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Autore: Eevaa    25/06/2022    9 recensioni
Erano solo dei bambini.
Non conoscevano niente dell'universo, dei pericoli del cosmo. Ancora non sapevano che dietro l'angolo li attendesse un destino da schiavi, mercenari.
Nessun pianeta sul quale tornare, nessun castello, niente più notti stellate sul promontorio di Vegeta-Sei, niente più folle di persone acclamanti al loro ritorno.
Solo sangue, conquiste, distruzione, contrabbando, fallimenti, corse solo andata.
Erano solo dei bambini, ma avrebbero imparato a crescere in fretta.
[Un doloroso scorcio sull'infanzia e sull'adolescenza di Vegeta]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nappa, Radish, Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Across the universe - La serie'
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.

Attenzione: in questo capitolo ci saranno numerosi accenni all'abuso di alcol e droghe, e anche alla prostituzione.

 

- MERCENARI -

Capitolo 7
Vuoto




Gli anni passavano, il numero dei morti sotto le sue mani aumentava. L'odio verso Freezer cresceva, mentre il desiderio di vendetta strabordava.
Vegeta sempre più cattivo, Vegeta sempre più meschino. Taciturno lo era sempre stato, ma nelle notti trascorse a osservare la vastità del cosmo, i silenzi erano pieni di rumori. Di urla, di preghiere.
Si era convinto di essere sempre stato così, di non aver mai provato gioia nella sua vita se non quando uccideva. Aveva dimenticato.
Aveva dimenticato Vegeta-Sei, aveva dimenticato sua madre. Aveva dimenticato le prime missioni, le giornate di allenamento al tramonto. Aveva dimenticato che anche dopo la tragedia dell'estinzione della sua razza ci fossero state giornate illuminate dal sole. Poche, ma c'erano state. Ma lui le aveva dimenticate. Per lui esisteva solo la gloria, la sensazione di onnipotenza quando uccideva e si crogiolava in una vendetta indirizzata verso le persone sbagliate.
Ogni volta che recideva una vita, si immaginava il volto di Freezer. E invece c'erano occhi di bambini, di mamme, di fratelli e sorelle che lo osservavano nell'istante prima di morire. Lui non li vedeva. Lui vedeva solo Freezer.
Rideva, ma era una risata meschina. Non ricordava di aver mai riso per qualcos'altro. Aveva dimenticato anche quello, di quando era bambino.
Vegeta odiava e basta. E, mentre i suoi ridicoli sottoposti avevano imparato a godersi la vita per la merda che era, lui era concentrato solo nell'obiettivo di diventare più forte, più cattivo, più meschino per poter completare il suo obiettivo di vita: uccidere.


Era solo un ragazzo di ventitré anni, ma sulle spalle ne portava il triplo. Era già vecchio, un vecchio che si ubriacava di vendetta e di superalcolici che sapevano di benzina.
Non amava bere, ma spesso bere lo aiutava a lasciare andare il peso di quegli anni, a sopportare le nottate nelle taverne fumose di quegli attracchi portuali negli angoli remoti della galassia, mentre i suoi compagni ridevano e abbordavano prostitute con i soldi che Radish vinceva a Sabaq. Nappa non aveva mai imparato a giocare, e le loro finanze extra erano affidate a un disonesto pilota con la faccia da cazzo.
Radish era cresciuto ma non era cambiato molto: sotto sotto conservava l'entusiasmo di quel bambinetto spaccone, anche se talvolta si incupiva ed esagerava con l'alcol e le droghe che giravano ai mercati neri. La sua grande passione per le astronavi era stata lentamente surclassata da quella per le prostitute. Non solo, a dire il vero. A volte rimorchiava gente a caso in giro per il cosmo senza che dovesse sborsare un centesimo perché, a differenza di Nappa – che a volte pagava il sovrapprezzo per essere brutto come il peccato – Radish poteva essere considerato di aspetto gradevole. Vegeta aveva ben da ridire, ma si limitava a domandarsi cosa potesse spingere le persone a portarselo a letto.
Vegeta invece odiava le prostitute, ma a volte si era ritrovato costretto a cedere. Quando era più ubriaco, annoiato, quando sentiva di non aver proprio nulla da perdere e voleva riempire i suoi silenzi assordanti con ansiti e gemiti. Ma, al contrario di Radish che millantava di innamorarsi di ogni puttana che gli aprisse le gambe, lui era incapace anche solo di concepire un concetto così astratto come l'amore.
Vegeta odiava e basta. Non amava.
E quando si trovava con la bocca di qualche signorina compiacente sull'uccello, odiava uguale.



