ATTENZIONE: questo capitolo contiene una breve scena di “quasi
violenza sessuale” sebbene non si scenda in particolari e sia solo appena
accennata (sennò avrei messo il rating rosso), potrebbe comunque risultare
disturbante.
Lettore avvisato, lettore salvato!
Nei giardini che nessuno sa
2. La forza della vita
L’alcova a prima vista sembrava un posto
accogliente.
C’era un grande letto rifinito di broccato rosso, con lenzuola oscenamente
candide e profumate di una fragranza stucchevole che ricordava il glicine.
Quel profumo le feriva le narici ed era stomachevole. Aveva bevuto del liquore,
ma continuava a tremare. Eppure l’aveva scelta con consapevolezza quella vita.
Sembrava volesse espiare la maledizione legata al nome che portava. Quel nome
che era costato la vita a Noam.
Quella
era la sua prima volta.
La più difficile di tutte.
Non fu fortunata. Il suo primo cliente era un uomo sulla sessantina.
Basso, grasso, sudaticcio, con un alito fetido da far vomitare. La guardava con
cupidigia e si leccava le labbra, come se avesse l’acquolina in bocca. Quella
ragazza era incredibilmente giovane e bella.
Kuchel sentì la nausea salirle dallo stomaco fin dentro la bocca, si chiese
come avrebbe fatto a sopportarlo e a non rimettere. Ma aveva fatto una scelta
da cui non si poteva più tornare indietro. Così, nonostante il ribrezzo che le
faceva quell’uomo, angosciata e piena di paura si era sdraiata sul quel talamo
sacrificale.
Subito quello si era calato i pantaloni e le era saltato addosso, tirandole su
la gonna e strappandole i mutandoni di dosso. L’aveva violata a freddo come avrebbe potuto fare un
qualsiasi animale durante una monta. Kuchel avvertì dolore. Era una violenza.
Fu in quel preciso momento che la forza degli Ackerman si palesò in lei in
tutta la sua maestosa potenza. Lo schifo, la paura, il dolore, la ribellione
istintiva a quel gesto così prevaricatore, la fece tremare fin nel midollo. Fu un’implosione
e venne attraversata come da una scossa.
La sua mente di colpo si alienò completamente. All’improvviso non sentì più
niente. Era lì, ma allo stesso tempo non c’era più. Fluttuava come in un’altra
dimensione, dove nulla e nessuno poteva toccarla. Fu come se il suo corpo non
fosse più suo.
In quella specie di trance le parve di udire la voce di Noan che le chiedeva di
sposarla, sentiva il profumo dell’erba fresca, i grilli cantare, la brezza
leggera di una lontana notte d’estate, poi fu solo oblio.
Quando quel porco, in pochi minuti, ebbe finito i suoi comodi, lei rinvenne
come da uno svenimento.
Straordinariamente era quasi come se non le fosse accaduto niente.
La
forza sovrumana degli Ackerman in Kuchel si era manifestata in modo diverso e
anomalo. Nel suo caso era stata una cosa prettamente mentale, sebbene in parte riguardasse
anche il suo fisico.
Questa sensazione extracorporea le fu incredibilmente utile in quell’inferno in
cui si era volontariamente rintanata, anche se per fortuna non tutti i clienti
erano come quello lì.
*
Il bordello dove viveva Kuchel era gestito da una ex
prostituta e da suo marito.
La donna, che aveva provato sulla sua pelle il degrado di quel mestiere, era molto più comprensiva ed
empatica del marito. Quell’uomo avido invece, pensava solo al profitto, ma per
fortuna era veramente legato alla moglie, di cui era stato un cliente. Poi se
n’era innamorato e l’aveva sposata, elevandola da puttana a maîtresse.
Madame Bijou era una donna che aveva scelto di fare la prostituta per non morire
di fame. Ne conosceva il fardello e non era mai del tutto riuscita a staccarsi
da quella vita, forse per un malsano legame che non riusciva a recidere. Per
questo, sebbene il marito potesse gestire da solo quel posto, lei aveva
comunque voluto affiancarlo.
Non aveva mai capito perché una ragazza così giovane e bella, come lo era
Olympia, fosse finita a vendere il suo corpo.
Aveva intuito che dietro ci fosse una voragine di dolore, che l’aveva portata
ad una scelta estrema, per punirsi, o chissà che cosa.
