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Autore: noemi_ST    11/08/2022    0 recensioni
[https://en.wikipedia.org/wiki/KinnPorsche]
La vita di Kinn e Porsche non è semplice, il loro stile di vita li porta ad essere sempre vicini alla morte. Ma se uno dei due dovesse avvicinarsi più del dovuto come reagirebbe l'altro?
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kinn

Potevo sentire il rumore della battaglia imperversare al di là della porta blindata che mi costringeva al suo interno. Avevo provato di tutto per aprire questa dannata porta, pur sapendo sarebbe stato impossibile. Il peggio arrivò quando sentì i primi colpi partire e, senza rendermene conto, iniziai a prendere a pugni la porta e urlare il suo nome.

Non avevo idea di cosa stesse succedendo al di fuori della porta, i continui rumori erano la sola cosa che mi facevano sperare lui fosse ancora vivo a lottare, non avrei accettato niente di diverso.

A un certo punto lo sentì combattere più vicino al caveau e poi un colpo di pistola, troppo vicino, mi immobilizzò. Non avevo la forza né il coraggio di proferire parola. Se l’avessi chiamato e non mi avesse risposto… non era qualcosa a cui dovevo pensare. Non in quel momento.

“Porsche…” Dissi lentamente. I secondi che seguirono furono i più lunghi della mia vita, quando sentì il suo mormorio di risposta quasi caddi a terra e potei riprendere a respirare.

Iniziai a guardami intorno, doveva esserci qualcosa di utile da utilizzare per uscire da questo cazzo di posto! Ovunque guardassi trovavo solo fogli inutili e polvere.

Che posto dimenticato da dio, che diavolo se ne facevano?

Continuai a cercare, magari avrei trovato qualcosa per fare leva, per creare un diversivo e così poter aiutare Porsche. Ma ero rinchiuso in un caveau con una porta rinforzata, quanto potevo sperare di aprirla dall’interno?

Bang!

Mi girai di scatto verso la direzione di quel suono. A poco a poco mi avvicinai alla porta e subito ne sentì un altro. Bang!

Porsche era ancora qui fuori, lo avevo sentito lottare e cercare di avere la meglio contro il suo avversario. Quante possibilità c’erano che anche questa volta fosse rimasto illeso? Che il mio Porsche, il mio forte, capace, sorridente, dolcissimo Porsche, non avesse nemmeno un graffio e una volta uscito mi avrebbe accolto a braccia aperte e con il suo solito ghigno compiaciuto?

Volevo chiamarlo, dovevo chiamarlo ma non ci riuscivo. Mi avvicinai lentamente alla grossa porta di metallo, appoggiai, titubante, la mia mano e all’improvviso un click.

Indietreggiai lentamente, mentre la pesante porta veniva spinta verso l’interno. Il mio cuore accelerò al pensiero che la persona che stava per entrare e salvarmi fosse Porsche, ma il sorriso morì sul mio volto quando vidi comparire Arm.
 
Arm teneva il viso basso, non voleva guardarmi negli occhi.
“Khun Kinn.” Disse tenendo il capo chino mentre io uscivo dal caveau e feci dei passi in avanti con cautela.

‘Porsche stava bene, doveva stare bene.’

Ma una volta uscito vidi qualcosa che mai nella mia vita avrei voluto. Porsche era terra, riversato in una pozza del suo stesso sangue con gli occhi semi chiusi.
Nella mia vita avevo sofferto molto, morti, tradimenti, ero stato rapito, picchiato, mi avevano sparato ma niente di tutto quello che mi era mai successo poteva essere paragonato al dolore che stavo provando in quel momento.

Mi abbassai verso di lui, sentivo il suo flebile respiro mentre intorno a noi regnava il caos. I miei uomini erano riusciti ad avere la meglio e ora stavano cercando in tutti i modi di far arrivare i soccorsi per prendersi cura di Porsche.

Presi le sue mani tra le mie e me le portai alla bocca, baciandole. Vidi un leggero sorriso comparire sul suo viso mentre i miei occhi si riempivano di lacrime. Questa non poteva essere l’ultima volta che vedevo il suo sorriso, non l’avrei permesso. Sentì una delle mani di Porsche sfuggire alla mia presa, la alzò verso il mio viso e, mentre stava per dirmi qualcosa, la sua mano cadde al suolo e ci fu solo silenzio.
 
***
 
Pol e Arm mi scortarono fuori dalla stanza per lasciare la riunione a cui avevo appena preso parte. Era una delle solite riunioni di routine nella quale si decideva se i compratori attuali andassero bene e per accertarsi che tornassero i conti delle varie attività, compito che di norma veniva svolto dalla seconda famiglia.