Neanche l'orgasmo servì a levargli la rabbia di dosso, mentre stringeva le cosce di quella ragazza con i capelli viola. Le lasciò i lividi sulla pelle color latte, ma era già tanto se non aveva deciso di ucciderla appena finito l'amplesso. Si lasciò cadere sul materasso puzzolente di quel bordello e le diede le spalle, col sudore che gli colava nel colletto dell'armatura. Lui non si spogliava mai più del dovuto.
Si sporse verso i pantaloni gettati a terra e prese una sigaretta. Se l'accese con distrazione, mentre il fumo gli bruciava la gola e gli ingialliva i calli sulle dita.
Quando lei provò a mettergli una mano tra i capelli, la schiaffeggiò.
«Non mi toccare» ordinò perentorio, e questa esplose in una risatina. Si sdraiò vicino a lui e si accese una sigaretta a sua volta.
«Quindi... mi dirai mai come ti chiami, bel ragazzino?» domandò lei, con quei grandi occhi rosa che la rendevano appetibile ma al contempo insopportabile.
«Non lo farò».
Non gli piaceva parlare con le prostitute. Nessun coinvolgimento emotivo, solo mera attrazione sessuale che si esauriva come la fiammella di una candela.
Anche se era già la terza volta che capitava tra le mani sapienti di quella puttana. Ogni volta che attraccavano lì, al porto mercantile di Aru, Vegeta cedeva alla sua bellezza eterea.

«Caspita, non ti sbottoni proprio» ridacchiò lei.
«Se non stai zitta ti taglio la gola».




