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Autore: theGan    16/07/2022    4 recensioni
Genzo Wakabayashi non aveva pianificato di farsi mordere da uno zombie questa mattina.
La AU con meno calciatori e più Apocalisse Zombie che nessuno aveva chiesto.
Genere: Angst, Avventura, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Kojiro Hyuga/Mark, Taro Misaki/Tom
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer:

* Ci sarà il lieto fine. 


 

 

TRENTASETTE GIORNI DALLA FINE DEL MONDO

 

- 1 La pistola.

 

 

- Kaltz, giuro che se mi spari, ti tolgo il saluto.

Hermann Kaltz rimane in piedi davanti al distributore di bibite e non allontana il dito dal grilletto. Non ha aperto bocca da quando quello zombie ha sfondato la porta del bagno e si è preso un pezzo della gamba di Genzo. Lo sanno tutti che durante il giorno circolano meno contagiati: la luce causa in loro una sorta di torpore, specialmente quando naturale. La quarantena a Billstedt è iniziata da trecentoventi giorni e l’abitudine e l’arrivo dell’estatate hanno reso lui e Kaltz incauti.

Ieri notte le luci del Netto, il supermercato più vicino al rifugio e il loro preferito in cui fare rifornimento, sono saltate. Questa mattina lui e Kaltz si sono svegliati presto per andare a verificare ed eventualmente recuperare le quattro cose rimaste nel reparto frigo. Imbecilli. Avrebbero dovuto ricordarsi di controllare il perimetro prima di abbassare la guardia. Non li ha insegnato proprio nulla quello che è successo a Schneider.

Genzo sospira, riflette su quanto sia inutile piangere sul latte versato e cerca di infrattarsi dietro una delle casse automatiche. Operazione resa particolarmente complessa dal cadavere che gli sta mezzo sdraiato addosso. Almeno gli fa da scudo umano ora che il suo migliore amico, dopo aver freddato questo povero disgraziato, ha deciso di puntargli la pistola contro.

E poi da quand’è che Kaltz ha una pistola?! Il mese scorso non ce l’aveva. Questa è la Germania, mica gli Stati Uniti: i revolver non li trovi sotto gli alberi! Porca puttana! Genzo si costringe a non guardare in basso, a non controllare se l’uomo con il cranio spaccato che, un minuto fa, ha cercato di mangiarlo vivo fosse uno zombie o un semplice un contagiato. Se Kaltz abbia appena ammazzato una persona. No, non c’è tempo. Il morso non ha centrato l’arteria, ma la saliva degli infetti ostacola il processo di cicatrizzazione. Qui se non ci si dà una mossa finisce dissanguato. Genzo applica pressione come gli ha insegnato al corso Misugi e cerca qualcosa di pulito. Questo però comporterebbe levarsi il cadavere di dosso.

- Hermann, sto per muovermi. Tu vedi di startene calmo.

Va bene. Non guardare questo tipo negli occhi. La pelle dell’uomo a cui Kaltz ha sparato è grigia e fredda e Genzo si concede mezzo secondo di sollievo: uno zombie, non un infetto. Quelli sono delle piccoli fornaci al tocco. Era troppo tardi per salvarlo. Kaltz non ha ammazzato ancora nessuno. Ancora è la parola magica: c’è lui adesso sulla linea di tiro. Genzo prova ad essere gentile nello spostarsi lo sfortunato cadavere di dosso, ma maneggiare i morti non è una faccenda elegante. Fatica a portare la gamba sinistra al petto e… CAZZO. La stoffa bagnata aderisce alla carne per tutta la lunghezza del polpaccio. Come fa a cacciarsi sempre in queste situazioni? Ci vorranno dei punti.

I passi rimbombano sul pavimento di linoleum, quando incontrano la pozza di sangue fanno un rumore tipo “ciaff” che lo distrae un sacco dal suono aspirato che produce Kaltz quando gli crolla accanto come un palloncino sgonfio.

- Ti ha beccato bene, eh.

Genzo schiocca la lingua, non molla di vista il taglio e gesticola in direzione dell’altro fino a quando non gli allunga quel suo coltello assurdo con la lama zigrinata e tutto il resto. Ad Hermann Kaltz i film d’azione hanno fatto un sacco male. Genzo incide la stoffa appena sopra la ferita, usa le mani per allargare lo strappo e, sì, questo morso è decisamente infetto: le croste che disperatamente tentano di formarsi attorno alle incisioni sono il classico giallognolo misto verde. Mannaggia. Sperava di evitarsi la febbre a… alla sua sinistra Kaltz emette un suono: un singhiozzo che ti aspetteresti da un animale ferito.

