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Autore: My Pride    23/08/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Seasons of Love Titolo: Seasons of Love
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia:
One-shot [ 2326 parole fiumidiparole ]
Personaggi: 
Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff
Avvertimenti: What if?, Slash
May I write: 1. "Chiudi la porta" || 4. "Va bene, procediamo con calma"
 

SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.


    «Five hundred, twenty five thousand, six hundred minutes...»
    Jon canticchiò quel ritornello per l'ennesima volta mentre, affondando il forcone nel fieno, ne tirava su una generosa quantità per creare un buon cumulo.
    Sin da bambino era stato abituato a svolgere quel tipo di lavori in fattoria e, vivendo nuovamente lì ad Hamilton da quasi un anno, aveva ricominciato ad essere un vero “ragazzo di campagna”, come ogni tanto lo chiamava Damian. Certo, adesso non poteva fare affidamento sui suoi poteri né sollevare un trattore sopra la testa quando si rompeva o restava senza benzina, però... non gli dispiaceva affatto vivere come una persona normale, un vero e proprio essere umano, al fianco dell'uomo che amava.
    Era stato strano, all'inizio. Aveva dovuto abituarsi al cambiamento e adattare la propria vita, ma non era stato niente in confronto a ciò che aveva dovuto affrontare Damian in quei mesi dopo la perdita della sua gamba. Ciò di cui Jon era sicuro, era che non avrebbe cambiato una singola virgola di ciò che stavano vivendo da quando si erano lasciati tutto alle spalle. Avevano ritrovato una stabilità fisica ed emotiva, avevano abbandonato quella vita da vigilanti che, in maniera differente, stava facendo a pezzi entrambi, concentrandosi su loro stessi e sul loro futuro anziché su quello del mondo intero. Forse era stato un pensiero egoistico, ma lo avrebbe fatto mille volte ancora pur di vivere al fianco di Damian.
    «Oggi sei più allegro del solito».
    La voce di Damian interruppe il suo canticchiare e Jon si voltò verso di lui, sollevando un angolo della bocca in un luminoso sorriso quando i suoi occhi si soffermarono sulla sua figura che si stagliava sulla soglia della stalla. Per quanto avesse preso il bastone da passeggio per non sforzarsi troppo, Damian era dritto e fiero di stare in piedi, con quella camicia bianca parzialmente aperta sul petto e il pantalone nero che fasciava entrambi gli arti inferiori.
    «Ehi», lo salutò Jon dolcemente. Durante gli anni il loro rapporto non era cambiato, ma di tanto in tanto si parlavano con più tenerezza di quanto non facessero all’inizio. «Sarei rientrato tra poco... come va la protesi?» chiese nel gettare uno sguardo alla gamba, e Damian, dopo aver sbattuto le palpebre per un momento, si strinse nelle spalle prima di carezzare, al di sopra dei pantaloni, la gamba artificiale.
    «Mhn. Solo un po’ di... fastidio. Devo ancora abituarmi», ammise. Dopo tutto quello che avevano passato, sarebbe stato inutile mentire. «Ho preso il bastone soltanto per sicurezza».
    Jon affondò il forcone nel fieno, battendo tra loro le mani nascoste dai guanti per ripulirle prima di voltarsi del tutto verso di lui. «E il mal di testa?»
    «Sarebbe sparito da un pezzo se non avessi passato gli ultimi tre quarti d’ora a discutere con Drake al telefono. Insiste che torni a Gotham per una revisione della protesi». Damian grugnì tra sé e sé. «È praticamente nuova, non ne ha bisogno. Secondo me non vede semplicemente l’ora di mettermi le mani addosso».
    Jon rise di gusto. «Se non lo conoscessi, mi sentirei geloso per questa affermazione», sghignazzò, e Damian lo fulminò con lo sguardo.
    «Ah, sta’ zitto, Jonathan. Devo già combattere con Timothy».
    «Si preoccupa solo per te, lo sai».
    «Lo so. Ma sto bene».