Alla quarta volta la gola gliel'aveva tagliata davvero, quando aveva cercato di baciarlo. Lui non baciava, non abbracciava. Lui non dava affetto, nemmeno piacere.
Ma ora che erano al quinto attracco su Aru, un po' Vegeta si era pentito di averla uccisa. Non aveva trovato nessuna prostituta degna di nota - mentre quei due inetti dei suoi sottoposti si accontentavano sempre degli scarti della galassia di qualsiasi sesso e aspetto pur di scopare – e quindi si era dato all'alcol di bassa lega.
Solo, in quella taverna, con una sigaretta stropicciata in bocca e un vattelappesca servito in un bicchiere scheggiato. Ne aveva già bevuti abbastanza per avere il contro-effetto: non la testa più vuota, ma la testa più pesante e i pensieri intrusivi che galoppavano.
Il sapore di fumo gli riempì la bocca e non sapeva se essere più disgustato da quello, dall'alcol, dalla puzza di frittura scadente o il profumo dolciastro delle signorine che si approcciavano di tanto in tanto. Avvertiva il dolore ai muscoli di una purga planetaria recente, e la sola voglia di stringere tra le mani il collo di qualcuno e guardarlo soffrire, rivedere in costui gli occhi di Freezer.
Ne stava diventando ossessionato.
Aveva mal di testa e il sudore di quella notte torrida nelle pieghe della pelle. Si alzò con la sola intenzione di infilarsi nella stanza pulciosa di quell'alloggio e dormire ma, giunto nel corridoio, sobbalzò alla vista della carcassa di Radish riversa contro un angolo. Aveva del vomito che gli colava dalla bocca, e una confezione di pastiglie stretta tra le dita.
Vegeta ringhiò. Quella nuova droga che circolava era la peggiore schifezza galattica e, nonostante gliene fregasse poco o niente che Radish si rovinasse la salute con quella robaccia, avevano una fottuta dignità da mantenere quando erano in giro per gli attracchi.
Quanto ci avrebbero messo i soldati di Freezer a far girare la voce e rovinare la reputazione della squadra? E quanto ci avrebbero messo ad approfittarsene del corpo inerme di quel coglione?
Ingoiò il pensiero e lo nascose nell'angolo insieme all'empatia che non gli apparteneva più da tempo e, barcollando, lo afferrò con rabbia e lo spinse oltre una porta di servizio, fuori, sotto una pioggia scrosciante.
Lo sollevò contro il muro e lo schiaffeggiò, furioso.
Il contatto con l'acqua fresca e le percosse gli fecero aprire gli occhi, ancora troppo annebbiati, confusi.
«Cosa cazzo hai fatto, Radish?» gli urlò Vegeta, dritto in faccia, a un palmo di naso.
Radish sussultò, ma non sembrò nelle condizioni di ribattere.
«Riprenditi o ti giuro che ti ammazzo con le mie stesse mani» lo sbatté ancora più forte con la schiena contro il muro, mentre la pioggia inzuppava i loro vestiti e appiattiva i loro capelli.
Quei ciuffi che Vegeta aveva imparato a tenere a bada gli caddero sulla fronte, rendendolo il fantasma di un bambino che viveva nella bambagia di un mondo che credeva essere perfetto.
«Non voglio uccidere le puttane» biascicò Radish, stanco.
Vegeta inarcò un sopracciglio e mollò la presa sull'armatura, una volta che il coglione fu in grado di mantenersi in piedi da solo.
«Cosa?»
Radish si appoggiò con la testa contro il muro e si passò una mano sul volto.
«Nappa mi ha detto di ucciderle sempre tutti, dopo che finiamo di... io non ho mai voluto. Stavolta... non ho fatto apposta, ero incazzato e l'ho uccisa, l'ho strangolata».
E quindi aveva pensato bene di drogarsi per dimenticare di avere tolto una vita senza un perché. Che patetico, debole, idiota!
«Perché tu sei sempre il solito coglione che si lascia impietosire per niente. Ne abbiamo già discusso di questa cosa della pietà, pensavo che a ventiquattro anni suonati sapessi fare il tuo fottuto lavoro» gridò Vegeta, furioso e troppo ubriaco per trattenersi.
Forse quella sarebbe stata la volta buona che l'avrebbe ucciso, solo per essere così inutile, così emotivo. Non c'era spazio per le emozioni, nell'universo.

