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Autore: heliodor    01/09/2022    0 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Mi dispiace

 
Resta giù, disse la voce. Non muoverti, non fare alcuno sforzo. Penserò io a te. Devi recuperare le forze.
“Zane” disse con un filo di voce.
Sentiva il corpo leggero e aveva l’impressione di librarsi leggera, come se non avesse peso. I muscoli e le ossa le facevano male, come se fossero strappati e spezzati, come se l’avessero sbattuta con violenza contro le rocce e poi l’avessero lasciata lì agonizzante.
“Non pensare a lui.”
“Zane” disse con più decisione. “È andato da solo. Ad affrontare il nemico. Per bloccarlo.”
“Non c’è riuscito. Loro sono venuti lo stesso.”
“Zane.”
“Ma tu ci hai salvati. Per il momento.”
“Io…” disse Valya. Cercò di muovere le braccia e le gambe, ma era bloccata. Mani forti le stringevano i polsi e le caviglie. “Cosa?”
Aprì gli occhi e vide i volti incombere su di lei. Erano sporchi di sangue, sofferenti e a uno mancava un orecchio. Però la ferita era chiusa, quindi non gli era stato portato via allora, ma prima.
Molto prima.
Quanto? Chiese.
Concentrati, disse la voce nella sua testa.
“Mettiamola giù” disse una seconda voce. “Credo si sia ripresa.”
Valya si sentì adagiare al suolo e avvertì il freddo della pietra contro la schiena.
“Come ti senti?” le chiese l’uomo. Il suo viso incombeva su di lei, l’espressione preoccupata.
Valya cercò di dire qualcosa ma le parole le morirono in gola.
“Non sforzarti di parlare” disse l’uomo.
Valya notò che indossava una cotta di maglia sopra una tunica lacera. Aveva un accenno di barba ispida che gli cresceva sul mento. Tentò di alzare la testa ma il dolore al collo glielo impedì.
“Fai con calma” disse il soldato.
“Stanno arrivando?” fece una voce piena di apprensione.
“Perché non la lasciamo qui e torniamo alla fortezza? Siamo solo a due miglia.”
“No” disse il soldato perentorio.
“Vai agli inferi, Gef” rispose l’altra voce. “Ti abbiamo aiutato a portarla fin qui.”
“E continuerete ad aiutarmi.”
“Vai da solo se ci tieni tanto.”
Il viso di Gef scomparve e Valya ebbe la visione di uno squarcio di cielo.
“Certo che ci andrei da solo, idiota” disse Gef. “Ma ho una gamba malmessa. E accidenti, non vuoi aiutarla nemmeno dopo che lei ci ha salvati tutti?”
“Ma che dici, Gef” rispose l’altro con voce rotta dal pianto. “Non lo vedi che sono morti tutti? Ulfarin, Ian, Sharor. Tutti morti. Dannazione.”
“Noi siamo ancora vivi, no?”
L’altro non rispose.
“Ti chiedo solo di aiutarmi a portarla fino alla fortezza.”
“E se ci stessero inseguendo?”
“Non ci insegue nessuno. I rinnegati sono morti o feriti. Anche quella dannata strega è morta.”
“Tu l’hai vista morire?”
“No” rispose Gef con voce esitante. “Ma dopo quell’attacco sarebbe morto chiunque.”
Valya decise di fare un altro tentativo e facendo leva sui gomiti raddrizzò il busto e si guardò attorno. Venne colta da un capogiro e dovette ricacciare indietro un conato di vomito ma si costrinse a restare in quella posizione.
Erano al centro di una gola di roccia, uno stretto passaggio tra due mura di pietra compatta che si innalzavano per una trentina di passi o forse anche di più. Lo spazio era così poco che a malapena potevano starci cinque o sei persone in fila.
Valya ebbe la sensazione che quelle pareti volessero chiudersi su di lei ma ricacciò indietro anche quella e si costrinse a tenere gli occhi aperti.