Il luogo in cui mi trovavo distava pochi metri dalla casa principale, potevo tranquillamente raggiungerlo a piedi ed evitare la presenza delle mie due guardie del corpo, ma visti gli avvenimenti delle settimane precedenti era meglio essere prudenti.
Questo era il motivo principale per cui avevo scelto di partecipare personalmente alla riunione. Avrei potuto tranquillamente mandare Vegas a fare le mie veci ma volevo guardarli, uno per uno, e cercare di capire chi di loro era stato la causa di quella situazione al caveau. Era ovvio che ci fosse stata una soffiata dall’interno, ci avevano raggiunti e circondati con troppa facilità, dovevo solo scoprire chi fosse stato.

Gli uomini della mafia potevano essere leali quanto infidi, se gli si dava la giusta motivazione.

Non avevo problemi a credere che qualcuno volesse occupare il mio posto, sfruttando quello che era il mio unico punto debole. Non potendoli, però, accusare direttamente, osservarli così da vicino era la cosa migliore. Ogni espressione sorpresa, ogni sguardo furtivo erano abbastanza per farmi dubitare di loro, soprattutto perché nessuno pensava mi sarei presentato dopo quello che era successo. Sicuramente non per una mansione che non necessitava, in alcun modo, della mia presenza.
 
 
Rientrai nella mia stanza dopo la mattinata estenuante. Venni accolto dal rumore a cui mi stavo sfortunatamente abituando.

“Bip… Bip… Bip…” il suono acuto proveniva dal monitor e dalle macchine che controllavano lo stato attuale di Porsche.

Dopo la sparatoria nello stabilimento, riuscimmo a portarlo in ospedale per miracolo. Pol aveva guidato come un pazzo per arrivare lì il prima possibile. I dottori avevano detto che Porsche aveva resistito quel poco da permettergli di salvarlo ma che, da adesso, non dipendeva più da loro.

I medici non sapevano quando o se Porsche si sarebbe svegliato, né tantomeno se ci sarebbero stati problemi a livello cerebrale. Aveva perso molto sangue ed era rimasto incosciente per vari minuti, per questo motivo le sue condizioni erano molto instabili e non si sapeva come sarebbe stato una volta sveglio.
Per quanto mi riguardava, io ero già felice che il suo cuore continuasse a battere, continuasse a battere per me. Le settimane però passavano e non c’era alcun segno di miglioramento da parte sua.

Mi avvicinai al suo letto, che avevo fatto sistemare nel salotto centrale, in modo di vederlo appena entrato nella stanza. Accanto al suo letto c’erano monitor, fili, aghi e un altro letto, dove mi stendevo ogni volta che lo volevo più vicino a me. Era lontano il giusto da non rischiare di ferirlo o spostarlo inavvertitamente ma abbastanza da permettermi di sentire il suo odore e accarezzarlo dolcemente.

Era così sereno su quel letto, ma troppo tranquillo.

“Il Porsche che conosco io è pieno di energia, sai.” -gli dissi una volta arrivato a pochi centimetri da lui, chinai il capo e appoggiai le mie labbra sulla sua fronte per, forse più, di qualche minuto. Inalai lentamente il suo odore e mi si inumidirono gli occhi.

“Quando lui entra in una stanza tutto risplende ed è pieno di colori, se qualcuno è di cattivo umore si illumina alla sua vista. Lo capisco se sei ancora stanco e credi di dover ancora riposare, ma ti prego… ti prego… torna da me. Non riesco a resistere ancora, mi manchi tanto.” Ero chino sulla sua mano, attento a non spostare l’ago collegato alla vena. Cercavo di trattenermi e non piangere ma alcune giornate erano più dure di altre. E lui mi mancava troppo.

Già all’inizio ero rimasto sorpreso di quanto velocemente fossi stato attratto da lui, per poi capire che non era solo attrazione. Ormai non pensavo di poter vivere senza di lui, il suo splendido sorriso, i suoi dolcissimi occhi.

Avevo promesso che non sarebbe stato più male, che non avrebbe sofferto, che suo fratello non avrebbe pianto un altro familiare ma non avevo potuto mantenere la mia promessa.

Ora lui era lì, sdraiato su quel letto, ad un palmo dal mio viso, ma lontano da me.

Un rumore mi distolse dai miei pensieri. Qualcuno aveva bussato alla porta, mi diedi una veloce sistemata prima di dire un duro ‘Avanti’.

