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Autore: ArrowVI    17/06/2022    1 recensioni
Gli umani regnano su Gaia, ma le pietre di questo continente trasudano memorie di creature ben più antiche e potenti.
Sono passati circa diciassette anni da quando l'imperatore dei Dodici Generali Demoniaci è stato imprigionato nel mezzo di questo e un altro mondo... Ma, ormai, il sigillo che lo teneva rinchiuso sta cominciando a spezzarsi.
Cosa accadrà quando Bael sarà libero? Verrà fermato o porterà a termine il piano che, diciassette anni fa, gli è stato strappato dalle mani?
Quattro nazioni faranno da sfondo a questa storia:
Mistral, Savia, Asgard ed Avalon.
Io vi racconterò di quest'ultima......
Come? Chi sono io? Non ha importanza, per adesso...
Umani contro Demoni... Chi sarà ad uscirne vincitore?
Se volete scoprirlo allora seguitemi... Vi assicuro che non rimarrete delusi dal mio racconto.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 14-4: Seryu Alcher [2-2]





 

Attenzione, Trigger Warning:
Questo capitolo contiene implicazioni di violenza fisica inflitta su se stessi,
temi inerenti al suicidio, danni mentali e depressione che potrebbero causare
angoscia ad alcune persone. 






 


Se dovessi usare una singola parola per descrivere la mia vita fino a questo punto, per quanto possa essere stata corta... Credo che sceglierei "disperazione".

Per molto tempo pensai che avrei vissuto una vita simile a quella di tutti gli altri. Nonostante mio padre fosse un soldato, trovò sempre del tempo libero da trascorrere insieme a me e a mia madre. Non fu però una infanzia tutte rose e fiori... Essendo figlio di un Generale, spesso e volentieri fui obbligato a vederlo partire per missioni da cui sarebbe potuto non tornare. Mi obbligò più volte a sottopormi a strazianti allenamenti per sviluppare le mie abilità nel controllo del Ki che, per quanto lui dicesse, fossero davvero fuori dal comune.

Ciononostante, ne fui felice. Ogni minuto trascorso con lui, per quanto fosse strano e contorto come pensiero, era un minuto che lui trascorreva con me. Accettai sorridendo quegli allenamenti, sapendo che in quei momenti lui fosse con noi.



Un giorno, al rientro da una missione durata quasi undici mesi, mio padre tornò a casa con in braccio una bambina di appena qualche mese. A quel tempo avevo appena cinque anni, ma ricordo perfettamente l'espressione confusa che vidi nel volto di mia madre.

"Di chi è questa bambina?"
Gli domandò... Ripensandoci, credo che lei sapesse quale fosse la risposta a quella sua domanda.

Ci disse che quella bambina fosse sua figlia, nata durante quella missione. Mia madre non disse nulla: lo fissò in silenzio per non so quanti minuti senza che mio padre ricambiasse il suo sguardo.
Solo anni dopo venni a sapere che quella non fu la prima volta e compresi cosa significasse effettivamente.


Mia madre non aggiunse altro.
Senza smettere di fissarlo prese in braccio quella bambina, per poi chiedergli di entrare in casa.


Marianne fu il nome che le diedero.
Non so chi fosse la sua vera madre, mio padre non me ne parlò mai. Nonostante tutto, mia madre accettò quella bambina a braccia aperte decidendo di crescerla come se fosse la sua vera figlia.


Con il tempo, il legame tra me e Marianne si fece molto profondo, nonostante non avessimo la stessa madre, e per me lei divenne una vera sorellina dalla quale non riuscii a separarmi. Pensai che saremmo cresciuti insieme, che sarei sempre stato li per aiutarla e che non l'avrei mai abbandonata.



Non l'avrei mai abbandonata.
Mai.

Mai...



Fu quel giorno che il mondo decise di rivoltarsi contro di noi.
Quella orribile mattina nostra madre cadde improvvisamente al suolo, mentre preparava la nostra colazione, e perse i sensi. I suoi lunghi capelli bianchi vennero rapidamente coperti dal sangue che lentamente cominciò a uscirle dalle orecchie e dal naso.

Quando riaprì gli occhi si ritrovò distesa su un letto di ospedale... Da quel giorno, non fu più in grado di muovere le sue gambe.
Furioso nostro padre chiese spiegazioni ai medici, ma nessuno riuscì a dargli ciò che stesse cercando. 
L'unica cosa che riuscirono a dirci fu...


"Non sappiamo cosa le sia successo. Abbiamo fatto delle analisi, e non abbiamo trovato nulla di anomalo."


Per qualche settimana nostra madre rimase nel letto di quell'ospedale, senza riuscire a rialzarsi in piedi.
Tredici giorni dopo, accadde l'impensabile: all'inizio pensammo che tutto si fosse risolto. Quel giorno riuscì a rialzarsi dal letto e festeggiammo davanti a lei in quella stanza di ospedale.
Poi cadde ancora una volta al suolo dopo appena pochi minuti. Stavolta ancora più sangue cominciò a uscire dal naso e dalle orecchie e fu portata immediatamente via dai dottori.


