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Autore: _Lightning_    08/09/2022    0 recensioni
"Sam detesta chiedere favori. Si taglierebbe un braccio, piuttosto che chiedere un favore.
Non che chieda la luna, di solito e, se pure ne sentisse il bisogno, è abbastanza certo che troverebbe un modo per tirarla giù dal cielo per conto suo."
[post-Uncharted 4 // Missing Moment // Nate&Sam // Hurt/Comfort // Angst // molto self-indulgent]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nathan Drake, Samuel “Sam” Drake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Chiederò la Luna
 
I

 

 

          Sam detesta chiedere favori. Si taglierebbe un braccio, piuttosto che chiedere un favore.

Non che chieda la luna, di solito e, se pure ne sentisse il bisogno, è abbastanza certo che troverebbe un modo per tirarla giù dal cielo per conto suo. Comunque, detesta chiedere, detesta lasciarsi scappare di bocca la parola “per favore”, soprattutto se è costretto a farlo e non dipende da lui. 

Per esempio, quando il suo volo per Cuba viene cancellato per via di un potenziale uragano, lasciandolo arenato a New Orleans in attesa che riprenda il traffico aereo e rimandando il suo incontro con Victor a L’Avana per un lavoro. Sam prende gli ultimi due, rapidi tiri dalla sigaretta, che ha fumato aggressivamente in meno di un minuto appena fuori dal terminal, schiaccia il mozzicone sotto il tacco e si caccia il cellulare in tasca.

Quella a New Orleans doveva essere solo una rapida tappa. Giusto il tempo necessario per fare un saluto a Nathan, mangiare un boccone con lui nel Quartiere Francese, ingozzarsi di granita come bambini in astinenza da zuccheri, e raggiungere l’aeroporto. Ma niente è mai così semplice, quando c’è di mezzo un Drake, ormai l’ha imparato.

E, al momento, è praticamente un senzatetto. Non c’è altro modo per descriversi, visto che non si è mai preso la briga di guardare oltre il motel successivo, nonostante Nathan una casa ce l’abbia eccome e gli dice sempre che non disturba. L’ha detto milioni di volte, in effetti. Ogni singola volta, Sam ha comunque optato per un motel, piuttosto che per una vera casa.

Stavolta, però, è veramente al verde. Aveva giusto i soldi contati per non finire le sigarette e non crepare di fame... contava su Victor e il suo lavoro per rimpinguare il portafogli. La sua unica, grama prospettiva è passare la notte in aeroporto, su una panchina nel parco o in un punto più o meno asciutto sotto un ponte. Il che, dopo aver dormito per più di un decennio in una sordida cella panamense, non gli sembra neanche malaccio, ma ultimamente sta provando a darsi degli standard.

Chiamare Nathan gli è costato uno sforzo immenso, e non è che gli abbia chiesto direttamente di ospitarlo per la notte, per carità. Gli ha solo detto, ironico, che Victor sarà costretto ad aspettarlo un bel po’ per via dei capricci del meteo. Suo fratello gli ha offerto un tetto senza nemmeno lasciarlo finire: tipico di Nathan.

Quindi, tecnicamente, gliel’ha chiesto lui, ma, praticamente, Sam sta accettando un favore. Il minimo che può fare è evitare di stravolgere la routine di suo fratello. La naturale conseguenza è bussare alla sua porta alle dieci e mezza di sera, quando sa che Nathan sarà probabilmente sul punto di ficcarsi a letto dopo aver sbrigato le sue faccende. La faccia con cui lo accoglie, appaiata ai suoi vestiti da casa e agli occhi a mezz’asta, gli fanno venire il dubbio di aver calcolato male le tempistiche e averlo buttato giù dal letto. Ops.

«Cominciavo a pensare che avresti dormito davvero in aeroporto,» commenta Nathan, per poi sbadigliare e slogarsi quasi la mandibola. «È tardissimo.»

Sam fa un sorrisetto colpevole: dimenticava che Nathan tende a crollare svenuto già dopo le nove e mezza di sera. I lavori notturni con lui erano un’agonia. Sam sfrega i piedi sul legno del portico, affondando le mani nel giacchetto di jeans.

«Già, scusa. Ho avuto un paio di contrattempi e avete dei seri problemi col traffico nella “Big Easy”, fratellino.»

