Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: epices    02/07/2022    24 recensioni
La storia inizia con il ritorno di Fersen su suolo francese dopo la guerra americana, ma gli eventi non saranno quelli noti, anche perchè il bel Conte non tornerà da solo.
“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”. (L. Pirandello)
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Un grido.
Il più acuto e straziante.
Il più lacerante di quelli affilati e velenosi che non gli davano tregua da ore.
Gli attraversò, saettando, la mente, rimbalzando da un angolo all’altro; un fulmine impazzito impegnato nell’inutile ricerca di una via di fuga per andare a scaricare altrove la furia che lo stava minando nel profondo da che quel nome sconosciuto, comparso una volta tra le mura che avrebbero potuto accogliere la sua nuova vita, era riemerso all'improvviso nella vita in cui aveva scelto di tornare, nonostante tutto, per provare ad afferrare qualcosa che ora sentiva di non meritare più.
C’era lei in quella vita, più proibita di quanto non fosse mai stata ora che la sua coscienza si era eletta a giudice supremo e, tra il sonno e la veglia, gli ripeteva ininterrottamente una sentenza senza alcuna possibilità di appello. Non c’era nessuna assoluzione per lui, nessuna possibilità di redenzione.

Desgranges

Un nome francese incontrato in un Paese dove si parlava un'altra lingua, riemerso dai fumi della memoria intrecciato indissolubilmente ad un altro. Di un'altra donna e di qualcosa che si faceva allo stesso modo ma non era amore. Un nome legato a Martha e alle sue cosce tese, di ebano liscio e lucido di sudore; minuscole stille che colavano piano lungo i muscoli torniti, fino alle dita dei piedi, puntati sulle coltri per assecondare le spinte...
I suoi diciott'anni all'incirca, forse un poco di meno, forse un poco di più; nemmeno lei aveva mai saputo dirlo con esattezza...

Desgranges

Un nome vergato in grafìa elegante su di un bossolo di legno chiuso in un cassetto e le dita di Martha avvinghiate alle lenzuola per resistere ad ogni affondo inferto al suo corpo agile di gazzella, la testa lanciata all'indietro ad esporre il collo liscio in cui pulsava distintamente la vita...
Martha e le sue labbra dischiuse in gemiti impossibile da trattenere...

Desgranges

Un grido.
Il più acuto e straziante.
Il più lacerante di quelli affilati e velenosi che non gli davano tregua da ore.
Lo strappò ad un sonno agitato in cui era precipitato senza nemmeno accorgersene, vinto dal logorìo lento degli ultimi giorni innalzatosi poi in un picco feroce nelle ultime ore.
Si svegliò di soprassalto, Andrè, sollevandosi di scatto con la camicia madida come in una notte d'agosto e un pugnale conficcato nell'anima che continuava indisturbato il suo lavoro. Era ancora vestito; aveva avuto a malapena la forza di togliere la giubba della divisa e scaraventare gli stivali non sapeva neanche bene dove, nell'inutile tentativo di alleggerire il peso che si portava addosso e nella consapevolezza che tanto non avrebbe chiuso occhio. Ci sarebbe stato tutto il tempo di rimediare ad eventuali danni prima che qualunque domestico della residenza von Fersen si fosse avventurato in quella stanza, la mattina dopo, quando forse sarebbe riuscito a pensare a mente lucida.
Non era tornato in caserma alla fine, preferendo la stanza silenziosa che Fersen gli aveva messo a disposizione e, avendo impersonato quel ruolo, la certezza di presenze discrete, che si sarebbero prodigate per non risultare ingombranti.
La stanza era ancora avvolta nel buio più completo, senza nemmeno il conforto di uno spiraglio di alba nuova, quando si ritrovò seduto sul letto con la testa tra le mani a cantilenare un solo nome, il più amato, quello da non dimenticare, in una preghiera sommessa frammista ai singhiozzi.
“Oscar...Oscar...perdonami”
Le parole affondavano, sepolte da altre, urlate in un altro luogo e in un altro tempo.

