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Autore: Voglioungufo    11/08/2022    0 recensioni
GaaLee | Stonewall!AU
Lee aveva scrollato le spalle ed era sceso. Aveva preso dell’acqua e degli snack, spendendo meno soldi possibile perché sapeva che la famiglia aveva problemi economici.
Quando era tornato, la macchina non c’era più. E aveva capito.
Non c’era nessuna zia da andare a trovare.
E lui era stato abbandonato in autostrada come un cane.

Buon anniversario di Stonewall!
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gaara/Lee, Rock Lee, Sabaku no Gaara
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Stonewall '
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“It was the best place we ever had”.
(Dick Kannon)
 
 
II

 
 
 
 
 
Non aveva dimenticato l’appuntamento. 
Chiese in giro e riuscì a farsi indicare dove fosse quel posto… Mama’s chick qualcosa. Tutti quanti avevano sorriso con entusiasmo quando aveva detto il nome.
Entrò nel locale che a prima vista sembrava un ristorante qualsiasi, con l’odore di fritto e pollo nell’aria. C’erano già molti clienti sulle tavole apparecchiate spartanamente, ma non vedeva Gaara tra essi. Rimase sull’entrata, cercando la testa rossa, finché un cameriere non lo individuò.
“Ehi! Hai fame, vuoi sederti?” Gli si avvicinò con un sorriso cordiale, gli increspati in modo dolce.
Lee si sentiva lo stomaco chiuso, quell’hotdog era stato difficile da digerire e non riusciva a volere altro cibo.
“Sono con una persona” borbottò. “Gaara”.
“Oh”. Il suo sguardo si illuminò di riconoscimento. “Vieni, è passato ad avvisarci e abbiamo tenuto il posto”.
Si accigliò mentre lo guidava a un tavolo apparecchiato per cinque persone. Forse voleva presentarlo alla sua famiglia? Aveva sperato potessero essere solo loro due, per conoscersi meglio…
Si accomodò a una delle sedie mentre il cameriera continuava a fissarlo.
“Sono Joan Crawford, comunque,” si presentò, “ma mi chiamano tutti Jack”.
Strinse la mano gli veniva tesa. “Lee” ricambiò, avaro di parole. Non riusciva a trovare il suo solito entusiasmo. 
Ma al cameriera non parve importare. “Vuoi che ti porti qualcosa mentre aspetti?”
Al solo pensiero di avere davanti uno di quei piatti fritti e unti che stavano assaggiando gli altri clienti gli venne la nausea. Scosse la testa, passandosi i palmi sudati sui pantaloni. Jack interpretò male il suo nervosismo.
“Il conto è sulla casa, amico” lo rassicurò.
Gli rivolse un debole sorriso, ma non erano i soldi il problema. Del resto li aveva appena guadagnati, che li usasse per qualcosa.
“Un po’ di acqua va bene” disse quindi.
“Acqua e basta?” si assicurò Jack incredulo.
“Sì, va bene così”.
Il cameriere sembrò voler protestare qualcosa, ma alla fine annuì e si allontanò verso il bancone. L’acqua gli venne portata subito e ringraziò Jack, dopodiché si ritrovò solo ad aspettare. Per passare il tempo e sentirsi meno in imbarazzo, lì solo seduto su una tavolo per troppe persone, spiò di nascosto gli altri clienti del locale. Sembrava tutta gente normale… tralasciando che una coppia di uomini si stava tenendo per mano sotto il tavolo, discreti ma visibili a tutti. Eppure nessuno nella stanza sembrava esserne indignato o infastidito, non ci facevano nemmeno caso. Come se non fosse nulla su cui prestare attenzione. 
Alla cassa una donnona prendeva tutta l’attenzione, con il suo abito blu e un filo di perle al collo. I suoi modi erano bruschi, i lineamenti grechi e chiacchierava con alcuni avventori. Teneva una mano socchiusa a pugno, come se stesse soppesando delle monetine. Ogni tanto scoppiavano a ridere e la loro risata occupava il locale, senza essere troppo fastidiosa.
La porta del ristorante si aprì e gli occhi di Lee vennero subito catturati dai capelli rossi e corti. Gaara indossava abiti casual come al negozio, sullo un rimasuglio di trucco violaceo sulle palpebre. Dietro di lui stavano due uomini e una donna. La loro entrata catturò qualche saluto dagli altri frequentatori e Lee si sentì un po’ a disagio nel vedere i tre adulti. L’unica cosa che lo rassicurò fu il fatto che l’uomo più alto e la donna avevano la sua stessa pelle scura.
Gaara lo individuò subito e il gruppetto lo raggiunse, prendendo posto sulle sedie lasciate libere. Lee li osservò senza ben sapere cosa dire.
“Ciao” fu Gaara a prendere l’iniziativa. Spostò gli occhi verso i suoi accompagnatori. “Volevo presentarti delle persone”.
Il primo uomo, quello con la pelle chiara e i capelli grigi, alzò mollemente la mano in segno di saluto.
