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Autore: denn_nanni    26/08/2022    0 recensioni
Alice è una ragazza solare e schietta, fortemente legata ai suoi amici e alla sua casa; le piace la sua vita così com'è ed è difficile per lei abbandonare la sua zona comfort. Un giorno però le viene imposto di trasferirsi lontano, oltreoceano, da un padre che non conosce, in una città che non è la sua e abbandonando i suoi amici proprio per l'ultimo anno di scuola. Verrà inghiottita dal risentimento e dalla rabbia o riuscirà a trarre beneficio da questa esperienza? Rimarrà attaccata disperatamente alla sua vecchia vita e alle sue vecchie conoscenze o accetterà di ricominciare? Riuscirà a trovare quelle persone per cui sarà valsa tutta la sofferenza per il cambiamento?
H. S.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO TRE
Addio

Alice.

Ho un vuoto nel petto che si fa sempre più pesante, man mano che la mia partenza si avvicina. Ho avuto il sostegno dei miei amici ma non serve a molto quando loro sono meno convinti di me. Mancano nove giorni e li voglio passare nel modo migliore. Giro la chiave nella serratura tenendo le buste della spesa su una mano poi apro la porta ed entro appoggiandole a terra. Richiudo la porta alle mie spalle, mi sfilo la felpa e porto le buste in cucina. «Eccomi mamma, ho preso quello che mi hai chiesto.» dico a mia madre posando la spesa sul tavolo.
«Ho una brutta e una bruttissima notizia, quale vuoi sapere per prima?» No. Mi rifiuto categoricamente di sentire sia una sia l'altra, ho già abbastanza problemi per la testa.
«Tanto prima o poi le dovrò sapere entrambe.» La guardo e apro il frigorifero per prendere una bottiglietta d'acqua. «Dai, dimmi prima la brutta.» La incito agitando la bottiglia.
«La brutta notizia è che la scuola là, comincia prima.»
«Notizia accettabile, brutta ma accettabile.» Comincio a bere.
«La bruttissima è che hai il volo domani alle quattro.» Spalanco gli occhi e l'acqua mi va di traverso, facendomi tossire senza un contegno. Questa è un'orrida, terribile, ripugnante notizia!
«Cosa significa, mamma?! Avevi detto due settimane!» chiudo la bottiglia e la ripongo sul piano prima di lanciarla da qualche parte bagnando tutta la cucina, dire che sono arrabbiata è un eufemismo. Resto ad ascoltare le scuse di mia madre, "Non potevo fare niente" "Tuo padre ha detto così", anche se so che la colpa non è sua non posso sopportare di stare in casa un minuto di più.
Mi affretto ad uscire da casa e comincio a camminare verso il primo posto che mi viene in mente: casa di Thomas: poco lontana dalla mia e mi è facile raggiungerla a piedi.
Sono stremata, arrabbiata e avrei voglia di strapparmi i capelli uno per uno; non credo di aver paura, in realtà non so dire come mi sento e questo mi mette ansia, mi mette ansia anche il fatto che non sono del tutto pronta mentalmente per andarmene. Non sono pronta a lasciare tutto. Batto violentemente le nocche sul portone sperando che faccia presto ad aprirmi. Come speravo il portone si spalanca dopo poco mostrando la matrigna di Thomas.
«Ciao Alice! Thomas non mi aveva detto che ti aspettava.»
«Non lo sa nemmeno lui», rispondo. Lei mi dice che è di sopra così salgo velocemente le scale arrivando davanti alla porta della camera del mio migliore amico e la apro. Lui scatta in piedi puntando lo sguardo su di me.
«Alice che ci fai qui?» mi chiede premendo insistentemente il tasto home del cellulare pensando che non lo possa vedere.
«Cosa stavi facendo?» gli domando guardando il cellulare. «Nulla.» mi risponde un po' incerto, sono tentata di farglielo dire ma dato il mio naturale rispetto per le persone, annuisco lasciando passare la bugia.
Si siede sul letto, io mi tolgo le scarpe e lo imito mettendomi a gambe incrociate davanti a lui.
«Dimmi, cosa è successo?» mi guarda allungando una mano che appoggia sul mio braccio e comincia ad accarezzarlo.
«Perché dovrebbe essere successo qualcosa?» mi avvicino un po' di più a lui per rendergli più comodo il movimento. Lui mi guarda e dice «Sappiamo entrambi che non ti presenteresti mai a casa di una persona senza averla prima avvisata, andrebbe contro al tuo "naturale rispetto per le persone".»
«Che ne sai tu? Potrei aver perso il mio rispetto quando mia madre mi ha detto, cinque giorni fa che dovevo abbandonare la mia vita e i miei amici per trasferirmi in una città che non ho mai visto, in cui non conosco nessuno e in cui abiterò insieme ad un semi-sconosciuto e alla sua possibile nuova famiglia di totali sconosciuti.» osservo guadagnandomi un occhiataccia da parte sua per il mio promemoria del fatto che sarei dovuta partire a breve. Mi incita a dirgli quella cosa tanto importante, prendo un lungo respiro e comincio a parlare.
«Sono tornata a casa dopo essere uscita a fare la spesa, quando sono entrata, c'era mia madre che era strana, aveva una faccia triste ma allo stesso tempo molto arrabbiata. Così le ho chiesto che aveva. Indovina che mi ha detto? Che in Inghilterra la scuola inizia un po' prima che da noi così io devo partire domani alle quattro.» abbasso lo sguardo sulle mie mani e lui lascia cadere bruscamente la mano dal mio braccio. Non dice niente e immagino che abbia una faccia sconvolta anche se non lo posso vedere.

