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Autore: eclissidiluna    29/08/2022    2 recensioni
SPOILER SU TUTTA LA SERIE COMPLETA! FINALE ALTERNATIVO
Spiego le vele controvento, seguendo rotte diverse che si delineano all’orizzonte. Come sempre non so dove approderò. Ma so che ho bisogno di andare per mare.
Buona lettura!
Lo sapeva. Sapeva che sarebbe successo. Prima o poi. Un cacciatore è “vecchio” anche se, nel mondo “normale”, è poco più che maggiorenne. Quando si è riunito a Sam si percepiva già un “sopravvissuto”.
Ha trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita, facendo “tira e molla” con l’aldilà, a chiedersi “Perché sono ancora vivo?!”. Ma la domanda “vera” avrebbe dovuto essere: “Per chi sono ancora vivo?”. Non è mai stato un “fan” di se stesso però… è sempre stato il primo “sostenitore” di Sammy. Ma ora Sam può “sostenere” quel posto vuoto…sull’Impala. E’ pronto.
E’ un buon momento per “distrarsi”. Ora che l’Universo è in mano a Jack può concederselo. Il Paradiso arriva nei modi più impensati. Un punteruolo che trafigge donandoti un Cielo che invade, trasformandoti in nuvola. informe, leggera, soffice.
Sarà tutto perfetto. Sarà pace. Sarà quiete. Sarà respiro profondo, libero, ritrovato.
O forse no.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Incapace di respirare, incapace di sostenere il peso di un bicchiere, incapace di rigirarsi senza aiuto. Raramente suona quel dannato campanello. Preferirebbe piagarsi piuttosto che essere palla da bowling nelle mani professionali, cortesi ma comunque distaccate, del personale sanitario. Aspetta Sam. E Sam arriva. A cingerlo con presa sicura, per fargli cambiare posizione, destreggiandosi come Merlino nel suo laboratorio. Dean è “alambicco umano”, una somma di “vasi comunicanti”. Delia…onesta come solo la Morte sa essere (fatta eccezione per quella psicopatica di Billie!) glielo aveva “anticipato”. Una “pezza” sul “foro”…ma questo non avrebbe cambiato granché la sua situazione.
Trivellato, come una sagoma al poligono di tiro. Trafitto da parte a parte. Ugualmente. Al posto del ferro, una serie di tubicini che Sam va a “districare”, con pazienza certosina, per evitare che si sfilino, zampillando sangue. E’ successo una volta…e le lenzuola si sono tinte di rosso. Dean l’ha trovato quasi divertente. Il letto sembrava la tavola imbandita di un Rugaru.
E Sam non ha potuto evitare di suonare il campanello.

Non avere addosso i propri vestiti fa sentire totalmente "nudi", in un modo così diabolicamente "completo" che ti annulla. Forse da questo nasce la tendenza degli Dei a esigere vittime denudate, sugli altari sacrificali. Percepisci di essere già "pietanza", ancor prima di diventarlo. Gli Dei famelici, probabilmente, avvertono le che il tuo corpo “trasuda” cortisolo e adrenalina e questo deve stimolare in loro un certo languorino.

Dean preferirebbe una camicia imbrattata di resti di mutaforma e pantaloni maleodoranti, come dopo un bel tuffo in un fiume vicino alla discarica, o un ruvido e urticante costume da cavaliere, come quello indossato alle giostre medievali organizzate dalla dolce Charlie…qualsiasi cosa sarebbe meglio di quel ridicolo camice che ti lascia le natiche scoperte. Anche se deve ammettere che, notare gli sguardi furtivi e "interessati" delle infermiere, mentre rifacevano il letto... è stato piuttosto elettrizzante. Molto meno la faccia di Sam quando, mentre aiutava le graziose signorine a mobilizzarlo, ha visto quel "fumetto" di sangue sulla traversa. Una pozzetta che si è rappresa all'istante.  Ma ancora troppo lentamente per l'apprensivo Sam.

Sam pone la massima attenzione a non “stiracchiare” la vena di turno o la membrana interna che è la “stazione” di quei crocevia. Purtroppo, per quanta cautela e impegno ci metta, può capitare. In quei casi Dean inghiotte un urlo, come ha imparato a fare da ragazzino, quando ha cominciato ad essere “rammendato” da John. Dean, avvertendo quello “strappo” interno, si trova a riflettere su quanto conti “essere nelle grazie” della Dea Fortuna. E se avesse riaperto la sua bisca clandestina? Forse varrebbe la pena farci di nuovo due chiacchere!  Anche se, in fondo, sa di essere “fortunato”. Nonostante quella complessa serie di “canali” che lo percorrono.

Ognuna delle sottili “gallerie”, color bianco opaco, ha il suo scopo. Non farlo disidratare, non farlo soffocare, non far “addormentare” cuore, polmoni e reni. In una frase: non far…tornare Delia.

Il cibo non ha gusto perché è triturato è ha un aspetto decisamente peggiore di ciò che, da sempre, è “appetitoso” per Sam. I tendini sono corda tesa che si spezza, alla sola idea di flettere un mignolo. Ogni sollecitazione muscolare, anche la più piccola e insignificante, gli produce un dolore sordo e intenso che si propaga sottopelle, come l’onda d’urto di una deflagrazione. Non osa pensare a quando comincerà la riabilitazione…quella vera. Sarà bomba atomica.

Dean riflette su quanto quel dolore fisico, che non ha nulla a che fare con i “rischi” del loro mestiere, sia dannatamente simile a ciò che ha subito… nel “suo mondo”. Come direbbe Marin.
Una benefica tortura, con il nobile fine di curarlo…ma è "tortura".

Non è poi così diverso dall’essere pungolato e “spezzettato” da Alastair.
L’ossigeno “sottovuoto” è costantemente a disposizione ma, ciononostante, è a corto di fiato come quando, “mostro” tra i “mostri”, correva zigzagando tra gli alberi… del Purgatorio.
E combatte contro delle emicranie insopportabili come se, la sua testa, fosse ancora “magazzino” dalla porta instabile…presa a calci e pugni da un furibondo Michele.

Essere cacciatore, a volte, fa maledettamente schifo. Essere un uomo ridotto ad… “alambicco”...altrettanto.

 A volte, quando Sam, all’ennesimo “Sammy, fuori di qui! Ora!” si trascina a prendersi qualcosa da mangiare, concedendosi venti minuti di “pausa”, Dean, rimasto solo… supplica Delia… di tornare.

Ma Delia non è Dio. Probabilmente non ascolta le preghiere degli uomini e, a ripensarci…nemmeno Jack lo fa. Nessuna interferenza…giusto.
“Meglio essere padroni di sé stessi, senza poter contare sull’ “aiuto da casa”, che giocare una partita dove, “qualcuno”, ha già deciso le tue mosse!”
Dean se lo ripete,contando i minuti che lo separano da Sam, per tenersi occupato e non impazzire.

E Sam sembra “sentirlo” perché “la pausa” spesso si riduce a un quarto d’ora. Dean restando volutamente ad occhi chiusi, lo rimprovera, con tono burbero “Sam…come fai ad essere già qui?! Non hai avuto nemmeno il tempo di arrivare alle macchinette!” ma Sam ha sempre la battuta pronta “Mi sottovaluti, fratello! Ampie falcate e la mia corsa mattutina mi permettono di attraversare il corridoio in meno di un minuto! Sai bene chi, tra i due, è lo sportivo salutista!”. E Dean borbotta qualcosa ma non può evitare di sorridere, con gratitudine.

A volte si pente di aver accettato quella condizione.  Non è “irreversibile” ma, arrivare alla fine del giorno, sapendo che quello dopo sarà tragicamente uguale comincia ad essere… “invivibile”.

Ma Dean…è vivo.
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In un mattino, dove il cielo è bianco e carico di nuvole che promettono neve, vede entrare Sam, seguito da Marin.