“Kakashi”.
“Obito” proseguì l’altro uomo.
“Rin” concluse la donna. Quest’ultima gli sorrise materna e sembrò voler aggiungere qualcosa, protendendosi verso di lui, ma vennero interrotti dalla donna alla cassa.
“Era da un po’ che non vi vedevo da queste parti” disse con il suo vocione pieno di energia.
“Ciao Mama” salutò Obito. “Siamo stati impegnati”.
“Dura stare dietro agli adolescenti, mh?” commentò quella. “Dite a Deidara che non mi sono dimenticata che mi ha rubato due bicchieri”.
Gaara emise un risolino. “È il motivo per cui gira al largo da qui”.
Mama alzò gli occhi al cielo. “Vi porto il solito?”
Kakashi annuì. “Lee, tu hai già ordinato?”
Sì sentì un po’ a disagio nello scoprire che conoscevano già il suo nome, non riuscì a dire nulla perché Mama parlò al posto suo.
“Il moccioso non ha ordinato nulla, solo acqua”.
Corrugò le sopracciglia, sentendosi un po’ offeso. Non era un moccioso, aveva vent’anni!
“Paghiamo noi, puoi prendere quello che vuoi” intervenne con tono conciliante Obito.
Si morse il labbro. “No, io… non ho fame”.
Ricevette sguardi poco contenti a quella sua affermazione. 
“Hai già cenato?” chiese Rin.
“No, ma…”
“Una porzione anche per lui” lo interruppe con tono che non accettava repliche.
Mama annuì con soddisfazione. “Ve li portiamo in un attimo, tesori”.
Appena se ne andò tornò Jack, che distribuì lattine di Coca-Cola a tutti quanti.
“Allora…” iniziò Gaara mentre apriva il proprio barattolo. “Ieri notte hai trovato un posto alla fine?”
Gli si serrò la gola alla domanda così diretta, non se l’aspettava, e faticò ad annuire. Sperò non chiedesse altro, non voleva parlarne, non voleva ricordare quello che aveva fatto. Soprattutto sotto lo sguardo vigile degli altri tre adulti.
Il suo silenzio, però, valse più di mille parole.
“Ti andrebbe un posto dove puoi stare senza dover…” Obito lasciò la frase in sospeso, anche se era piuttosto ovvio il continuo. E proprio perché era ovvio, Lee arrossì.
“Non posso permettermelo” ammise.
Prima, quando aveva il portafoglio pieno, aveva cercato di risparmiare per usare quei soldi per qualche stanza d’albergo in inverno, nelle notti più fredde; ma ora aveva perso anche quella possibilità.
“Non devi pagare un affitto” lo rassicurò Kakashi. “Solo… qualche offerta quando te la senti di poterlo fare”.
Rin annuì. “Sakura ci dà un dollaro al mese, per dirti”.
Lee strinse le labbra confuso e un po’ sopraffatto.
“Non capisco”.
“Hai bisogno di un posto dove stare” spiegò quindi Gaara. “Puoi stare da noi”.
Guardò i tre adulti. “Senza pagare un affitto?”
“Solo qualche offerta quando te la senti, sì” confermò Kakashi.
Li guardò incredulo, gli sembrava troppo bello per essere vero. Infatti…
“La condizione è che tu sia gentile con Deidara e vada d’accordo con lei” aggiunse Obito appoggiandosi allo schienale della sedia.
Rin gli diede un colpetto sul braccio. “Non giocare ai preferiti. Deve andare d’accordo con tutti, non vogliamo drammi in casa”.
“E tenere pulito, accontentarsi di poter dormire per terra e non fare casini in giro” aggiunse Kakashi. “Ma Gaara ha detto che sei un bravo ragazzo, giusto?”
Non seppe perché, ma a quella osservazione arrossì e si voltò verso il ragazzo al suo fianco. Stava bevendo la sua coca-cola e le labbra strette sulla cannuccia gli ricordarono altro, che lo fece arrossire ancora più furiosamente.
“C-cerco di esserlo” balbettò, anche se in fondo era ovvio il contrario. Era gay e non voleva smettere, quello era un problema, quello lo rendeva un poco di buono.
“Puoi stare quanto vuoi” continuò Obito. “Se non ti trovi bene da noi, sei libero di andartene”.
“Senza pressione” aggiunse Kakashi.
Lee era ancora sbalordito, li guardò con la paura crescente che lo stessero prendendo in giro.
“Perché?”
Perché erano così gentili con lui?
Rin sorrise e allungò una mano, stringendo la sua. Lee provò una strana sensazione, come se quella stretta provenisse da sua madre e gli mancò, tantissimo.
“Se è in nostro potere, è giusto aiutare” spiegò. “La strada è un brutto posto per i bambini”.
Non seppe come ribattere, gli occhi castani di Rin erano troppo dolci. Pensò fosse una bella donna, con il suo caschetto corto e liscio, il volto ovale e dai colori familiari. Per un momento ebbe la sensazione di star tornando a casa. 
Sentì le spalle più leggere, i muscoli rilassarsi, come se per tutto il tempo fossero stati contratti per sopportare un peso.Aveva un nodo in gola e gli occhi lucidi, annuì mentre cercava di pronunciare una sola parola.
“Grazie”.
 
