EPILOGO
Molto tempo dopo…
Harlock era in piedi e, quasi incredulo, la guardava negli occhi.
Non gli sembrava possibile di essere lì, insieme a lei.
Il salone dove si trovavano era ampio.
Fasci di luce filtravano dalla parete a vetrata, che ricordava vagamente quella
dell’Arcadia, ma che invece di mostrare lo Spazio, dava direttamente sul
giardino adiacente. La luce metteva in risalto il fine mobilio pregiato di
antica fattura che, riflettendola, sembrava ancora più lucido e caldo. Come
sempre lui prediligeva le cose antiche a quelle moderne, sebbene quest’ultime
potessero essere talvolta più funzionali. Ma era un suo tratto distintivo, un
uomo del futuro affascinato e rapito da tutto ciò che riguardava il
passato.
Anche lei veniva dal passato…
Il suo cuore traboccava di gioia, era questo il sapore della felicità?
Probabilmente sì.
Si sentiva finalmente appagato e quasi sospeso, leggero, mentre la guardava
negli occhi, adorandola.
Lei di rimando lo osservava estasiata e si sentiva così ricolma di amore
e così contenta, che stava quasi male. A volte la
felicità poteva essere anche dolorosa per l’intensità della sua potenza. Quel
posto poi era meraviglioso. Tutto le sembrava semplicemente perfetto.
Il Capitano le si avvicinò e la prese finalmente tra le braccia, poi le passò
una mano dietro la nuca lasciando che i suoi capelli, adesso molto più lunghi,
gli solleticassero piacevolmente le dita, quindi reclinò appena la testa in
avanti, quel tanto che bastò perché le loro labbra si sfiorassero. E finalmente
lasciò che le loro bocche si unissero e la baciò. Un bacio che fu quasi
doloroso da quanto era stato agognato, che si trasformò in un trionfo di dolce
passionalità, preludio di qualcosa di più intimo e profondo, che entrambi i
loro corpi esigevano con prepotente impazienza, e che di lì a poco avrebbero
saziato, perdendosi finalmente l’uno nell’altra.
Harlock
si svegliò di soprassalto con la netta sensazione di aver vissuto veramente
quello che in realtà stava solamente sognando.
Aveva provato una sensazione così forte ed intensa, che gli parve di percepire
in bocca il dolce sapore di lei, unito alla sensazione della morbidezza della
sua bocca sulle proprie labbra.
La stessa identica cosa, nello stesso identico istante, accadde a Joy che si
svegliò all’improvviso e scattò seduta sul letto, molto turbata da quel sogno che pareva assolutamente vero. Le sembrò di sentire
ancora nei capelli la sensazione provocata dalle sue dita,
come se vi fossero appena passate attraverso, carezzandole la nuca e ancora
avvertisse quel lieve formicolio, così piacevole, dato dal contatto. Le
sembrava addirittura di poter respirare il suo odore. Chiuse gli occhi e inalò,
come se lui fosse lì.
Non che non si fossero mai sognati da quando si erano separati, ma questa volta
era diverso. Innanzi tutto era stata una cosa assolutamente empatica e
simultanea, ma poi era sembrata a tutti e due sorprendentemente come troppo
vera. Tanto che era stato quasi fisicamente doloroso, il rendersi conto che non
era esattamente così come i loro sensi avevano nettamente percepito. La memoria
a volte fa brutti scherzi. Evoca sapori ed odori inesistenti, è solo la potenza
del ricordo che agisce sul cervello e lo inganna.
Harlock
saltò giù dal letto, scattando come una molla. Era giunto il momento di andare
a riprendersela e non avrebbe aspettato un solo giorno di più!
Al diavolo la Terra e tutto il resto, l’avrebbe riportata sull’Arcadia, anche a
costo di scombinare tutti i suoi piani.
Si vestì, uscì dalla cabina e arrivò in Plancia dove si attaccò all’interfono e
comandò perentorio a Yama di raggiungerlo.
Il ragazzo dormiva, si svegliò di soprassalto e non fece neanche in tempo a
rispondergli che il Capitano aveva già interrotto la comunicazione.
“E ti pareva che non si fosse svegliato storto anche oggi!” borbottò
contrariato, mentre vagava come un automa per la cabina alla ricerca del
vestiario, sbadigliando.
Il suo addestramento era cominciato ormai da qualche tempo e procedeva tra alti
e bassi. Non era ancora proprio felicissimo di quell’incarico ma si stava
impegnando per non deluderlo. I loro rapporti erano diventati abbastanza
civili, ma ancora non proprio confidenziali e tanto meno particolarmente
affettuosi.