Marin ha l’aria circospetta e vagamente colpevole della bambina che ha combinato un guaio. E Sam, nonostante quei pasti frugali, ha il viso disteso e infinitamente sereno. Dean ricorda di averlo visto raramente così riposato. Eppure, da quando Dean è tornato, non ha trascorso una sola notte al bunker, nel suo letto…

Dean crede di avere le traveggole quando è certo di scorgere un movimento, nel sacco pronto per la lavanderia…Miracle, nascosto nel carrello della biancheria con la complicità di Paul, fa un’“entrata in scena” degna di uno spettacolo circense! Posa le zampe sul copriletto con una delicatezza incredibile, quasi Sam lo avesse “addestrato” e Dean, accarezzandogli la testolina, avverte gli occhi pungere.
Dean “corre ai ripari”, dichiarando, tra sé “Delia…stavo scherzando…lo sai che sono uno a cui piace scherzare!”. Perché la Morte non ascolta le preghiere di chi ha “lasciato” sulla Terra. Ma meglio non rischiare.

Dean ha scelto. E deve continuare a “scegliere”. Ad ogni tramonto. Ad ogni alba.
Dovrà sopportare ciò che verrà…con il caparbio coraggio del cacciatore.
E dell’uomo… “alambicco”.
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Marin è arrivata con tre bottiglie di birra, in confezione natalizia, quella che aveva catturato la sua attenzione durante quella “spesa interrotta”. Dean ha strabuzzato gli occhi. “Ehi! Sei fantastica!”
“Dean, è Natale…anche qui. Sapevo che ti avrebbe fatto piacere ma non vuol dire che tu possa berle! Avrai tempo per farlo…”
“Marin…solo un sorso…”  piagnucola Dean e lei, guardandosi intorno, sbuffa un tirato “Ok…hai vinto!”
Dean, trionfante, esclama “Marin, giuro che se Sam ti lascia scappare, lo uccido con le mie stesse mani…be’ appena riuscirò a muoverle!”
Marin abbozza un sorriso e poi, sfiorandogli la mano destra, osserva “Dean…riesci già a muoverle…”
“Si, ma diciamo che posso farci ben poco…” ribadisce lui, aprendo e chiudendo le dita, “a rallentatore”.
Marin, senza ribattere, stappa una birra e gliela porge.
“Ma ti ho appena detto che…”
“Prova, Dean, dammi retta…”
Dean è stizzito. Gli pare un’inutile perdita di tempo. Ma Marin gli ha salvato la vita…è “autorizzata” ad essere un po’ insistente. L’accontenterà.

Dean allunga la mano, non senza sforzo, lasciando che lei gli sistemi le dita attorno al dorso della bottiglia, “aggiustandogli” la presa, come se stesse decorando un albero di Natale.
“Ok…vedi che…che…” brontola aspro.
Le labbra di Marin si stendono. E quelle di Dean si aprono in espressione stupita.
 “…che stai tenendo la tua birra, Dean.” conclude Marin, vittoriosa.
Dean avverte il vetro freddo a contatto con il palmo. E’ una sensazione grandiosa.
“Ci riesco!”
“Non te l’avrei proposto, Dean, se non avessi notato un miglioramento. Devi solo avere fiducia. Credo, che dopo le festività, potrai iniziare con la riabilitazione vera e propria.”
“Grazie…grazie Marin…” e Dean continua a godersi quel momento di ritrovata autonomia. Sta stringendo una birra in mano! Conscio di avere stampata in faccia un’espressione da ebete, tenta di ricomporsi, tornando sul suo “argomento preferito”.
 “Quello che ho detto prima, riguardo a Sam…”
Marin abbassa lo sguardo “Non c’è niente, Dean. Davvero” ripete tranquillamente, Marin.
Dean palesando delusione rincara “Peccato. Un’infermiera in famiglia…ci tornerebbe comodo!”
Marin sorride, sfiorandogli il viso. Nulla di permanente, come aveva ipotizzato.
“E chi l’ha detto che io non possa comunque occuparmi di voi? Ormai so dove abitate!”
“Suona un po’ inquietante… “So dove abiti…”!” scherza Dean.
Marin, stando al gioco, fa una battuta sulla grandiosa interpretazione di Kathy Bates, nel ruolo di un’infermiera pazza, in “Misery non deve morire”.
“Ora basta chiacchere, Dean…devo andare, turno di notte!” conclude sospirando, sistemando la sedia consapevole che, a breve, accoglierà Sam.
“La vigilia di Natale?! E domani?”
“Turno di notte…come a Capodanno” comunica Marin, alzando le spalle.
“Ma questo Carter ce l’ha con te! Possibile che ti tocchino tutte le festività?!”
 “Sei fuoristrada, Dean…il dottor Carter è gentile, non ha fatto altro che aiutarmi e consigliarmi, da quando lavoro qui, solo che…ho preso una settimana di ferie senza preavviso, un po’ di tempo fa…” motiva Marin, giocherellando con una ciocca di capelli “sapevo che, al rientro, avrei dovuto “coprire” qualche turno “scomodo”. Meglio così…almeno resto nei paraggi, Dean!”
Dean la scruta con riconoscenza. “La settimana di ferie”. Ora è tutto chiaro.
“Grazie, Marin…non solo per avermi salvato… ma anche per Sam…”
“Va tutto bene, Dean.”
“Resta ancora un momento…Sam tornerà fra poco…”
“No…devo salire ma con Sam abbiamo una sorta di “appuntamento” domani…per farci gli auguri come si deve, la mattina di Natale…” e il tono di Marin è graziosamente “solenne”.
“Wow! Il mio fratellino mi stupisce! Non mi ha detto nulla! Pranzo di Natale in dolce compagnia!”
Marin scoppia a ridere “No, Dean…quando smonto dalla notte…alle 7.30, davanti alle macchinette… per un caffè e uno snack!”
“Dimmi che non è vero…” e Dean si mette una mano sul viso, palesando disapprovazione.
“Guarda che a me va bene, Dean…mi basta…mi basta salutarlo e…vedere i suoi occhi non cerchiati” confessa Marin, pur sapendo di “svelarsi” irrimediabilmente.
Dean annuisce “Sei una persona speciale, Marin…”
“Ora fammi andare o arriverò in ritardo e mi toccherà sorbirmi i rimproveri della caposala!”  e Dean apprezza quel lieve rossore fiorire tra qualche lentiggine.
“Buon Natale, Dean!”
Dean ricambia gli auguri e, vedendola allontanarsi, pensa che, fra pochi giorni, potrebbe avere forza a sufficienza per… strozzare Sam. 

Marin ha sistemato le birre sul davanzale della finestra. E Dean gli ha chiesto di lasciare le veneziane aperte. Filtrano roboanti luci natalizie che rimbalzano su soffitto e pavimento, facendo a gara con i neon della sua stanza. Non gli danno fastidio. “Gli ricordano” che è Natale.
Non un Natale vissuto in uno scrostato motel, ad aspettare papà.
Non un Natale trascorso sull’Impala, guidando verso un caso, accompagnati dalla radio che rimanda i “classici” del periodo, da Bublé a Mariah Carey.
Non festeggiato “fuori tempo”, con un enorme albero decorato con maestria da Mrs. Butters, quella specie di “governante”, custode del bunker.
E’ un Natale… in ospedale…e sta aspettando Sam che, per una volta, non è a perdere diottrie davanti allo schermo del pc, impegnato nella spasmodica ricerca di…soluzioni.
Sam è al sicuro, “impegnato” sì… nello shopping natalizio.

Un Natale perfetto.

Dean si beve un altro sorso di quella birra che ha continuato a tenere ben salda nel palmo, fino a sentirlo scricchiolare. Con un movimento degno di un’ultracentenaria tartaruga, tenta di posarla sul comodino. E’ concentratissimo e avverte il sudore farsi strada, sotto il camice, all’altezza del collo. Quando sente il “toc” del fondo della bottiglia, “atterrata” sul ripiano, gli esce un “Eh vai!” straordinariamente liberatorio.

Si concede di appisolarsi.
Per oggi, “l’uomo alambicco”, ha fatto abbastanza.
---
Mentre Dean riposava Sam, guardandosi bene da svegliarlo, ha appeso un paio di decorazioni nella camera e ha messo un alberello a led, sul tavolino. Quando Dean riapre gli occhi è Pinocchio nel Paese dei Balocchi.
“Ehi! Guarda un po’ cosa mi hai combinato! Grazie Sammy!”
“Di niente, Dean…buon Natale, fratello…” e Sam ripensa a quando, sull’Impala, con quel John che doveva essere “custodia”, ha pianto in silenzio, prendendo atto di quanto avrebbe sofferto…quella vigilia.
Sam non può fare a meno di ringraziare Jack. Anche se sa che non deve a lui…questa vigilia.

