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Autore: Orso Scrive    27/08/2022    2 recensioni
In una nebbiosa notte d’autunno, due agenti del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale sono appostati in una strada deserta, in attesa dell’arrivo di un ladro di antichità. Ma non è un quadro come un altro, quello di cui il delinquente si è impadronito: una lunga scia di morti orribili lo ha sempre accompagnato…
Scritta: ottobre 2021; rivista: luglio - agosto 2022
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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8.

 

 

Notte di Halloween, 2021

 

 

Adesso, tenendo una mano sulla maniglia della portiera e l’altra sul volante, mentre guardava Ceccarelli che si avvicinava furtivo al cancello della villa, Alberto rivisse per intero quei giorni di cinque anni prima. Se li vide passare davanti agli occhi, come se fosse accaduto tutto soltanto da poche ore.

Come promesso, il pomeriggio seguente a quella conversazione aveva fatto ritorno alla casa di Sartori. Aveva con sé il fascicolo che gli aveva consegnato il maresciallo De Crescenzo, molto più competente di lui su quelle cose: a Sartori sarebbe stato sufficiente compilarlo e inoltrarlo; nel volgere di pochi giorni, il quadro sarebbe passato da casa sua alla pinacoteca comunale, dove poi gli esperti avrebbero valutato la possibilità di esporlo oppure di chiuderlo in magazzino e dimenticarsene per sempre. Probabilmente, se qualcuno gli avesse domandato un parere in merito, Sartori avrebbe suggerito la seconda ipotesi.

Alberto aveva suonato il campanello una volta, due, tre.

Invano.

Nessuno aveva risposto al citofono.

Gli era parso strano. Con tutta la fretta che aveva di togliersi di torno il quadro, Sartori non poteva certo aver scordato di aver con lui quell’appuntamento.

Stava per andarsene, quando si era reso conto che la porta dell’abitazione era soltanto accostata. Insospettito, aveva girato tutto attorno alla cancellata, per vedere se, magari, il padre di Carlo non fosse uscito in giardino. Nessuno. Ma una finestra sul retro aveva un vetro in frantumi.

A quel punto, non gli era rimasto che scavalcare ed entrare. Indossava la divisa, aveva la pistola con sé, eppure non si sentiva del tutto sicuro. Fino a quel momento, la cosa più elettrizzante che gli fosse capitata di fare, prima di entrare nel Nucleo Tutela del Patrimonio, era stato sedare una rissa tra ubriachi, una notte mentre era di pattuglia. Quella volta non aveva nemmeno dato il meglio di sé, a dire il vero: si era trovato con un occhio nero e uno zigomo sanguinante. Aurora, quando lo aveva visto in quelle condizioni, aveva fatto fatica a trattenersi dallo scoppiare a ridere. Poi, però, dolce e premurosa come sempre sapeva essere se soltanto lo voleva, gli aveva dato un bacino sulla guancia ferita e gli aveva sussurrato all’orecchio: «Quando ti capitano certe cose, Manfredino, chiamami subito, così ti proteggo io.»

Ora, ancora una volta, lei non c’era, e questo lo inquietava parecchio. Forse avrebbe fatto meglio a telefonare almeno al maresciallo, prima di procedere: sebbene lui, in quanto sottotenente, fosse tecnicamente un suo superiore, si sentiva di dipendere in tutto e per tutto da De Crescenzo e dalla sua esperienza ormai trentennale. Ma un senso di disagio e di urgenza lo aveva spinto a entrare senza altri indugi.

Non aveva esitato oltre.

Aveva raggiunto la stanza in cui Sartori gli aveva detto di aver nascosto il quadro. Qualcosa gli suggeriva che, se i suoi timori erano fondati, lì ne avrebbe avuto la prova.

Il cavalletto era vuoto.

Davanti, sul pavimento, un ammasso di carne e di sangue informe.

Ciò che restava di Sartori.