Andrè, Andrè aiutami! Aiutami!”

E poi riemergevano, disperate, perché non esisteva nulla di più importante.
“Perdonami...perdonami”
Era l'unica parola che era riuscito a spingere fuori dalle labbra quando, lottando contro la volontà che implorava tutt'altro, l'aveva lasciata sola ancora una volta per non opporsi alla sua richiesta risoluta. Non ne aveva avuto la forza - e come avrebbe potuto, proprio lui che sentiva di non meritare nemmeno di stare al mondo - quando lei, con gli occhi asciutti ma la voce che tremava, gli aveva chiesto di lasciarla andare.
Strinse con forza i capelli tra le dita come prima, in casa di Lassonne, quando aveva sollevato la testa e aperto gli occhi dopo attimi interminabili in cui si era domandato dove mai avrebbe trovato il coraggio di alzare ancora lo sguardo su di lei. Poi il lento fluttuare della tenda sospinta da bave di aria fredda attraverso la porta socchiusa, lo aveva richiamato fuori, nell'unico luogo al mondo in cui desiderava essere ma il solo in cui non si sentiva degno di stare.
Aveva scostato piano la stoffa permettendo ad una lama di luce di incidere il buio e arrivare a lambire gli stivali di lei che gli dava le spalle e stringeva con le mani il parapetto in pietra in una postura rigida che sembrava non tradire alcuna emozione.
Sarebbe sparita nel buio non appena avesse lasciato andare il drappo damascato che teneva tra le dita e aveva sentito di non poterlo più permettere.
Le si era avvicinato piano, quasi sfiorando il pavimento, con il passo smorzato da un reverenziale rispetto e attutito dal timore di varcare le soglie proibite di un cuore che avrebbe voluto tenere tra le mani e accarezzare con parole d’amore. E su quell'uscio si era fermato, pronto a bussare, ma il pugno stretto e colmo di mille frasi spezzate era rimasto sospeso a mezz'aria. Non l'aveva usato, infine, perché ad un passo da lei il cuore aveva urlato disperatamente il suo nome, aveva grondato amore e lacrime e preteso un abbraccio che attendeva da un mattino in cui lei non riusciva a guardarlo negli occhi.
Se l'era stretta addosso come avrebbe dovuto fare allora, catturandole le braccia tra le braccia, facendo aderire il petto alla sua schiena e nascondendo il volto tra i suoi capelli, senza il coraggio di dire una parola e la forza di impedire ai suoi occhi di bagnarsi in silenzio.


 