Yama non riusciva a consideralo un padre, proprio non ce la faceva, così
mentalmente aveva preso a far finta che fosse una sorta di fratello maggiore
che gli faceva anche da genitore. La sua ammirazione e il suo rispetto per il
Capitano erano immutati, ma serpeggiava in lui ancora un po’di rabbia,
probabilmente per via dello choc che ancora non aveva del tutto superato e
preferiva incolpare lui piuttosto che affrontare la situazione che era troppo
contorta, ma anche molto dolorosa e decisamente anomala. Era comunque una
reazione plausibile e solo il tempo avrebbe aggiustato le cose.
Lo stesso valeva per Harlock. Cominciava a voler davvero bene a quel ragazzo,
in lui ci si rivedeva moltissimo, e ultimamente anche se stesso, solo che, come
accadeva a Yama, aveva questa specie di rancore e disagio che ancora non lo
avevano abbandonato, rendendolo così spesso brusco e molto esigente nei suoi
confronti sebbene poi, per certi versi, fosse anche molto orgoglioso di lui e
dei progressi che stava facendo. Solo che non riusciva mai ad esternargli ciò
che provava e a volte faceva una fatica immane anche a lodarlo.
Ormai sull’Arcadia sapevano tutti che era suo figlio.
La cosa alla fine era stata resa pubblica e lui temeva sempre che gli altri
potessero pensare che avesse nei suoi riguardi un atteggiamento di favore, solo
perché era suo padre. Per questo motivo spesso era davvero intransigente con
Yama, tanto che a volte si era anche confrontato con Yattaran e addirittura con
Tochiro: entrambi lo avevano brontolato per la sua eccessiva durezza con il
ragazzo.
Yama arrivò trafelato in Plancia e trovò Harlock seduto sullo
Scranno che prese a fissarlo.
“Che c’è? Che ho fatto?” chiese sulla difensiva, non era mai troppo sereno
quando il Capitano aveva queste sortite così repentine, a quegli orari
impossibili.
“Afferra le caviglie del timone” gli disse l’altro, senza perdersi in
chiacchere come suo solito.
Yama roteò gli occhi. Erano mesi che andava avanti quella faccenda delle
virate; non ne poteva più! Quello era fissato con gli speronamenti, ma era
inutile speronare il nulla. Non sarebbe mai stato come andare diretti contro
una nave nemica, ma il comandante era lui e bisognava solo ubbidire.
“Ti ho visto” fece Harlock con tono di rimprovero marcato, mentre Yama
raggiungeva la barra.
“Cosa?” domandò l’altro, facendo lo gnorri.
Harlock sospirò.
“Sai bene, che cosa! Non devi contestare i miei metodi, tutto ciò che ti chiedo
di fare ha un motivo specifico”.
“Anche speronare il vuoto siderale?” sbottò Yama polemico.
“Sì. Anche quello, saputello!” gli rispose Harlock torvo.
Yama sbuffò e afferrò le famigerate caviglie.
“Oggi farai pratica su un satellite abbandonato. Dovrai fare una virata
completa e speronarlo”.
“Ah sì?” chiese il ragazzo ringalluzzito. Finalmente un po’ di sana azione,
pensò baldanzoso.
La giornata alla fine fu proficua e per una volta l’addestramento fu meno
noioso del solito.
Yama si sentiva allegro e soddisfatto, aveva sfasciato di gran gusto quel
satellite ed Harlock si era mostrato morigeratamente soddisfatto, per
l’apprendista pirata era stato un gran traguardo.
L’unica cosa che però lo turbava, era vedere la profonda sofferenza che si
celava dietro lo sguardo malinconico di colui che sapeva essere suo padre.
Capiva quanto terribilmente sentisse la mancanza della biologa e sapeva che non
gli sarebbe mai passata, così, prima di lasciare la Plancia, fece
una cosa inaspettata.
Si parò davanti ad Harlock e lo fissò molto serio, quindi prese coraggio e
parlò.
“Ho grande stima di te come uomo. Sei un condottiero giusto e leale. Da te ho
imparato il valore delle scelte e sei il primo che mi ha fatto gustare il
sapore della libertà. Hai passato cento anni a lacerarti l’anima. Hai espiato
la tua colpa, stai ricostruendo un futuro per l’umanità, non sarebbe anche ora
che magari pensassi un po’ a te?” finì con il dirgli quasi con affetto.