Quella volta però anche Radish era troppo ubriaco per trattenersi e incassare.
«So fare il mio lavoro. So uccidere se mi viene richiesto. Peccato che il mio lavoro non sia uccidere le puttane» ringhiò, frustrato, velenoso. Vegeta spalancò la bocca, non era tipico di Radish sputare veleno su qualcuno che non fosse Zarbon o Dodoria. Non era da lui mostrare frustrazione. Quando si incupiva e non si capiva il perché, lui beveva e collassava da qualche parte. Invece ora stava urlando sotto la pioggia, in faccia a Sua Maestà. «Il mio lavoro doveva essere conquistare i pianeti per un compenso decente e poi tornare a casa. Invece stiamo vagando a fare un cazzo per questo universo osceno, sottopagati! Trattati come pezze da culo, schiavizzati da uno stronzo! Mercenari alla stregua di un folle, senza riuscire a guadagnare un soldo bucato per comprare una monoposto a testa e costretti a viaggiare con quel merda di coso. Il mio lavoro non dovrebbe essere questo, eppure lo è! Ma almeno se io decido una – UNA FOTTUTISSIMA – cosa nella mia vita, che è quella di non uccidere la gente con cui vado a letto, lasciatemi cazzo fare-»
Vegeta gli sferrò un pugno sulla mandibola, e questi cadde a terra.
Non poteva sopportarlo. Non poteva ascoltare quelle cose, quei pensieri, perché erano i suoi. Perché quella frustrazione era anche la sua, e non poteva accettare che anche un cretino come Radish provasse lo stesso. Lui che era il moccioso che rideva sempre, che non pensava mai, che riusciva a godersi quella vita orribile e quindi Vegeta lo detestava anche per quello.
Odiava che Radish provasse la sua stessa frustrazione, e lo odiava anche di più perché in quel momento Vegeta era troppo poco lucido per poter controbattere. Si inginocchiò e lo afferrò di nuovo per il bavero, puntandogli un dito contro.
«Il tuo lavoro è fare quello che ti dico io, e quello che ti dico io adesso è di smetterla di autocommiserarti, cazzo! È già...» si interruppe proprio dove desiderava interrompersi. Non ci riuscì. «È GIA DIFFICILE COSÌ! Che cazzo... pensi che io... pensi che io ne sia contento? Eh?» ringhiò e provò a costringersi a trattenere tutto, ma non riuscì. Era troppo, troppo tempo che l'odio fermentava nelle sue viscere, troppo per non esplodere come un palloncino pieno di ira. «Eh? Pensi sia felice di stare a fare il servo di quello stronzo a farmi calpestare? Dopo che quel bastardo ha...» no, quello non avrebbe potuto dirlo. Se l'era ripromesso e sarebbe stato un segreto. Deglutì e guardò la pioggia lavare il sangue che usciva dal labbro di Radish, dopo il suo attacco. «Secondo te sono contento di condividere l'ossigeno mentre viaggio con voi due stronzi su quel trabiccolo infernale?! NO CHE NON LO SONO! Quindi smettila di rigirare il dito nella piaga! E smettila di drogarti di questa robaccia, sei già coglione di tuo!» gridò e, infine, mollò la presa e si lasciò cadere con la schiena contro il muro.

Fradicio, arrabbiato, con la dignità arricciata, la coda irta e le orecchie piene dello scrosciare della pioggia. L'alcol gli era salito alla testa, non riusciva più nemmeno a ragionare. Eppure si sentiva vuoto.
Era quella, la sensazione di perdere il controllo? Di mostrare di essere umani, di non essere granitici, di mostrarsi più deboli? La detestava, ma al contempo aveva la sensazione sulla pelle che avrebbe potuto dormire per sempre, dopo tutto ciò.
Radish lo fissò preoccupato, sconcertato – e come biasimarlo – da quell'improvvisa confessione.
«Vegeta...?»
«Vai a farti fottere, Radish» soffiò, stanco.
Il cretino si trascinò a fatica accanto a lui, spalmato con le spalle al muro, le gambe divaricate, e la postura di chi avesse deciso di lasciarsi andare.
«Spiacente: c'è già Nappa impegnato in tale attività con un tizio, lì dentro» sbuffò infine, lanciandogli un'occhiata smaliziata.
Vegeta gliela restituì e... a quel pensiero, gli sfuggì un sorrisetto.
Sghembo, storto, stupido. Sorridere? Sorridere divertito? Non ricordava di averlo mai fatto. Lui aveva dimenticato.
Radish strabuzzò gli occhi, con la faccia di chi avesse appena assistito all'apparizione di un Kaioh.
«Cosa diavolo hai bevuto?!»
Vegeta si portò una mano alla bocca per coprire quell'angoletto sollevato. Sì, decisamente aveva bevuto troppo. Era conciato da far schifo, e quindi decise di arrendersi a tutto ciò. Ci avrebbe pensato l'indomani a rialzarsi, a odiare, a uccidere, a essere un mercenario con troppa sete di potere e vendetta.
Quella sera voleva solo essere vuoto.
«Una sola parola su questo, e ti ammazzo» si raccomandò.
Radish ridacchiò, poi mimò una cerniera che gli chiudeva le labbra e serrò gli occhi.
Tutto traballò, le luci della taverna, le gocce di pioggia. Vegeta si lasciò trasportare dal vuoto che sentiva, e si addormentò.