Thomas.

"Alice, dimmi che stai scherzando. Dimmi che stai fottutamente scherzando." Questi sono i miei pensieri. Non riesco a muovermi e tanto meno a dire qualcosa, chi sa cosa si prova a perdere così all'improvviso una persona che ti aveva insegnato che non servivano legami di sangue per essere fratelli mi venga ad aiutare. So che probabilmente ci rivedremo, e forse anche presto, ma il pensiero di non vederla girare per i corridoi a scuola, non entrare in camera sua senza preavviso la maggior parte dei giorni e vederla spaventarsi, il pensiero di non poter più incontrarla al parco, in primavera, stesa su un telo, sull'erba con una penna in bocca e i libri davanti a se intenta a risolvere equazioni e problemi aritmetici, mi turba e non poco.
«Stai scherzando. Alice...» la guardo in cerca di una risata, di una smorfia che mi confermi che quello che ha detto non sia veritiero e invece non ottengo niente, solo un sospiro triste. «Dio, Alice, non stai scherzando.»
Ha bisogno di essere abbracciata anche se non lo dimostrerà mai quindi le afferro gli avambracci e la tiro su di me avvolgendola con le mie braccia. Lei ricambia l'abbraccio. È una ragazza forte, è dovuta diventarlo, e come prova c'è il fatto che non sia ancora scoppiata a piangere lasciandosi trascinare per una volta da quello che le dice il cuore e non da quello che le comanda il cervello.
«Andiamo... Voglio salutare Tania, Richie e Lottie...» Sta proprio male poverina, e come biasimarla? La aiuto ad alzarsi e la sostengo perché mi da l'impressione che se la lasciassi cadrebbe. Andiamo di sotto, salutiamo la mia matrigna entrambi un po' mogi ma, come suo solito, non si intromette e ricambia in modo solare.

Arrivati a casa Davis, Tania ci accoglie nella sala dove troviamo il fratello e Lottie che stanno dando libero sfogo alle risate. Il loro umore cambia poi dal bianco al nero a seguito della notizia. Notizia, di questo si è trattato: Alice ha parlato in tono monocorde tutto il tempo, si è limitata a narrare i fatti, come di consueto, senza alcuna divagazione sui suoi sentimenti.
"Magari Londra non è così male, Alice. I pregiudizi annebbiano la vista." Queste sono le parole di Richard. Mi fa ridere come il mio migliore amico sta facendo il moralista in questo momento. Ad Alice fa schifo quando le persone cercano di fare la morale.
Quando ormai non c'è più niente da dire, a parte i saluti, Alice si alza. «Addio.» E quella parola mi lacera il cuore. Mi sento male, ho delle fitte atroci. Volto lo sguardo verso di lei e incontro il suo.
«Non dire addio perché dire addio significa andarsere e andarsene significa dimenticare.» Le parole mi escono da sole. Lei viene verso di me, mi abbraccia forte, molto forte, più del suo solito. Si gira verso gli altri, sorridendo li abbraccia uno per uno, sorprendendo tutti e forse anche se stessa. Sussurra un "ci vediamo" a ciascuno di loro e poi io e lei, insieme, usciamo dalla casa portandoci dietro auguri di un buon viaggio. Questa ragazza al mio fianco è stata una costante, è sempre stata mia e sempre lo sarà, il nostro legame non è amore, in realtà non mi vedrei mai ad amarla, ma non è nemmeno amicizia. È qualcosa di più intenso che noi ci limitiamo a esporci sorridendoci e semplicemente essendo noi stessi. Lei non cambierà, io non cambierò. Resteremo uniti, sempre.