"Non possiamo curarla."
Furono le loro parole.

"Ha mostrato sintomi di una malattia che pensavamo fosse scomparsa più di duecento anni fa... Non abbiamo nulla che possa aiutarci a curarla."

"Pensiamo non le restino più di due mesi di vita."



Il mondo sembrò andare in frantumi davanti a me. Quelle parole, sperai di essermele immaginate. 
Ma realizzai nel peggiore dei modi che fossero realtà.

Il legame che avevo con mia madre era così profondo che non fui in grado neanche d'immaginare un futuro senza di lei. Rimasi al suo fianco per giorni, trattenendomi dal piangere e dal disperarmi, mangiando a malapena il necessario per non morire di fame. 
Non la lasciai da sola neanche per un minuto.


"Sei forte, Seryu"
Mi disse quel maledetto giorno, sorridendomi.

"Voglio che tu rimanga vicino a Marianne anche per me, in futuro, va bene?"
Mi domandai per quale motivo mi stesse dicendo quelle cose. Non riuscii a capirlo, o forse provai a ignorarlo.

"Proteggi la tua sorellina e aiutala quando avrà bisogno di te"



"Ti voglio bene, Seryu. Sei la mia stella nel cielo."



Il giorno dopo mia madre non si svegliò più.
Mi chiusi nella mia stanza per una settimana intera, senza vedere la luce del sole neanche una volta. Non piansi, non urlai, non dissi nulla.
Per qualche motivo, decisi di tenermi tutto dentro.
Le sue parole continuarono a riecheggiarmi in testa... Non fui in grado di pensare ad altro.

"Lo farò"
Dissi a nessuno, quasi come se mi aspettassi che lei, in qualche modo, avesse sentito quella mia risposta.



Qualche anno dopo, mio padre partì per un'altra missione che sarebbe durata qualche giorno. Non era nulla di pericoloso, ma non poté rifiutare l'incarico.
Rimasi da solo a casa con Marianne e, per distrarci un po', decisi di accompagnarla davanti al lago per fare una camminata mattutina insieme a lei.

Se non l'avessi fatto... Sarebbe ancora con me?


Durante quella camminata, vidi una figura nel mezzo della boscaglia. Era una figura muscolosa con un'armatura argentea e capelli corti rossi come il fuoco. 
Le sue sclere nere come la pece e aveva degli strani segni tribali sul viso.

Non fui in grado di oppormi a lui, non fui in grado di proteggere mia sorella.


"Marianne!"
L'unica cosa che fui in grado di fare fu allungare una mano nella sua direzione, mentre lui la portò via da me per qualche motivo a me ignoto.


In quel momento... La promessa che feci a mia madre, la mandai in frantumi.


Non fui abbastanza forte da proteggerla.
Non fui in grado di starle accanto anche per lei.
Fu li che tutta la mia frustrazione e la mia disperazione scoppiarono in lacrime che non fui in grado di trattenere, lacrime che anche se avessi pianto per anni non si sarebbero fermate.


Invece di inseguire quella figura, scappai. Tornai al villaggio, chiesi aiuto ai soldati... Ma non la trovarono.
Nessuno di loro riuscì a trovare mia sorella.


Quando mio padre tornò a casa, mi trovò distrutto e solo. 
Mi domandò cosa fosse successo, e davanti alla mia risposta mi abbracciò.

"La troverò e la porterò indietro"
Pensai davvero che ci sarebbe riuscito. 

"Lascia che venga con te!"
Urlai, prima che uscisse. Volevo aiutarlo, volevo ritrovare Marianne. Ma lui rifiutò.

"Non sei ancora pronto, non voglio che tu rimanga ferito. Non posso proteggere te e combattere un demone allo stesso tempo"


Quando lo ritrovarono, fu in mezzo alla foresta dove scomparve anche mia sorella, insieme ad un gruppo di soldati...
Fatti a pezzi dalla sua stessa spada.



Mi domandai per quale motivo il fato avesse deciso di strapparmi tutto. 
Avevo fatto qualcosa di sbagliato? Era, forse, una maledizione?
Le persone all'inizio mostrarono compassione nei miei confronti, ma quella compassione si trasformò rapidamente in paura.

"Il ragazzino maledetto"
"Fai attenzione, non avvicinarti troppo o sparirai anche tu"
"La sua sola presenza è abbastanza da lanciare una maledizione nel villaggio"


Il pensiero che la causa di tutta quella disperazione fossi io, cominciò rapidamente a farsi largo nella mia testa. Mi chiusi in casa per giorni, nella mia stanza, senza mangiare e senza alzarmi dal letto.
Non feci nulla, non dissi nulla, non pensai a nulla. 
Era come se fossi morto. In un disperato tentativo di far sparire il dolore mentale, pensai di sostituirlo con uno più... Fisico.