“Marin mi ha regalato delle ottime birre e l’infermiera, sai quella brunetta, capelli a caschetto, quarta di reggiseno?”
“Dean!”
“Be’…hai capito chi intendo…mi ha dato una tazzina di zabaglione! L’ha fatto apposta per me!”
“Sempre il solito rubacuori!” ride Sam, sistemandogli il cuscino. “Ed era come piace a te?”
“Chi? L’infermiera? Be’ ho ancora qualche problemino ad…”assaggiarla”!”
“Dean! Lo zabaglione! Mi riferivo a quello!”
Dean ride di gusto. Sam diventa ancora fucsia quando si fa cenno a sesso e donne…l’anima “ingenua” di Sam!
Sam arrossisce…come Marin.
“Ah…lo zabaglione, certo…era perfetto, Sam…era perfetto…come questo Natale che è uno dei migliori dei Winchester!”
“Sai che, considerare un Natale in ospedale, uno dei nostri “Natali migliori”, la dice lunga sulla nostra vita, Dean?!” sottolinea Sam, ironico.
“Oh be’ Sammy, devo ricordarti quello in cui stavamo diventando “la cena” della vigilia? A casa di quell’allegra coppia di divinità?! Ghirlande maledette e maglioncini che parevano usciti da “Mamma ho perso l’aereo”!”
Sam ha una smorfia di disgusto “Ti prego, non farmici pensare…l’unghia ci ha messo quasi due mesi a ricrescermi!”
“E meno male che hanno suonato alla porta…o io non avrei il mio sorriso smagliante!”

Sam, continuando a ridere, estrae un pacchetto, dalla tasca della giacca. “Te lo scarto, Dean…” mormora offrendolo a Dean “No, no…posso farcela da solo…” e Sam, vedendolo muovere le dita sulla carta argentata, prova un’emozione indefinibile. La stessa che vive Dean, quando scopre il contenuto dell’involucro.
 “Sammy…è…è…davvero bello…”
“Avevo bisogno di…voltare pagina, Dean. Ma dovevo farlo con qualcosa che ricordasse il passato. Non una "copia" ma un nuovo… “originale”…”
Dean passando il pendaglio di ottone da una mano all’altra, in una “danza” lenta ma precisa, sussurra “E’…un bel modo per guardare al futuro…grazie Sammy…”.
Dean ripensa a quel Natale. Passato.

Un cielo che aveva mantenuto la promessa. Come oggi.
Nevicava.
Ma papà forse non sarebbe tornato. Forse non avrebbe potuto mantenere la promessa fatta a Sam.

Quel ciondolo che Sam gli aveva regalato, in realtà, era per papà…ma in fondo…Dean, anche allora, con appena quattro anni in più, gli faceva… da padre. Avrebbe potuto farlo…per sempre. Ricorda di averlo pensato. Mentre se lo metteva al collo.

Ma oggi…è più complicato. Metterselo al collo.

Sam prova a farglielo indossare ma poi desiste…risulterebbe un altro impiccio, l’ennesimo “filo”, “da gestire”. “Forse…forse non è stata una buona idea…” constata, il minore, mortificato.
“E’ stata un’ottima idea, Sam!” e Dean afferra il cordoncino, togliendo Sam dall’imbarazzo.
Stringe il monile nel pugno che ha appena riacquistato vigore “Lo terrò sotto il cuscino e appena mi toglieranno un po’ di questi aggeggi, lo metterò.” Poi Dean allunga il collo, in direzione del comodino “Aspetta…anch’io ho qualcosa per te…apri il cassetto!”
Sam esegue e tira fuori un regalo dalla carta rossa e il fiocco dorato. Ha sottile forma rettangolare. Immagina sia un libro ma si sbaglia. E’ una fotografia, incastonata in una cornice placcata che, riflettendo la luce, risplende in più punti.

Sono ai piedi del letto di Dean. Lui e Marin… stanno giocando con Miracle. Non si sono accorti che Paul li stesse immortalando. Hanno l’espressione divertita e complice.
 “Dean…come…”
“Paul…quel ragazzo è in furbacchione! Siete rimasti bene…una coppia e un cane! Peccato per lo sfondo un po’… “bianco ospedale”, ma non si può avere tutto!”
Sam sospira, facendo un impercettibile segno di dissenso con il capo “Dean…avremmo, avremmo potuto metterci in posa…avresti potuto esserci anche tu…”
“Cosi imbalsamato?! Ma dai! Lascia almeno che mi rimetta in piedi! No, così è perfetta! Marin, tu e Miracle…”
“Grazie…grazie, Dean…è…è un bel pensiero…” e Sam deglutisce, come se, quel “non voler esserci” di Dean, facesse parte della “preparazione”.
“La metterò in camera mia…” esclama Sam, soffermandosi su Marin che, inginocchiata, coccola Miracle.
“Bene! Bene, Sammy” e Dean si rallegra, immaginando che ci saranno foto ben allineate su mensole e mobili.

Non solo le fotografie della mamma, di Bobby, di papà, di due ragazzini e di due giovani cacciatori…
non solo.

“Che ne dici? Ci guardiamo la partita?” propone Sam, con la voce lievemente tremula.
Dean si umetta le labbra. Un albero decorato con i deodoranti per auto.  L’ultimo Natale prima che i segugi infernali lo divorassero. Ma oggi non c’è “una scadenza”.
“Ottima idea, Sammy!”
Dean guarda fuori. Sta nevicando. Le birre staranno al fresco.
Le luci notturne, azzurrine, riposano la vista e la televisione, a basso volume, rimanda la voce del telecronista un po’ “ovattata”. In sottofondo passi svelti e un parlottio indaffarato, cigolanti carelli per la terapia e il bip bip regolare dei macchinari che monitorano Dean.
Nessun mostro ad attenderli. Nessuna vittima da salvare all’ultimo minuto. E la mano destra che continua ad essere attiva e collaborante, “custodendo”… il futuro.
Si…Dean ne è convinto.

Uno dei loro Natali migliori.
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Marin si è superata, trasformando il reparto in una sorta di “festa a sorpresa”, con tanto di palloncini colorati e infermiere inclini alla battuta.  Come previsto, una volta che, le bende sul viso di Dean si sono ridotte a un paio, le colleghe di Marin hanno cominciato a tormentare Sam, per saperne di più sul fratello maggiore.

“Fai sempre colpo Dean, anche se ormai sei un “vecchietto”!!”
“E chi l’avrebbe mai detto?”
“Non fare il finto modesto con me! Ti sei sempre pavoneggiato per il tuo fascino con il gentil sesso, fin da ragazzino!”
“No…intendevo…chi l’avrebbe mai detto che avrei potuto ancora festeggiare… un compleanno…Sammy…” chiarisce Dean, pensieroso ma sorridente.
Sam deglutisce. “Invece…invece siamo qui, Dean…ce l’hai…ce l’abbiamo fatta…”
“Già…e direi che…dopo tutto quello che è successo, anche se non riesco ancora a liberami di questo “trono” …posso ritenermi fortunato!” e Dean con una mano tamburella il bracciolo della sedia a rotelle e con l’altra accarezza il ciondolo che, adesso, può tranquillamente indossare.
“Sì, Dean… sarà il letto 24…che ti ha portato fortuna. Dicono che se “incontri” il numero del tuo giorno di nascita può essere positivo…”
“Davvero?! Questa non l’avevo ancora sentita! E chi te lo ha detto?”
Sam sorride… “Uno…uno che crede parecchio nella fortuna…”
“E credere in quella esigente Dea che, come ben sappiamo, bendata non è, gli ha portato bene?!”

Sam riflette. John poteva essere morto. Poteva essere ignaro “vuoto a perdere”. E invece…Sam si è fermato.

“Decisamente!” afferma senza indugio, invitando Dean a brindare.
 “Buon compleanno John…” augura Sam, tra sé e sé.

