Anche Kiana l’aveva pensato. La sosta a Furnace Creek aveva permesso alla squadra di Ashley di raggiungerli.

“E non ho nemmeno finito i pancake…”

«Dobbiamo aiutarli» concluse Camille, ovviamente. 

«Ma… dobbiamo proprio?»

«Kiana!»

«C’eri anche tu quando Cassie e i suoi hanno trattato a pesci in faccia la Quinta Coorte, no?»

«Non significa che possiamo abbandonarli!»

Kiana alzò gli occhi al cielo. Sapeva fin dall’inizio che non l’avrebbe spuntata. Però c’aveva provato. «Va bene, va bene… allora, che facciamo?»

Dal terreno cominciò a sorgere del fumo nero, attorno alle gambe di Daniel, che ringhiò: «Li uccidiamo tutti.»

Se Kiana non l’avesse afferrato per il braccio, quello sarebbe uscito allo scoperto. «Che stai facendo?! Se li attacchiamo frontalmente potrebbero uccidere Cassie e Nathan!»

Daniel si voltò verso di lei. «E allora?»

La domanda sembrava sincera. Come se davvero non vedesse il problema in quello.

«E allora… come li salviamo se muoiono?»

«Mh… sì, giusto.»

Kiana si augurò che Daniel stesse solo scherzando per smorzare la tensione. Sì, Daniel, che provava a smorzare la tensione. Era probabile quanto la neve negli Inferi, ma lei si sforzò di non pensarci. Non era quello il momento per mettersi a decifrare la mente di quel maledetto zombie.

«Aspettate» disse proprio lui. «Forse ho un’idea.»

Sollevò una mano di fronte a sé e la osservò con insistenza. Kiana stava per domandargli se fosse impazzito del tutto, ma poi per poco non le scappò un grido: Daniel era svanito nel nulla.

«D-Daniel?»

Pensò di essere lei quella impazzita, ma la voce del ragazzo riecheggiò nel nulla: «Sono qui.»

Riapparve di nuovo nel punto esatto in cui era svanito, circondato da delle ombre. La mascella di Kiana per poco non cadde per lo stupore.

Daniel apparve e scompare un paio di volte, a intermittenza, sotto lo sguardo esterrefatto delle sue compagne di viaggio.

«L’ha fatto anche in quella prigione» mormorò Camille, più a sé stessa che a loro.

«Ma… ma come ci riesci?» riuscì a domandare Kiana.

«Non ne ho idea» replicò Daniel.

«O-Ohh…»

«Posso avvicinarmi senza farmi scoprire. Se li aggiro, e voi li distraete, potrò attaccarli alle spalle.»

«… e salvare Cassie e Nathan» aggiunse Kiana.

«E salvare Cassie e Nathan, sì.»

La figlia di Venere si strinse nelle spalle. «Per me può funzionare.»

Guardò Camille, aspettandosi una risposta simile, ma lei non disse nulla. Si limitò ad annuire mentre faceva di tutto per non guardare Daniel. Ancora una volta, quel velo di amarezza trapelò sul suo volto, e Kiana sentì il sangue ribollirle nelle vene. Non per il suo comportamento, o per quello di Daniel, ma perché lei sapeva la verità su di lui e avrebbe tanto voluto dirla alla sua amica, ma quello non era né il luogo, né il momento.

«Va bene.» Daniel svanì di nuovo alla vista. «Aspettate il mio segnale.»

Sentire il nulla che parlava era maledettamente inquietante. Soprattutto se il nulla aveva la voce di zombie.

«E qual è il segnale?» domandò Kiana.

«Lo capirete.»

E detto quello, se ne andò. O, perlomeno, Kiana pensò se ne fosse andato. Si scambiò un’altra occhiata con Camille e provò un po’ di sollievo nel vedere che aveva di nuovo alzato la testa, anche se l’aria mogia non l’aveva ancora abbandonata. Le tornarono in mente le parole di sua madre, riguardo l’odio e l’amore.

“L’odio può essere distruttivo. E anche l’amore.”