    Damian fece qualche timido passo verso di lui, stando attento a bilanciare il peso della protesi. Quei sei chili in più non erano un problema, ma aveva ancora bisogno di coordinazione; per essere praticamente agli inizi, però, stava facendo veri e propri passi da gigante. Si sentiva molto più sicuro di sé ad ogni nuovo appuntamento col fisioterapista e, quando Jon non poteva andare con lui a causa del lavoro che aveva recentemente trovato alla piccola sede giornalistica lì ad Hamilton, avere al suo fianco Selina, suo padre o Wilkes - e a volte persino i suoi fratelli quando riuscivano a liberarsi degli impegni - per lui era decisamente un toccasana. Aveva ancora tante sfide da affrontare, tanti problemi a cui far fronte e momenti in cui a volte si sentiva un po’ giù se pensava al suo passato, ma sapeva che non sarebbe stato solo. Aveva perso una gamba, era vero. Aveva attraversato un periodo buio in cui tutto aveva cominciato a sgretolarsi davanti ai suoi occhi e in cui aveva pensato che niente sarebbe stato più come prima, ma era riuscito a risalire a fatica anche grazie a tutte le persone che non lo avevano abbandonato nemmeno per un attimo, anche quando tutto era diventato insopportabile a causa sua. Ed era grato a tutti loro indiscriminatamente.
    «Come puoi vedere tu stesso», disse infine Damian, fermandosi proprio ad un soffio da lui, «non avete più nulla di cui preoccuparvi. Sul serio».
    Jon fece scorrere lo sguardo su tutta la sua figura come se avesse ancora il potere di vedere o sentire il battito del suo cuore, ma sorrise nell’osservare in particolar modo l’espressione rilassata di Damian. Era da oltre un anno che non lo vedeva così, ed era felice di sapere che si stava riprendendo al punto da tornare ad essere il buon vecchio Damian. Vivere ad Hamilton era stata davvero la decisione migliore che avrebbero mai potuto prendere. «Sei la persona più forte che io conosca, D».
    «Tuo padre è letteralmente Superman, J».
    «Non è quello il tipo di forza di cui parlavo».
    Damian aprì la bocca per ribattere, ma sbatté le palpebre e tacque, massaggiandosi un po’ il collo in un gesto nervoso mentre bofonchiava qualcosa fra sé e sé riguardo quelle parole. Era stato un anno lungo e doloroso, ma grazie a Jon e alla sua famiglia era riuscito a risalire dall’abisso in cui aveva pensato di essere ormai sprofondato. Seppur da ragazzino avesse continuamente fatto affidamento sul proprio valore per dimostrare di essere degno di essere il figlio del pipistrello, negli ultimi tempi non si era sentito forte come affermava Jon, anche se una vocina nella sua testa gli sussurrava in continuazione di essere fiera di lui. «Sei sempre il solito», volle tenere il punto, e Jon agitò una mano in risposta.
    «Lo so, lo so, sono sdolcinato e bla bla bla».
    «Cos’è, adesso mi rubi le battute?»
    Jon rise e, canticchiando sotto voce, si sfilò i guanti e si avvicinò a passo di danza per annullare la poca distanza che li divideva sotto lo sguardo scettico di Damian, il quale inarcò un sopracciglio quando una mano di Jon scivolò lungo il suo fianco destro.
    «Cosa stai…» non ebbe il tempo di finire la frase che Jon lo attirò a sé con un braccio, afferrando la mano con cui reggeva il bastone per farglielo lasciare senza tanti complimenti; per quanto avesse ormai perso i suoi poteri, Jon era comunque fisicamente più forte di un normale essere umano, e Damian si ritrovò a volteggiare fra le braccia di Jon prima ancora di realizzare cosa stesse facendo quell’idiota. «Whoa!» esclamò nell’essere preso alla sprovvista, guardando il volto di Jon con gli occhi ingigantiti dalla confusione. «Che diavolo fai?»
    «Damian Wayne non riconosce un ballo?»