Dean si unisce a quel brindisi ma un pensiero va a un “24” sfortunato…che avrebbe potuto festeggiare con lei…se avesse avuto il coraggio di non andare via.
Senza salutare.
 “Non ti deluderò Lisa…non stavolta”.
---
Segreteria telefonica.
Sempre. Da sempre.
Anche se ormai lo studio e nelle mani di giovani avvocati e lui fa solo qualche consulenza ai clienti “storici”.

“Questa è la segreteria telefonica dello studio legale Stewart, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico, sarete richiamati al più presto. Grazie”.
“Ciao…ciao papà, volevo…volevo dirti che sono in zona, suono a poche miglia da Boston e stavo pensando…che forse… potrei…potremmo ved…”
Ma poi s’interrompe. Perché lasciare quel messaggio?

Non lo richiamerà.
Non è un cliente.
Sta per riagganciare. Come faceva Sam, quando quel “John padre” non rispondeva agli accorati appelli lasciati a una voce pre-registrata.
Ma succede qualcosa.

“John?!”
“Sì…si signore…sono io…è partita la segreteria telefonica…credevo che…”
“Ho sentito che eri tu… e ho preso la chiamata”
“Ecco, io…” balbetta John, sentendosi “in difetto”. Come sempre. Quando parla con suo padre. Sta cercando le parole appropriate, quelle che non lo infastidiscano eccessivamente ma lui lo anticipa. Lui è un avvocato…avere un ricco “vocabolario” è una delle doti dei Principi del Foro.
“Dopo tutti questi anni…John…cosa vuoi?”
Cosa vuole...dopo “tutti questi anni”? Essere amato, semplicemente questo. Ma John sa che suo padre sta pensando a ben altro.
“Non…non ho bisogno di soldi e ripartirò fra un paio di giorni…pensavo solo che avremmo potuto vederci. Solo questo…”
John avverte un sospiro dubbioso, dall’altro capo dell’apparecchio. E un “no” ma, probabilmente, suo padre “addolcirà la pillola”, adducendo motivi di lavoro. A quasi settant’anni, “il lavoro” è ancora la cosa più importante. Certamente più di John.

“Devo controllare in agenda…ho parecchi appuntamenti…”
Avesse scommesso con Sam sull’esito di quella telefonata, “giocandosi” una birra…avrebbe vinto.
“Certo…certo…come non detto…” rettifica John. Ha già “rubato” troppo tempo, a suo padre. Chiude con un laconico e formale “Grazie lo stesso…signore…” per togliere entrambi dal disagio di quella chiamata.
“Aspetta un momento…John…”
“Va bene così…non c’è problema.” E John pone fine al supplizio.

Ci ha provato.
Si domanda se, un giorno, potrà mai dire a “Forrest” che…ci ha provato.

Dopo cinque minuti squilla il cellulare. John risponde senza controllare il numero. Si augura che non sia il locale, per disdire. Quei soldi gli fanno dannatamente comodo.
“John…’”
“Papà?!” esclama stupito. Era sicuro che si fossero detti tutto ciò che…c’era da dire. Ovvero…nulla.
Ma il padre di John, fra meno di tre mesi, compirà settant’anni e non sa se avrà ancora il tempo di dire… “qualcosa”.

“E’ stato…è stato il mio modo per sapere che te la cavavi…che eri vivo… quell’orchidea, sulla tomba di…famiglia.”
E quel di famiglia suona così inclusivo. Non è la “tomba di Gerard”. Non solo.
John avverte la voce di suo padre traballare. Lui che la ricorda così ferma e imperativa.
“Ho…ho sempre pensato che se…se fosse trascorso un anno, senza quel fiore sulla lapide, nulla…mi avrebbe ancora trattenuto su questa Terra.”
John sente gli occhi riempirsi.
“Papà…”
“Mi farebbe piacere sentirti suonare, John…”
“Domani…domani sera, è un locale un po’ in periferia e non è un granché…”
“Alla mia età non mi spavento certo di un pub fuorimano. Mandami l’indirizzo. Ci sarò…per una birra…”
“Per…per una birra…perfetto!”
“Buonanotte figliolo…e…buon compleanno.”
“Grazie…buonanotte…papà”

John riaggancia. Scoppia a piangere. Lacrime trattenute per troppi “24 gennaio”. Oggi ha “festeggiato” i suoi 40.
E suo padre gli ha fatto gli auguri. Suo padre si è ricordato che lui…è nato. Il 24 gennaio. Non per sostituire Gerard. Per essere John. E avere “un posto”…non solo nella tomba di famiglia.

Domani andrà a comprare…l’orchidea.

Lo ha ascoltato. Gli ha dato retta. Si è fidato di “Forrest”. Sedersi su quella panchina è stata una vera fortuna.
Sam gli ha migliorato la vita.
 John crede nella Dea bendata. John aveva bisogno di qualcuno che, “attraversando” segreterie telefoniche, senso d’inferiorità, rimpianto e… amore paterno ritrovato, lo spronasse a comporre quel numero.

 “Grazie… Sam” bisbiglia, rischiarandosi la voce e sistemandosi la tracolla del basso.

Deve provare. Più del solito. Dovrà essere perfetto. Impeccabile. Come se fosse davanti a uno stadio pieno di fan urlanti e adoranti.
Domani sera non dovrà “steccare”.
Domani sera suonerà…
per suo padre.
 
---
"Basta così per oggi...devi avere pazienza, Dean..."
"No...sto bene...ancora un ultimo giro." ansima, Dean, contrattando con il  fisioterapista.
È giovane. Potrebbe essere suo figlio. Ha i capelli bronzati e gli occhi trasparenti di Jack. Dean gli ha dato spontaneamente “del tu”, dal primo giorno di riabilitazione. E Nathan non ha mosso obiezioni. Dalla cartella clinica sapeva che sarebbe stata durissima per quel paziente. Conveniva, da subito, creare un’atmosfera “informale”. Quando dai del "tu" è più facile "chiedere scusa"… dopo aver lanciato anatemi e improperi. All'inizio era una sequela di “fanculo” e “merda” a ogni minimo cambio di postura o tallone a terra.
Poi, Dean, è riuscito a...controllarsi, diminuendo le imprecazioni e risparmiando fiato, per arrivare alla fine dell’ora di terapia.

"Sei esausto, Dean..."
"Lo sono...è vero...ma non ho più molto tempo...devo andarmene da qui e...senza quella spider!" e Dean con un movimento rapido del collo , indica la sedia a rotelle. Nathan crede molto nel proprio lavoro. Dean, per quel che ne sa lui, ha tutta la vita davanti. Non può rischiare di convivere con dolori lancinanti alla spina dorsale, per affrettare i tempi di recupero. Sarebbe sciocco e incauto.
"Con calma, Dean, o non farai che prolungare la tua permanenza lì sopra!" ripete sorreggendolo e impedendogli quell’ ennesimo “andata e ritorno”, sulla pedana.
"Ok...ok..."si arrende, Dean, lasciandosi mobilizzare in sedia. 
"Perché tanta fretta? Una donna?” domanda Nathan, prendendo coraggio, sistemandogli le pedaline.
  "No...un figlio" risponde Dean, affannato, asciugandosi il sudore con la bianca spugna. 
Nathan lo scruta, meravigliato da quella rivelazione.

Da quando hanno iniziato le sedute Dean non è mai entrato in un argomento così “intimo”. Per lo più due parole sullo sport, sui suoi gruppi musicali preferiti e qualche scambio ironico sulle relazioni di una notte, “alla Dean”. Una volta Nathan, usando una metafora, ha accennato alla pazienza di Yoda, facendo riferimento alla saga di “Guerre Stellari” e da, allora, per Dean è diventato “Giovane Jedi”.
Nathan sa che ha un fratello devoto, con il quale ha dovuto “lottare” per evitare che rimanesse con lui, durante gli esercizi. Ma, a parte, Sam, non ha mai trovato nessun’altro, ad attenderlo in stanza. Qualche volta è venuta Marin, a “recuperarlo”, direttamente in palestra.
"Perché non viene a trovarti?"
"Non può e poi…anche potesse, non verrebbe...mi ha aspettato, troppo...".
"Capisco...i miei genitori sono divorziati. Un divorzio complicato, continui litigi, continue ripicche...mio padre ci ha messo un po' prima di ricostruire un rapporto con me e mia sorella."