Promise a sé stessa che alla prima occasione avrebbe fatto in modo che quei due chiarissero le cose una volta per tutte.

Un verso si alzò in aria. Non proveniva da Cassie, e non sembrava il segnale di Daniel. Kiana sbirciò oltre la parete e si accorse di uno dei mostri, un lestrigone alto più di due metri che sbatteva i piedi a terra.

«Questa esca è rumorooooosaaaa» si lamentò. «Non possiamo ucciderla??»

«Idiota!» lo rimproverò un altro… o meglio, altra, dandogli uno scappellotto«E come fa’ a chiamare aiuto da morta?!»

«Ah! Papà! Fulvia mi ha picchiato!»

«Non è vero!» La lestrigona gli sferrò un cazzotto allo stomaco. «Questo è picchiare!»

«AHIA! Maledetta succhiaossa!»

I due cominciarono a bisticciare – cosa che consisteva nel cercare letteralmente di uccidersi a vicenda, tra pugni, gomitate e tentativi di strangolamento – finché un lestrigone molto più grosso, una specie di sosia mal riuscito di Tony Montana ma con più peli sul petto, ruggì: «Fulvio! Fulvia! Fatela finita subito! Se vostra madre vi vedesse ora… ah, per fortuna la riabbraccerò presto, la mia dolce Trudy.»

«Scusa papà» mormorarono entrambi, ammansendosi.

«Ma che scena patetica! Da quale circo siete evasi?!» sbottò Cassie, mentre continuava a scalciare come un’ossessa e Nathan dietro di lei veniva strattonato ad ogni movimento. «Che gli dei mi siano testimoni: non appena mi libererò vi rispedirò tutti nel buco da cui siete usciti!»

«Ahhh! Papà, davvero non posso ucciderla?»

«No figliolo. Non puoi.» Papà Lestrigone si accovacciò di fronte a Cassie e sfoderò un ghigno gigantesco. «Ci serve per attirare i suoi amici. Quando uccideremo la figlia di Giove, la padrona ci darà ricompense inaudite.»

Kiana corrugò la fronte. Perché i mostri avrebbero dovuto uccidere Ashley se lei era già sotto il controllo di Discordia?

Cassie gli sputò addosso. «Porta questo alla tua padrona. Senatus Populusque Romanus

Papà Lestrigone lasciò che la saliva gli scivolasse lungo la guancia, senza battere ciglio. «Hai carattere, figlia di Marte. Sono sicuro che la tua carne è deliziosa.»

Cassie digrignò i denti; non sembrava per niente spaventata. Per quanto Kiana la detestasse doveva dargliene atto: aveva dei cosiddetti di ferro.

«Davvero pensate di poter catturare Ashley? Le vostre teste sono già trofei da esporre nella Principia. Quando arriverà qui rimpiangerete di averci incrociati. Ammesso che non vi uccida prima io.»

Il mostro ridacchiò. «E come pensi di fare? Sei legata.»

«Lei sì.» L’aria sfarfallò e Daniel apparve proprio dietro a Cassie, il palmo rivolto verso Papà Lestrigone. «Io no.»

Prima che il mostro potesse muovere anche solo le palpebre, la sua testa era già esplosa. Le tenebre avvolsero istantaneamente il corpo di Daniel, che cominciò a scagliare dardi di energia nera verso ogni cosa che si muoveva.

«Papà!» sbraitò Fulvia. «NO!»

«Alla faccia del segnale!» sbottò Kiana. «Penelope, resta qui!»

«M-Molto volentieri.»

Kiana uscì allo scoperto con la lancia tra le mani, accompagnata da Camille, che invece aveva cominciato a sprigionare fiamme dalle mani. Si accorse di Fulvia mentre si fiondava molto intelligentemente sull’assassino di suo padre, come se si aspettasse di avere qualche speranza. Naturalmente, fece la sua stessa fine.