- Guarda che sono immune.

Un battito, il silenzio inesorabile striscia tra i respiri.

- PORCA PUTTANA GENZO!

La faccia di Kaltz è rossa, Genzo la evita con insofferenza studiata. Ricordare a Hermann che gridare non è prudente mentre sono in territorio ostile dato che gli zombie tendono a viaggiare in branco, non è saggio. Fortunatamente alla terza bestemmia esplosiva Kaltz si calma, lo strozzerà più tardi quando saranno all’aperto. Genzo agguanta lo zaino, ci ficca il naso dentro e ha la sua conferma: niente disinfettante.

- Toh, razza di idiota.

Kaltz estrae una fiaschetta dalla tasca interna della giacca e gliela lancia. Una volta stappata emette un odore amaro e pungente. Non solo la pistola allora, anche gli alcolici ci portiamo dietro adesso. A casa dovranno decisamente mettersi seduti attorno un tavolo e parlarne, ma le priorità sono altre. Genzo recupera un fazzoletto, lo inzuppa e lo usa per tamponare la ferita. PORCA PUTTANA. Ahia. Schneider insisteva sempre perché si caricassero di un sacco di peso inutile ad ogni uscita. Diceva “non si può mai sapere” e poi ficcava tutto nello zaino di Genzo, pigro bastardo. Schneider il kit del pronto soccorso si sarebbe assicurato ce lo avessero dietro.

SMETTILA.

DI.

PENSARCI.

Si toglie la sciarpa, la usa per tagliare la circolazione ed assicurare la pezza al polpaccio. Ha bisogno di una stampella. Invece è Kaltz quello ad aiutarlo a tirarsi in piedi. Ok, ce l’ha può fare. Genzo respira, prova a darci peso e la gamba cede. Ha bisogno di una stampella. Non hanno tempo per procurarsela.

- Sarai pure la cosa più vicina ad un principe che conosco, ma io non ti prendo in braccio.

Genzo sorride, Hermann Kaltz ha questo potere su di lui.

- Dì pure che non ci riusciresti.

Kaltz è un carro armato vestito da uomo, ma ha i suoi limiti. Al momento sbuffa, si porta al fianco di Genzo e aspetta. Coordinarsi è difficile visti i trenta centimetri di differenza in altezza, ma alla fine metà del peso di Genzo riesce ad essere distribuito all’altro e insieme, zoppicando, escono.

Fino a sei mesi fa a Billstedt vigeva un certo ordine. Agli abitanti, serrati in casa, venivano distribuite razioni e l’ingresso ai luoghi di ritrovo era strettamente contingentato. La chiusura della città aveva causato un certo scalpore data la vicinanza ad uno dei centri di ricerca più prestigiosi della Germania, ma si era detto sarebbe finita presto. Prestissimo. Invece un giorno erano suonate le sirene ed era iniziato l’inferno.

Temevano di essere rimasti gli unici abitanti non infetti del distretto, poi, dagli scaffali, erano cominciati a sparire i prodotti. Con le linee telefoniche saltate erano ricorsi alla carta, seminando nei negozi biglietti con scritte tipo: “abbiamo acqua pulita, elettricità, medicine e cibo”. Cinque erano spariti, nessuno aveva ricevuto risposta. Trentasette giorni fa, invece, non erano suonate le sirene, ma il mondo era cambiato lo stesso. Lui e Kaltz i biglietti hanno iniziato a levarli.

Chissà quanta roba andrà a male oggi per il caldo. Chissà quanti portatori saranno attratti dall’odore. Questa mattina sono usciti alle dieci. È mezzogiorno ora e il sole è alto nel cielo. I pomodori staranno crescendo bene. Kaltz non può uscire senza supporto a perlustrare cosa sia rimasto di cibo nei negozi. Finché la gamba di Genzo non va a posto dovranno vivere di quello che hanno e cercare di non intaccare troppo le scorte. In serra c’è un sacco di insalata. Diventeranno delle capre.

Il gas e la benzina di recupero servono per i generatori, la distanza dal rifugio se la coprono a piedi evitando le zone d’ombra e viaggiando sempre al centro della strada. Sudano come maiali e sono costretti a fermarsi quattro volte per bere, respirare e riaggiustare la presa di Genzo che continua a scivolare. Non parlano, conservano il fiato e non si siedono perché altrimenti non si rialzerebbero più. A dieci minuti dall’arrivo Genzo inizia a incespicare, alla seconda volta in cui rischia di farli cadere Kaltz dice di averne abbastanza, cercano un posto più riparato e ci si trascinano.