Era Porchay. Passava da qui almeno due volte al giorno, sperando sempre di scoprire che il fratello si fosse risvegliato. Lo seguivano Kim, che dal giorno della sparatoria non lasciava solo Chay nemmeno per un secondo, e il dottore che si occupava delle condizioni di Porsche.
Il dottore si avvicinò al lettino e iniziò a esaminare Porsche come tutte le altre volte, Chay lo seguì a ruota evitando ancora una volta il mio sguardo. Per quanto non mi avesse detto nulla, né tantomeno mi avesse urlato contro, ero convinto che Chay incolpasse me per la situazione in cui si trovava suo fratello.

In tutta sincerità, non lo biasimavo. Dopotutto era quasi morto per salvarmi, non perché quello fosse il suo lavoro ma per i sentimenti che nutriva nei miei confronti.

Kim aveva provato a rassicurarmi dicendomi che Chay non ce l’avesse con me, ma che semplicemente non faceva vedere come si sentisse realmente davanti alle persone con cui non si trovava in confidenza, spesso a malapena ne parlava con Porsche.  

“Ripeto, le condizioni di Porsche sono stabili per il momento, non c’è niente che mi faccia pensare che non si risveglierà, per questo cercate di stare attenti anche al più minimo cambiamento.” Disse il dottore una volta finito il controllo di routine.

“La ringrazio. Quando sarà la prossima visita?” Cercavo sempre di essere presente quando il dottore veniva. Non potevo mettere del tutto da parte i miei affari ma cercavo di essere libero in questi casi, in modo da sapere per primo qualunque novità.

Mentre il dottore mi rispondeva e illustrava il da farsi, lo accompagnai verso la porta. Appena mi allontanai, Chay si avvicinò al lettino e iniziò a parlare con il fratello. Ogni volta che veniva gli raccontava le ultime novità, quello che era successo a scuola o i casini che alcune guardia del corpo facevano in casa, il tutto raccontatogli ovviamente da mio fratello Tankhun, il re dei pettegolezzi della nostra famiglia. Altre volte capitava che venisse da solo, in quei casi si lamentava di alcune stupidaggini successe con Kim.

Non potevo fare a meno di sorridere in quei casi. Mio fratello Kim era sempre stato la persona più solitaria che avessi mai conosciuto, mai un sorriso, mai un ti voglio bene, sempre a vivere la sua vita da eremita. Ma da quando Chay era comparso nella sua vita, non lo riconoscevo. Era diventato più espressivo, parlava di più di sé, ricordo ancora il terrore nei suoi occhi quando Chay era stato rapito. Non lo avevo mai visto in quelle condizioni.

Questi due fratelli erano entrati nelle nostre vite e le avevano cambiate irrimediabilmente.
 
“Dottore! Dottore! Dottoreeee!” Entrò come una furia il mio caro fratello maggiore alla ricerca della persona che ormai se ne era andata.

“Sta' zitto.” Lo intimò Kim. Khun aveva una specie di cotta per il nostro dottore – povero dottore- e ogni volta che veniva qui per vedere le condizioni di Porsche, Tankhun gli si attaccava come una sanguisuga e piangeva come una vedova disperata, con tanto di fazzoletto e di musica drammatica in sottofondo. Era quasi rassicurante che Porsche non fosse cosciente, in caso contrario avrei di sicuro perso un fratello.

“Chay sta cercando di stare un po’ con suo fratello in pace.” Gli sussurrò Kim, nella speranza che questo servisse a calmare, anche se per poco, quel pazzo di nostro fratello. Ma ovviamente non fu così. Serviva ben altro per farlo stare a bada. In un attimo Tankhun salì sul tavolo del salotto, un microfono in una mano e una cassa portatile nell’altra. Vane erano le nostre proteste o le richieste di smetterla, Kim provava a farlo scendere, o per meglio dire, cadere visto come lo tirava per la lunga giacca che indossava. Pol e Arm a quel punto entrarono di corsa e si misero dietro il mio caro fratello maggiore, per prenderlo al volo nel caso in cui fosse effettivamente caduto.

Io mi avvicinai di nuovo al lettino d’ospedale, sistemandomi nella parte opposta rispetto a dove si trovava Chay. Lui continuava a parlargli del più e del meno, incurante di me o dei miei fratelli che davano spettacolo. Ogni tanto gli stringeva la mano, nella speranza che Porsche la stringesse a sua volta, altre volte gli sistemava i capelli. Avrei voluto dirgli che sapevo come si sentisse, che anche io volevo a tutti costi che si svegliasse e tornasse da noi ma non importava quante volte ci pensavo o le parole che sceglievo, sapevo che non era la stessa cosa.