«Ehi, mostri!» Kiana conficcò la lancia nel petto di un ciclope rimasto distratto dal trambusto. «Avanti, fatevi sott…»

Il suo grido venne sovrastato dalle urla disperate di cinque cinocefali che prendevano fuoco nello stesso momento. Di fronte a loro, Camille aveva le mani spalancate, i palmi rivolti verso i loro resti. Kiana schiuse le labbra, sbalordita. Non avrebbe mai pensato di vedere Cam usare i suoi poteri per combattere, visto che ne era sembrata spaventata, eppure era proprio quello che stava succedendo. E a giudicare da come stavano andando le cose, pareva avere tutto sotto controllo.

Altre grida si sollevarono, queste provenienti dai mostri che stavano avendo a che fare con Daniel. Proprio come nel suo scontro con Elias, le sue braccia erano ricoperte di oscurità che dava loro la forma di due lame affilatissime, con le quali stava smembrando chiunque gli capitasse a tiro.

Ben presto, la figlia di Venere realizzò che le sue braccia e la sua lancia non erano richieste: Camille e Daniel stavano praticamente facendo a gara a chi facesse fuori più mostri. Era uno spettacolo incredibile. E anche spaventoso.

Decise di occuparsi dei prigionieri. In mezzo alle urla, le fiamme e i raggi di luce che fischiavano, riuscì a intravedere gli occhi strabuzzati di Cassie, che tutto a un tratto aveva perso la voglia di gridare. Quando la raggiunse, si accovacciò di fronte a lei con un sorriso sornione. Di sicuro, quella non era la rimpatriata che si era aspettata quando aveva abbandonato il campo di nascosto. «Ti trovo bene, Collins.»

«F-Farhat?!» domandò quella. «Che diamine state facendo?!»

«Siamo in vacanza. La Death Valley è molto bella in questo periodo dell’anno.»

Cassie batté le palpebre un paio di volte, come se il suo piccolo cervello non riuscisse a cogliere il sarcasmo. «Siete… siete nemici di Roma. Siamo qui per arrestarvi!»

Kiana non riuscì a reprimere una risatina. «Come scusa?»

«Hai sentito. Siete tutti in arresto. E adesso liberami, così posso portarvi da Ashley!»

La figlia di Venere guardò prima lei e poi Nathan, che mugugnò qualcosa di incomprensibile a causa della bocca tappata. Erano proprio una bella coppia quei due, ora che ci faceva caso. La strillona rompiscatole e il tizio in grado di far addormentare chiunque: un match scritto nelle stelle.

«Ah-ah. Va bene, arrestatemi pure. Ma loro come pensi di convincerli?» Kiana indicò a quella babbuina Daniel e Camille mentre polverizzavano la poca resistenza rimasta.

«Da quando García ha i poteri?» bisbigliò Cassie, prima di dare di gomito a Nathan. «Allora… non c’avevi mentito. Non ti è scappato solo perché sei un incapace.»

Nathan diede un altro paio di strattoni. «MH! MH MH MH

«Ma… quella è Gray?!»

Camille era avvolta dalle fiamme, che in qualche modo non avevano intaccato i vestiti. I suoi occhi viola riflettevano la luce incandescente, mentre il viso era una maschera inespressiva. Perfino Kiana faticò a riconoscerla per un istante. La vide incenerire una dracena che stava implorando di essere risparmiata. Non l’aveva mai vista così, mai. Avrebbe mentito se avesse detto con non la intimoriva nemmeno un po’.

Poco distante, Daniel decapitò quello che restava della Famiglia Lestrigone. Anche lui era circondato dalle tenebre.

Un silenzio irreale scese nello spiazzale. Era quasi assordante, dopo tutte le grida battagliere – e terrorizzate – dei mostri.

Poi, come attratti l’uno dall’altra, i due ragazzi incrociarono gli sguardi. Kiana sentì la pelle accapponarsi. I suoi compagni, ai lati opposti di quel campo di battaglia improvvisato, si scrutarono per quelle che parvero eternità. Le fiamme non svanirono dal corpo di Camille, così come le tenebre da quello di Daniel. La figlia di Venere ebbe una sgradevole sensazione.

«Ra… ragazzi?» li chiamò, incerta. «Che… che state facendo?»