Il suo primo pensiero fu per la spada. La mano corse alla cintura dove aveva il fodero e accarezzò l’elsa. Solo allora tornò a respirare.
In qualche modo era riuscita a rinfoderarla prima di… prima di cosa?
Non riusciva a ricordare con chiarezza che cosa fosse accaduto nella conca dopo che si era scagliata contro il mostro di fuoco.
Ricordava di aver diretto la spada contro il terreno e che nel punto in cui l’aveva colpito era successo qualcosa. Da quel momento tutto diventava confuso. Aveva visioni fugaci di soldati che venivano sollevati e spazzati via come foglie secche e le loro urla di dolore e agonia le ronzavano nelle orecchie.
Scosse la testa per allontanare quel ricordo e concentrarsi su quello che stava avvenendo attorno a lei in quel momento.
Individuò due figure alla sua sinistra. Una apparteneva a un giovane soldato di Lormist mentre l’altra era voltata di spalle.
Il giovane la indicò con un rapido cenno della testa. “Si è ripresa” disse all’altro.
Il soldato di spalle si voltò e Valya lo riconobbe. Era l’amico di Ros, quello che aveva curato dopo la frana.
Il soldato zoppicò verso di lei.
“Sei ferito?” gli chiese.
Il soldato le rivolse un’occhiata perplessa. “Ti ricordi il mio nome?”
Valya annuì anche se nel farlo la testa le faceva male. “Sì. Ti chiami. Qualcosa come.” Non riusciva a pronunciare la parola. “Lef? Nef?”
“Gefthon” disse il soldato. “Ma tutti mi chiamano Gef.”
“Gef. Giusto” disse. “Cos’è successo? Dove sono tutti? E come sono arrivata qui?”
“Una cosa per volta” disse il soldato. Guardò dall’altra parte, verso un punto in cui il passaggio curvava verso sinistra. “Prima dovremmo allontanarci un po’ di più. Ce la fai a camminare?”
“Non so nemmeno se riesco a stare in piedi.”
Gef le tese una mano. “Se non provi ad alzarti non lo saprai mai.”
Valya afferrò la mano e lui fece leva per tirarla su. Ci vollero tre tentativi prima di riuscire a stare in piedi senza ondeggiare e anche allora provò una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
“Adesso andiamo” disse Gef indicando la direzione opposta a quella verso cui aveva guardato.
Valya lo seguì senza opporsi.
“Io sono Dunq” disse il soldato più giovane.
Valya lo salutò con un grugnito.
“Grazie per averci salvati” disse Dunq.
Valya lo guardò perplessa.
“Con la tua spada” disse il soldato. “Hai spazzato via il titano di fuoco e la formazione di rinnegati.” Scosse la testa. “Non avevo mai visto una cosa del genere. Nemmeno sapevo che fosse possibile fare un incantesimo di questo tipo.”
“Non era un incantesimo” disse Gef. Guardò Valya. “Non ti ricordi niente?”
Valya si accigliò. “Ricordo la battaglia. E Vanadin che viene preso dai tentacoli di fuoco.”
Gef scosse la testa. “Gran brutta fine la sua.”
“È morto?”
Il soldato annuì grave.
“E l’altra strega?”
“La comandante Norla è morta anche lei.”
“Chi è al comando adesso?”
“Nessuno” disse Dunq.
“E i rinnegati?”
“Per il momento si sono fermati, ma la frana che ha ostruito il passaggio non li bloccherà a lungo. Prima o poi verranno a vendicarsi.”
“Non se Ros porterà tutti all’uscita.”
Gef le rivolse un’occhiata stranita. “Di che accidenti parli?”
Valya cercò di raccogliere le idee. “Della porta che Ros ha trovato. Nei sotterranei della fortezza. Non ve l’ha detto nessuno?”
No, ovvio, si disse. Loro non si trovavano alla fortezza quando siamo tornati. Solo Yuldra e quelli che si trovano lì sanno della porta. E nessun altro. Neanche Zane.
Zane.