Lei aveva sgranato gli occhi sulla notte, sussultando per l'inaspettato calore che l'aveva avvolta.
Lo riconobbe immediatamente.
Era quello bramato nelle notti senza fine, dotato del malefico potere di sparire non appena il sonno si faceva più blando e la sua mano si allungava sulle coltri a sfiorare un corpo che non c'era; quello agognato senza pudore quando il fuoco che lui aveva appiccato riprendeva vigore, ardeva nel profondo e gridava insistentemente il suo nome.
Poi gli occhi li aveva chiusi in attesa che il suo cuore si abituasse alla presenza dell'altro, talmente vicino che quasi lo aveva avvertito battere al posto del proprio. In quegli attimi la sorpresa mutò nella rassegnata consapevolezza di doverlo ferire perché quella stretta disperata e i singhiozzi che gli sentiva trattenere in gola potevano avere un solo significato. Provò a parlare ma, inaspettatamente, arrivò dritta allo stomaco, come un pugno ben assestato, la certezza di non esserne in grado. Realizzò, come mai prima, che alla solitudine ci si abitua. Così anche alla dolceamara consuetudine di cullare i pensieri e tutte le loro sfumature per potercisi immergere a piacimento secondo quanto l'anima suggerisce. Era stato tutto solo suo per così tanto tempo da avvertire una forma di spiccata ritrosia nel dover condividere quei momenti trascorsi ad immaginare un futuro che non si aspettava e le ore tappezzate di dubbi in cui tentava di pensare per due.
Ma conoscendo l'animo buono di lui aveva la certezza si sarebbe caricato sulle spalle tutto il peso di un fardello troppo pesante da portare da solo. Seppe in un istante che non glielo avrebbe permesso e anche che lì, in quella casa e tra le sue braccia, non avrebbe mai trovato le parole giuste.
“Lo sai?”- aveva sussurrato stretta a lui ma senza abbandonarsi al suo abbraccio. Non c'era bisogno di tanta voce per parlarsi sul cuore, di notte, sul terrazzo di una città che ormai se n’era andata a dormire.
Non era riuscito a parlare, Andrè, sopraffatto da tutto ciò che quella donna rappresentava per lui, ma aveva annuito, sfregando la tempia contro quella di lei e affondando di più tra i suoi capelli. La notte avanzava e loro se ne erano stati lì, in un abbraccio che li riparava dal freddo ma che non sgonfiava il cuore, cercando parole difficili da trovare, con la voglia di conoscere e la paura di domandare.
Uno contro l'altra, tenendosi in piedi ad imparare che le parole possono anche non servire per fronteggiare un dolore.
“Andrè...”- aveva sussurrato lei dopo un tempo indefinibile in cui forse il mondo aveva smesso di girare.
“Non parlare, ti prego, non dire niente...”
L'aveva stretta di più per prendersi addosso frammenti di quella vita di cui non era stato testimone e un po' del suo coraggio a soppiantare quello che sentiva di non avere più. Per dirle che voleva esserci per lei che veniva pima di tutto.
Per lei che aveva sentito il tepore di lacrime non sue scenderle sulle gote e indovinato i suoi pensieri.
“Andrè...”- un altro sussurro.
Se l'era stretta addosso ancora di più mentre lei gli sfiorava una mano senza il coraggio di afferrarla.
“Andrè...non ti devi preoccupare per me, davvero...”
Lui aveva continuato a scuotere il capo, arruffandole i capelli, senza lasciarla.
“...è passato tanto tempo...”
Non accennava a muoversi, André, e la cingeva saldo come la roccia che per lei avrebbe voluto essere.
“Oscar...”- un filo di voce per tentare di chiedere ciò che non osava
“Ti dirò tutto ma non stasera, non qui, ti prego...”
Aveva annuito impercettibilmente, lui che non aveva il diritto di chiedere nulla, che tanto era impensabile non rispettare la sua volontà; aveva deglutito dolore e disprezzo per se stesso mentre sentiva una sola parola salire alle labbra.
“Per...”- perdonami stava per dire prima che il dolore, in uno dei suoi affondi, gli strappasse di nuovo la voce. Lei, interpretando erroneamente quelle poche lettere, rivelò invece la sua verità.
“Perchè qui fa ancora male”
Non la poteva certo trattenere, André, lì dove faceva male e allora aveva allargato le braccia facendole scivolare lentamente su quelle di lei e l’aveva lasciata andare.
“Perdonami”- era riuscito a dire con voce finalmente ferma mentre lei rientrava in casa dopo avergli lasciato un sorriso provato e una carezza lieve sul viso.