- Tra cinque minuti ripartiamo.

Ce ne mettono venti.

Genzo cerca di non pensare alla scia di sangue. Gli zombie la seguiranno e questa notte la rete elettrica che circonda il rifugio farà gli straordinari. Fortunatamente i panelli solari che la alimentano non sono stati danneggiati il mese scorso dalla grandine, Genzo non sarebbe stato in grado di ripararli. Però odia, odia recuperare i brandelli di quelle persone che rimangono incastrati negli anelli della rete. Però odia, odia che con la gamba messa così quello a farlo domani sarà Kaltz.

Hermann insiste per controllargli la fasciatura e la rifà così stretta che Genzo smette di sentirsi il piede. Viaggiano più lenti ed è come se l’adrenalina che li teneva insieme fosse evaporata con il sudore. La posizione del sole suggerisce sia passata un’ora da quando hanno iniziato la loro lenta marcia attraverso l’asfalto bollente. C’è odore di cancrena nell’aria e un sacco di polline. 

- Da quand’è che lo sai? – Una radice taglia la strada in modo perpendicolare. Ci girano attorno. – Il fatto di essere immune al virus intendo.

- Da sei anni.

- PORCA PUTTANA GENZO!

Detesta parlarne. C’è una ragione per cui a Billstedt, oltre ai medici, lo sapeva solo Schneider e centrava col fatto di essersi incontrati al gruppo di supporto in clinica.

Il dieci percento dei contagiati sviluppa gli anticorpi nei primi quattordici giorni dall’infezione. Al venticinque percento occorre dai venti giorni ai sei mesi. Il restante settantacinque non è in grado di tornare a una vita normale. Li chiamano “portatori” nel momento in cui cessa ogni segno d’attività cerebrale, altri usano più semplicemente “zombie”.

Negli anni sono stati brevettati ben nove vaccini: alcuni migliorano le percentuali di ripresa, altri riducono il tasso di tossicità, altri ancora ti impediscono di trasformarti in un portatore. Ma il virus continua a mutare, a fuggire attraverso le maglie della rete.

Genzo è un collezionista: se n’è girato trentasette versioni. Kaltz non s’è mai ammalato. Schneider…

La mutazione che gira a Billstedt è un’incognita: non si era mai sentito di una città andare in malora così velocemente. Con un indice di mortalità del novantotto percento, il governo da un anno ha deciso di isolare il focolaio. Genzo e altre cinquemila persone ci sono rimaste incastrate dentro.

In quei primi sei mesi in cui tutto sembrava rigidamente organizzato aveva fatto volontariato distribuendo razioni alle famiglie dei contagiati e aiutando con i medicinali che assicurano che un infetto rimanga tranquillo, nutrito e sedato durante il periodo di incubazione. Avevano smesso di portarli all’ospedale già dalla seconda settimana perché i reparti si erano riempiti e non ci stavano più pazienti.

Ora, invece, se ti ammali muori. Semplicemente. O diventi uno zombie o fai parte del due percento e quella che t’ammazza è la febbre o la carenza di liquidi per mancata assistenza.

- E sei CERTO di essere immune a questo ceppo perché…

- Perché due settimane fa sono stato infettato mentre controllavo il generatore interno e guarda: niente sintomi!

Kaltz si congela, Genzo non ha molta scelta se non fermarsi ed aspettare. Il respiro di Hermann è controllato e pesante come se stesse cercando di catturare l’ultima goccia d’ossigeno.

Il rifugio in cui vivono l’aveva trovato Schneider. Quattro anni fa, quando la gente aveva capito che il virus era qui per restare, qualche tipo particolarmente splendido aveva preso a predicare la teoria del castigo divino. Le persone avevano iniziato ad infettarsi di proposito: guarire dal virus era la prova di essere prescelti. Non erano stati i soli esaltati, ma la setta dei “Wiedergeboren” (Rinati) in Germania era stata tra le più rumorose. E organizzate. Oggi vivono in quella che era stata una delle loro “chiese”, un rifugio perché al virus potrai essere immune, ma non la erediti la Terra se nel frattempo uno zombie ti mangia la faccia. Genzo e Kaltz erano stati molto carini e non avevano mai chiesto a Schneider perché di quel posto lui avesse le chiavi. E i codici d’accesso.

Con i suoi due pozzi, i depuratori d’acqua e aria e i quattro generatori in aggiunta a pannelli solari, serra e rete elettrica, casa loro è praticamente perfetta. Una volta eliminati i resti umani che ci stavano dentro, ovvio.