E le indagini, per quanto scrupolose, non avevano portato a nulla. Non si era mai scoperto il nome dell’assassino – o, meglio, del folle macellaio che aveva commesso quello scempio disumano – né che fine avesse fatto il quadro. Era come se tutto quanto si fosse dissolto nel nulla.

Almeno fino a quel pomeriggio – a cinque anni precisi di distanza da quel giorno che gli si era impresso in modo indelebile nella memoria – quando Toni, il suo esoso e costosissimo informatore, gli aveva fatto la soffiata su Ceccarelli.

«Se sotto quel telo c’è il quadro rubato, possiamo arrestarlo in flagranza di reato senza attendere che entri nella villa», suggerì Aurora, come sempre smaniosa di entrare in azione.

Alberto non distolse lo sguardo dall’uomo che si muoveva lentamente attraverso la nebbia.

«È vero, ma se nella villa c’è l’acquirente, sarà meglio beccarli insieme», rispose. La voce gli tremava leggermente. Le sue nocche, strette attorno alla maniglia della portiera, sbiancarono. «Così ci liberiamo di due delinquenti in un colpo solo. Magari scopriamo che, quello che vuole il quadro, è pure lo stesso che ha ordinato di rubarlo a ogni costo, nel 2016.»

La mano di Aurora si posò sulla sua. Quando voleva sapeva essere delicata, calda, confortante. Umana. Alberto fu felice di averla al suo fianco in quel momento. Lei era in grado di dargli quel qualcosa che nessun altro in tutto il mondo sapeva comunicargli.

«So quanto questa faccenda sia importante e personale per te, Manfredino», sussurrò la giovane donna. «Ma ti scongiuro, stai calmo.»

Alberto sospirò.

Quando il fatto era accaduto, Aurora aveva cercato di stargli il più possibile vicina. Lo aveva confortato, aveva tentato in ogni modo di aiutarlo a scordare l’immagine orribile che si era trovato davanti agli occhi, quando aveva scoperto il cadavere. In quei giorni, più che mai, lei gli aveva dimostrato il valore della loro amicizia, che durava da tantissimi anni. Si era anche assunta la direzione delle indagini, portandole avanti finché era stato possibile. Infine, però, si era dovuta arrendere, perché sembrava proprio che non ci fosse alcuna traccia, alcuna pista. Sartori era stato fatto a pezzi e il quadro era letteralmente scomparso: altro non era emerso.

Però, Alberto le era sempre stato grato per tutto quanto aveva fatto per lui. Non lo avrebbe mai scordato. E se adesso era davvero prossima la svolta che avrebbe messo la parola fine a quella brutta e vecchia storia, Manfredi si sentiva felice e fortunato di averla accanto. Sentiva che fosse giusto, che la portassero a termine insieme.

«Sono calmo», la rassicurò. «È solo che non posso fare a meno di pensare al padre di Carlo… lo conoscevo fin da quando ero piccolo. Ai tempi delle scuole elementari, ho trascorso tanto tempo insieme a Carlo, e i suoi genitori erano dei punti di riferimento per me, molto più di quanto non lo fossero i miei. E se penso… se penso che quell’uomo…»

Aurora aggrottò la fronte. Osservò il ladro – giaccone nero e coppola dai motivi scozzesi sopra i capelli radi – che si era avvicinato al cancello e, dopo essersi guardato altre volte attorno, stava armeggiando con una chiave.

«Davvero tu pensi che sia stato Ceccarelli a ucciderlo in quel modo orribile?» domandò, scettica.

Il tenente Manfredi rifletté un istante.