***

Li vide uscire, Lassonne, dalla finestra della stanza da letto che affacciava sulla strada, proprio sopra l'ingresso rischiarato da un paio di lampioni che, il caso aveva voluto, la municipalità di Parigi avesse posto alla distanza ottimale dai suoi gradini di ingresso per poter inquadrare in poche occhiate assonnate coloro che negli orari più impensati si presentavano alla sua porta facendo rintoccare in modo urgente e inconfondibile il massiccio battente di bronzo. Era una regola mai smentita in tanti anni di attività che le situazioni precarie precipitassero inevitabilmente e senza appello sempre al calare delle tenebre!
Succedeva che talvolta uscisse a scambiare due parole con Damien il lampionaio quando lo vedeva comparire in fondo alla strada al tocco della campana che designava il momento di dar luce alla città e, mentre parlavano con noncuranza del tempo, lui iniziava ad armeggiare con la scala e gli stoppini. Quando raggiungeva l'ultimo gradino e apriva lo sportello del lampione, Lassonne gli ricordava di assicurarsi che la riserva d'olio potesse garantire senza imprevisti il raggiungimento dell'alba anche in una stagione come quella, in cui le notti erano le più lunghe dell'anno. Se proprio si doveva scegliere di tenere un angolo di strada al buio per qualche ora, che almeno si trattasse di uno spazio poco frequentato in cui nessuna dama in preda all'ansia o nessun gentiluomo annebbiato dalla preoccupazione potesse rischiare di inciampare nei propri piedi o in una gonna indossata di fretta.
Li vide uscire mentre armeggiava, pensieroso, con i bottoni del gilet.
Prima lei che si calava il cappuccio sulla testa a nascondere i capelli chiari e ogni angustia quasi non volesse nemmeno un alito di vento a distrarla dai suoi crucci.