 


«MA COSA...?!»
Il risveglio non fu dei migliori, quando le prime luci dell'alba baluginarono tra le ciglia, la pioggia aveva cessato di cadere. Ma avvertiva freddo, umido fin dentro le ossa.
Aprì gli occhi a fatica e Radish grugnì al suo fianco, quindi Vegeta si ricordò di quello che fosse successo. Il desiderio di ucciderlo e uccidere chiunque su quel pianeta venne però superato dalla tremenda sensazione di avere un piccone piantato nel lobo frontale.
Nappa, che aveva finito finalmente di farsi fottere da quel tizio con cui era sparito ore prima, sostava lì davanti a loro a braccia larghe.
«Cosa... cosa diamine ci fate qui fuori?! Non mi dite che avete dormito qua!» esalò, costernato.
«Nappa Nappa, Nappa, shhht... non urlare, mi rimbomba tutto» rispose Radish, con le dita schiacciate sulle tempie.
«Perché hai la testa vuota, razza di cretino! Alzati!» gli gridò, sferrandogli un calcio sugli stinchi. «Kaioh... siete grandi per queste stronzate. Mi sembra di essere tornato a quando eravate due mocciosi, quando dovevo rincorrervi quando vi perdevate in giro per gli attracchi, o vi nascondevate per combinare qualche guaio. Non ho più la forza per questo!» grugnì.
Vegeta avvertì il desiderio di omicidio più forte che mai. Anche perché ogni singola parola scandita con troppa forza spingeva quel piccone più a fondo nel suo cranio. Si alzò e gli si piantò davanti, minaccioso, con gli occhi rossi e tutti i capelli schiacciati dall'umidità.
Erano finiti i giorni in cui aveva bisogno di un tutore legale. Erano finiti i giorni in cui lui e Radish dovevano nascondersi o sfuggire a Nappa per compiere azioni illegali, non erano più due bambini. Vegeta era adulto, oramai. E come tale, aveva tutto il diritto di conciarsi da schifo e dormire per terra come un animale.
«Nappa, chiudi quella cazzo di bocca» ringhiò. «E non ti permettere mai più di trattarmi come un bambino, ricordati con chi stai parlando!»
Nappa si ammutolì e fece un mezzo inchino. «Chiedo perdono, Maestà».
Ma oramai Vegeta non lo stava più ascoltando, mentre camminava fiacco in quel vicolo stretto con la sola intenzione di farsi una doccia calda e continuare a dormire per tutta la dannata giornata.


 


Non aveva dormito un granché. Aveva perlopiù trascorso il tempo ad auto-fustigarsi per aver manifestato una qualsivoglia emozione, la notte prima. Ceduto di fronte a Radish, ceduto soprattutto con se stesso. Eppure ricordava con piacere quella sensazione di vuoto, di tensione sciolta, quindi si detestava di più.
Col passare delle ore il mal di testa si era attenuato, ma si era aggiunto quel prurito alle mani, condanna di ogni volta che riceveva sul proprio Scouter la notifica di una nuova missione. Un sopralluogo sul pianeta Shikk. Niente morti, solo ricognizione, raccolta dati.
Quando giunse all'astronave pronto per partire per il cosmo, però, trovò Nappa intento a scavare una fossa con i piedi nella fanghiglia, mentre camminava avanti e indietro.
«Quel moccioso è sparito di nuovo!» ringhiò, furibondo.
«Sparito?! In che senso sparito? Sarà a puttane!» sbuffò Vegeta.
«Non lo trovo da nessuna parte. Ha lo Scouter spento».
Non c'era niente che detestava di Nappa più della preoccupazione mascherata di rabbia quando si trattava di Radish, o di lui. Era sempre stato protettivo nei loro confronti, anche se lo aveva spesso manifestato con l'insofferenza di badare a due cuccioli di Saiyan.
«Se non arriva entro cinque minuti stavolta me ne vado senz-»
«Ehi, EHI!»
Radish spuntò da dietro l'angolo di una piattaforma meccanica, sbracciandosi baldanzoso. Vegeta lanciò un'occhiata torva a Nappa. Per fortuna l'aveva cercato dappertutto!
«Alla buon ora!» grugnì questi.
«Ragazzi... ho una sorpresa per voi!» annunciò il cretino, con un sorriso che gli tagliava il volto da orecchio a orecchio. Aveva ancora le occhiaie e gli occhi rossi dalla notte prima, ma il suo umore sembrava notevolmente migliorato. Sotto il labbro aveva ancora il segno del pugno incassato.
«Una sorpresa?» domandò Nappa.
«Ho già paura» aggiunse Vegeta.
Radish non perse la faccia strafottente e intimò loro di seguirlo oltre un paio di piattaforme di atterraggio. Il sole stava tramontando, in lontananza alcuni lampi di calore annunciavano una nuova tempesta. Quello era il pianeta più piovoso della Galassia dell'Est, il che rendeva sempre complesso atterraggio e decollo delle astronavi.