Aveva già avuto Ceccarelli tra le mani innumerevoli volte. Era un ladruncolo. Un mariolo che campava di furtarelli, o al massimo di piccole truffe ai danni dei più sprovveduti. Un omuncolo non troppo coraggioso, seppure dotato di un cervello abbastanza perspicace. Si aggirava soprattutto tra le vecchie chiese di campagna, alla ricerca di antichi candelabri o di piccoli quadretti votivi. Qualche volta, in passato, si appostava negli autogrill per rifilare ai camionisti scatole con mattoni spacciandoli per smartphone: un’attività, questa, che aveva abbandonato dopo che un suo cliente, anziché attenersi alle istruzioni – «Aprila solo quando sei lontano da qui, così nessuno si insospettisce» – aveva scoperto l’illecito e si era fatto restituire il corrispettivo a forza di pugni. Il colpo più grosso che avesse fatto, qualche anno prima, era stato trafugare delle monete romane da uno scavo archeologico in corso. Per quello si era beccato sei mesi con la condizionale.

Scosse la testa.

«Non è un assassino», ammise. «Può essersi impossessato del quadro chissà come, ma non è stato lui a uccidere Sartori. Probabilmente quella tela è in suo possesso da non più di ventiquattro ore.»

«Già», annuì Aurora. «Ceccarelli è troppo furbo per conservare qualcosa troppo a lungo. Due o tre mesi fa gli ho fatto una perquisizione a sorpresa in casa… non aveva niente di niente, nemmeno uno spillo che potesse incriminarlo di qualcosa.»

Un ghigno attraversò il volto del tenente. Si girò a guardarla.

«Una perquisizione a sorpresa?» sbottò, divertito. «E com’è che non ne sapevo niente?»

Aurora sorrise. Un sorriso maligno che avrebbe fatto rabbrividire un diavolo.

«Mi stavo annoiando, non avevo niente da fare», ricordò. «Ero seduta su una panchina al parco, a fumarmi una sigaretta e a guardarmi attorno. C’erano dei ragazzini fastidiosi che giocavano a calcio, un assillo che non ti dico con quel cazzo di pallone. E poi ascoltavano quelle loro specie di musiche di oggi, che solo a sentirle mi sembrano peggio della carta vetrata passata sulla passera. Un pomeriggio che stava diventando insulso che più insulso non si può. Quando ecco che vedo passare Ceccarelli con una sportina in mano. L’ho seguito fino a casa e, appena è entrato, ho bloccato la porta con un piede, l’ho persuaso a farmi dare un’occhiatina in giro e ho messo tutto a soqquadro.»

Alberto soffocò una risata. Non aveva bisogno di domandarle come avesse fatto a fare tutto senza bisogno di un mandato di perquisizione. Ceccarelli provava un cieco terrore nei confronti di Aurora. Probabilmente l’aveva lasciata entrare e non si era opposto a nulla. Oppure, e nemmeno questo era da escludersi, lei aveva minacciato chissà quali atrocità per indurlo a lasciarla passare.

«Immagino che sarà felice di rivederti, allora», commentò.

Al di là della strada, il cancello si aprì e si richiuse in fretta alle spalle di Ceccarelli. Il ladro sparì nella nebbia oscura del giardino.

«Andiamo», disse Alberto, aprendo la portiera.

Smontarono dalla vettura e attraversarono a passo rapido la carreggiata. Si fermarono a ridosso del muro di cinta. Era troppo alto per vedere qualcosa all’interno. Manfredi si piegò e Aurora gli salì con agilità sulle spalle. La giovane sbirciò.

«Allora?» grugnì Alberto.

Non gli dispiaceva affatto tenere il sottotenente sulle spalle. Sentiva il calore irradiarsi dal suo corpo e questo gli dava sicurezza. Con lei vicina, sarebbe sceso senza paura persino all’inferno. Inoltre, non capitava tutti i giorni di poter toccare Aurora tanto liberamente, perlomeno senza correre il rischio di trovarsi steso a terra mezzo massacrato di botte. Però, aveva ancora le gambe intorpidite dal lungo appostamento, e sorreggerla si stava rivelando un’impresa più complessa del previsto.