La rete elettrica che li protegge consuma tre quarti dell’energia che producono, così i sistemi domestici viaggiano coi generatori. Ce ne sono due nel locale caldaia e un terzo, scassato, all’esterno stretto tra il capanno degli attrezzi e il muro che circonda il cortile prima di fossato e rete. Kaltz sa che Genzo si riferisce al quarto, quello che sta in cantina: tecnicamente il luogo più sicuro dell’intero rifugio se non per lo zombie che ci tengono legato dentro. INFETTO. Non zombie. INFETTO. Vedi di non dimenticarti la differenza anche tu, Wakabayashi Genzo.

Lui e Kaltz potrebbero scriverci un libro sulle cose che dimenticano di dirsi. Al primo capitolo ci piazzerebbe la pistola e la fiaschetta d’alcool, ma sarebbe un poco ipocrita.

 - Dovevi dirmelo.

Dopo essere stato infettato, Genzo aveva pensato “merda”, stabilito di uscire dal rifugio senza avvisare per andare a chiudersi in qualche casa ad aspettare la fine. Un modo per uscirsene pulito. Poi gli era venuto in mente cosa avrebbe fatto Kaltz a Schneider e, accidenti, era stato fortunato già trentasei volte, no? Si era tenuto lontano da Hermann e aveva giocato d’azzardo.

 – Ma capisco perché non l’hai fatto.

Per sopravvivere si sono assegnati dei ruoli. Kaltz, ad esempio, si occupa del cibo: tiene conto di cosa serve e di cosa è rimasto, si assicura che la loro dieta sia bilanciata e mantiene orto e serra perché è l’unico del gruppo con uno straccio di pollice verde. Genzo si occupa del funzionamento dei generatori, tiene puliti i filtri e ha imparato da suo fratello abbastanza per riparare la rete elettrica senza rimanerne fulminato. Da trentasette giorni si dividono il controllo di radio e scorta medicinali.

Hanno anche altri ruoli, meno ufficiali, ma altrettanto importanti: Kaltz è quello pragmatico, Genzo il sognatore. Si tengono sani a vicenda.

Se entrano in conflitto è sempre Genzo quello a spuntarla: Hermann non riesce a dirgli di no, perché anche lui ci vuole sperare nel lieto fine.

Riprendono a camminare, Kaltz non lo guarda negli occhi e significa che Genzo ancora non è stato perdonato, ma ci sta pensando ed è abbastanza.

Si fermano ancora due volte prima di arrivare. La rete elettrica che corre lungo il perimetro del rifugio è alta e proietta ai loro piedi un’ombra discreta e innocua. Per entrare devono inserire il codice d’accesso nel quadro che si trova a trenta metri dal cancello. Il codice disattiva la corrente nell’intero quadrante per circa cinque minuti, il tempo necessario per entrare. Kaltz osserva la strada deserta in cerca di pericoli, si sfila la pistola dalla fondina e gliela ficca in mano.

- Allora, la sicura si toglie così. Se spunta qualcosa occhio al rinculo e non spararmi nel piede.

Genzo non la vuole quella pistola. Ugh. Kaltz si sfila lo stecchino di bocca e glielo agita in faccia.

- Chi è il cretino che s’è fatto mordere non da uno, ma da DUE zombie in un dannato mese? TIENI LA PISTOLA E FA LA GUARDIA.

Genzo promette di tenere la pistola e di fare la guardia. Lo fa con un’espressione di puro disgusto e poi, sì, dimostra a Kaltz che sa come disinserire quella dannata sicura. Il metallo è caldo e pesante tra le dita. Sembra vivo. Le armi da fuoco lo mettono un sacco a disagio e Kaltz LO SA. Però Kaltz ha subito un forte trauma questa mattina quando ha pensato di essere rimasto l’unico sopravvissuto del loro terzetto e poi si è sparato due ore e mezza a piedi sotto il sole trascinandolo di peso. Se lo fa sentire meglio, Genzo è disposto ad ignorare l’acido in gola e ripetergli per la milionesima volta che, sì, sa come sparare.

Probabilmente è l’unico dei suoi amici ad essere stato al poligono. O ad avere il porto d’armi.

Kaltz grugnisce e s’invola verso il pannello. Inserisce la chiave nella scatola d’acciaio spessa tre dita e immette il codice a quattro cifre per la sospensione della corrente elettrica e quello a sei per l’apertura dal cancello. Richiude e si ficca la chiave in tasca. Ne avevano sei copie all’inizio, Schneider ne ha perse tre. Kaltz ritorna, Genzo gli lancia la pistola e si lascia aiutare a trascinarsi dentro.