    Damian sollevò entrambe le sopracciglia, assumendo un cipiglio scettico. «Ho partecipato a più serate di Gala di quante io ne possa ricordare», gli tenne presente, poggiandogli una mano sul fianco destro. «Potrei guidare i tuoi passi e tu non riusciresti nemmeno a starmi dietro».
    «Siamo un po’ presuntuosi o sbaglio?» rise Jon, sollevando gli angoli della bocca da un orecchio all’altro. Non riusciva a contenere la gioia di vedere il suo migliore amico, il suo partner, l’amore della sua vita, tornare giorno dopo giorno ad essere quello di un tempo. Aver perso la gamba lo aveva destabilizzato a tal punto che Jon stesso aveva provato il dolore soffocante che aveva avvolto Damian, ed erano stati tempi duri. Adesso che aveva parzialmente riconquistato la fiducia in se stesso, anche grazie alla sua decisione di indossare una protesi, era bello vedere come si stesse riprendendo e come finalmente sorridesse al suo riflesso nello specchio. Quell’anno era davvero stato per loro l’inizio di qualcosa di nuovo.
    «Certo». Damian interruppe il filo dei suoi pensieri e lo costrinse a muovere qualche passo all’indietro, poi due a destra e uno a sinistra, seguendo nella sua testa il ritmo di una canzone che solo lui riusciva ad udire mentre guidava i movimenti di Jon. «La danza è un arte, e può risultare un’arma mortale. Ho imparato a padroneggiare il tango, la polka, il valzer, il saidi, la dabka… ogni passo, come nelle arti marziali, prevede ottime capacità di movimento e fluidità».
    «A volte parli come un vero James Bond», sghignazzò Jon, e Damian sbuffò ilare.
    «Ma io sono molto meglio».
    Damian fece un passo avanti col piede sinistro uno col piede destro, ancora una volta col sinistro e poi col destro, guidando Jon ad indietreggiare seguendo a specchio i suoi movimenti; la mano destra di Damian scivolò sulla scapola sinistra di Jon e guidò lui stesso la mano sinistra del compagno sulla propria spalla, e quel tango si trasformò ben presto in passi di polka, cosa che fece ridacchiare Jon.
    «Hai intenzione di insegnarmeli tutti?»
    Damian ghignò, divertito da quella domanda. «Il tuo addestramento non finisce mai, ricordalo. Basta seguire i miei movimenti, procederemo con calma».
    Anche se Jon avrebbe avuto da ridire, rise fragorosamente a quelle parole e continuò a danzare con lui, dimenticandosi completamente di tutto il mondo che li circondava. Vedere Damian lasciarsi andare in quel modo, sentire la sua risata e il modo in cui cercava di guidare i suoi passi scaldava il cuore di Jon, che riusciva finalmente a rivedere il suo migliore amico nel volto del giovane uomo che stava osservando. Gli veniva quasi da piangere, ma ricacciò indietro quelle stupide lacrime di commozione e si concentrò solo e unicamente sul cipiglio di Damian e sulla sua espressione, distraendosi di tanto in tanto e sussultando quando Damian lo rimetteva in riga tutte le volte che gli schiacciava il piede destro. Si stavano divertendo a tal punto che Jon evitò il secchio sul pavimento solo per un soffio, anche se Damian non fece in tempo: non notandolo, ci andò a sbattere contro proprio con la base della protesi e rischiò di caracollare in avanti, ma venne prontamente afferrato da Jon che gli impedì di cadere davvero come un perfetto idiota.
    «Tranquillo. Ti tengo».
    Damian grugnì, aggrottando la fronte. «…dannazione, non ci faccio una bella figura con questo cliché alla “damigella in difficoltà”».
    «Il tuo segreto con me è al sicuro», scherzò Jon. Gli avvolse entrambe le braccia intorno ai fianchi e lo attirò contro di sé, ignorando l’espressione stranita di Damian per ondeggiare a destra e a sinistra, lentamente. «Ma guido io, adesso».
    «Un lento?»