Il portamento era quello fiero e deciso, esibito in ogni occasione da che la conosceva come adulta. Quello che nemmeno le tempeste che si era portata dentro erano riuscite a scalfire.
Poi lui, poco dopo, con il passo strascicato e le spalle incurvate dal peso di una croce invisibile che sperava si sarebbe alleggerito poco a poco, con il tempo, tra le parole di lei.
Sospirò, Lassonne, consapevole di quale fardello avesse caricato sulle spalle del giovane ma anche di essere, senz'ombra di dubbio, nel giusto. Sfilò il gilet e lo adagiò sullo schienale della poltrona lì accanto, stupendosi silenziosamente di quale enorme mistero fosse la mente umana, in grado di mostrare realtà inesistenti sulla base di supposizioni completamente errate.
Se, distrattamente, ci si incamminava in un vicolo inesplorato, era poi faticoso ritornare sulla strada maestra. Ripensandoci ora non riusciva davvero a spiegarsi come avesse fatto a non comprendere immediatamente, sebbene lei non avesse mai nascosto nulla. Era solo la verità ciò che aveva raccontato; inaccettabile, certo, per i canoni di vita che le erano stati imposti e che, a detta sua - e lui ci credeva - non avrebbe cambiato minimamente.
Ma pur sempre la verità.
Quando entrambi sparirono dalla sua vista si avvicinò al letto, collocato sull’altro lato, contro la parete che dava sul giardino interno, nel tentativo di garantire un riposo che fosse il meno turbato possibile da eventuali schiamazzi di strada, quelle volte in cui non era il dovere a farlo alzare bruscamente. Sedette sul bordo e indugò sulla figura della moglie addormentata alle sue spalle.
Era diventata una presenza insostituibile, Madame Lassonne, in determinate questioni, aggiungendo alla sua innata empatia anche la preparazione, acquisita negli anni, su certi aspetti della vita femminile. Aveva compreso per caso, quando era ancora una giovane sposa, che qualunque donna, a prescindere dal gradino occupato nella scala sociale, si mostrava più serena e accondiscendente se lei era presente alle visite. Certo, poi esistevano le rare eccezioni e Oscar François de Jarjayes era una di queste, o almeno lo era stata per lungo tempo.
Eppure alla sua compagna e complice in quella faccenda come in tante altre succedutesi prima e dopo, non aveva mai rivelato nulla. Si era attenuto scrupolosamente ad un voto pronunciato senza parlare che Madamigella Oscar per prima non aveva mai infranto. Non era stato mai pronunciato nessun nome in quegli anni, nemmeno quando l'unico che brillava per la sua assenza aveva fatto di tutto per scardinargli le labbra. Quando si era ritrovato tra le mani riccioli neri come la pece...
Vagò con lo sguardo nella stanza in cui riusciva a distinguere i contorni del mobilio grazie alla tremula luce di una candela fino ad una nicchia nell'angolo opposto dove custodiva certe pubblicazioni recenti di giovani studiosi che la comunità scientifica aveva bollato come ereditaristi.
Sorrise d'ironia valutando che non c'era alcun bisogno di scomodare nomi del calibro di Aristotele e Galeno di fronte a quei due ragazzi con la capacità di far sparire il mondo intorno e all'evidenza che in intere generazioni della famiglia Jarjayes, nessun Conte o Contessa aveva mai potuto vantare un singolo capello nero sulla testa.
Eppure in un primo momento aveva preso un abbaglio enorme e ancora si vergognava della sua stupidità. A sua discolpa poteva dire di non essere, all'epoca, a conoscenza di tutti i fatti anche se non gli era mai parsa, in seguito, una scusa sufficiente e il suo orgoglio di curatore dell'animo oltre che del corpo, ancora ne soffriva. Un altro colpo ben assestato veniva dalla scoperta dell'inconsistenza delle sue convinzioni; aveva pensato che tutto fosse trascorso, che si trattasse di qualcosa di fuggevole e invece, sulla via di Compiègne, li aveva visti brillare gli occhi di quei due ragazzi che si parlavano in libertà, senza più i doverosi vincoli sanciti dai loro ruoli di un tempo. E li aveva visti ridere di fronte a lui, talmente impegnati a non lasciar trapelare troppe emozioni da non curarsi nemmeno di evitare di sfiorarsi le mani. Li aveva visti di nuovo quei due ragazzi con la capacità di far sparire il mondo intorno e allora, seduto da solo in carrozza, aveva richiamato ricordi e sensazioni portati via dal lento fluire del tempo ma rimasti impigliati giù alla foce e rigettati indietro dalla corrente improvvisa e turbolenta creata dal ritorno di Andrè.