Le ordinazioni arrivarono e l’odore di fritto assalì il naso di Lee. Dopo quel momento in cui aveva sentito la tensione sciogliersi anche il suo stomaco si era aperto; guardò con fame negli occhi le patatine unte e croccanti. Le porzioni erano tutte abbondanti, anche quelle delle alette di pollo, e non riuscì a ricordare l’ultima volta che aveva visto così tanto cibo, che aveva potuto mangiare così tanto.
Mentre cenavano, gli fecero delle domande su di lui. Soprattutto Obito, che dei tre sembrava il più chiacchierone. I suoi capelli neri avevano striature d’argento, il viso aveva molte rughe di espressione, ma non sembrava vecchio. Gli chiese molte cose: da dove venisse, come fosse arrivato lì al Village, sui suoi genitori, quando aveva capito di essere gay… Lee rispose a tutte le domande, anche se alcune sentiva che erano troppo private. Ma quelle persone gli stavano spontaneamente offrendo un posto dove dormire quasi gratis, il minimo che poteva fare era essere sincero. Nessuno di loro parve però felice di scoprire come i suoi lo avevano mollato a un autogrill, lasciando che si arrangiasse. Rin aveva un’espressione di fuoco, quasi volesse andare a cercare i suoi genitori solo per dirgliene quattro.
Obito riuscì a spostare la conversazione anche su argomenti più leggeri, soprattutto quando nominò il basket, sport che Lee amava con tutto se stesso. Anche loro erano abbastanza appassionati da conoscere non solo le partite più famose. 
Durante tutta la conversazione rimase molto consapevole di Gaara al suo fianco e più di una volta ebbe la tentazione di intrecciare le loro mani sotto il tavolo, come avevano fatto i due uomini prima. Ma non lo fece, perché non osava correre il rischio di rovinare tutto.
La porta del ristorante si era aperta un paio di volte nel mentre, il locale si era riempito e il chiacchiericcio si era fatto più alto, ma ogni conversazione si interruppe quando venne sbattuta con forza. 
Lee si voltò come tutti, verso il ragazzo (o la ragazza?) che era entrato trafelato, tenendosi la milza con una mano; nell’altra reggeva degli stivaletti rossi con il tacco. Il suo aspetto generale era molto androgino, con il volto maschile, il petto piatto e la vita sottile, ma aveva abiti femminili e il trucco sul volto, i capelli ben pettinati.
“Mio fratello… non mi lascia…” ansimò annaspando tra una parola e l’altra.
Quel poco però dovette bastare, perché Mama schioccò le dita.
“Tranquilla, tesoro. Jack, nascondi Sasuke in cucina”.
Il cameriere scattò subito all’ordine, si avvicinò alla ragazza e l’accompagnò oltre le porte, lasciando per un momento che del vapore entrasse nella stanza. Mama si rimise ai suoi conti alla cassa e anche i frequentatori ripresero la conversazione da dove era stata interrotta. Il chiacchiericcio però aveva una sfumatura più nervosa rispetto a prima.
“Allora, Lee, dicevamo dei tuoi cinquanta canestri di fila” riprese Kakashi, gli occhi grigi puntati all’entrata come se fosse in attesa.
Lee cercò di riprendere il discorso, ma non ci volle molto che la porta venisse aperta una seconda volta. La persona che entrò assomigliava alla ragazza, ma ne era anche completamente diversa. Avevano gli stessi tratti del volto, una corporatura simile — come se fossero fratelli — ma l’uomo sulla soglia indossava abiti maschili molto seri, scuri ed eleganti. I capelli neri e lisci erano abbastanza lunghi da poterli raccogliere in una coda sottile.
Senza battere ciglio raggiunse la cassa. Anche se nessuno aveva smesso di parlare al suo arrivo, era ovvio che avesse l’attenzione di tutto il ristorante. Lee riuscì tranquillamente a sentire quello che disse a Mama.
“Cerco mio fratello, l’ho visto entrare qui”. 
La donna greca non alzò neanche lo sguardo dai suoi conti. “Non sapevo avessi un fratello” commentò velenosa.
L’uomo fece una smorfia. “Parlo di Sasuke”.
“Ah, tua sorella!” Scoccò la lingua sul palato mettendo enfasi sulla parola. “No, non è qui”.
“L’ho visto entrare qui” insistette.
“Ti sei sbagliato, allora, agente. Lei non è qui… giusto, ragazzi?” chiese alzando il tono della voce.
Ricevette più di un mormorio di assenso, tutti sostennero di non averla vista entrare, altri addirittura che non sapevano di chi stesse parlando.