    «Quasi».
    Jon abbassò le palpebre e chinò il capo, sentendo Damian avvolgere a sua volta le braccia intorno al suo corpo per stringersi un po’ contro di lui e seguire, seppur con un po’ di incertezza, il ritmo che stavolta aveva catturato entrambi; l’odore del fieno e degli animali era forte e pungente, ma a nessuno dei due sembrava importare. C’erano solo loro, solo quel ballo, e la musica silenziosa sulle cui note stavano danzando.
    «How do you measure, measure a year?» canticchiò Jon contro la spalla di Damian, e quest’ultimo, dopo un momento di silenzio, ridacchiò.
    «Ci stai dando una canzone su cui ballare?»
    Jon sgranò gli occhi, ma non si mosse da quella posizione nonostante avesse fermato i passi di danza. «L’ho cantata ad alta voce?»
    «Sì», confermò Damian, abbandonandosi contro Jon. «Ma continua».
    Damian gli dava difficilmente corda quando si trattava di certe cose, ma Jon apprezzò e sorrise, stringendolo maggiormente contro di sé prima di ricominciare ad oscillare insieme a lui con lentezza, godendosi il calore di quel corpo e il battito di quel cuore contro il suo stesso petto. Pur non potendolo sentire con i suoi poteri, conosceva benissimo quella frequenza cardiaca e, se avesse potuto, avrebbe persino potuto vederla danzare davanti ai suoi occhi esattamente come avevano fatto loro fino a quel momento.
    «In daylights, in sunsets, in midnights, in cups of coffee…» continuò a canticchiare Jon in tono sommesso, facendo giusto qualche passo indietro insieme a Damian che gli fece scivolare le mani dietro la schiena. «In inches, in miles, in laughter, in strife…»
    Non seppero esattamente per quanto tempo andarono avanti in quel modo, muovendosi lentamente l’uno fra le braccia dell’altro sulle note di quella canzone che Jon non aveva smesso di canticchiare nemmeno per un attimo, rilassati come non lo erano ormai da tanto tempo forse anche troppo. E ogni strofa che Jon cantava sembrava rimbombare nel fienile e avvolgerli in un caldo abbraccio, per quanto stesse solo sussurrando parola dopo parola. Non avrebbe saputo misurare l’amore che provava per Damian, quel sentimento che negli anni era cambiato così tanto da farli crescere e maturare fino al punto in cui erano ora, e non avrebbe voluto essere da nessun altra parte se non tra le sue braccia. Era uno sciocco sentimentale? Forse, ma a lui non importava minimamente.
    «J?» lo richiamò di punto in bianco Damian, e Jon ci mise un secondo di troppo per riprendersi da quel torpore che lo aveva colto mentre se ne stava stretto conto di lui.
    «Mhn?»
    Damian sollevò un angolo della bocca in un sorriso premuto contro la sua spalla, poi si sollevò in punta di piedi per poter raggiungere l’orecchio di Jon. «Chiudi la porta», soffiò dritto nel suo padiglione, e Jon sentì un piacevole brivido lungo la schiena mentre le dita di Damian gli carezzavano un braccio.
    Fu ridacchiando tra sé e sé che eseguì e, osservando il sorrisetto divertito di Damian e quel suo sguardo carico d’attesa mentre si sdraiava nel fieno, Jon capì che cinquecento, venticinquemila, e nemmeno seicento minuti non sarebbero bastati ad esprimere quanto valeva per entrambi ogni momento passato insieme e ogni bacio o sospiro.






_Note inconcludenti dell'autrice
Storia scritta per l'undicesimo giorno dell'iniziativa #mayiwrite indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom  
Ambientata durante il primo anno ad Hamilton e i primi periodi in cui Damian decide di indossare finalmente una protesi. La canzone in questione è Seasons of Love, Jonno è un romanticone perso e la DC stessa a volte se ne dimentica, quindi spero che vi siate beccati questa dose di doppio zucchero e che abbiate fatto attenzione alla glicemia!
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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