Non gli dice che ha camminato fin lì, visto che ha speso l’ultimo decino per una confezione di birra da sei che ha ficcato a forza nella sua borsa da viaggio. È il minimo, per ricambiare l’ospitalità.

«Come se non lo sapessi... Mi fa venir voglia di trasferirmi nel bayou, a volte. Preferirei gli alligatori, all’ora di punta,» sospira Nathan, soffocando un secondo sbadiglio e facendogli poi cenno di entrare. «Vieni.»

Sam ridacchia, gli dà una pacca sulla spalla nel passare ed entra quasi in punta di piedi, anche se il suo metro e novanta gli rende difficile essere discreto. Le sue sneaker consunte incontrano un tappeto morbido e ricoperto di arabeschi di cui non ricordava l’esistenza: Nathan ed Elena devono averlo comprato in qualche lontano suq medio-orientale. Sam respira l’odore ormai noto della casa di Nathan: candele profumate, legno vecchio e una traccia di patchouli. C’è sempre un qualcosa che gli ricorda la loro prima casa, da bambini, nel modo in cui sono disposti mobili e soprammobili, nel tocco esotico che permea quelle mura – una traccia della loro madre che Nathan ha inconsciamente trasferito nel luogo in cui vive.

Forse è per questo che quella casa gli sembra sempre accogliente, quasi stesse entrando nella propria; ma anche estranea, perché non è davvero la sua, né appartiene solamente a suo fratello.

Molte cornici tappezzano le pareti pastello, racchiudendo istantanee di paesaggi paradisiaci o dipinti a colori vivaci. Sam non fa loro visita così spesso, ma ha sempre l’impressione che il numero diminuisca ogni volta. È come se Nathan ed Elena, all’inizio, avessero sentito il bisogno di cristallizzare nel tempo quei momenti, mentre si impegnavano a recitare la parte della "normale coppietta felice" – finché non avevano deciso di viverli di nuovo in prima persona.

A Sam piace pensare che, anche se ha quasi rovinato il loro matrimonio, ha anche dato loro una buona ragione per riprendere il loro vecchio stile di vita tutto pane e avventura. Non osa dirlo a Nathan, però. Ha l’impressione che sei mesi non siano lontanamente sufficienti per farsi perdonare la sua bravata a Libertalia.

Ad ogni modo, quella casa è quanto di più lontano dallo sgangherato bilocale che lui e Nathan condividevano a Boston, quando erano ragazzini che, con un aiutino da parte di Victor, potevano giusto permettersi qualcosa che non cascasse loro in testa al primo soffio di vento e goccia di pioggia. È quanto di più lontano anche dalla cella soffocante in cui è stato abituato a vivere per più di dieci anni. Quando l’avevano messo in una doppia, dopo cinque anni in cella singola, gli era quasi sembrato di trasferirsi al Ritz. Essere in una vera casa è difficile da concepire, anche dopo più di due anni.

La verità è che non si sentirebbe mai davvero a casa da nessuna parte, ormai. La cosa più simile che ha a una casa cammina proprio davanti a lui a passi ciondolanti, quasi inciampando nei suoi stessi piedi.

«Dai, ti preparo la tua stanza.» La voce di Nathan lo sottrae alle sue elucubrazioni. «Lo sai che ti aspetta da secoli.»

Sam l’ha seguito oltre l’ingresso e in salotto, ma a quelle parole si ferma ai piedi delle scale, poggiando il borsone a terra. C’è un lieve tintinnio di vetro quando le birre si riassestano nella confezione.

«Ah, il divano basterà, grazie.»

Nathan inclina la testa di lato e si appoggia alla balaustra delle scale, lanciandogli uno sguardo pungente.

«Sam, per l’amor di Dio, non è un disturbo.»

«Lo so, lo so, ma... è che dormo meglio così.»

Sam scrolla le spalle, sperando di non dover aggiungere altro, ma ha sottovalutato la cocciuta irritabilità di Nathan quando ha sonno.

«Sì, anche a me piacerebbe molto dormire, quindi, ti prego, puoi non discutere e accettare la stanza degli ospiti?»

Sam rilascia un sospiro sommesso. Sta per rovinare tutto, lo sa.