Alice.

Mi alzo dal letto quasi alle undici, la partenza per l'aeroporto è programmata per mezzogiorno, mi tocca prepararmi in fretta, ma le lunghe ore passate a fare i conti con i miei pensieri mi hanno tenuta sveglia più del dovuto. Ho passato la serata a fare le valige, a scegliere i vestiti, piegarli accuratamente in modo da occupare meno spazio possibile, raccogliere tutti i miei effetti personali in piccole bustine. Normalmente avrei amato questa parte, il brivido del viaggio, ma non c'era nulla di lieto, niente da festeggiare.
I miei amici si erano offerti di passare la notte con me, ma volevo stare sola, avevo bisogno di metabolizzare le mie emozioni con i miei tempi, e questa solitudine ha portato a qualcosa di buono, tra me e me ho preso una decisione importante: accoglierò questa esperienza come un'avventura. Probabilmente soffrirò e sarò triste per un primo momento, sono sentimenti umani. Non posso impedire la mia partenza, ma posso impedire che questo segni per sempre un periodo importante della mia vita. Ero troppo piccola per capirlo allora, quando i miei genitori si separarono, ma crescere significa imparare dai propri errori ed è quello che io mi riprometto di fare.

Non ho potuto impedire a Thomas di accompagnarmi in aeroporto quindi eccolo caricare le mie valige nella sua macchina mentre mamma mi riempie di baci e di abbracci tra le lacrime che le scorrono a fiumi sugli zigomi pronunciati. La rassicuro dicendo che starò bene e che la chiamerò appena arrivata. Salgo in macchina dopo averle dato l'ennesimo abbraccio, e in fretta partiamo. Il mio migliore amico collega il suo telefono all'auto e mette la musica, così mi lascio coccolare dalle note e dalle parole, osservando gli edifici che conosco ormai come le mie tasche sparire dietro l'auto.
I miei potrebbero essere solo pregiudizi e Richard potrebbe avere ragione, anzi sicuramente ha ragione lui, ma è estremamente difficile. Tutto quello che so su mio padre non è pregiudizievole, è solo una sbrodolata di fatti, e questo mi porta ad odiare tutto quello che è collegato a lui, a partire dalla terra in cui ora abita. Man mano che riconosco le strade nei pressi dell'aeroporto, mi sale sempre di più un groppo alla gola; forse avrei dovuto fare qualcosa, avrei potuto parlare con mio padre, magari lo avrei impedito. Sarei riuscita a finire la scuola qui, avrei poi potuto valutare eventualmente un università in Inghilterra. Mio dio, perché non l'ho fatto? Mi sono arresa, mi sono arresa senza nemmeno combattere, e questa non è la persona che sono. Non posso cominciare a mettere in dubbio qualsiasi aspetto di me proprio ora che mi serve tutto il contegno di cui sono capace.
Mi tranquillizzo mentre cammino per gli ampi corridoi dell'aeroporto; non avrei cambiato niente, avrei reso il tutto più doloroso e spiacevole. Probabilmente mi sono comportata nel modo più razionale e adulto che potessi fare. Magari qualcuno al mio posto avrebbe scatenato un putiferio.
Ci accomodiamo su uno dei divanetti bianco latte, in paziente attesa. Chiacchieriamo del più e del meno, nessuno di noi osa menzionare quello che sta succedendo, quasi come se tacendolo non accadesse più. Quando chiamano il mio volo per l'imbarco, la realtà ci piomba addosso e fa scoppiare quella piccola bolla che ci eravamo creati.
Mi alzo in piedi, raddrizzo le spalle, e guardo Thomas davanti a me. «È solo un arrivederci.» mormora con la testa bassa. Lo abbraccio forte e non riesco più a trattenere i singhiozzi. Mi concedo di piangere davanti a lui, perché è lui e so che non mi farà mai pesare le mie debolezze. Quando se ne accorge, non riesce a trattenere un leggero sorriso, mi passa il pollice sulla guancia per asciugarmi le lacrime e mi sussurra un "ci vediamo", appoggiando candidamente le sue labbra sulla mia fronte. Lo saluto ancora e poi mi volto, camminando nel modo più convinto che riesco, senza voltarmi indietro.

Una volta salita sull'aereo, cerco il mio posto e mi ci accomodo. Mi lego la cintura, metto il telefono in modalità aerea e me lo stringo in grembo: questo è l'unico apparecchio che mi permetterà di parlare con loro nei prossimi mesi. Appoggio la testa al finestrino e guardo fuori. Mi addormento, sperando che sia meno pesante di quello che mi aspetto

   
 
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