Scosse ripetutamente il capo commiserandosi per l'ennesima volta mentre la fiamma della candela ormai agli sgoccioli, trovava la forza di rischiarare un pomeriggio di settembre.
“Conto sulla vostra discrezione”- si era raccomandata Madamigella Oscar quel giorno, dandogli le spalle ed infilando una giacca leggera, adatta alla giornata ancora tiepida, sopra la camicia candida al termine della visita a cui l’aveva sottoposta.
Si era presentata accompagnata soltanto dalla determinazione del soldato che era, pronta ad ascoltare tutto. Non aveva paura, glielo aveva letto negli occhi. Sicuramente il più timoroso era lui che, incredulo, cercava il modo più adatto per approcciarsi a quell’improbabile realtà.
“Madamigella...”- aveva esordito a bassa voce, prendendo posto alla scrivania dove sarebbe stato più semplice posare lo sguardo su qualcosa che non fosse lei. Non era mai stato così in difficoltà come in quel silenzio rarefatto che immaginava dovesse essere lui a spezzare. Ma si sbagliava.
“Ditemi ciò che devo fare...”
Si era stupito di quel tono profondo e deciso quando invece l’aveva immaginata presa alla sprovvista, spiazzata da ciò che per lei non era stato messo in conto. Aveva annuito, intimamente sollevato da quel cipiglio risoluto e aveva iniziato ad elencare le sue raccomandazioni, non riuscendo ad impedirsi di incrinare la voce di fronte all’evidenza di come la sua vita sarebbe dovuta cambiare. Lei era rimasta in piedi davanti alla finestra continuando a dargli le spalle; sembrava quasi non l’ascoltasse, ma quando si era interrotto, forse per accertarsi di non gettare parole al vento, era stata rapida a rassicurarlo.
“Farò tutto ciò che sarà necessario...non temete..”
E lui aveva proseguito, riportando le indicazioni che aveva sempre dato in ogni situazione analoga fino ad aggiungere con un imbarazzo che di solito non provava “...e poi insomma...non ci sono controindicazioni se...la vita di coppia...”
Lei, senza muoversi dalla sua posizione, aveva sospirato profondamente, non distogliendo l’attenzione dall’autunno, là fuori...
“Questo non è rilevante...”
“Scusate. Io...”
Aveva poggiato le mani sul davanzale, Oscar, e, con settembre che le tramontava negli occhi, aveva risposto alla domanda che lui non aveva osato fare.
“E' partito volontario per la Guerra d'Indipendenza americana...”
Quello era stato l'unico riferimento che lei avesse mai fatto in proposito. E lui da vecchio stolto - oh eccome se lo era stato!- si era fissato sul volontario più chiacchierato del momento. Non c'era salotto in cui non si parlasse del giovane conte svedese, tanto intimo della regina. Di quanto fosse valoroso, di quanto fosse affascinante o di quanto fosse codardo, osavano i più cinici, ipotizzando una fuga da una situazione compromettente.
E lui - stupido!- aveva ricordato la benevolenza con cui Madamigella Oscar lo accoglieva, essendone stato testimone in più di un'occasione, e di quale immagine fulgida rimandassero quei due giovani nobili e bellissimi. Era risaputo quanto il giovane Conte del Nord fosse abile alla conquista e lui, inspiegabilmente, l'aveva immaginata ingenua in certi aspetti della vita, tanto da cadere sotto i suoi sorrisi ammalianti.
Solo in seguito, dopo aver avuto tra le mani i soffici riccioli corvini che avevano fatto divampare il sospetto, dopo che tutto era finito e si era ritrovato a suggerire a Madamigella Oscar, più provata nello spirito che non nel corpo, un periodo di tranquillità, magari lontano da Parigi e magari facendosi accompagnare - e a quel punto aveva tentato la mano vincente - dal suo caro amico André, il cerchio si era finalmente chiuso. Erano passati i mesi ma lei si trovava di nuovo davanti alla stessa finestra, nella medesima posizione, anche se in quell'occasione fuori sferzava un vento gelido. Era cambiata la stagione ma non le sue parole.
“E' partito volontario per la Guerra d'Indipendenza americana...”