Fu in quel momento che ebbi quei pensieri... Pensieri che avrebbero dovuto terrorizzarmi, ma che non lo fecero.
Scesi nella nostra cucina e afferrai il primo coltello che trovai nel tavolo. Rimasi a fissarlo per non so quanto tempo, perso nei miei pensieri.

"Non c'è differenza con le altre volte, vero?"



Non ne fui in grado. Fui troppo debole anche per farla finita.
Lasciai andare la presa e scoppiai in lacrime ancora una volta.


Debole.
Inutile.
Maledetto.
Delusione.
Sono morti a causa tua.

Guarda cosa hai fatto.


"Fratellone!"
Se fossi stato più forte, avrei potuto salvare Marianne.

"Non sei ancora pronto."
Se fossi stato più forte, avrei potuto aiutare mio padre.

"Sei forte, Seryu."
Le parole di mia madre furono come coltelli nel mio cuore.
Mi sentii come se fossi intrappolato dentro una palude costruita da tutti quei miei sentimenti, senza via d'uscita. Indifferentemente da ciò che provai a fare, non fui in grado di togliermi di dosso quei sensi di colpa.

Abbandonai mia sorella a un fato sconosciuto, mentre lei chiamò il mio nome nella speranza che potessi aiutarla.
Ruppi la promessa che feci a mia madre, poco prima che morisse.
Se avessi aiutato mio padre, forse lui sarebbe ancora vivo.

Quei pensieri si aggiunsero a tutti gli altri. 
Giorno dopo giorno continuai a sprofondare sempre di più dentro quella palude puzzolente e terribile dalla quale volevo liberarmi.
Ogni mattina, aprendo gli occhi, sperai di vederli davanti a me. Sperai che fosse solo un incubo e che sarebbe finito, prima o poi.

 Ogni mattina, realizzai la disperazione di dover vivere senza di loro.


Ogni notte vidi i loro volti disgustati e furiosi.

"Mi hai abbandonata, fratellone"
Volevo aiutarti, Marianne!

"Avevo fiducia in te, Seryu. Perché hai rotto la nostra promessa?"
Non l'ho fatto... Non potevo...

"Sapevo che fossi debole. Sono morto perché non hai potuto aiutarmi"
Volevo aiutarti, ma...!


"E' colpa tua."


Mi dispiace... Mi dispiace... Mi dispiace midispiacemidispiacemidispiacemidispiace---------------




Quell'oscurità continuò ad avvolgermi sempre di più. Mi sentii intrappolato dentro una bolla nel fondo dell'oceano, legato ad un masso che m'impediva di risalire in superficie.
Decisi di abbandonare Mistral per lasciarmi alle spalle quel posto... Non volevo più vedere quella casa, non volevo più sentire addosso gli sguardi delle persone che credevano fossi una maledizione nel corpo di un ragazzino. 


Nel mezzo di quella disperazione, un giorno un uomo si avvicinò a me e riaccese la luce della speranza.
Mi mostrò una foto di una ragazza, scattata ad Avalon. Non so come la ottenne, ma mi disse che non appena la vide pensò immediatamente a me.
Erano trascorsi anni da quando Marianne venne rapita, ma realizzai istantaneamente che quella fosse lei.


Marianne è ancora viva.

In quell'istante scoppiai ancora una volta in lacrime, ma, per una volta, non furono di disperazione.



Dovevo trovarla. Dovevo chiederle scusa per averla abbandonata, dovevo rimediare alla promessa che non fui in grado di mantenere.
Partii quindi per Avalon, lasciandomi tutto il resto alle mie spalle. Quella foto... Non riuscii a smettere di fissarla durante il tragitto.

"Ti troverò, Marianne."



"Mi dispiace."




Quando tornammo nell'infermeria, fu Jessica la prima a notarci.

<< Dove eri finito, Seryu? >>
Ci domandò, non appena varcammo la soglia.

Ehra cominciò a parlare con loro, ma io per qualche motivo non ne fui in grado.

Quando sollevai lo sguardo, però, la scena che vidi davanti a me mi sembrò fin troppo familiare.



Ehra stava accarezzando i capelli di Jessica, mentre Xane le stava fissando con braccia conserte e sorridendo.
Mi tornò in mente una scena di quando mia madre era ancora in vita... Era una mattina d'inverno e aveva appena preparato delle cioccolate calde. 

Mia madre era solita accarezzare i capelli di Marianne, e quel giorno non fu diverso. Anche nostro padre era in quella stanza, seduto al loro fianco, nello stesso tavolo, intento a bere anche lui quella cioccolata calda. Aveva le braccia conserte e stava sorridendo.


Vedendo Ehra, Jessica e Xane, per un istante vidi di nuovo quella scena.
Non fui in grado di trattenerle.

Ancora una volta sentii le lacrime rigarmi il volto.

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Fine del capitolo 14-4, grazie di avermi seguito e alla prossima!



 

   
 
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