Entrambi si voltarono di scatto verso di lei, facendola sobbalzare. Il pensiero che potessero farla a pezzi senza nemmeno versare una goccia di sudore le attraversò la mente. Sapeva che non sarebbe mai successo, erano suoi amici dopotutto. In un angolino del suo cervello, però, quel timore continuò a perseguitarla.

«Che cavolo prende a quei due?» domandò Cassie.

Kiana la zittì con un’occhiataccia, poi tornò a guardare i suoi compagni. «È… è finita, ragazzi. Spegnete… ehm… i poteri adesso. Okay?»

Passarono ancora altri secondi, durante i quali Kiana sentì il battito del proprio cuore accelerare. I corpi di Daniel e Camille stavano ribollendo di energia, così forte che anche Kiana poteva avvertirla, come una forza invisibile che opprimeva l’aria.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, le tenebre si diradarono dal corpo di Daniel. Vederlo ammansirsi per primo fu la cosa più sconvolgente che Kiana avesse mai visto. Perfino Camille sembrò colta alla sprovvista.

«Fa attenzione con quello» disse Daniel mentre si avvicinava ai prigionieri. Accennò con il mento a Nathan. «Ci ha già fregati una volta.»

Il figlio di Somnus cominciò a sudare come una fontana. Osservò Daniel come se avesse appena visto un fantasma.

«García!» esclamò Cassie. «Razza di buono a nulla di un probatio, liberami subito!»

Daniel le scoccò un’occhiata gelata dall’alto. «Potes meos suaviari clunes.»

«Ma… come osi rivolgerti così a un centurione?! Lo sai che potrei…»

«Mh! Mh mh mh mh

Nathan cominciò a dimenarsi e dare di gomito a Cassie, nei limiti delle sue possibilità. Sembrava spaventato. Arrischiò anche diverse occhiate a Daniel, che sogghignò.

«Ehi, ragazzi» li chiamò Camille, raggiungendoli in quel momento. Nonostante lo scontro fosse finito, sembrava ancora tesa. «Avete sentito cos’ha detto quel lestrigone, prima?»

«Che voleva… mangiare Cassie?» suppose Kiana, mentre la diretta interessata digrignava i denti.

«Giuro che se mi libero…»

«Ha detto che presto avrebbe riabbracciato sua moglie» tagliò corto Cam. «Non l’avete notato?»

Ora che Kiana ci rifletteva sopra, sì, Camille aveva ragione. Osservò i resti di Papà Lestrigone: soltanto la camicia hawaiana era rimasta. Alla faccia delle spoglie di battaglia. «Beh, direi che c’ha preso. Ora riabbraccerà sicuramente sua moglie.»

«Non credo proprio che fosse consapevole di stare per morire» sbottò Cassie.

«E chi ha chiesto la tua opinione, Collins?» la rimbeccò Kiana.

«Odio ammetterlo, ma Cassie ha ragione» proseguì Camille. «Credo che… in qualche modo, sapesse che sua moglie stesse per tornare.»

«E allora? I mostri non risorgono di continuo?»

«Sì, però…» Camille si strinse nelle spalle. «Non saprei. Non sembrava nemmeno che si riferisse a quello.»

La figlia di Venere si scambiò un’occhiata con Daniel, che sembrava incerto tanto quanto lei. Un grugnito arrabbiato provenne da Cassie: «Mi liberate o no?!»

«No!» esclamarono i due ragazzi contemporaneamente.

Kiana si strofinò le dita sopra le palpebre. «Sentite. Abbiamo salvato la pelle a questi due, come avevamo detto. Adesso però dobbiamo andarcene, prima che arrivi Ashley.»

«Cosa? Volete lasciarci legati qui?!»

«Penelope, avvicinati.»

La centaura obbedì, timida come suo solito. «Ehm… s-salve.»

«Quel coso è con voi?» domandò Cassie.

«Non è un “coso”» ringhiò Daniel. «Si chiama Penelope.»