Porsche era l’ultima cosa rimasta a Chay.
 
 
 
Avevo approfittato della presenza della mia famiglia che controllava le condizioni di Porsche per farmi una doccia e darmi un attimo una sistemata.

“Khun Kinn, se posso chiederle, come sta ora Porsche?” Chiese Arm, dopo che i miei fratelli si placarono. Adesso si trovavano entrambi seduti sul divano,
Chay tra di loro a fare da sparti acque, stavano mangiando qualche dolce. Anche se era più corretto dire che Kim cercava di far mangiare Chay mentre quest’ultimo era molto reticente al riguardo e dava solo piccoli morsi.

“Il medico dice che apparentemente le sue condizioni sono stabili, non riesce a capire come mai non si risveglia. Nel dubbio, però, gli ha fatto fare altre analisi, nella speranza di vedere qualcosa che possa tornarci utile.” Mi passai la mano sul viso mentre ripetevo ad Arm quello che il medico mi aveva riferito.

Ci avevo pensato tutto il giorno, non capivo se questa potesse essere una buona notizia oppure no.

“Non si preoccupi Khun Kinn, sa com’è Porsche. Non si arrenderebbe mai così facilmente, ne sarebbe ferito nell’orgoglio.” Arm era uno degli amici più cari di Porsche, a volte ero pure convinto che la sua lealtà andasse prima a lui e poi a me. Questo pensiero mi fece sorridere, non ricordavo nemmeno quando era stata l’ultima volta che era successo.

“Grazie Arm. So quanto tu, quanto voi, teniate a lui.” Gli misi una mano sulla spalla e lo ringraziai.

Ed era vero. Pete, che non si trovava qui adesso ma era venuto a trovarlo in ogni momento possibile, aveva pure deciso di entrare nella tana del lupo pur di difendere il suo amico da false accuse.
 
 
 
Una volta avvicinatasi l’ora di cena, tutti lasciarono la mia stanza, tranne me. Avevo iniziato a mangiare tutti i giorni in questa stanza, Porsche non poteva sentirmi né sapere che ero là con lui ma non ce la facevo a lasciarlo lì da solo. Una volta terminato controllai il lavoro, accumulatosi sulla mia scrivania finché non mi sentii così stanco da andare a dormire.

Il letto in cui mi trovavo non era esattamente dei migliori, di sicuro non era come quello a cui ero abituato, ma valeva la pena dormirci per godere di questa vista. Mi avvicinai lentamente a Porsche, sembrava così tranquillo mentre era lì, steso sul letto. Allungai la mano verso il suo viso mentre facevo pressione con l’altro braccio sul mio letto per non sbilanciarmi troppo. Accarezzai prima la sua guancia, scesi verso il mento per poi risalire verso la tempia, passai i polpastrelli sulla sua fronte e poi picchiettai piano sul suo naso. A questo punto le mie mani passarono sulla sua bocca, una bocca che non baciavo da troppo tempo, quanto mi mancava.

Durante questo periodo avevo più volte baciato la sua fronte, le sue guance e le sue mani ma mai le sue labbra. Potevo ancora sentire il sapore delle sue labbra dell’ultima volta che mi aveva baciato e avevo paura che, se l’avessi baciato ora, non sarebbe stato la stessa cosa.
Non sarebbe stato il mio Porsche.

Deglutì e mandai giù l’amarezza di quei pensieri, lui era ancora con me.

“Buona notte, amore mio. Non farmi aspettare troppo.” Sussurrai piano e mi misi a letto. Dormire era stato difficile nelle ultime settimane, ma qualche ora di sonno mi comunque avrebbe fatto bene.

Dopo nemmeno cinque minuti una serie di bip e rumori acuti mi fecero saltare in aria. Scesi di corsa dal letto per accendere la luce.

Mi avvicinai subito a Porsche che si stava contorcendo nel letto, il suo petto si muoveva freneticamente verso l’alto e verso il basso e sembrava non riuscire a respirare. Rimasi bloccato per qualche secondo finché non tornai in me e chiamai subito aiuto.

Cercai di aiutare Porsche tenendolo fermo, ma lui continuava ad avere spasmi e non ero sicuro che quello che stavo facendo fosse la cosa giusta.

“Resta con me, Porsche. Resta con me.” Lo supplicai, non poteva lasciarmi, non così. 
   
 
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