E, a tal proposito, giunsero in uno spiazzo dedicato alle monoposto, che sostavano mezze incassate in una pozza di melma fangosa. Si avvicinarono a un raggruppamento di tre navicelle, e fu lì che Radish allargò le braccia vittorioso.
«Ta-daa!»
Nappa e Vegeta si lanciarono uno sguardo stranito. Ta-daa?
«E queste di chi sarebbero?» chiese Nappa, allungando il collo verso quelle tre monoposto.
Radish estrasse dal corpetto della divisa tre pulsantiere quadrate in acciaio. Le chiavi di accesso.
Sua Maestà comprese, ma non poteva crederci.
«Nostre! Le nostre nuove astronavi» annunciò lui, vittorioso. «Ultimo modello, ragazzi! Hanno anche il sonno criogenico!»
Nappa strabuzzò gli occhi e lo scansò con una spallata, avvicinandosi a una di esse. «Non dire cazzate!» esalò, esterrefatto.
Quel tipo di navicelle costavano un occhio della testa, erano velocissime, operavano tramite sistemi avanzati di salti iper-spaziali automatici, permettevano un grosso risparmio di tempo, di noia. Il sonno criogenico permetteva di conservare le funzioni vitali tra uno spostamento e l'altro.
Su Vegeta-Sei erano utilizzatissime, ma allora i modelli erano vecchi e non possedevano il rilevamento automatico di piogge di meteoriti. Gli incidenti erano all'ordine del giorno, mentre in quel momento... beh, era merce rarissima. Ed erano oro, in confronto al rottame con cui si muovevano da decenni, lento e con i sistemi di difesa completamente rotti.
«Come diavolo hai fatto?» sussurrò Vegeta.
Radish gli lanciò un'occhiata furba.
«Ho fatto il mio lavoro» sussurrò, attento a non farsi sentire da Nappa. Un chiaro riferimento ai loro sproloqui della notte precedente. Vegeta strinse le labbra, ma poi Radish proseguì a voce più alta, decantando le proprie lodi con arroganza. «Ho rischiato giusto un pelo la vita – anzi, diciamo che sono vivo per miracolo - ma l'ho fatto! Del resto, ero sicuro di potercela fare. Sapete, gli ex proprietari sono degli strozzini molto, mooolto agguerriti. E poco raccomandabili. Uh, a proposito, meglio muoversi... prima che vedano il nostro vecchio rottame che gli ho ceduto e vengano a reclamarle di nuovo».
Nappa strinse gli occhi. «Le hai rubate?»
«No – e comunque lo sai, si dice “prese in prestito”» puntualizzò Radish, saccente. «Le ho vinte. A Sabaq».
«Barando» aggiunse Nappa, con le braccia incrociate al petto.
«Lo sai, si dice -»
«”Giocare con stile”» lo anticipò Vegeta, faticando a trattenere un certo compiacimento. Radish annuì con fierezza.
In fin dei conti Vegeta era un grande estimatore della filosofia “il fine giustifica i mezzi”.
«Moccioso, ogni tanto utilizzi quella grossa testa intelligente per fare qualcosa di utile» borbottò Nappa e, dopo avergli strappato una delle chiavi d'accesso dalle mani, si avviò a spiare l'interno di una delle astronavi.
Radish si voltò verso il Principe e si strinse nelle spalle.
«Almeno non dovrai più condividere l'ossigeno con noi due stronzi su quel trabiccolo infernale. Per tutto il resto... non ho potere» mormorò. Il sorriso si fece meno largo, meno menefreghista, forse un poco più umile. Radish non avrebbe potuto certo tirarli fuori dalla schiavitù, non avrebbe potuto fare niente contro Freezer, Dodoria, Zarbon, nessuno di loro. Tutto quello che poteva fare lo stava già facendo: offrire la sua conoscenza e il suo talento per i brutti affari per rendere il viaggio verso la conquista più comodo.
Va bene anche così, avrebbe voluto rispondergli. Vegeta avrebbe dovuto dirgli che aveva fatto un ottimo lavoro, ma non poteva. Non si era mai complimentato con nessuno dei suoi sottoposti, neanche quando era ovvio che stessero facendo bene. Perché ogni volta che facevano bene gli ricordavano quanto ancora non fosse in grado di cavarsela da solo. Lo viveva come un fallimento personale.
Quindi non c'era “grazie”, non c'era “ottimo lavoro”. Vegeta non ne era capace.
C'era il silenzio, e il silenzio era quanto di meglio Nappa e Radish potessero sperare, di solito.
Quel giorno, però, Vegeta riuscì a dire qualcosa. «Sei proprio un figlio di puttana».
E, beh... Radish comprese che nel gergo fosse quanto di più vicino a un complimento.
Ridacchiò e gonfiò il petto d'orgoglio.
«Il migliore della galassia!»