Dean rammenta quel dialogo con Lisa. Una coppia che decide di “separarsi”. Pur amandosi ancora. E’ stata sofferenza. Per tutti. E, in mezzo, Ben.
Ben che lo chiama di nascosto.
Ben che spera sia una “bufera passeggera”.
Ben che considera “il terzo appuntamento” un’emergenza. Perché potrebbe essere “nuovo inizio” per sua madre e “fine certa” per Dean. Invece è stata…la fine. Per tutti.
Ben che lo accusa di abbandonare la sua famiglia. Proprio lui che “predicava” su quanto contasse…la famiglia.

Non è poi così diverso da ciò che deve aver vissuto Nathan.

"Si a volte è…davvero complicato…non far soffrire chi ami. "e Dean si allontana con, un paio di “bracciate” energiche.
"Allora...a dopodomani. Resta qui, ormai conosco la strada.  Ciao, “Giovane Jedi”...rientro alla base, la Morte Nera mi aspetta.” scherza Dean, avviandosi all’uscita.
"Aspetta, Dean. Domani sono a riposo ma, in mattinata, potrei venire da te...ti mostrerò qualche esercizio da svolgere per conto tuo, con l'aiuto di tuo fratello." 
“Grandioso! Grazie…grazie Nathan!”
“Ma senza strafare, ok?!”
Dean improvvisando una sorte di “saluto militare” esclama “Agli ordini, signore!”. Nathan gli ricorda sempre più Jack.
E a Nathan, Dean, ricorda il padre che aspettava davanti alla scuola.
Inutilmente.

Un giorno, finalmente, è arrivato. La barba trascurata, la sigaretta in bocca, fumata a metà e l’odore di una giacca posata in locali diversi, tra cocktail, pollo fritto e l'effetto vapore del ghiaccio secco. Gli ha chiesto scusa. Lo ha abbracciato, scompigliandogli i capelli, un po’ troppo lunghi. E poi lo ha portato dal barbiere. Una giornata “tra uomini”. Insieme.
Nathan si augura che Dean possa riabbracciare chi lo “ha aspettato troppo”. E che possa farlo sulle sue gambe.

Dean attraversa il corridoio che lo separa dall’ascensore. Ormai è di casa. Conosce il nome di medici e infermiere senza doversi soffermare troppo sul tesserino identificativo. Tutti sanno chi è quel “redivivo” che deve avere la pellaccia dura e resistenza da vendere, per essere riuscito a riemergere dalle macerie, quando persino suo fratello lo dava per spacciato. Marin ha “fantasia”. Dean crede che, per divertirsi un po’, abbia esagerato inventandosi “epici” particolari dell’evento! Qualcuno lo saluta con rispetto, bisbigliando subito dopo. Una specie di “eroe”…anche se non sanno nulla di lui. Si chiede se possa comunque essere sufficiente a “ispirare” la Dea Fortuna, tanto da “metterci una buona parola”.

Tornerà a cacciare. In qualche modo…tornerà a “fare l’eroe”. Ma per il momento vuole una cosa sola.
Ha un figlio…che lo aspetta. Che lo ha aspettato.

Troppo.
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“Dean, forse è meglio che venga con te…”
“No Sam, è una cosa che devo fare io. Da solo.”
“Ma non direi una parola, te lo prometto…però potrei intervenire, aiutarti se le cose si mettessero male, sostenerti…” e per Sam, il verbo “sostenere” ha un duplice significato. Ma Dean, decide di “coglierne” solo quello pragmatico.
“Per quello ho le mie mitiche compagne di viaggio!”

Si è liberato della “spider” ma non riesce ancora a reggersi in piedi. La gamba sinistra è accondiscendente e volenterosa, quella destra ancora intorpidita e ribelle. Il risultato è quel paio di stampelle che gli servono per non caricare troppo sulla schiena, evitando eventuali microfratture o complicanze. Va avanti ad antidolorifici e ci sono notti in cui, trovare una posizione che gli permetta un paio di ore di sonno, è come vincere alla lotteria. Ma Sam resta con lui e, tra una birra e un ricordo d’infanzia o di caccia, arriva l’alba.

Non hanno mai avuto tempo per…parlare. Davvero.
E Sam, da sempre il più introspettivo, è entusiasta di “quel tempo”.

Dean gli ha raccontato di Delia, di Robin e Timmy, di Layla e Faith.
A Sam non è parso così strano che qualcuno possa considerare suo fratello un angelo. Un angelo, nell’immaginario collettivo, protegge. E allora…chi, più di Dean, merita quell’appellativo?!
Sam gli ha raccontato i suoi incubi, quelli così “reali da farlo svenire” e Dean si è ripromesso di evitare qualsiasi battuta sui clown. Sam nutre qualche dubbio sul fatto che Dean “resista” alla tentazione ma è sicuro che ci proverà.

Hanno parlato per ore di Castiel, ricordando il suo sguardo stralunato, il suo umorismo involontario, la sua fierezza, il suo senso del sacrificio. E poi di Jack, quel bambino in un corpo da adolescente. Le continue domande, a volte imbarazzanti. Il suo inesauribile amore per le piccole cose, quelle più semplici, apparentemente banali. Ha insegnato loro che, in realtà, la grandezza, si rivela in un gesto d'affetto, in quel considerarti "famiglia" anche se sei nato per essere "nemico" ed  estraneo abominio.

Hanno ricordato ogni amico caduto, sulla strada,  perché loro potessero procedere.  Ognuno è diventato “altro”. Cristallo di neve, goccia di pioggia, spicchio di sole, continuando a “essere” presente. Lungo il cammino.

Hanno guardato e commentato quella fotografia che li ritrae con mamma e papà. Surreale. Fuori da ogni logica spazio-tempo. Dean ha pensato che Robin ne sarebbe entusiasta.
Hanno rammentato i guai combinati da ragazzini a casa di Bobby e le bevute al Roadhouse, battibeccando con Jo.

Hanno rivissuto tutte le volte in cui l’uno ha perso l’altro, o ha creduto di averlo perso.
Senza filtri. Senza remore. Senza giudizio. Sinceri fino a farsi male. Fino a quando il cuore pareva stretto in una morsa che rimpiccioliva la trachea e strizzava i polmoni. Ma Sam ha respirato per Dean e Dean ha respirato per Sam. E non ci sono state battute sagaci, sedie tirate in aria e bruschi cambiamenti di argomento.

Dean però non ha detto a Sam che ha visto…quel cubo. E’ rimasto il suo segreto. L’unico.
Dean è convinto che…rilucerà. Ed è certo che, Ben, possa far parte di quel bagliore.

Dean scende dall’Impala incamminandosi verso l’ingresso del penitenziario. Ha telefonato al direttore, per esser certo dell’orario preciso di scarcerazione.
E’ arrivato con un’ora di anticipo.
Sam guarda dallo specchietto retrovisore. Dean avanza a fatica ma a testa alta, con quelle due gambe “di riserva”.
Vorrebbe scendere, offrirgli il braccio e aiutarlo a raggiungere quel portone così vicino…ma così maledettamente lontano…per Dean. Ma ha voluto che parcheggiasse nel vialetto. E gli ha chiesto di non scendere dall’Impala, qualsiasi cosa accada.
E’ arrivato con un’ora di anticipo.
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La porta si apre. Oltrepassa la soglia, un po’ tentennante.
E’ fuori. E’ finita.
 Respira.
Ben respira.
E’ la stessa aria che c’è nel cortile interno dell’edificio che mai dimenticherà.
Ma è completamente diversa. Ha un peso specifico nettamente inferiore.

Ben strabuzza gli occhi vedendolo alzarsi dalla panchina. E’ lui…è davvero lui.
In una decina di passi arrancati lo raggiunge. Ben si chiede perché lo abbia aspettato. Avrebbe potuto far finta di niente e avviarsi. In direzione opposta. Ma, in fin dei conti, sarebbe stato terribilmente scorretto.

E' completamente svitato…ma non pericoloso.