Il suono di quella parola rimbombò nella sua mente.
“Zane” disse ad alta voce. “Lui dov’è adesso?”
Gef scrollò le spalle. “Chi lo sa? Nessuno è tornato dalla missione.”
La missione, pensò Valya. Zane doveva far crollare una collina per ostruire il passo e concedere del tempo a quelli nella fortezza.
Fece per voltarsi e quasi inciampò. Solo allora si accorse che stava in piedi solo perché era appoggiata alle braccia di Gef e Dunq.
“Che fai?” chiese il soldato giovane. “Ti gira la testa?”
“Zane” gemette Valya. “È rimasto indietro. Devo aiutarlo.”
“Per lui è tardi ormai” disse Gef. “Ma noi possiamo ancora salvarci.”
“Zane” disse annaspando, le forze che le mancavano.
“Aiutami a tenerla in piedi” disse Gef.
Mani forti l’afferrarono sotto le ascelle facendola rialzare. Non si era accorta di essere crollata in ginocchio.
“Aiutatemi” disse. “Devo andare da lui.”
“Morirai se torni indietro” disse Gef. “E moriremo tutti se non raggiungiamo la fortezza.”
“Ti prego” piagnucolò Valya. “Aiutami.”
“È quello che stiamo facendo” disse Gef.
Valya sentì le forze abbandonarla e il buio calare su di lei.
Quando aprì gli occhi si ritrovò a fissare un cielo grigio e cupo solcato da una miriade di cicatrici e spigoli.
Non è il cielo, si disse. Ma un soffitto. Un soffitto di pietra. Sono nella fortezza.
Quella consapevolezza la colpì. Tentò di mettersi a sedere ma le forze non la ressero e ricadde con la schiena sulla pietra.
La spada, si disse. Lei mi darà la forza di cui ho bisogno.
Sfiorò l’elsa ma non sentì il potere fluire dentro di lei. Allora la strinse fino a sbiancare le nocche e strinse i denti. Avvertì solo un debole refolo del potere, come una leggera brezza che le sfiorasse il viso in una calda giornata, ma senza darle alcun sollievo.
Sentiva che il potere era ancora lì, ma per qualche motivo il suo corpo lo rifiutava, respingendolo invece di accoglierlo.
Devi riposare, disse una voce dentro di lei.
Non posso restare qui, pensò.
Ma devi. Hai compiuto uno sforzo immane per abbattere il titano di fuoco. Ora devi riposare.
Ma Zane è ancora lì fuori. Forse è ferito. Forse…
Scosse la testa con vigore. Non voleva pensare a quello che gli era potuto succedere. Gef aveva detto che non era tornato dalla missione, anche se aveva avuto successo.
Deve aver avuto un incidente, si disse. Non si spiega in altro modo.
“Dov’è?” disse una voce proveniente da lontano.
“Qui” rispose l’altra. “L’abbiamo sistemata in questa sala.”
Valya girò gli occhi verso l’entrata della sala, un rettangolo nero che si stagliava nel chiarore della lampada a olio che ardeva su di una mensola.
Si chiese chi l’avesse accesa e perché.
Sulla soglia si stagliò una figura che avanzò verso di lei.
Ros Chernin si avvicinò con passo lento, come se temesse di svegliarla. “Valya? Stai bene?”
Lei annuì. “Sì. Aiutami ad alzarmi.”
Ros le diede una mano a sedersi sulla pietra.
“Cos’è successo?”
“Sei svenuta. Di nuovo” disse Gef. Anche lui era entrato nella sala che ora sembrava più piccola. “Ho dovuto faticare parecchio per portarti fino qui. Con questa dannata gamba, poi…”
“Dopo le darò un’occhiata” disse Ros.
“La mia gamba sta bene. Tu pensa alla tua amica. Ne ha più bisogno.” Il soldato uscì dalla sala.
Ros le rivolse un’occhiata preoccupata. “Non dovevi andare. Hai corso un rischio inutile.”