***

Oscar spinse piano la porta che usura e intemperie avevano scrostato sugli angoli mettendo a nudo il legno vivo. All'entrata di servizio non si faceva mai molto caso e nessuno si prendeva la briga di intervenire fino a quando Marie Grandier non decideva che il livello di decoro fosse ben lontano da quello richiesto da una famiglia nobile e rispettabile e allora tallonava insistentemente il malcapitato che avrebbe dovuto occuparsene finchè il lavoro non veniva eseguito in modo impeccabile perchè niente di meno sarebbe stato tollerato, pena il dover ricominciare daccapo. Aveva radici lontane quell'abitudine di non chiudere a chiave quando la servitù si ritirava per la notte, casomai lei e André non fossero ancora rientrati, come quella di lasciare una candela accesa ad attenderli, augurandosi potesse bastare fino al loro ritorno, in barba agli sprechi che tanto detestava. Anche quella sera la porta appena socchiusa rivelò il bagliore caldo e tremulo di una fiamma lasciata a morire sul tavolo della cucina. La presenza inaspettata era quella di Marie che dormiva, ancora completamente vestita, su una sedia, con la testa affondata nel petto e la cuffietta che ciondolava ad ogni respiro un po' più profondo. Ai suoi piedi giaceva un cumulo informe di tessuto bianco, probabilmente scivolatole dalle mani quando aveva ceduto alla stanchezza.
Sorrise, Oscar, mentre si chinava a racogliere la stoffa e la scuoteva piano in modo si accorgesse del suo rientro e si persuadesse ad andare a dormire in un letto. Sapeva che era lì per lei e ora non c'era più alcun motivo per cui dovesse passare la notte in una posizione tanto scomoda. Le mise una mano sulla spalla e le parlò piano, per non spaventarla, riuscendo ad interrompere il lieve brusìo del suo russare.
“Nonna...nonna sono tornata. Puoi andare a dormire ora”
Non riuscì ad evitarle di trasalire e si guadagnò uno sguardo vacuo, annebbiato di sonno, prima che la mettesse a fuoco, dietro le lenti.
“Come?... Chi?...Ah sei tu, finalmente!”
Non ebbe la prontezza di nascondere un sospiro di sollievo, Marie; non c'era niente da fare, che lei avesse quindici anni o il doppio, la nonna non sarebbe mai cambiata. Tentò di spiegarle, ben consapevole che avrebbe potuto risparmiare il fiato, di non angustiarsi in quel modo, che non era proprio il caso.
“Devi smettere di preoccuparti così, non sono più una bambina...da tanto tempo, non trovi?”
Lei, ormai completamente sveglia, scosse il capo, mentendo spudoratamente
“Ma non ti stavo aspettando...però...saperti in giro da sola...”
“Non ero sola”
“Ti ha accompagnato fino a qui?”- le chiese un po' incredula e un po' timorosa di quella situazione che avrebbe dovuto imparare a gestire
“No...”- Oscar abbassò lo sguardo non provando nemmeno a far finta di non capire di chi si stesse parlando. Marie, intuendo la sospensione nella frase, attese in silenzio che lei alzasse gli occhi e, abbozzando un sorriso stanco, finisse di parlare.
“...ma sono stata io a voler tornare sola...non te la prendere con lui caso mai lo dovessi sentire...”
La nonna la guardò torva; da sempre quei due, separati, la preoccupavano di più di quando li vedeva insieme e la cosa era davvero strabiliante se pensava a quanto impegno avesse messo nel cercare inutilmente di arginare nei confini di un contegno rigoroso quel loro continuo cercarsi.
Oscar si allontanò da lei e si avviò verso l'arco che dava accesso ai locali nobili del Palazzo ma prima di attraversarlo si fermò e parlò senza voltarsi.
“Lui lo sa adesso...ma ti prego....se dovesse chiedere...non dirgli niente”
“Come?...”- provò ad intervenire Marie prima di mordersi le labbra per non essere inopportuna.
Oscar si voltò leggermente solo quel tanto da mostrare due occhi stanchi, provati da troppe emozioni ma salda nella sua convinzione. Non aveva idea di cosa Lassonne gli avesse detto né di cosa lui avesse inteso.
“...voglio essere io a parlargli...non deve preoccuparsi per me. Non voglio la sua commiserazione né che si faccia carico di colpe che non ha. Perciò devo essere io a dirgli tutto”- concluse stringendo lievemente i pugni lungo i fianchi.
Marie annuì in silenzio.
“Oscar...ma cosa...”- ma non ebbe il coraggio di proseguire, Marie, forse non sapendo neanche bene cosa chiedere. Lei scrollò le spalle rivelando l'unica certezza che aveva.
“Solo che fosse felice...”
Poi sparì nel buio mentre Marie si perse ad osservare il rosso tremolìo delle ultime braci nel camino con il cuore in fondo ad un baule e la certezza che quella non sarebbe stata una notte breve.