- Premi il bottone, quello verde dietro la cabina. – Dice Genzo.

- Sei riuscito ad aggiustarlo?

- Non è stato complicato.

La mancanza di contatto era causata dalla tana di uno scoiattolo, Genzo per quattordici giorni aveva sfruttato le riparazioni come scusa per evitare il suo migliore amico. Hermann capisce e borbotta “te pareva”, preme il bottone, il cancello si chiude dietro di loro. La corrente, in teoria, dovrebbe tornare tra qualche secondo in automatico, ma sono stati abbastanza imprudenti per oggi così Kaltz lo sostiene fin dentro la cabina di controllo e aspettano insieme che i sistemi tornino online. Perfetto.

Gli abitanti del rifugio che stanno occupando sono morti molto prima che la quarantena degenerasse. I resti umani che lui, Kaltz e Schneider hanno trovato nelle prime settimane di permanenza erano vecchi di mesi. A volte capita di trovare un brandello di stoffa in cortile e non si sa se venga da uno degli zombie che cercano di entrare durante la notte, o sia un ricordo dei loro antichi coinquilini. Dovevano essere almeno cinquanta persone. Viene da chiedersi come siano morti. Magari si sono infettati a vicenda. O magari si sono tenuti uno dei loro chiuso in cantina.

Sono sudati marci quando finalmente riescono ad entrare nella baracca che è casa loro. Kaltz lo molla sulla panca di legno che usano per levarsi le scarpe e recupera il kit del pronto soccorso che sta nella credenza del bagno. Genzo si leva i pantaloni. Una volta pulita la ferita richiede ventisette punti. È Genzo a metterli perché è quello con l’esperienza e la mano ferma. E poi perché Kaltz è un accidenti di sadico e sfrutterebbe l’occasione per fargli scontare il mezzo infarto.

Hanno un sacco di garze sterili, dopo aver messo i punti le usa per avvolgerci la ferita. Kaltz in teoria dovrebbe aiutarlo, invece rimane molto immobile a fissare il punto in cui i capillari smettono di gonfiarsi di quel nero bluastro che accompagna l’infezione e tornano lentamente al loro volume naturale.

- Porca puttana Genzo.

- Te l’ho detto: ne si guarisce.

Solo che capita di rado. Non è successo a suo fratello, per esempio, o alla piccola Maria. Ancora. Finché c’è attività cerebrale e il paziente è stabile, l’infezione può sempre regredire. Misugi, come lui, era stato tra i primi ad ammalarsi e per stare meglio di mesi ce ne aveva messi otto.

Karl-Heinz Schneider è stato infettato trentasette giorni e dodici ore fa. Ogni giorno i suoi occhi sono più lucidi, la sua mente più presente e magari Genzo vede solo quello che vuole, ma il due percento di possibilità di guarigione per la variante di Billstedt è un fatto. Una scommessa.

Genzo ha deciso di non perderla.

 

 


 

 

Note al capitolo 1:

 

Mentre facevo la doccia sono stata visitata dall’immagine di Kaltz puntare una pistola contro Genzo. Il resto è venuto di conseguenza. 

Questo primo capitolo è stato scritto mesi fa e pesantemente rieditato sei volte perché sono incontentabile. Il focus della storia,  andando avanti, rimarrà Genzo, ma appuntatevi i biglietti spariti.

Sono presa da “Variabili”  (la long su CT  regolare ogni primo mercoledì del mese) e gli aggiornamenti per “Trentasette giorni” saranno, ahimè, alla quando capita però il piano della storia così come il suo finale sono stati scritti. Ah e ne approfitto per ringraziare tutti coloro che stanno commentando le mie fic: davvero raga, mi rendete un sacco felice e mi fate venire voglia di finire le cose invece che tenermele in testa o nel computer. 

 

 

Informazioni di servizio:

 

1) Kaltz non avrebbe mai sparato a Genzo. Era più in uno stato di shock che altro.

2) Schneider è infetto perché la canzone “If I was a zombie I’ll never eat your brain” mi piace un sacco.

3) Non ho messo disclaimer perché questa storia è GEN e si concentra su amicizia ed e avventura, ma tenete presente che io Genzo e Karl li scrivo e scriverò sempre queer (e quasi sempre assieme).

 

 

 

>>> 2. Il cane.

La pandemia globale è lontana e Genzo, adolescente, festeggia di malavoglia il matrimonio del fratello.

  
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