“Ciao! Che ci fai qui?! Non dovevi essere all’estero, per lavoro? Cosa ti è successo?”
“Lunga storia. Niente Europa ma queste come souvenir” risponde Dean, alzando una gruccia.
“Un altro incidente?!”
“Più o meno…ma stavolta non guidavo io.”
“Spero che l’assicurazione ti rimborsi un bel po’!”
Dean sorride, annuendo. Il senso pratico di Ben. E’ vero…potrebbe chiedere un “risarcimento” a Delia ma teme che lo polverizzerebbe. In uno schiocco di dita!
“E tu come stai, Ben?”
“Come uno che si è fatto quattro anni di carcere e gli sembrano quaranta…ma passerà”
Dean deglutisce, abbassando lo sguardo. Quarant’anni. Inferni condivisi.

“Senti Ben, vieni con noi, con me e mio fratello. Possiamo offrirti una sistemazione…”
“Non ho bisogno di nulla, grazie. So a chi rivolgermi. Ho degli amici”
“Amici?! Quelli per cui sei finito qui dentro?!” sbotta Dean, alzando gli occhi verso l’edificio “Begli amici! Tipi davvero affidabili!” rincara.
Ben s’irrigidisce. “Ma ti fai i cazzi tuoi?!” e si pente di non “aver fatto finta di niente”.
“No, aspetta…Ben…”.
Ben ha il passo veloce della fuga. Dean si affida alla gamba sinistra e molla le stampelle, ai piedi di un albero. Dopo tutto riesce a camminare. Ogni passo è un fulmine che lo attraversa ma prosegue, mettendo  a tacere  gli insulti che gli “urla” la propria schiena.
“Ma che ti prende?! Credo che quelle non siano un optional!”
Sam, in macchina, ringhia qualcosa di simile.
“Solo…solo se vuoi una schiena senza troppe…troppe “deviazioni”…” tergiversa Dean, appoggiandosi al muro che costeggia il carcere, stringendo i denti. Approfittando del fatto che Ben abbia rallentato riesce ad afferrarlo per un braccio.
“Ma che ti prende? Lasciami andare!”
“No…ho già commesso l’errore di lasciarti andare…”
“Tu devi farti curare…e non solo la schiena!” e Ben, con uno strattone esasperato, si allontana.
“Ben…voglio occuparmi di te…”
“Eh?! Ma chi ti conosce?! Credevo che ci fossimo chiariti, quando sei venuto a trovarmi. Mia madre non c’è più, probabilmente saresti stato anche il suo tipo ma sei arrivato tardi, Dean…avresti dovuto avere più coraggio quel giorno, dopo l’incidente…”
Avrebbe dovuto avere più coraggio. Prima e dopo… l’incidente.
“Mi dispiace…” ripete Ben, recuperando la calma “ma non posso farci niente. Purtroppo. ” e allunga il passo.

“Ti piace giocare a baseball e adori i videogame. Tua madre ti rimproverava sempre per questo. E avevi un  gioco…un gioco assurdo dove le piante facevano fuori gli zombie…” tossicchia, Dean.
Ben neppure si volta, rispondendogli per educazione “Facile…trovami un ragazzino che non giochi a qualche console e non pratichi il baseball!”
Dean deve essere più convincente.
“Ti piace l’hamburger mezza cottura e…le uova strapazzate a colazione… con una bella manciata di sale”
“Wow! Sono basito! L’esempio dell’americano medio!” e Ben è ormai dall’altro lato della strada.

Dean si sente perso. Si maledice per averlo privato della memoria. Non riesce più a stargli dietro. Si accascia contro la parete di mattoni che ormai fa angolo, mentre Ben è sempre più lontano.
Tenterà il tutto per tutto. Cercherà di “raggiungerlo” con la voce…che gli esce sempre più spezzettata e stridula.

“Adori gli AC/DC, la musica rock in generale…e le torte…quelle con la crema e vai pazzo per i motori; Rayan un bulletto sovrappeso e poi…aspetta…Cindy…Cindy Hamilton, portava le trecce, aveva gli occhi verdi e le curve al punto giusto…prometteva bene e ti aveva fatto perdere la testa!”
Ben si ferma, voltandosi con espressione smarrita.
“Tu…tu come fai a…”
“Io ti conosco, Ben. Eri…sei come un figlio per me. Dammi…dammi una possibilità…per favore…”
Ben gli si avvicina, aiutandolo ad alzarsi “Chi sei tu?!”
Dean deglutisce, appoggiando la mano al muro. Sa che “è il momento”. Non può sbagliare. Non più.
 “Sono uno stronzo che ha preferito lasciarti andare, pensando di proteggerti. Ma mi sbagliavo. E ora voglio recuperare il tempo perduto…Ben…”
Ben resta in silenzio. L’osserva da cima a fondo. Poi, senza dire una parola, si allontana. Non può credergli. Quell’uomo è un mix di guai e follia. E lui ne ha abbastanza.

Di guai e follia.

“No…Ben aspetta … tu credi nella famiglia, anche se non ci sono legami di sangue… lo so che ci credi!” grida Dean ma le gambe cedono di nuovo e stavolta è rovinosa caduta. Si ritrova, suo malgrado, con la guancia sul marciapiede “Accidenti!” grugnisce.

Dean annusa l’asfalto. Ha un odore “nuovo”. L’aveva dimenticato. Si è abituato a pavimenti lindi che sanno di disinfettante. Invece c’è un sapore di ferro e fogna che, passando per il naso, ti arriva al cervello. Lo aveva scordato. Persino il sangue che versi da “uomo alambicco” pare “filtrato”, ha un’“aroma” meno intensa che sfiora appena le narici. Al primo mostro da affrontare, alla prima ferita, si riabituerà al sangue “grezzo”.

Sam ha osservato tutta la scena e si è imposto di non intervenire. Ma ora, vedendolo con la faccia sulla strada, non può più stare a guardare. Fa scattare la serrattura…ma poi si trattiene. Si morde il labbro e richiude la portiera.

Ben si blocca. Come Sam.

Prenditi cura di tua madre”…che frase assurda, in bocca a uno che non ti conosce…che ti ha appena conosciuto…investendoti con la sua auto. Ma, se per te quel ragazzino è importante, se per te è famiglia e gli stai dicendo addio, senza “dirglielo” realmente…suona così tragicamente perfetta.
Mentre Dean pensa a come rialzarsi avverte una presa energica, all’altezza dell’avambraccio. Istintivamente fa leva sulla gamba più “accondiscendente”.
 Ben lo sta sorreggendo, tenendo le stampelle nell’altra.
 “Cercavi queste? Non sei poi così vecchio…perché rischiare di restare storpio? ” esordisce con tono quasi scherzoso.
Sam, sull’Impala, tira un sospiro di sollievo
“Vuoi dire che…” esclama Dean, fiducioso.
“Vacci piano. Non ho detto che accetto la tua proposta. Ma ti aiuterò ad arrivare a quell'Impala, perché qualcosa mi dice che è tua…vero?”
Dean annuisce con un sorrisetto furbo.
“Devo ammettere che hai un certo stile…”
“Be’ dentro…dentro è una bomba. E’ la mia Baby. Sarebbe un vero peccato fermarsi alla carrozzeria…credimi…”
Ben sorride. “In effetti…sarebbe un peccato. Potresti darmi un passaggio…”
“Potresti darmi una possibilità” ribatte Dean, a bruciapelo.
“Amico…io non so chi sei e non ho idea di dove tu abbia preso quelle informazioni su di me! Potresti essere un folle stalker che, dopo esserti fissato con la mamma, vuole fare il buon sammaritano con me… mi sta scoppiando la testa e mi chiedo dove possa essere la telecamera nascosta di uno di quegli stupidi programmi televisivi. E’ tutto così assurdo!”
“Lo so, Ben…lo so…ma se solo tu…”

Ben scruta attentamente quegli occhi verdi. C’è qualcosa di stranamente piacevole in quegli occhi. Non se lo sa spiegare.
“I tuoi occhi… sono così…” sussurra
“Stanchi? Cosa vuoi farci…non sono stati mesi facili…e poi ho passato i 40…occhiaie e zampe di gallina sono nel kit di soppravvivenza che ti forniscono…per arrivarci!” ironizza, neanche troppo, Dean.

Ma Ben non sta scherzando. E’ profondamente serio.