Quell’uomo, un poliziotto, non parve affatto felice.
“So che è qui, non farmi perquisire il posto” minacciò.
Mama lo guardò con disprezzo. “Senza un mandato?”
“Posso averne uno” sussurrò, “visto la tua clientela”.
Lee vide Rin sussultare e fece per alzarsi, ma Kakashi la fermò aggrappandosi al suo posto. La tenne seduta, scuotendo la testa in avvertimento. Lo sguardo della donna si riempì di rabbia e frustrazione, ma obbedì all’implicita richiesta. Del resto Mama sembrava avere la situazione sotto controllo.
“E visto la mia clientela ho già pagato ai tuoi superiori la Brown bag Friday”. Gli puntò l’indice contro. “Questa settimana dovete lasciare in pace me e i miei figli, chiaro? Adesso fuori di qui!”
“Voglio solo parlare con Sasuke, sono suo  fratello” sibilò fra i denti.
“C’è un motivo se lei non vuole parlare con te. Fatti un esame di coscienza, agente”.
“Non potete dargli corda in questa pagliacciata, è ridicolo”.
Appena lo disse, molti frequentatori si alzarono di scatto dalle loro tavole, fissandolo minaccioso; anche Gaara lo fece, scatenando un sospiro di sconforto da parte di Kakashi, e Lee si ritrovò a imitarlo prima di pensarci. 
Mama fece un sorriso soddisfatto. “Ti conviene uscire, agente… Prima che succeda una vera pagliacciata”.
L’uomo strinse i pugni. “Sono dalla vostra parte, lo sapete, ma così vi scavate la fossa da soli”. 
Nonostante le sue parole, fece un passo indietro e distolse lo sguardo da Mama. Sembrava frustrato, esasperato e… depresso. “Fai sapere a Sasuke che lo sto cercando”.
“Ti cercherà lei quando lo vorrà” tagliò corto Mama, sottolineando ancora una volta il pronome femminile.
Il poliziotto sembrò voler insistere, ma alla fine rinunciò. Forse riconosceva che era una causa persa, o forse le persone che lo fissavano minacciose erano un monito sufficiente. Uscì dal locale, lasciando dietro di sé l’aria tesa. Gaara tornò a sedersi e Lee lo imitò, così molti altre frequentatori. Ma il chiacchiericcio di prima non riprese, tutti sembravano in attesa. Uno dei clienti vicino alla vetrata del locale stava sbirciando fuori, le spalle rigide. Dopo minuti interminabili si voltò a lanciare un segnò a Mama, solo a quel punto la donna lasciò andare un sospiro stanco. Annuì e i frequentatori sembrarono coglierlo come un segnale di via libera. Lentamente, un bisbiglio per tavolo, le conversazioni ricominciarono. 
Dalla porta della cucina uscì Jack, accompagnato da Sasuke. La ragazza sembrava esausta, con il trucco sbavato sulle guance in scie di lacrime. La fece sedere proprio su un tavolo vicino al loro e Lee poté osservarla meglio, doveva essere uno di quei travestiti che prendeva molto seriamente la propria espressione femminile. Era stato bello vedere come Mama l’avesse difesa con forza con l’altro uomo, mantenendo il punto.
Suo fratello… ricordò. 
Pensò alla propria famiglia e provò una grande empatia nei suoi confronti. Era così assurdo che le persone che sarebbero dovuto essere loro più vicine erano quelle che anche più li respingevano. 
“Dovremmo dirle qualcosa?” bisbiglierò Rin, lo sguardo triste.
Obito scosse la testa. “Sai com’è fatta, non apprezzerebbe”.
Lee osservò la ragazza mentre scacciava le scie di trucco sciolto dalle guance, passò le dita sulla frangia per darsi un aspetto più composto. Mama si avvicinò con un piatto di patatina fritte, ma Sasuke le declinò stancamente.
“Cos’è successo, tesoro?” chiese la donna materna, passandole delle salviettine.
Quelle vennero accettate. “Il solito. Stavo aspettando un Johnny, ma è arrivato Itachi e quando ha capito cosa stavo facendo lì…” sospirò. “Non vuole proprio lasciarmi in pace”.
“Quel Lily gira un po’ troppo in giro”. Tirò su con il naso con sdegno. “Non mi piace quanto si immischia”.
“Almeno non è uno di quelli che ci sbatte dentro” mormorò Kakashi tra sé.
“Magra consolazione” replicò Rin furiosa.
Lee lanciò un ultimo sguardo a Sasuke. Si stava alzando, nonostante i tentativi di Mama di farla restare. Aveva da fare.
Anche quando uscì dal ristorante rimase una piccola nuvola nera, quell’episodio aveva guastato l’umore a tutti.
Fissando la propria coca-cola, con Obito che tentava di fare riprendere il discorso su argomenti vari, Lee pensò che tutto quello non fosse giusto.
 