“Ora vuoi dirmi quello che devo fare?” fece con tono polemico. “Sono un’adulta.”
“Ti chiedo scusa. Sei ferita?”
“No” disse con tono perentorio. Fece per alzarsi. “Devo tornare da Zane.”
“Aspetta” disse Ros trattenendola.
Valya lo allontanò con un gesto brusco. “Lasciami.” Barcollò per un paio di passi e cadde in ginocchio. “Dannazione.” Toccò la spada ma sentì solo un barlume di potere.
“Non ti reggi in piedi” disse Ros. “Non ce la farai a tornare di sopra.”
“Sopra?”
“Gef e Dunq sono scesi di quattro livelli. Gli avevano detto che mi trovavo in quelli più bassi e hanno pensato di portarti da me.”
“Hanno commesso un errore.”
“Pensavano che stessi male. Volevano che ti curassi.”
“Come vedi sto bene.” Fece per mettersi in piedi ma cadde di nuovo sulle ginocchia. Stavolta dovette stringere i denti per non lamentarsi del dolore. “Non stare lì a guardare e dammi una mano.”
Ros l’aiutò a rialzarsi e insieme uscirono dalla sala. Come aveva detto, si trovavano in uno dei livelli profondi che avevano esplorato qualche giorno prima.
“Devo tornare di sopra” dichiarò. “Ma non posso farcela senza di te.”
“Valya” iniziò a dire Ros.
“Ti prego” lo implorò Valya. “Devo andare da Zane. È rimasto indietro. Da solo.”
“Sono rimasti molti ai livelli superiori” disse Ros. “Non sarà solo.”
“Ma morirà.”
“Hanno scelto di morire in quel modo.”
“Non Zane” disse raddrizzando la schiena. “Non lui.”
“Sapeva che non sarebbe tornato indietro.”
“No” disse. “Io andrò a salvarlo. Vuoi aiutarmi o no?”
Ros girò la testa di lato e la lasciò. “Non posso” disse.
Valya lo fissò con disprezzo. Se ne avesse avuto la forza lo avrebbe colpito con un pugno, ma temeva di non reggere a quello sforzo e di crollare di nuovo. “Sei un bastardo” disse. “Dov’è l’uscita? Andrò da sola se non vuoi accompagnarmi.”
Ros fece per dire qualcosa ma le sue parole vennero coperte da un boato assordante. Le pareti tremarono e massi grossi come pugni precipitarono dal soffitto. Il condotto si riempì di fumo e Valya si ritrovò a terra insieme a lui.
“Che succede?” chiese allarmata. “Ci attaccano? È di nuovo il titano di fuoco?”
Se è lui non riuscirò ad affrontarlo debole come sono, si disse.
Ros scosse la testa. “Yuldra deve aver fatto saltare la porta. Dobbiamo scendere nei livelli profondi per uscire di qui.”
“Vai tu” disse Valya avviandosi in una direzione a caso.
“Aspetta” disse Ros alle sue spalle.
Decise di ignorarlo e proseguì al buio, muovendosi a tentoni. Il pavimento era pieno di detriti e faticava a respirare, ma il pulviscolo si stava depositando e i suoi occhi si erano abituati al buio.
Trovò le scale che portavano a livello superiore e le salì aiutandosi con le mani. A metà della scalata trovò una roccia di traverso e dovette fermarsi. Guardando in alto vide che il soffitto della grotta era crollato tirandosi dietro tutte le rocce sovrastanti.
“Non puoi andare oltre” disse Ros alle sue spalle.
“C’è un’altra via?” gli chiese con rabbia.
Lui scosse la testa.
“Stai mentendo” gridò. Batté i pugni contro la pietra fino a ferirsi. “Stai mentendo” piagnucolò, le forze che le mancavano. Scivolò sui gradini fino a fermarsi ai piedi della scalinata. “Mi dispiace” fu l’ultima cosa che riuscì a dire mentre il buio piombava su di lei offuscando tutto il resto.

 
  
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