Sembrava davvero infastidito. Al punto che Cassie bofonchiò: «Scusa tanto…»

Kiana cercò un pugnale dentro uno dei borsoni in groppa a Penelope e lo gettò a qualche metro di distanza da lei. «Ecco, tieni.»

Il centurione la scrutò come se avesse avuto due teste. «È troppo lontano, Farhat!»

«Prova a usare l’ingegno, Collins. Sono sicura che ce la farai. Ah, e magari mostra un po’ di gratitudine, visto che se non fosse stato per noi saresti diventata cibo per lestrigoni.»

Il gruppetto cominciò ad allontanarsi, sotto lo sguardo furente di Cassie. «Davvero pensate di poter scappare?! Non appena Ashley vi troverà vi farà pentire di averci traditi!»

Nonostante fosse un’ovvia provocazione, Kiana non riuscì a fare a meno di fermarsi e di lanciarle un’altra occhiata. «Lo sai che lavori per una psicopatica, vero?»

«Ashley non è una psicopatica. È giusta.»

«Giusta?!» Kiana non riuscì a credere alle proprie orecchie. Quella parola la fece accendere come un incendio. «Quello che ha fatto a Mary ti sembra giusto?!»

Tornò ad accovacciarsi di fronte a Cassie e la puntellò sul bustino, scrutandola dritta negli occhi scuri. «Tu eri lì. Hai visto cosa le stava facendo. E non hai battuto ciglio! Le hai permesso di farle del male! Perché?! Perché sai che nel profondo non potresti nemmeno lustrarle gli stivali?!»

Cassie serrò le labbra. «Marianne ci ha traditi. Come voi.»

«Ti sbagli!» urlò Kiana, molto più forte di quanto avrebbe voluto. «Lei non ha tradito proprio nessuno! E se tu avessi la più vaga idea di cosa stai parlando lo sapresti benissimo!»

«Io so che lei ha infranto la regola principale del campo. Vi ha aiutati a fuggire dopo un attacco diretto, con una talpa nel campo e decine di morti e feriti. Sono i fatti che parlano, Farhat, non i tuoi stupidi sentimenti.»

La figlia di Marte ridacchiò di fronte all’espressione sbalordita di Kiana. «Pensavi che le vostre fughe romantiche sarebbero passate inosservate? Ashley ha chiuso un occhio su di voi molte più volte di quanto possiate immaginare.»

Kiana sentì il sangue ribollirle nelle vene. Stava per tirarle un ceffone così forte da rompersi una mano, ma qualcuno l’afferrò per il braccio. Si voltò aspettandosi di vedere Camille, ma ancora una volta con sua enorme sorpresa vide Daniel che la guardava dall’alto.

«Lasciala perdere» le disse. «Lei è soltanto una pedina. L’ennesima pedina.»

Pedina. Non appena udì quella parola, Kiana si ammansì.

«No» rispose, alzandosi in piedi. «Non è lei la pedina. E non lo sono nemmeno Elias, Nathan, e tutti gli altri. L’unica pedina è Ashley.»

Daniel corrugò la fronte. «Che cosa?»

Kiana si morse la lingua. Quello non avrebbe dovuto dirlo. Ricambiò lo sguardo perplesso di Daniel e sentì il cervello andare in panne nel tentativo di trovare una spiegazione plausibile. «Ehm…»

«Ashley è sotto il controllo di Discordia» buttò fuori Camille, rimasta in disparte. «È lei che ci sta mettendo tutti gli uni contro gli altri.»

La figlia di Venere osservò l’amica, esterrefatta, e quella le rivolse un cenno della mano per farle capire che era tutto ok.

«Discordia…?» domandò Daniel nel frattempo, con sguardo confuso. «E tu come lo sai?»

«Non ha importanza.» Camille si piazzò proprio tra Kiana e Daniel. Per la prima volta da quando avevano avuto la loro discussione, lo guardò dritto in faccia. «Il punto è che qualcuno ci sta davvero tradendo. Non possiamo fidarci gli uni degli altri.»

Daniel incrociò le braccia. «E da quando sapevate questa cosa?»