**
 
“Sì, abbiamo un letto solo. Abbiamo anche un bagno solo, ma riusciamo a gestirci”.
La stanza era in penombra, senza tende a lasciare che le luci dei lampioni della strada schiarissero l’interno. L’ambiente era disordinato, di quel tipo di disordine che avrebbe fatto impazzire sua madre. Il letto matrimoniale era sfatto, cuscini storti e le lenzuola spiegazzate a scoprire il materasso. C’era un altro materasso a terra e due sacco a pelo srotolati. Una valigia era aperta, riversando sul pavimento in una scia tutti i vestiti stropicciati. Le ante del piccolo armadio erano spalancate a mostrare il proprio buco nero; la scrivania era ingombra di oggetti vari, soprattutto trucchi, parrucche e collane a gioielli a buon mercato. Le scarpe seminate sul pavimento rendevano il passaggio un percorso a ostacoli.
Lee pensò fosse bellissima.
“Va bene” disse infatti, un po’ incredulo di poter dormire su un letto vero senza dover sopportare le mani di uno sconosciuto.
Da quello che aveva visto, la casa era stretta e si sviluppava su due piani. Un breve corridoio in entrata portava all’imbocco delle scale, al salotto e alla cucina; al piano superiore un altro breve corridoio collegava alle due camera da letto — la loro e quella dei tre adulti — terminando con un bagno un po’ angusto. Era spoglia, pochi mobili e pochi orpelli, ma già a primo sguardo si vedeva comunque il tentativo economico e spontaneo degli abitanti di rendere la casa più personale, sicuramente vissuta. In ogni caso, Lee avrebbe fatto un’esplorazione più accurata il giorno dopo, in quel momento si sentiva esausto.
Al momento la stanza era vuota, dei coinquilini nominati non si vedeva traccia. Nel piccolo soggiorno aveva intravisto una ragazza addormentata sul divano — Sakura se ricordava bene — sulla quale Kakashi aveva appoggiato teneramente un lenzuolo.
Senza porsi troppi problemi, Lee si slacciò le scarpe e le abbandonò sul pavimento deciso ad adeguarsi alle abitudini degli altri coinquilini. Si gettò di schiena sul materasso, un sospiro di sollievo coprì il cigolio delle molle vecchie sotto il suo peso. Tutta la stanchezza di quelle settimane al Village lo investì come un treno in corsa. Non era più abituato a un letto vero, per un momento credette di potersi addormentare all’istante.
Sentì uno smottamento accanto a sé e subito dopo avvertì le braccia nude di Gaara che sfioravano le sue. 
“Casa” mormorò semplicemente. 
Casa, ripeté mentalmente Lee troppo incredulo per rispondere. 
Voltò il capo, osservando il bel profilo di Gaara. Voleva ringraziarlo per la fiducia, per aver fatto da ambasciatore con i proprietari della casa, per averlo considerato un bravo ragazzo.
Di tutto quello che stava pensando, riuscì solo a chiedere: “Perché?”
Gaara non aveva bisogno di altro per capire.