La gente che viveva nel ghetto era tutta sopravvissuta a qualche sciagura.
Ognuno si portava appresso un carico enorme, che solo la vita sotterranea
poteva accogliere e a volte nascondere.
La ragazza aveva affittato una camera sopra il bordello, in cui c’era un letto,
un lavatoio e una stufa per scaldarsi, ma anche per cucinare del cibo. Kuchel
aveva scelto l’opzione alcova che consisteva nel
pagare un ulteriore affitto per una stanza in cui si ricevevano esclusivamente
i clienti, lasciando intonsa la sua stanza personale.
Quando Kenny aveva ucciso Noam e lei aveva perso il bambino, le si era rotto
qualcosa dentro, avrebbe voluto morire, ma il peggio doveva venire. L’avevano
sorpresa nella stalla, sporca di sangue ed era stata accusata di assassinio.
Nonostante tutto non poteva incolpare Kenny, anche perché essendo suo fratello,
nessuno avrebbe creduto che lei non c’entrasse niente.
La molla che l’aveva fatta desistere da compiere atti estremi, era stato il nonno.
Era molto malato e aveva davvero bisogno di aiuto, e se lei non avesse
provveduto a darglielo sarebbe morto presto. Non poteva avere questo peso sulla
coscienza dato che l’uomo, dopo la morte dei suoi genitori, l’aveva cresciuta.
Ma cosa poteva fare una ragazza così giovane che di lì a poco sarebbe stata
braccata?
Aveva avuto una sola scelta: prostituirsi. Era l’unico modo veloce per avere
abbastanza soldi per poter mantenere il nonno e le sue cure.
E poi fare la vita era per lei una
sorta di espiazione. Un autolesionismo che sentiva come la giusta punizione per
la morte di Noam. Odiava se stessa solo per il fatto di essere la sorella di
Kenny. Sapeva che suo fratello era un essere malvagio. Senza coscienza. Senza
empatia. Le faceva orrore avere i suoi geni e il suo stesso sangue. Voleva solo
aiutare il nonno e poi forse, l’avrebbe fatta davvero finita, ma anche questa
volta la vita le stava per riservare una sorpresa.
*
Era quasi la fine di aprile. La primavera era sbocciata,
ma nella città sotterranea tutto, come sempre restava immutato. Si poteva intuire
che la nuova stagione fosse arrivata solo dalle aperture, da cui faceva
capolino un cielo terso e celeste, rallegrato a tratti dallo svolazzante
cinguettio di qualche uccellino.
Kuchel, che ormai da tempo lavorava nel bordello, di certo non era il tipo da
soffermarsi a guardare il cielo, né di pensare alle stagioni. Le importava poco
di tutto. Era come un arbusto cresciuto in mezzo a delle pietre: la vita la
subiva suo malgrado.
Stava camminando rimuginando su quello che doveva acquistare, quando un
pensiero improvviso, come una saetta, le squarciò la mente. Si fermò di colpo e
con sorpresa realizzò che le era saltato il ciclo. Fu come una botta in testa.
Ebbe una sensazione simile a come quando ti svegli di soprassalto, infatti
sussultò e restò senza fiato.
Eppure era stata attenta come sempre, aveva meticolosamente usato il ditale con
la spugna imbevuta di aceto(1),
possibile che fosse rimasta incinta?
Questa eventualità la sconvolse facendola rabbrividire fin nelle viscere.
La sua esistenza era monotona, ripetitiva e assolutamente drammatica. Sembrava
essere diventata una bambola di pezza, che veniva sbattuta da una parte
all’altra: vuota e inerme.
Si era arresa ad un destino amaro, senza speranze, né illusioni.
Questa novità la schiaffeggiò risvegliandola dal quel torpore fatale. La prima
reazione istintiva fu di panico. E ora, se fosse stata incinta, cosa avrebbe
fatto? Era un’eventualità questa che non aveva messo in conto, sebbene il tipo
di vita che aveva scelto, comportasse proprio rischi di questo tipo. Certo, ogni
prostituta usava i suoi metodi per ovviare a certi problemi, ma nessuno di
questi era infallibile. Molte di loro erano ricorse anche a procedimenti
estremi e definitivi per evitare gravidanze indesiderate, ma lei intorpidita
dal suo dolore, neanche ci aveva mai pensato. Faceva tutto molto
meccanicamente, affidandosi ai consigli esperti di Madame Bijou.