Harlock alzò la testa e con il suo cipiglio crucciato lo scrutò intensamente.
“Che intendi dire?” gli chiese sempre più serio, ma anche incuriosito da questa
sortita inaspettata del ragazzo, pareva davvero accorato.
“Vai a riprendertela e finiscila di stare imbronciato un giorno sì e l’altro
pure!” sbottò Yama diretto. Era palese quanto si logorasse, che la facesse
finita una volta per tutte.
Il Capitano sussultò appena. L’aveva sorpreso e non poco, ma cercò di
contenersi e di non darlo a vedere.
“Non sono cose che ti riguardano” borbottò burbero.
“Invece penso proprio che mi riguardino” ribatté Yama, incrociando le braccia
al petto.
Harlock si alzò in piedi, sovrastandolo con la sua imponenza.
“In che senso?” gli chiese molto serio. Voleva capire, era turbato.
“Nel senso che è anche mia madre. Vorrei conoscerla più a fondo…” gli confessò
con disarmante sincerità, stupendo se stesso per primo, per quel pensiero
tramutatosi in parole.
Il Capitano rimase spiazzato, ma non rispose, si girò elegantemente su se stesso
e molto lentamente cominciò ad allontanarsi dalla Plancia, per andare da
Tochiro, senza dargli una risposta, né commentare ciò che gli aveva appena
detto.
***
A gennaio
a Londra faceva un freddo tale che si poteva anche correre il rischio che, essendo
fuori, si ghiacciasse la punta del naso.
Joy camminava in fretta. Era buio pesto e rischiava di perdere la metro. Doveva
raggiungere la sua amica Suzette per
andare a cena in un ristorante indiano, a Chelsea.
Susette era l’unica persona con cui aveva fatto amicizia da quando si era
trasferita a Covent Garden. Era una tipa tranquilla e riservata, la faceva
ridere, e Dio solo sapeva se ne avesse avuto bisogno.
Era tutto il giorno che si sentiva strana. Una sensazione come di aspettativa
che la agitava oltre ogni dire. Si ritrovava a volte con i battiti del cuore
accelerati, senza nemmeno capire il perché.
Scese veloce le scale che portavano alla metro e riuscì a prendere il treno
appena in tempo. Era stipato, del resto era anche l’ora di punta.
D’un tratto si sentì come osservata. Si guardò intorno, ma ognuno si stava
facendo i fatti suoi.
Due ragazzi amoreggiavano in piedi vicino alle porte scorrevoli, che si erano
appena chiuse. Un signore consultava il suo cellulare, passando ritmicamente
l’indice sullo schermo. Un uomo leggeva il giornale, mentre accanto a lui una
madre accudiva la figlia. Insomma, nessuno si curava di lei eppure si sentiva
addosso lo sguardo di qualcuno, era come se la toccasse.
Si dette della paranoica e controllò quante fermate mancassero alla sua
stazione. Solo due. Avanzò verso le porte.
Poco dopo, finalmente uscì da quel treno così zeppo. Salì sulla scala mobile,
passò l’abbonamento elettronico sul tornello della metro e uscì all’aria
aperta. Una sferzata di vento gelido l’accolse facendola rabbrividire, si
strinse il bavero del cappotto al collo e, in fretta, s’incamminò verso il
ristorante, dove l’aspettava la sua amica.
D’improvviso ancora quella sensazione.
Si girò di scatto e intravide un'ombra.
Aguzzò la vista e le parve di scorgere la sagoma di un uomo molto alto.
Indossava un cappotto di pelle, lungo fino ai polpacci, il bavero ampio e
rialzato, la postura eretta e le movenze eleganti, i capelli lunghi gli
danzavano sul collo ad ogni passo…
Camminava a distanza, con una falcata di tipo militare che a lei sembrò
dolorosamente familiare.
Il tipo, come si rese conto che si era girata, in un attimo, con una rapidità
fulminante, scomparì in un vicolo adiacente.
Joy, senza neppure pensarci, lo rincorse con il cuore in gola, non poteva
essere, era impossibile, ma sembrava davvero …
Una volta raggiunto il vicolo non vi trovò nessuno.
Eppure, se non avesse pensato che fosse una pazzia, una cosa pressoché
impossibile, sarebbe stata quasi certa che si trattasse di lui: Harlock!
Ma era davvero Harlock?
Non lo era?
Forse, si trattava solo di un desiderio inespresso, così prepotente da
trasformarsi in allucinazione?