“Tutti si meritano una casa” disse. Si voltò a propria volta, incatenando gli occhi chiari sui suoi. “E per sopravvivere in strada bisogna essere abbastanza cattivi. Tu non lo sembri”.
Corrucciò le sopracciglia, ancora confuso. Voleva chiedergli che cosa gli avesse fatto capire che lo meritava, perché lui e non altri; perché non il ragazzo che aveva sentito essersi gettato nel fiume qualche giorno prima. 
Ancora una volta non ebbe bisogno di dire nulla di tutto questo, Gaara capì semplicemente guardando la sua smorfia.
“La prima volta che ti ho visto, tu mi hai sorriso. Ma io ho fatto finta di non vederti”. Strinse le labbra in una scusa non detta. “Credevo fossi un Lilian… un poliziotto travestito”.
Lee rivide quella scena, ma sotto la nuova prospettiva. Si immaginò al posto di Gaara, che sembrava conoscere più o meno tutti i gay della zona, che incontrava uno sconosciuto che senza motivo gli sorrideva. Ripensò anche alla propria esperienza, quando per aver semplicemente risposto a un saluto era finito schedato, una notte in prigione. Poteva capire perché fosse stato così diffidente. 
Sentì l’amarezza inacidirgli lo stomaco. Come potevano in clima simile, in una diffidenza totale verso gli sconosciuti, potersi riconoscere e incontrare?
“Sono stato sorpreso di vederti al porto… Immagino di essermi sentito in colpa. Probabilmente eri appena arrivato, avevi bisogno di un amico per ambientarti e io ti ho ignorato. Ho voluto rimediare”.
Rimase davvero sorpreso, senza rendersene conto socchiuse la bocca. 
“Non era… necessario…” mormorò.
Gaara sorrise. “In realtà non l’ho fatto solo per quello”. Distolse lo sguardo, guardando il soffitto senza smettere di sorridere. “Ma anche perché eri carino”.
Un sorriso spontaneo nacque sulle labbra di Lee. Sentì le guance bruciare e ringraziò il buio per nascondere il suo rossore. Non gli andava di far vedere a Gaara che arrossiva come una scolaretta al primo complimento.
“Anche tu sei carino” replicò cercando di essere sfacciato. “È per questo che ti ho sorriso”.
Gli sembrò che l’espressione di Gaara si addolcisce. Sentì le sue dita fredde e lunghe cercare le sue più callose e calde. Ricambiò la stretta senza esitare.
“Sei troppo stanco?” gli chiese Gaara.
Esitò. “No, perché?” mentì alla fine, curioso e con il cuore che batteva più forte di prima.
“Potremmo andare allo Stonewall Inn”.
Allargò il sorriso. “Sì!” Dopo quella notte, non era più tornato. “È forte quel posto”.
“Mh, è un buco di merda” smorzò l’entusiasmo. “Ma è il posto migliore che abbiamo”.
“Possiamo ballare, lì” gli fece notare.
“Già, possiamo ballare” echeggiò. Si voltò a guardarlo e, anche nell’oscurità, Lee poté vedere quanto fossero chiari gli occhi di Gaara, come la luna fuori. “Balleresti con me?”
Le loro mani erano ancora intrecciate. Lee aumentò la stretta, mordendosi l’interno della guancia per l’emozione.
“Ogni notte” promise.
 