Passarono alcune settimane in cui fu preda di grande confusione e sgomento. La
cosa più logica sarebbe stata sbarazzarsi di quel problema, oltretutto non aveva neanche la più pallida idea di chi
potesse essere l’eventuale padre. Quella gravidanza era proprio il frutto del
caso.
Ma esiste veramente il caso?
Intanto il tempo passava.
Ciò che la dilaniava era che quel ritardo le rammentava quello che voleva
disperatamente dimenticare. Le ricordava un’altra vita, quando una stupida
ragazzina innamorata aveva creduto di poter coronare il suo sogno e magari
costruire un futuro felice. La famiglia era sempre stata tutto per Kuchel,
forse proprio perché le era mancata.
Per questo ora era disorientata e confusa.
Si ritrovò persa in un vortice che la sballottava come una foglia in balia del
vento. Non aveva con chi confrontarsi era sola ad affrontare i suoi demoni. Ma
quella ragazzina piena di vita, che era stata un tempo, nonostante tutto, era
ancora lì, dentro di lei che lottava per poter riemergere. E nonostante i dubbi
e la paura folle, giorno dopo giorno, quella novità imprevista, le faceva
formicolare qualcosa dentro, qualcosa che credeva morto per sempre.
Un giorno, mentre stava camminando per strada perse l’equilibrio, prima di
cadere in ginocchio istintivamente si protesse la pancia. Quel gesto le fece
salire un magone enorme. Ma fu anche una sensazione bellissima, come un eco, un
richiamo lontano, quasi ancestrale. Il canto di una sirena ammaliatrice che
aveva il sapore di un’insana follia.
Con il passare dei giorni Kuchel si era aggrappata all’idea di quella creatura
che le sbocciava in grembo, come un naufrago si aggrappa ad un tronco d’albero
per non affogare.
Quel germoglio piantato per sbaglio, era la vita che si riappropriava di lei.
Ad certo punto, come una luce che squarcia le tenebre, fu tutto adamantino, o
forse lo era sempre stato, solo che lei lo poteva vedere solo adesso.
Non le importava sapere come, chi, e perché. Non era importante, non per lei
che aveva perso tutto.
Ciò che contava era come si sentisse adesso: viva, nuova, forte.
Era grata per questo regalo inaspettato.
La speranza stava fiorendo.
Era l’opportunità di dare un senso a quella vita, una cosa solo sua: carne della sua carne, la sua creatura.
Tutto era cominciato ad aprile e quando a giugno ebbe la certezza matematica di
essere incinta, chiese a Madame Bijou il permesso di
potersi assentare per poter andare a trovare suo nonno. La donna, nonostante la
riluttanza del marito, le dette il suo beneplacito.
L’idea di Kuchel era quella di tornare a casa. Voleva dare alla sua
creatura una vita decente, soprattutto se fosse stata una bambina, eventualità
che le metteva una gran paura addosso.
Raggiunse l’abitazione del nonno piuttosto velocemente anche se l’uomo
risiedeva abbastanza lontano dal bordello. Come arrivò nei pressi della casa
qualcosa la mise in allarme, non seppe dire cosa fosse, fu una cosa istintiva,
non bussò alla porta e furtiva andò ad acquattarsi in prossimità di una
finestra.
«Allora vecchio non si è ancora vista quella cagna di
tua nipote?» disse un individuo corpulento dall’aspetto poco raccomandabile.
«Te l’ho detto, è quasi un anno che non la vedo. Non ho idea di dove sia, per
quanto ne so potrebbe essere morta!»
«E i soldi chi te li manda eh, vecchio?» lo incalzò quello afferrandolo per il
bavero.
«Mio nipote, ovvio! Come potrebbe mai una ragazzina trovare un lavoro e
mantenermi senza che la scopriste!».
Non ascoltò altro. Suo nonno la stava proteggendo, da quello che probabilmente
era uno scagnozzo dei Lobov, che evidentemente non si erano ancora arresi e
volevano fargliela pagare.
Se voleva salvaguardare la vita del nascituro doveva tornare di corsa al
bordello e rimanere rintanata lì, dove non conoscevano neppure il suo vero
nome.
*
Convincere il marito di Madame Bijou, a farle tenere il bambino, era stata un’impresa ardua.