«Le piante sono molto fitte, non c’è una cazzo di luce e la nebbia fa il resto», sussurrò Aurora. «Non riesco a… aspetta! Si è accesa una flebile luce al primo piano e…» La giovane fece una breve pausa, guardando meglio. «Sì, vedo due figure muoversi attraverso il vetro della finestra. Uno è Ceccarelli. L’altro non lo riconosco, ma da qui sembrerebbe un gnocco da paura, se capisci cosa intendo dire.»

Con una piroetta elegante, Aurora tornò al suolo. Alberto si raddrizzò e accennò al cancello.

«Hai i tuoi attrezzi da scassinatrice?» domandò, con un sogghigno.

«Sempre», replicò lei, pronta.

Si avvicinarono all’ingresso e Aurora abbassò la zip del giubbotto nero. La tasca interna conteneva un vero e proprio campionario di piccoli grimaldelli, chiavi, forcine, cacciaviti. Osservò per alcuni istanti la grossa e antiquata serratura e scelse il ferro che si sarebbe meglio adattato.

«Se io non fossi una tutrice dell’ordine», disse, concentrata sul lavoro, «sarei una ladra perfetta. Sai che titoli, sui giornali? L’imprendibile Aurora, il terrore dei ricchi. La meravigliosa ladra dai capelli rossi beffa di nuovo polizia e carabinieri. La disperazione del tenente Manfredi, che ancora una volta deve gettare la spugna, sconfitto.»

Alberto ridacchiò.

«Ti darei la caccia fino in capo al mondo e, alla fine, ti prenderei di sicuro», replicò.

«Succederebbe soltanto perché io te lo lascerei fare», rispose Aurora. Si voltò a guardarlo con il solito sorriso sinistro e malizioso. «Alla fine sei così dolce, Manfredino, che mi dispiacerebbe sconfiggerti sempre.» Spinse il cancello, che si spalancò con un cigolio.

«Dopo di te, mio eroico tenente», lo invitò, indicando il vialetto circondato da palme e alberi contorti, che si perdeva nella foschia.

Alberto annuì e si avviò, guardingo.

Nel giardino regnava un silenzio quasi assoluto, rotto soltanto dall’umidità che gocciolava dai rami. Gli alberi neri sembravano cupi spettri in agguato nell’oscurità. La ghiaia bagnata e screziata di muschio scricchiolava sinistramente sotto la suola degli anfibi. Cric-cric. Ogni ombra pareva nascondere una cupa minaccia in agguato…

Accidenti, forse sarebbe stato meglio scegliere una notte migliore di questa, per concludere tutta questa faccenda pensò Alberto.

Deglutì.

Non doveva lasciarsi suggestionare da nulla. Non doveva nemmeno lasciarsi trasportare dall’idea che, quel quadro che stava andando a recuperare, fosse maledetto. Gli sarebbe piaciuto ammettere ad alta voce che si trattasse solo di sciocche paure infondate e superstizioni senza senso. Purtroppo, aveva già visto – e affrontato – un sufficiente numero di cose assurde da essere consapevole di non poter dare nulla per scontato.

Dietro di sé, sentì i passi e il respiro leggero di Aurora. Questo lo rassicurò. Con lei vicina, non c’erano maledizioni che potessero essere efficaci. Sarebbe stata capace di beffare il diavolo e di metterlo in quel posto a un mostro, quella donna. A volte si scopriva a domandarsi se, per caso, non fosse lei stessa una specie di creatura diabolica…

«Se pensi qualcosa di cattivo nei miei confronti, giuro che mi offendo… e, quando mi offendo, mi arrabbio. E se mi arrabbio divento… come dire… intrattabile.»

Il sussurro ironico di Aurora nell’orecchio lo fece sussultare. Rabbrividì, e la nebbia umida che gli si incollava sul giubbotto non c’entrava nulla. La certezza che lei, chissà come, sapesse leggergli nel pensiero, divenne più forte che mai. Prima o poi avrebbero dovuto affrontare la questione con tutta la serietà del caso. Ma non era questo il momento più adatto per farlo.

Erano vicini all’ingresso della villa.

 
   
 
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