“No, non volevo dire questo. E’ che…nessuno…nessuno mi ha più guardato così da quando… è morta la mamma...” ammette, espirando.
Dean avverte i battiti accelerare “Ben…”

Ben si allontana ma non per scappare. Non stavolta. Semplicemente per “prendere le distanze” da quella sensazione così potente e indefinibile.
“Cazzo, Dean! La mia vita è già un film dell’orrore! Ci mancavi tu! Forse è un effetto collaterale dei quattro anni di galera! Forse ho perso qualche rotella ma sento che…”
Ben respira. Di nuovo. Quell’aria che mai gli è parsa più leggera e salutare, a dispetto dei tombini aperti e dello smog cittadino.

“…che per me ci sei stato…Dean.”

Dean ha la stessa espressione di quel giorno, all’ospedale. Quando gli ha detto che gli era “venuto addosso”. Ben la riconosce. E ha la conferma che desiderava. Non ricorda nulla di lui. Eppure…quegli occhi non appartengono a un estraneo. Già allora…gli erano parsi esageratamente disperati e stranamente…familiari.
“E voglio esserci, Ben…permettimi di esserci…” implora Dean, commosso.
“Ok…ok…Dean…un viaggio sulla tua Baby. Scegli tu la meta. Mi fido.”
“Un viaggio su Baby…” ripete Dean, con un groppo in gola che si scioglie in sorriso.

Ben, da Baby, non scenderà più. Ora che lo ha ritrovato Dean non rinuncerà.
S’incamminano verso l’Impala, chiacchierando di motori e auto d’epoca.
---
Il cellulare di Sam vibra. E’ Marin.
“Tutto bene?”
“Si…credo di sì…deve averlo convinto a venire con noi…anche se non è stato facile…”
“Be’…mi sembra un buon inizio!”
“Lo spero, Marin. Lo spero tanto.”
“…Dean ha un controllo, il prossimo mese, lo ha fissato Nathan, con uno dei migliori ortopedici che abbiamo. Intanto, mi raccomando, continua con gli esercizi per la colonna, ok?
“Si certo, brontola sempre un po’ ma credo che alla fine, la volontà di tornare a guidare, sarà lo stimolo decisivo!”
“Ti manderò via sms la data esatta…”
“Ok…grazie Marin…grazie di tutto…”
“E di che? Solo un promemoria dei controlli di Dean…lo sai che sono una fanatica delle liste della spesa e dei post-it!”

Quella lista. Quella spesa.

Sam si fa improvvisamente serio “Se tu non fossi rimasta con me…davanti alla pira…”
“Non ho fatto nulla, Sam. Ho semplicemente un ottimo udito!” si schernisce, Marin.
Non ha solo un ottimo udito. Ha forza, ironia, empatia. Ma Sam mai riuscirà a dirglielo.

“Sam…tutto ok?”
“Si…scusa…tutto ok”
“Sam…vedi di non sentire la voce del mostro di Milwaukee!”
“E tu vedi di non trasformarti in Jodie Foster!” ribatte, Sam.
“Sarebbe un vero guaio per Lecter, avere una logorroica come me, tra i piedi!”
“A presto, Marin…” e Sam si rende conto di quanto Marin riesca a metterlo di buonumore. Sempre.
“Sam, aspetta…Paul mi ha detto che apriranno un’ala nuova del parco, riservata ai cani… potremmo andarci, con Miracle!”

Sam deglutisce. La foto sul comodino, nella sua stanza. Una coppia, serena, complice. Con un cane.
Ma è solo una fotografia. Non può essere…la realtà.

 “Marin…quando Dean si riprenderà torneremo a cacciare…è il nostro lavoro, è questo che facciamo…noi…”
Salvate le persone…lo so Sam…lo so bene…e continuerete a farlo.” E a Sam pare una parafrasi di…quel discorso che gli ricorda che, domani, potrebbe toccare a lui…un chiodo, in un fienile.

Ma Marin è razionale.
Marin sa.

Che non rinuncerà a Sam.
Il Mondo “razionale” ha bisogno di essere “salvato”. E Sam e Dean fanno questo…salvano il Mondo.

Marin è razionale.
Quando Sam sarà troppo stanco persino per prendere sonno o per scartare uno snack, saprà dove tornare. Lei gli accarezzerà un sopracciglio, aspettando che il suo respiro si faccia più calmo. Gli resterà accanto.
Com’è rimasta davanti a quel drago che… ha perso. Perché lei è riuscita a vincere. 

Marin ha smesso di avere paura del fuoco.

“Sai Sam, c’era una super offerta di barrette di cioccolato…al supermercato. Non ho resistito e ho fatto incetta! Potremmo…potremmo condividerle…io non ho paura di ingrassare. E tu?”
Sam comprende quella sorta di dichiarazione…”in codice”. Dean gli ha insegnato che le occasioni non tornano. Anche quando torni dalla morte.
“Io…nemmeno io ho paura…di ingrassare, Marin…” risponde, in un soffio.

---
 Sam scende dall’auto, per “presentarsi”.
 “Così tu saresti il famoso Sam, quello del numero di telefono?!”
“Sì…piacere di conoscerti, Ben!”
“Ben ha accettato di viaggiare con noi!” comunica Dean, trionfante.
“Bene! Benissimo! Accomodati dietro…”
“Qualche idea sulla meta?” domanda Sam, mettendosi alla guida.
“Prima ci fermiamo a mettere qualcosa sotto i denti perchè sto morendo di fame e poi…potremmo proseguire e far scoprire a Ben quegli insuperabili pancake che fanno al…”
“Al Cus's Place, i migliori pancake alla banana che si possano trovare, giusto Dean?!” conclude Sam sornione.
“Esattamente” conferma Dean mentre sta già pensando che è primavera. E forse, mettendosi d’impegno, le gambe potranno “reggerlo” per tre minuti. Il tempo…di un lento.
“Ti va l’idea, Ben?” domanda gentilmente, Sam. Ai tempi in cui guidava papà non gli è mai piaciuto sentirsi “il più giovane”…sull’Impala. Vuole che Ben possa esprimere il proprio parere. Quel viaggio è anche “il suo viaggio”. Deve esserlo.
“Tranquillo…ho dato “carta bianca” al tuo ostinato fratello. E poi è un casino di tempo che non mangio un pancake e se lui dice che sono così buoni…mi fido di Dean” e nel tono di Ben c’è una sicurezza che intenerisce Sam.
Sam aiuta Dean a sedersi, “stimando” i possibili danni. Ma Dean gli fa l’occhiolino come a dire “Dolore gestibile e umore alle stelle!”
Sam, annuisce, risparmiandogli sibilanti paternali. Poi si mette al volante, osservando Ben rilassarsi, guardando fuori dal finestrino.

“Allora…si parte, sei pronto, Ben?” domanda Sam, avviando il motore.
“Io sì e voi? Siete pronti?!” e la domanda di Ben suona così “profetica”.
Sam e Dean si guardano l’un l’altro.

Ci stanno “lavorando”. Il viaggio insieme finirà. Inevitabilmente.
 Uno dei due continuerà a guidare l’Impala sulla Terra.
L’altro in Paradiso.

“Non proprio ma…lo saremo” risponde Sam, con un movimento del collo un po’ teso, ma senza perdere il sorriso.
 Dean, squadrandolo fiero e picchiettandogli un paio di volte la spalla con il pugno chiuso, gli fa eco “Lo saremo”.
---
Dean è sicuro che il cibo “unisca”, faccia sentire “famiglia”. Gli piace vedere Sam scegliere gli ingredienti della sua insalata e Ben optare per un cheeseburger. In quanto a lui…dopo il primo hamburger si concede un meritato bis.
“Voi andate a fare il pieno, io vi raggiungo dopo, datemi solo il tempo di finire questa meraviglia!”
Sam e Ben si alzano, avviandosi al distributore, continuando ad osservarlo, con la bocca piena e lo sguardo beato.
“E’ più vorace di me che esco da anni di mensa del carcere!” constata Ben.
“Oh be’…Dean è sempre vorace! E poi, in realtà, ha bisogno di riprendere le forze. Sono stati mesi complicati.” motiva Sam, sganciando la pompa per iniziare il rifornimento. “Ha fatto di tutto per accelerare i tempi di riabilitazione…la fatica si fa sentire…”
Ben lo scruta, con aria interrogativa “Accelerare? Perché accelerare? Perché non seguire le tempistiche che gli hanno consigliato i medici?”
Sam fissa i numeri che continuano a girare.
“Caspita! Diventa sempre più caro, viaggiare!”
“Sam…”
“Ben…non ha importanza…”
“Voleva essere in piedi per me…per aspettarmi, per esserci oggi…”
“Non vorrebbe che tu lo sapessi…” conferma Sam, pentendosi di aver svelato troppo.
“Certo…certo…non dirò nulla…tranquillo” accetta Ben, abbassando la voce, vedendo sopraggiungere Dean.
“Era un po’ che non mi concedevo un bis di hamburger! Peccato per il dolce. Fossi riuscito a trovare anche quello sarebbe stato perfetto!” sospira Dean, rammaricato.
“Dean…eri troppo concentrato sul menù dei panini per accorgerti dei dolci!” e Ben gli indica la vetrina con  crostate e torte.
Dean strabuzza gli occhi “Wow! Torno subito!”  e si riavvia al locale, entusiasta, facendo “lo slalom” fra gli altri avventori che, scostandosi, gli lasciano campo libero. “Ogni tanto queste grucce sono vantaggiose!”, pensa Dean.