 
Continua...

Riferimenti:
-Pianeta Aru: non esiste nella saga, ma se non vi suona nuovo è perché l'avevo già inserito nella mia storia "HAKAI". 
-Le pillole che prende Radish, forse qualcuno se lo ricorderà, erano già state citate in "Across the universe", in un capitolo dice esplicitamente "le ho provate una volta sola e mi è bastato". Ecco, questa era quella volta :D
-Nella saga abbiamo visto che i Saiyan viaggiavano sulle monoposto, ma ai fini di questa storia ho voluto dare a loro tre fino a questo momento un'astronave in cui farli viaggiare insieme. La spiegazione che c'è in questo capitolo - ossia che al momento le monoposto siano tecnologicamente migliori del passato e siano merce rara - mi serviva prorpio per dare senso a tutto ciò che c'è stato fino a ora, oltre al fatto che prima fossero minorenni e quindi impossibilitati a viaggiare da soli. Ma, siccome questa storia è un prequel del canone, mi serviva riportarli a viaggiare con le monoposto :)

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente!
Avete visto? In questo capitolo c'è più di una gioia *-* ecco... la quiete prima della tempesta... ehm ehm! NIENTE! Non ho detto niente! xD
Che dire, so che molt* di voi shippano quei due e in questo capitolo è stato difficile non falri limonare duro sotto la pioggia, giuro. Prima o poi scriverò un universo alternativo in cui accade LOL.
Mancano solo due capitoli alla conclusione ma, gente... saranno due capitoli abbastanza tosti. Ma shhht, non dico null'altro.
Anzi, però vi anticipo una cosuccia: conclusa questa long pubblicherò finalmente anche l'ultima OS che darà conclusione alla saga di "Across the universe", e poi mi prenderò una pausa estiva fino a settembre.
Ma, nel caso doveste sentire la mia mancanza (LOL), sappiate che "Across the universe" può benissimo essere ricondotta anche a "Mercenari", quindi vi suggerisco quella lettura per completezza :D
Ora però bando alle ciance! Vi auguro buona domenica e a prestissimo!
Un abbraccio,
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
«Dimmi, Zarbon, quanto tempo ti ci sarebbe voluto per conquistare Shikk?» domandò.
Zarbon si leccò le labbra pallide e parlò con tono ruffiano. «Beh, un giorno sarebbe stato più che sufficiente».
«Ohohoh, sarebbe stato quindi un gioco da ragazzi...»
Vegeta tremò.

 
  
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