«Non sono più abituato a dormire in un letto come si deve, tutto qua. Dormirei come un sasso sul pavimento o su una lastra di marmo, però... ci sono templi abbandonati nei dintorni? Magari con le sbarre alle finestre? Mi conciliano il sonno.»

Sam fa un mezzo sogghigno e sa benissimo di scherzare nel modo più sbagliato, perché l’espressione di Nathan traballa, scossa da emozioni contrastanti. Riesce quasi a vedere cosa sta pensando, solo guardandolo negli occhi. È sempre stato così, con suo fratello: per lui è un libro aperto che può sfogliare avanti e indietro e capovolto e saprebbe comunque leggere esattamente cosa c’è scritto. Adesso, sulla pagina del suo volto, c’è scritto a caratteri cubitali “senso di colpa e disagio”, mettendo bene in chiaro che Nathan non ha la minima voglia di pensare al tempo che Sam ha passato in prigione, né al tipo di alloggio che preferisce.

Sam sposta il peso da un piede all’altro, sentendosi colto in fallo. Ha sempre l’impressione di muovere a casaccio un coltello affilato, quando parla con lui in questo modo, un coltello che potrebbe tagliare Nathan al minimo movimento sbagliato. È sempre difficile calcolare quanto in là può spingersi senza ferirlo, quando non ci riflette abbastanza.

Nathan scuote la testa, poi indica il divano alle sue spalle.

«Lì c’è una coperta e trovi dei cuscini in lavanderia. Conosci la casa, prendi ciò che vuoi,» dice infine, abbastanza bruscamente, mentre si pizzica la radice del naso. «Io vado a schiantarmi, devo andare alla D&F domattina presto per sbrigare delle scartoffie.»

Sam si limita ad annuire, comprimendo le labbra per evitare qualsiasi battuta sagace che potrebbe dare sui nervi a Nathan. Di solito non è così attento a ciò che dice in presenza di suo fratello, anzi, i battibecchi sono un caposaldo del loro rapporto. Ma adesso è diverso. È a casa sua, sta facendo irruzione nella sua vita privata dopo averla quasi distrutta.

Non che si senta davvero in colpa al riguardo – che altro poteva fare? – ma ci si deve abituare. Gli sembra ancora strano che Nathan abbia i suoi impegni e preoccupazioni, dopo che hanno vissuto per quasi tutta la vita in una sorta di simbiosi fraterna. Non hanno avuto una vera e propria “vita privata” fino a quel fatidico giorno in Panama, quando lui è scomparso da quella di Nathan per quindici anni. E in prigione, a parte le ore in solitaria, il concetto di privacy è per lo più sconosciuto. Nei due anni di libertà in cui Rafe gli è stato col fiato sul collo per il tesoro di Avery, poi, si è quasi sentito più in gabbia di quando era in prigione.

In ogni caso, Nathan sembra davvero stanco e deve averfatto le ore piccole per recuperare il lavoro che ha lasciato da parte per incontrare lui a pranzo. Elena è impegnata a Baton Rouge per trattare con dei potenziali clienti e ha lasciato la neonata Drake&Fisher Fortune nelle sue mani, può immaginare quanto sia oberato. Quindi, Sam decide di lasciar correre. Solo per questa volta.

«Va bene, ti lascio andare,» sorride, sollevando appena un angolo della bocca. «’Notte.»

«Mh, buonanotte.»

Bofonchiato ciò, con un ultimo sguardo sfuggente, Nathan sale le scale e scompare alla vista. Sam sente i suoi passi ovattati, seguiti dallo scatto sommesso di una porta che si chiude alle sue spalle.

Sam sospira, pesca fuori le birre dal borsone e le stipa nel frigo semivuoto. Medita se fumare una sigaretta prima di dormire, poi vi rinuncia nel realizzare che, in via del tutto eccezionale, gli è passata la voglia. Si sveste, infila una maglietta e degli shorts da notte e si lascia cadere sul divano, che si rivela essere fin troppo corto, lasciandolo con entrambi i piedi a sporgere oltre il bracciolo in modo abbastanza ridicolo. Sospira di nuovo.

Magari ha chiesto davvero la luna, quando ha pensato di poter passare una notte tranquilla a bere birra con suo fratello... ma, giusto, niente è mai così semplice, quando c’è un Drake di mezzo.



 

✧ ✧ ✧


 

Continua...

   
 
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