Ben resta solo con Sam. E gli sembra un “segno del destino”.

“Ha saltato la fila intera e ha certamente pestato i piedi a qualcuno, avanzando con le stampelle!” fa notare Ben.
“E’ piuttosto “combattivo”, quando si tratta di introdurre zuccheri!” motiva, Sam, ridendo.
Ben vede Dean sedersi al tavolo, davanti al suo burroso triangolo di frolla, strenuamente conquistato. Ha un’espressione felice. E Ben, dopo anni, si scopre ad essere…felice. Per Dean. E per sé stesso.

“Sai…quando ero in galera…ho pregato… che mio padre comparisse…venisse a tirarmi fuori da lì…”
Sam comprende che Ben ha bisogno di “raccontare” quel che ha vissuto. Nessuno meglio di lui lo può capire.
“Mi…mi dispiace Ben…” 
“Da un po’…non prego più…non ne ho più bisogno…”
“Il carcere…è un’esperienza che segna profondamente, che ti fa perdere fiducia in te stesso, in Dio…ma…”
“No, Sam…non prego più perché, in cuor mio, so che qualcuno mi ha ascoltato …”

Sam riannoda i pensieri. La “visita a sorpresa”, quando Dean era apparentemente vivo. Invece era spirito, ancorato al proprio corpo. Prigioniero. Come Ben.
“Ben…lui…ti ama moltissimo ma Dean…lui non è…” e vorrebbe non dover sottolineare quell’amara realtà. Vorrebbe che Ben potesse “cullarsi” in quell’illusione ma…non sarebbe giusto. Ha il diritto di continuare a cercare suo padre. A credere di poterlo conoscere. Un giorno.

Ben, per nulla dispiaciuto o contrariato, gli sorride, non permettendogli di finire la frase.
“Lo so…lo so Sam. Ma ho comunque scelto di non pregare più.”
Sam gli mette una mano sulla spalla, con gli occhi lucidi. Entrambi posano uno sguardo intenerito su Dean che, affondando il cucchiaino con aria trasognata, carica una nuvoletta di panna.
---
Si riparte.
Sam gira la chiave, allegro. Nota che Ben apprezza i sedili posteriori dell’Impala, accarezzando il rivestimento, a mano aperta. “Questa macchina è veramente una figata!”
“Che ti avevo detto?!” commenta Dean, orgoglioso. E non solo di Baby.
Dean si muove più agilmente come se, le sue ossa malconce, cominciassero a riacquistare energia. Dean ride. Con Ben. Con Sam.

Un viaggio su Baby.
 Ci saranno…altre foto.

Dean sarà “continente”.                                                          
Non temerà di svelarsi e permetterà al turista di “nicchia” di soffermarsi negli angoli più intimi e oscuri della propria anima. Lo deve a quel corpo sgretolato che ha avuto il fegato di “fargli cambiare idea”. Lo deve a sé  stesso. A Sam che non si è arreso e a Ben che imparerà, da entrambi, a non arrendersi.

Quando arriveranno da Sonny saranno una famiglia.

Lo sono già.
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Delia vede allontanarsi l’Impala, in un rombo.
Sorride, compiaciuta. E non è sola.
“Grazie…”
“E’ stato un piacere Jack. E poi io non ho fatto nulla…se non mostrar loro la verità. “Tecnicamente” tu non sei intervenuto e poi…lo sanno tutti che Morte e più potente di Dio!”
“Già…non fai che ricordarmelo! Comunque…ti devo un favore…”
“No…tu mi hai solo detto che il corpo di Dean Winchester stava combattendo…non mi hai suggerito cosa fare.”
Il libero arbitrio è un valore imprescindibile. Da quando Jack “governa” il Paradiso.
“Ma sapevo che cosa pensavi di lui…e di Sam. Sapevo che avresti scelto di mostrargli ogni cosa, utile a…farli scegliere…” ammette Jack che mai rifiuterà di assumersi le proprie responsabilità. Fa parte dell’educazione che ha ricevuto. E’ un Winchester. Dopo tutto.

“E allora?! Nessuno poteva garantirti come sarebbe finita. Non mi hai influenzata. La Morte sceglie di testa sua. Lo sai dai tempi di Billie...diciamo che sei stato fortunato che io, nel frattempo, abbia…fatto carriera!”
Delia ha sempre odiato Billie. Ha sempre “tifato” per i Winchester, da quando era una mietitrice.

“Quando Timmy mi ha uccisa non ha fatto che rafforzare la mia idea su Dean…ispirare un tale coraggio, essere un esempio tanto potente…non è da tutti. Sam ha convissuto buona parte della sua esistenza con lo spettro di Lucifero. Ma questo non gli ha impedito di aiutare il prossimo, con tenacia e sensibilità. Era devastato, facile bersaglio dei suoi incubi. Avrebbe potuto cedere e spegnere una vita invece…l’ha migliorata. Quei due meritano il tempo di…prepararsi.” sentenzia, Delia.

Jack sorridendo, grato, concorda.
“Lo meritano”

E le iridi di Jack si fanno specchio d’acqua.
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Delia li ritroverà…soddisfatti delle decisioni prese, paghi di ciò che saranno riusciti a costruire…in quel tempo.

Dean le manca già. Ammette di essersi affezionata a quello strafottente cacciatore, con una volontà incrollabile e uno spiccato senso dell’humor. Dean ha “imparato la lezione”. Ma ogni legame che si crea è sempre "crescita" reciproca.

Delia ha imparato a raccontare favole a chi è costretto a seguirla troppo presto. E ogni giorno raccomanda, ai “suoi” mietitori di accompagnare con saggia amorevolezza, chi devono “raccogliere”.
E quando toccherà a Dean, lei stessa gli si presenterà. Indosserà un abito lungo, vaporoso ed elegante e si appunterà i capelli con un fermaglio di perle. Si preparerà con cura, certa di suscitare qualche apprezzamento “galante” del maggiore dei Winchester. Delia scuote la testa divertita. Sarà “un vero spasso”…viaggiare con Dean.

Dean la riconoscerà, salutandola come una vecchia amica che non ti aspetti ma che non temi.
Le offrirà di fare un giro, su Baby.
E guiderà lui.
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Arrivederci, ragazzi”, sussurra, Delia.

Indice e pollice si sfiorano, producendo uno schiocco deciso ma delicato.

L’ultimo.
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Note dell’autore: ho fatto “scorta” di emozioni in questo mio “viaggio”. Le “metterò da parte”, come un previdente “scoiattolo”, perché non sempre hai tempo e modo di scrivere e solo quando non c’è “quel tempo” ti rendi conto di quanto sia prezioso. E’ più di un “hobby”…è una potente valvola di sfogo, uno spazio “tuo” che decidi di condividere. Grazie a chi ha letto e a coloro che confrontandosi, attraverso le recensioni o un rimando, sono sempre arricchimento. Vi saluto e, come direbbe la mia “amica” Delia, con una battuta in “stile” Rowena e Crowley:

“Arrivederci, ragazzi”

Grazie a tutti!

Eclissidiluna
   
 
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