Chissà… la mente talvolta gioca brutti scherzi, soprattutto se si allea con il
cuore!
***
Il
Capitano aveva convocato Yama.
“Devo andare via. Non subito. Per quando partirò devi avere imparato a
manovrare la nave da solo, ma sappi che non sarai tu il comandante. Ho in mente
ben altro…”.
“Va bene…” disse il ragazzo guardandolo un po’ perplesso, non capendo assolutamente
che gli volesse dire. A parte questo, lui non voleva comandare proprio niente e
nessuno, fu felice che l’avesse capito.
“Ma dove vai, se è lecito chiedere?” gli domandò curioso. Gli era sembrato
quasi agitato e non era da lui, si mostrava sempre compassato e statico come un
blocco di marmo.
La cosa lo incuriosiva e poi, era rarissimo che se ne andasse da qualche parte,
anche se ogni tanto spariva e nessuno sapeva dove andasse.
Harlock si alzò dallo Scranno e si mosse lentamente, gli dette le spalle, fece
un paio di passi poi si girò, lo guardò dritto negli occhi, con una luce nuova
e maledettamente determinata, che gli fece scintillare un lampo nell’iride
color miele.
“A riprendermi tua madre” disse, scandendo le parole per dar loro la giusta
solennità dell’intento.
Quindi, a passo deciso, si diresse come faceva ormai ogni giorno, a conferire
con Tochiro, perché preparare quel passaggio in un altro universo non si stava
dimostrando affatto una passeggiata e lui non voleva perdere né sprecare altro
tempo prezioso, neppure un solo secondo ancora.
Non c’erano più scuse, ripensamenti, né intralci, era giunta finalmente l’ora
di fare ciò che il suo cuore gli chiedeva, era il momento di riprendersi la
donna che amava.
Ulisse finalmente avrebbe fatto rotta su Itaca!
Ed eccoci giunti alla fine.
Mettetevi comodi che voglio dirvi alcune cose.
Come alcuni di voi sanno questa storia aveva una seconda parte. Fu cancellata
anche quella all’epoca.
Non ho ancora deciso se la posterò di nuovo. Il problema è che dovrei cambiarla
molto e al momento non me la sento di metterci le mani.
Non so neanche quanto possa interessarvi, anche perché la storia potrebbe
benissimo finire qui, e così, senza problemi.
Non so magari cambierò idea, ora sono presa da altro. Sto scrivendo storie
nuove (che devo ancora iniziare a pubblicare. Attualmente ri-postando una
storia cancellata.) in un’altra sezione, ma magari nel futuro potrei anche ri-postare
la seconda parte. Vedremo.
Poi
è ovvio che devo assolutamente
ringraziarvi TUTTI
Grazie di cuore per aver letto (siete tanti, ma tanti!) questa storia con
regolarità, dimostrando un interesse che non mi aspettavo!
Un grazie davvero speciale a CHIUNQUE
abbia lasciato un commento. Anche in questo caso siete stati molti, ma
molti di più, di quelli che avrei anche solo immaginato!
Grazie a chi ha messo la storia tra le
preferite – ricordate – seguite.
Un ringraziamento particolare va alla mia cara amica Silvia (aka Azumi)
senza la quale, nella prima stesura del 2014, questa storia non avrebbe mai visto
una fine. Quindi grazie per il tuo tempo, il tuo entusiasmo, l’incoraggiamento,
la tua pazienza e bellissime serate passate isieme! Se la storia è qui è anche
merito tuo.
Un altro ringraziamento particolare va
alla mia cara amica Marilou che è tra le persone che si sono battute perché ri-postassi
questa storia, che mi ha sostenuta e incoraggiata e invogliata scrivere di
nuovo.
Grazie anche a tutte quelle persone che
mi hanno sempre chiesto di questa storia e che hanno, con il loro affetto,
contribuito a farmi decidere a ri-postarla.
Grazie ancora una volta per avermi fatta emozionare e per avermi fatto provare
quelle sensazioni belle che regala la condivisione di una passione comune!
Di seguito potete trovare alcune delle fan art che all’epoca furono fatte per
questa storia dalla mia amica Silvia e un disegno di Harlock fatto da me.
Ora è veramente tutto, un caro saluto e alla prossima!
Disclaimer: Tutti i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto. I
personaggi e la trama inerenti al film sono © Shinji Aramaki e Harutoshi Fukui.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Grazie a quel sant’uomo di Yutaka Minowa, il disegnatore Harlock in CG!!!