«Nemmeno questo ha importanza.»

«Quindi da un po’» intuì Daniel. «E quando pensavate di dirmelo?»

Calò il silenzio. Daniel fece vagare lo sguardo tra Camille e Kiana e quest’ultima alzò le mani, mortificata. «Daniel, ascolta…»

«Adesso lo sai» disse Camille. «Qual è il problema?»

«Come sarebbe “qual è il problema? Come possiamo fidarci se non ci diciamo le cose?»

Di nuovo, Cam rimase in silenzio, senza staccargli gli occhi di dosso. Kiana l’aveva vista guardarlo almeno un milione di volte, ed erano state tutte occhiatine di nascosto, imbarazzate, provenienti da una ragazzina impacciata e con le farfalle nello stomaco.

L’esatto opposto di come lo stava fissando proprio in quel momento. Gli stava scavando un buco in mezzo agli occhi solo con lo sguardo.

«Aspetta…» disse Daniel. «… voi… voi non vi fidate di me?»

Cercò conferma guardando verso Kiana, e lei si sentì soffocare per l’ennesima volta.

«Ultimamente ti comporti in modo strano, Daniel» cominciò Camille. «Diventi… aggressivo ogni volta che si parla di Ashley. Per non parlare di quello che hai fatto a Elias, o a quelle ninfe. E questi poteri che ti sono apparsi dal nulla…»

Daniel strinse i pugni. «Cosa vorresti insinuare?»

«Che cosa sappiamo di te, Daniel? Da dove arrivi? Chi sono i tuoi genitori?» Camille fece un passo verso di lui. «Perché Encelado ti conosce?»

Uno sbuffò di oscurità spuntò dal terreno, vicino alle gambe di Daniel. Il suo viso era diventato quello di una statua.

«Mi prendi in giro?» sibilò a denti stretti.

«R-Ragazzi?» bisbigliò Kiana, provando una sensazione di déjà-vu mentre quei due si scrutavano in cagnesco. L’aria divenne di nuovo satura di energia, al punto che le sembrò perfino di sentirne l’odore. «P-Per favore, calm…»

Il cielo crepitò. Tutti quanti, nessuno escluso, sollevarono la testa all’unisono. Solo in quel momento Kiana si rese conto dei nuvoloni neri che si erano addensati sopra le loro teste.

«Bene, bene, bene!» esclamò una voce orribilmente familiare.

Kiana spostò lo sguardo verso una delle pareti del canyon, vicino all’Occhio dell’Ago. Una decina di figure erano apparse proprio sulla cima di essa. In mezzo a loro, ne spiccava una con un’armatura d’oro massiccio e un mantello rosso che sventolava. Era lontana, ma la figlia di Venere poteva immaginare alla perfezione quegli occhi azzurri che la scrutavano divertiti.

«Ashley…» ringhiò Daniel.

Un coro di grida si sollevò: «Senatus Populusque Romanus

Le figure si alzarono in volo, a cavallo di dei pegasi e alcune bighe. Ashley invece non aveva nessuna cavalcatura: cominciò a fluttuare in aria da sola, proprio come aveva fatto durante lo scontro con Encelado.

I legionari atterrarono di fronte a loro e smontarono, tutti sguainando le armi. Penelope sussultò e indietreggiò fino a nascondersi dietro Kiana, mentre Cassie ridacchiava deliziata. «Adesso sì che siete nei guai...»

«Mh mh mh mh

«E sta’ un po’ zitto tu!»

Il vento ruggì sui tre ragazzi finché Ashley non toccò terra, un sorrisetto sardonico dipinto sotto l’elmetto.

«Maledizione…» sibilò Kiana.

Non avrebbe mai pensato che le cose sarebbero precipitate ancora di più. Se prima era nella padella, ora era dentro un falò alto quattro metri. Strinse la presa sulla lancia, mentre la figlia di Giove li osservava uno per uno, il corpo crepitante di elettricità e il cielo sopra le loro teste che continuava a borbottare.

«Ed ecco i nostri traditori.»  

 

   
 
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