Il mese più bello da godere era decisamente settembre, quando il sole emanava ancora i suoi raggi caldi, ma non più roventi, e calava prima, sulle giornate accorciate. Le sue ombre sempre più lunghe invadevano i giardini delle case, i campi, le strade. Le persone erano più rilassate dopo le vacanze estive, anche se i giovani continuavano a fremere. Volevano poter godere ancora del loro spaziare altrove, continuare le proprie esperienze, vivere nuove avventure. La loro voglia di libertà era insaziabile.
Alle otto del mattino, le vie della cittadina erano invase dai ragazzi in bicicletta, con gli zaini sulle spalle: la scuola era iniziata!
Le macchine occupavano in massa le vie percorribili: i bambini dovevano essere accompagnati a scuola, mentre i genitori dovevano riprendere il proprio lavoro.
I panettieri, indaffarati, sostituivano di continuo i cestini di focacce e brioches vuoti, e ne riponevano di pieni.
Dai bar il profumo dei caffè e dei cappuccini si diffondeva per le strade.
Le persone, abituate alla colazione fuori casa, sedute ai tavolini posti ancora sulle strade o nelle piazze, aspettavano di essere servite. La loro abbronzatura e il loro modo rilassato e ciarliero raccontavano delle recenti vacanze trascorse all’aria aperta.
Sara e Ilaria, al primo giorno di scuola, raggiunsero l’istituto in bicicletta e, dopo aver salutato i compagni, entrarono felici in aula.
Il professor Nardini le accolse con un sorriso e, stringendo loro la mano, disse: “Signorine, ben tornate a scuola! Avete trascorso delle buone e felici vacanze?”
Le ragazze, sorridendo divertite al professore, lo incitarono a raccontare delle sue, di vacanze. Il professore era del resto avvezzo all’atteggiamento spigliato e disinvolto degli studenti, e rispose loro a tono: “Fantastiche! Non volevo più che finissero…”
I ragazzi lo prendevano spesso in giro. Intanto, in quel nuovo inizio, ricercarono il proprio posto nei banchi ormai conosciuti.
Pinuccia, entrata nel nuovo istituto, si presentò e subito capì che aveva fatto la scelta giusta. Le maestre erano dirette nel rapportarsi con le altre persone, indice di un lavoro sempre in prima linea.
La maggior parte delle colleghe era spiritosa, e accolse Pinuccia con slancio e con una franca stretta di mano.
“Ti troverai bene da noi, spero proprio che ti abituerai presto a questi diavoletti furiosi,” le disse, salutandola, la rappresentante del plesso scolastico dove avrebbe insegnato.
“Mi chiamo Silvana, e spero che insieme lavoreremo con armonia e, diciamolo, con senso dell’umorismo!”
Pinuccia le sorrise, condividendo quel pensiero.
Il primo impatto era stato superato brillantemente. Ma si sarebbe visto poi, nel lavoro quotidiano…
Marco, intanto, aveva ripreso la routine del suo lavoro a Milano, all’interno di un ufficio della regione. Quell’occupazione era interessante e, inoltre, c’erano sempre novità in vista.
La signora Virginia era spesso a casa da sola: i nipoti erano a scuola e la figlia Agnese stava lavorando come cassiera in un supermercato della cittadina.
In una di quelle mattine di settembre si preparò un caffè d’orzo, visto che il dottore le aveva proibito il caffè vero e proprio.
Dopo poco sarebbe uscita in cortile, avrebbe pulito le fioriere e spazzato la sua parte sotto il portico davanti a casa, per poi fare due passi nel quartiere. Avrebbe di certo acquistato dei tranci di pizza per i nipoti, e il pane al sesamo per la figlia.
Poi, sicuramente, avrebbe fatto una capatina in chiesa.
A quell’ora della giornata non avrebbe trovato altre donne, si sarebbe rilassata, ringraziando la Madonna per averle dato una svolta positiva nella sua vita solitaria: ora aveva compagnia, eccome!
Era una donna positiva, semplice ma intelligente. Le piaceva il suo mondo, anche se ristretto alla cittadina di origine. In compenso, questo era ricco di conoscenze, di amicizie, di persone che condividevano lo stesso sentire. C’erano sempre novità che la attiravano come una calamita, e c’erano i suoi due nipoti, che voleva crescere con i valori solidi dell’amicizia, della condivisione e dell’amore.
Tutto questo pensava la signora Virginia in chiesa, seduta su di una panca di legno, assorta nel silenzio, circondata dalla sacralità silenziosa del luogo.
La signora Rosalia, intanto, interrompendo il corso dei propri pensieri, era entrata in casa.
La porta era sempre aperta in cascina e, con il cortile in comune, non c’era mai bisogno di suonare il campanello. Il semplice “permesso?” era sufficiente per curiosare nelle case altrui.
Questo almeno era un atteggiamento costante della signora Rosalia, ma Virginia non badava a queste cose e l’accoglieva sempre, sorridendo.
La preside Costanzo, nel frattempo, rinchiusa nel proprio ufficio in direzione, era preoccupata. La figlia Aurora, adolescente, aveva deciso di non mangiare più. Il suo dimagrimento veloce l’aveva portata alle soglie dell’anoressia.
“Cosa posso fare? Come posso rimuovere quella rabbia e quel rifiuto ostinato nei confronti del mondo circostante?” pensava la preside, al limite delle lacrime. All’improvviso si scosse: “Non è così che devo reagire, devo essere di esempio a questa figlia lontana con il pensiero.”
La segretaria Flavia, bussando alla porta della direzione, avvisò la preside che c’era un problema nella classe quarta D.
“Cosa sarà mai successo ancora in quella classe irrequieta e scombinata?” pensò tra sé la preside Costanzo.
Sapeva di non piacere troppo ai ragazzi, né tantomeno a sua figlia, figuriamoci!
Poi, con passo deciso, si incamminò lungo il corridoio della scuola.