 
 
 
 
 
 
Note storiche:
Il ristorante citato esiste(va?) realmente, viene menzionato nel libro di David Carter come uno dei luoghi più sicuri per gli omosessuali nel Village. Anche il cameriere è un personaggio realmente esistito, nonché anche la persone che ha offerto la testimonianza nel libro. I dettagli che sono descritti, soprattutto quelli su Mama, sono tutti stati presi dalla sua testimonianza. 
Lee che chiama Sasuke travestito è sbagliato, lo so, ma storicamente necessario. La concezione di persona transgender/transessuale non era ancora molto diffusa, stava nascendo proprio in quel periodo, e la maggior parte di queste persone venivano semplicemente considerate come uomini gay che si travestivano, lesbiche butch, drag
queens/kings. Alcune persone più consapevoli conoscevano il termine e lo usavano, ma erano davvero una minoranza ristretta e Lee al momento non ha abbastanza informazioni sulle diverse sfumature queer per poter fare questa distinzione. Nel Village c’erano molti travestiti, molte queens, quindi vedendola la sta associando a questi modi di gender non conforming. Sa anche che queste persone prendevano molto seriamente la propria espressione femminile usando pronomi femminili, quindi non si pone il problema di quali usare. 
Johnny invece è un termine con cui vengono chiamati i clienti della prostituzione. Non so se è storicamente accurato che Sasuke lo usi in questo periodo (anni ’60) non sapendo quando è stato coniato. Cercando su internet ho trovato solo conferma di quello che sapevo già: termine molto diffuso nei paesi anglofoni per l’abitudine che avevano i clienti di presentarsi alle/ai prostitute/i come “John” per mantenere l’anonimato. Quindi sì: Sasuke stava intendendo che stava aspettando un cliente prima di essere beccata da Itachi e costretta a scappare.

 
 
Dovevo postare il continuo dopo una settimana, invece mi sono trovata nella cacca per un esame, mi sono presa il covid e poi sono andata in burn out di scrittura. RIP.
Doveva esserci un’altra ultima scena, ma non riuscivo a scriverla e stava passando troppo tempo. Quindi ho deciso di tagliarla, anche se così alcuni dei personaggi che ho citato nella scheda iniziale al primo capitolo non sono comparsi rip.
Mi rendo conto adesso che l’ho conclusa che questa fic più che una GaaLee vera e propria è una pre-ship, cioè il momento che appena precede il loro stare insieme. Spero sia stata apprezzata lo stesso.
Grazie come sempre per la pazienza con cui mi aspettate <3 Cercherò di non sparire per troppo tempo.
Un bacio,
Hatta.
 
 
   
 
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