Non ne voleva sentir parlare di marmocchi ma soprattutto non voleva perdere i
suoi guadagni. Olympia avrebbe potuto lavorare solo fino a quando non le si
fosse vista la pancia e poi addio introiti, e lei gli rendeva molto bene. Non
era proprio cosa.
Eppure la caparbietà di Kuchel ebbe la meglio.
Gli promise che lo avrebbe ripagato di ogni perdita, e che avrebbe aggiunto gli
interessi per ogni giorno di lavoro perso, oltre che darsi da fare per tenere
il bordello pulito, ovviamente gratis. Alla fine, soprattutto grazie alle
insistenze della moglie, l’uomo si convinse.
Era il 25 dicembre, anno 818 quando Kuchel dette
alla luce suo figlio.
Il parto fu doloroso e sfiancante, ma niente fu paragonabile all’immensa gioia
che provò, quando finalmente strinse tra le braccia quel fagottino che emetteva
il suo primo vagito.
Lo aveva atteso e immaginato per nove mesi, tra gioie e timori.
Fu grata e felice che fosse un maschio. Era ancora sporco e tremante, ma vivo e
caldo. Piangeva forte e Kuchel pianse insieme a lui. Lacrime dolci, che non
aveva mai versato prima. Dentro si sentì come divorare da un fuoco. Era
quell’amore così grande e così prepotente, che solo una madre che ha tessuto suo
figlio in grembo può provare. Un amore più forte del dolore, del degrado, della
paura e della morte. Un amore tanto intenso, da far male al cuore.
Guardò la sua creatura, le parve la cosa più bella e più preziosa del mondo. In
vita sua non aveva mai provato una gioia così devastante, che la faceva tremare
fin nell’angolo più remoto dell’anima.
Lo strinse forte al petto, lo guardò innamorata come si guarda un miracolo, gli
baciò la fronte e disse: «Tu sei Levi. Il mio Levi».
NOTE
Significato
nome Levi: nome ebraico לֵוִי
(Lewi), che tradizionalmente viene interpretato come "congiunto",
"unito", "affezionato" o "unione",
"vincolo", dal verbo lawah, "affezionarsi". (Fonte
Wikipedia)
Non ho prove, ma non credo che Isayama abbia scelto questo nome a caso (tra l’altro
ha usato un sacco di nomi ebraici e io l’ho imitato, anche Noam è di origine
ebraica). Personalmente a me piace pronunciarlo Le-vi, senza inglesizzarlo
in Li-va-i, anche per rispetto alla cultura ebraica, da cui il nome stesso
proviene. Poi, ovviamente ognuno lo legga e lo chiami pure come vuole (mai
Rivaille però eh!!!), e ci mancherebbe altro ;)
L’anno di nascita di Levi (che non conosciamo esattamente) me lo sono inventato
studiando un po’ le timelines dell’opera originale, prendetelo comunque come
headcanon, perché ci si può avvicinare, ma non ci sono certezze.
(1)
Ditale e spugna imbevuta di aceto sono metodi “anticoncezionali” antichi. Il
ditale era in voga tra il ‘500 e il ‘700 circa e la spugna imbevuta di aceto,
non saprei dirlo con precisione, ma pare fosse molto famosa già dall’antica
Roma.
LE NOTE DELL’AUTRICE
Questo capitolo mi ha fatto vedere i sorci verdi. È
stato in assoluto il più rognoso da scrivere per tanti motivi. Il passaggio più
ostico fra tutti è stata la prima volta da prostituta di Kuchel.
Spero solo di aver reso al meglio la scena senza calcare la mano sulla
situazione. Ci tenevo molto a fare le cose a modo, troppo spesso il non-con o
la prostituzione vengono usati in modo che personalmente non mi piace e danno
anche una visione non realistica di cosa queste cose (tremende) possano essere
per un essere umano.
Certi argomenti, per me, sono e restano molto seri, e ci tenevo a
non urtare la sensibilità di nessuno, perché non si sa mai chi legge dall’altra
parte dello schermo e che bagaglio di vita si porta a presso.
Ora smetto di tediarvi e vi do appuntamento al prossimo capitolo, che sarà anche
l’ultimo!
Un grazie sentito a chi legge, tanta riconoscenza a chi commenta e anche un grande
grazie a chi ha già messo questa mia fic tra seguiti-ricordati-preferiti
Buon week end a tutti! 🌼