Ma infine l'alba, agognata e temuta, stese un mantello lattiginoso sulle strade e sulle piazze per avvolgervi la parte più cupa degli incubi e donare una parvenza di normalità a chi la normalità non sapeva più cosa fosse.
Non appena il primo pallido lembo si svolse sul suo letto, André si alzò di scatto con la voglia di prendere a pugni se stesso e il mondo, di lanciare il cavallo al galoppo e gridare al cielo la sua rabbia e il suo dolore, di correre da lei fregandosene se fosse o meno il momento giusto.
Scese dabbasso scavalcando gli scalini con la gola inspiegabilmente riarsa, in cerca di acqua che sapeva avrebbe trovato sul tavolo, nella sala della colazione, sicuramente già approntata affinché gli ospiti vi si potessero liberamente servire. Così di buon’ora si aspettava e sperava di non incontrare nessuno a cui dover spiegare i suoi occhi cerchiati, perciò spinse piano la porta, per non attirare l’attenzione nemmeno dei domestici ma si ritrovò a sospirare di delusione quando, seduto al tavolo, intento a sorseggiare caffè e a leggere un plico di documenti poggiati sul tavolo, si trovò di fronte Timothy Albert Simmons che probabilmente stava approfittando delle ore più quiete per tentare di orientarsi in quel faldone che riconobbe come quello fattogli recapitare dal notaio pochi giorni prima.
Quando lo vide gli sorrise e, poggiando delicatamente la tazza sul piattino, gli si rivolse con il suo tono pacato.
“Non mi aspettavo di vederti”
“Non mi aspettavo di tornare”- sospirò Andrè, prendendo posto di fronte a lui per non essere scortese e anche per cercare di calmarsi, certo che in quelle condizioni non avrebbe combinato nulla di buono.
“Come è andato il tuo viaggio?”
Andrè scosse il capo ad indicare almeno una mezza dozzina di cose che non avrebbero dovuto essere o che avrebbero dovuto essere diverse. L'altro lo scrutò attentamente, abituato ai suoi silenzi e ai suoi tormenti che era riuscito a placare in diverse occasioni, pur non avendo la minima idea di quali fossero.
“Ti va di raccontarmi qualcosa? Quello che è consentito, ovviamente”- propose sorridendo.
Andrè ricordava l'effetto benefico delle chiacchierate con quell’uomo mite e scaltro decidendo che qualcosa avrebbe potuto raccontare, tanto non erano ancora arrivati a capo di nulla.
L'altro lo ascoltò attento, riducendo gli occhi a due fessure e fissando il cucchiaino con cui stava incidendo piccoli solchi nella tovaglia di fiandra
“Mi ricorda qualcosa...”
“Forse, Tim,...ma non saprei...non”- gli si rivolse nel modo che l'altro aveva preteso usasse nella casa di cui gli aveva aperto le porte, oltre l'oceano. Però non riuscì nemmeno lontanamente a portare la mente lì, persa com’era oltre le vetrate di una stanza al piano nobile di Palazzo Jarjayes.
“Sai Andrè...”- attaccò il medico
Ma lui non lo ascoltava più, rapito da altri pensieri e cullato da quella voce che ora riudiva in altre parole, molto più concitate.
Andrè, Andrè aiutami! Aiutami!”
Aiutami a portarla nel suo letto!”
E poi pregna di apprensione.
Corri nel mio studio! C'è un bossolo nel primo cassetto della scrivania...portamelo!”
Anche se riusciva sempre a tenerci a galla un filo di ironia
No, non sbaglierai...l'ha preparato Rose e, come sua abitudine da che sei qui, ha scritto in francese...”
Quando tra loro tornò il silenzio, il medico lo interpellò in cerca della sua opinione.
“Cosa ne pensi?”
Ma Andrè rispose con una domanda. L'unica a cui lo aveva indirizzato la voce dell'altro.
“Tim....come sta Martha?”
Erano state le grida di lei, dapprima strascicate, poi sempre più laceranti, quelle che aveva udito nel sonno breve e concitato di quella notte ma all'improvviso il capo reclinato all'indietro si era rivestito d'oro lucente ed erano le gambe seriche di Oscar, meravigliose come quando le aveva percorse con le labbra, che aveva visto spuntare dalle vesti. E sull'ultimo grido, il più lancinante, il più sofferto, si era ritrovato seduto sul letto con la testa tra le mani a ripetere il suo nome.
“André...ma mi hai ascoltato?”
Scosse il capo, André, con un sorriso di scuse e la vaga sensazione di essersi perso qualcosa di utile.
“Comunque, per risponderti, Martha sta bene adesso...e anche il piccolo André

Un sincero grazie ad Alessandra per la fanart e a Mareggiata per il "supporto tecnico" ;)
E come sempre grazie per la lettura.

   
 
Leggi le 24 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: epices